03 Marocco


12 Gennaio 2008

GRANADA – TANGERI

Usciamo velocemente dall’hotel e da Granada. Oggi il clima ci regala un bel cielo azzurro ed un sole caldo che intiepidisce l’aria. I 200 km di autostrada scivolano via lievi …a bordo maglietta di cotone, occhiali da sole e fazzoletti di carta….l’emergenza congestione non è ancora finita. All’altezza di Malaga l’autostrada piega per costeggiare il mare blu che ogni volta ci sorprende con la sua immutata bellezza. Arriviamo ad Algeciras verso le 14.30 e senza difficoltà raggiungiamo il porto dove diverse compagnie marittime si propongono per la traversata dello stretto….la scelta cade sul primo traghetto in partenza alle 15.00 …non c’è molto tempo ma nemmeno un gran traffico di turisti in questo periodo di bassa stagione, intanto sui tabelloni che riportano gli orari vedo partenze con cadenza oraria….un buon servizio quindi e ad un costo limitato, spendo infatti 75 € per due persone e l’auto. Il tempo di salire ed il traghetto sta già salpando verso la costa che a fatica si intravede in fondo all’orizzonte di fronte a noi. Dopo due ore esatte siamo all’ormeggio nell’ampia banchina del porto africano di Tangeri, tra gli edifici chiari e le palme slanciate della città più europea del continente. Il tempo di appoggiare i pneumatici sulla terraferma e già ci viene incontro una nuvola di marocchini che si offrono di aiutarci a sbrigare le pratiche doganali….anzi ci chiedono direttamente i passaporti ed il libretto come fossero loro gli operatori della dogana. Chiaro che lo fanno per guadagnare due soldi ed alla fine riescono a compensare l’arroganza del proporsi con un effettivo aiuto nel disbrigo delle poche pratiche. Lo stesso ragazzo che si impone per velocità sugli altri, accompagna Vanni all’ufficio dell’assicurazione ed allo sportello di cambio…insomma si è guadagnato quei 10 euro che Vanni gli porge e che lui accetta sfoderando un largo sorriso di soddisfazione. A parte il momento di tensione che ha accompagnato il vederli allontanarsi con i nostri documenti, direi che lo sbarco è andato bene …certo ora dovremo arrangiarci…nel senso che il nostro navigatore, al quale ormai ci eravamo abbandonati con fiducia, qui in africa è efficace al 50%, non esistendo nella sua memoria le mappe delle città ed essendo per di più incomplete anche le reti stradali minori…. Aiutandoci con la piantina della città della nostra guida ci inseriamo nel lungomare per raggiungere il facile indirizzo dell’hotel che abbiamo scelto proprio per questo. Procediamo mentre il sole calante illumina la vivace città fatta di case bianche, macchine scassate che si muovono seguendo flussi disordinati e di visi scuri…siamo in maghreb! L’hotel Ramada Les Almohades (www.ramadahotelsmaroc.com) è l’unico della fascia di prezzo attorno ai 120 € della città. Riesco a strappare una colazione inclusa al receptionist che però non molla nient’altro se non un buon consiglio per un ristorante di pesce . Ci accomodiamo nella camera 110 senza vista mare di questo hotel di stampo internazionale, ma comodo per via del parcheggio custodito senza il quale saremmo stati in seria difficoltà da queste parti. Dopo una passeggiata nella medina in compagnia di Mustafà che ci ha trovati ed adottati strada facendo, nonché accompagnati nell’immancabile negozio di tappeti, atterriamo definitivamente al Valencia per la cena di pesce…senza infamia né lode, ma a detta di tutti il migliore. La cena ci costa 230 dirham, circa 21 euro che non sono poi una gran cifra….quindi direi un rapporto qualità prezzo accettabile. Al rientro il parcheggio dell’hotel è affollato di fuoristrada europei con ruota di scorta fissata sul porta pacchi…proprio come noi…. Un po’ ci inorgoglisce essere così trendy…deve essere la nuova moda dell’europeo in africa ! Le congetture a questo punto si moltiplicano ed una delle più plausibili ci sembra quella che si tratti delle auto della Lisbona Dakar, nata in sostituzione della celebre Paris Dakar quest’anno annullata….che fantasia!

13 Gennaio 2008

TANGERI

Quando esco dal bagno Vanni è già vestito, lo intravedo nella stanza ancora buia. Esce per la colazione dalla quale torna dopo una mezzora con una tazza di tè fumante che appoggia sul mio comodino. Io intanto sto uscendo da un sogno nel quale compro grandi ragni neri, stile vedova nera, nel negozio dal quale solitamente mi rifornisco di colori…ma nonostante il tema macabro mi sveglio stranamente serena. Quando scendiamo alla reception prenotiamo subito l’hotel di Fes quindi usciamo alla conquista di Tangeri. Camminando sotto il sole caldo di oggi vediamo bambini che giocano sulla spiaggia, quindi ci inoltriamo verso la medina salendo per la ripida stradina che parte dalla piazza di fronte al porto, punteggiata di poche ma slanciate palme che ne ingentiliscono lo spazio e ne connotano inequivocabilmente la fascia climatica. A quest’ora della mattina le strette stradine labirintiche della città araba sembrano più tranquille, ma la vitalità palpitante degli artigiani e dei commercianti trasuda dall’interno dei piani terra occupati dalle botteghe. Con il passare delle ore anche le stradine si animano di venditori ambulanti che espongono su teli di plastica appoggiati ai bordi i prodotti dei loro orti. Le tinte chiare degli edifici scatolari ritagliano spicchi di cielo azzurro poi qua e la una macchia di colore attira la nostra attenzione…una porta arancione, o infissi azzurri…o la tunica sgargiante di una signora un po’ più civettuola delle altre. La Kasbha, come tutte le cittadelle fortificate che si rispettino,   occupa la parte più alta della medina. Da qui godiamo di una vista spettacolare sul mare, intensamente blu, dello stretto…il più largo che abbia mai visto. Lontana ma vicinissima per via dell’aria tersa di oggi, l’Europa è là, increspata di colline, misteriosa e dal profilo indefinito per via del riverbero del sole. Dopo una visita al bel palazzo del sultano ora trasformato in museo, ci fermiamo nel cuore della médina, in uno dei bar della piazzetta del Petit Succo per un tè alla menta…evocativo di sabbia color ocra, islam e uomini avvolti nel loro chèche. Mentre sorseggiamo dai piccoli bicchierini di vetro decorati a disegni dorati osserviamo la gente che passa , e sono turisti, venditori, marocchini e marocchine che circolano sempre in gruppo. Usciti dalla mèdina attraversiamo di nuovo le vie della città più recente, cadente e poco interessante, a parte qualche bella villa che però non compensa la decadenza circostante…insomma non si può dire che Tangeri sia una città da non perdere! Dopo una lunga sosta in camera usciamo per la cena. Queséa sera abbiamo scelto un ristorante con musica dal vivo, “ El Korsan” presso l’hotel Minzah in avenue de la libertè 85, il più chic di Tangeri ed in stile marocchino. Superato un ampio giardino entriamo nel confortevole ampio spazio del ristorante dove sei musicisti vestiti tradizionalmente nei loro caffettani chiari e copricapo rosso stanno intonando un brano arzigogolato di musica araba. Ci accomodiamo sul sofà dietro il tavolo apparecchiato con accuratezza con ceramiche, sottopiatti di metallo con incisioni ed una serie di originali accessori. Godiamo della musica e dell’ambiente curato ed avvolgente dove ogni superficie orizzontale e verticale è decorata dei tessuti e colori e disegni armoniosi tipici,, come anche il soffitto di legno a cassettoni con forme geometriche a stella che amplifica il senso di tradizione e di ricercatezza. Anche il menu elenca piatti che promettono sofisticati accostamenti di frutti, carni verdure e spezie….insomma una serata nella quale abbandonarsi con tutti i sensi all’antica cultura marocchina. Vanni sceglie come entrata una zuppa con i datteri ed io gli involtini fritti di carne e pesce, poi un tajin di polpette di manzo ed un cous cous di agnello. I camerieri si prendono cura di noi con molta attenzione, mentre i gustosi cibi mandano in estasi le nostre papille gustative, sprigionando fragranze paradisiache con delicate inflessioni speziate. Infine la ciliegina sulla torta…compare tra i musici una seducente danzatrice che muovendosi con estrema sensualità incanta con il suo fascino gli spettatori tutti. Ma che bella serata…e tutto per soli 60 €. Rientriamo sotto la pioggia sazi e gratificati.

14 Gennaio 2008

TANGERI – FES

Tutte le strade portano a Fes con un percorso di circa 400 km…Vanni sceglie la più avventurosa che passando per Tetouan e Chefchaouen si arrampica serpeggiante sul crinale del famigerato Rif. Territorio da sempre popolato dai coltivatori di Kif ( marijuana ) con spinte secessioniste miranti all’autonomia di questo territorio a tutti i costi. Premesso che la nostra Rough Guide sconsiglia vivamente di avventurarsi in queste zone onde evitare eventuali spiacevoli incontri con spacciatori ladroni e che per di più, vendono hashish di pessima qualità, ci avviamo impavidi e coraggiosamente pronti a tutto, sulla statale che si arrampica da 0 a 1600 m di altitudine , tra nuvole basse che non trattengono la pioggia né a tratti, il nevischio. I primi approcci con i venditori di kif iniziano all’altezza del piccolo borgo di Bab Taza, dove uomini incappucciati nei loro caffettani scuri mostrano, gesticolando ai bordi della carreggiata, tocchi di fumo, esprimendo un chiaro invito all’acquisto. Appena fuori dal caseggiato una macchina ci segue lampeggiando, quindi ci supera e ci fa cenno di accostare mentre si ferma poco oltre. Naturalmente proseguiamo incuranti e, a parte lo spavento legato a questa primo approccio, segue il divertimento del vedere la moltitudine di venditori che si susseguono proponendosi con gesti inequivocabili per lo spaccio. Almeno l’80% degli uomini più o meno giovani incrociati lungo la strada ha ammiccato con gesti, ed almeno 3 aut ci hanno inseguiti, superati ed invitati a fermarci. Mai visti tanti spacciatori concentrati in un territorio così relativamente piccolo e…mai visti spacciatori che anziché nascondersi ostentassero in questo modo la loro presenza. Insomma è proprio vero che gli arabi sono dei commercianti nati…qualunque sia il prodotto in questione. Il paese che attraversiamo dopo circa 180 km di marcia, ci propone uno spaccato d’altri tempi. Immerso nella nebbia fitta, le strade fangose, gli uomini incappucciati che sembrano tutti affiliati al Ku Klux Klan, le bancarelle primitive fatte di bastoni di legno, gli animali a zonzo per la strada, fumo di fuochi accesi, questo è Bab Berret. Assolutamente non sfiorato dalla globalizzazione questo villaggio trasuda atmosfere ancestrali, ad eccezione delle vecchie mercedes 240 che ogni spacciatore cavalca con una sorta di spavalderia. Arrivati a Ketama, l’epicentro del narco traffico marocchino, orientiamo il muso di Gazelle verso sud per percorrere altri 160 km di strada di montagna in precario stato di manutenzione. Attraversiamo i piccoli villaggi di Taounate ed Ain Aicha per poi raggiungere alle 18, dopo 8 ore di viaggio ininterrotto, Fes già immersa nel buio della sera e nel fumo denso e scuro dei camini che all’ingresso del paese ne accelerano il processo di oscuramento. Il primo dato letto entrando qui è che non devono esserci molte caldaie a gas con bollino blu, qui in città, bensì centinaia di stufe a legna che ardono. E’ inverno anche qui….e che inverno! A 400 metri di altitudine stretta fra il Rif ed il Medio Atlante questa città si presenta fredda da morire….Come d’accordo con il gestore dell’hotel , una volta arrivati alla piazza Batha telefono perché arrivi qualcuno dall’hotel ad indicarci il parcheggio ed a condurci nella nostra suite. Modalità piuttosto da consegna di riscatto che non da raggiungimento di un hotel, ma che dire…l’avventura ci piace! All’appuntamento arriva Fethà, un berbero simpatico e gentilissimo trentenne e belloccio. Sale in auto e ci conduce nel piccolo spiazzo adibito a parcheggio, uno dei pochi in città a ridosso della médina. Valigie in mano, lo seguiamo al Riad Louna , nascosto in fondo ad un vicolo strettissimo che piega ad angolo retto dentro il fitto tessuto urbano. La suite Rose occupa uno dei lati corti di un patio dell’antica casa Fassi risalente al 1369 e riccamente decorata di stucchi e ceramiche colorate, infissi e soffitti in legno di cedro riccamente intagliati e dall’incredibile profumo. Ma la bellezza del luogo non compensa la mancanza di comfort e vista la temperatura esterna bassissima, riuscire ad avere una situazione di piacevole tepore all’interno della nostra camera di 7 x 3.5 x 6 metri di altezza non è una cosa da nulla, soprattutto se l’ampio portone di legno alto circa 4 metri ha una fessura sul suo lato sinistro nella quale si può tranquillamente infilare una mano chiusa a pugno….quindi circa 7 cm di spiffero! Su un angolo di fianco al salottino una stufa di ghisa brucia legna mentre nella parte alta di una delle due pareti laterali, un termoconvettore fa quello che può per compensare la fuga di calore del portone. Ceniamo nel piccolo ristorante dell’hotel, riscaldati soprattutto dalla cortesia di Fethà e dalla gustosa cena Fassi. Alla tv un film su Italia 1 dei fantastici 4 altrimenti invedibile sancisce la nostra crisi d’astinenza da tv…..poi ci avventuriamo nel gelido lettone king size   della suite Rose.

15 Gennaio 2008

FES

Una bella giornata di sole riscalda la nostra colazione consumata sulla terrazza del patio dove tra la vegetazione spiccano le sfere colorate di un rigoglioso arancio. Marmellate casalinghe, pane croccante ed un buon tè fumante…fanno da premessa alla nostra giornata di escursione alla mèdina più famosa del Marocco…la bellissima Fes.   Idrissi Alami Med Amedine ci accompagnerà nella passeggiata, sarà il nostro passepartout, l’uomo che ci salverà dalle guide non autorizzate che inevitabilmente si sarebbero proposte con insistenza, e dalla visita forzata alle boutique artigianali nelle quali sembra sempre di dover acquistare qualcosa. Iniziamo col prendere contatto con la più bella mèdina di tutto il Marocco, aggirandoci nella zona attorno a Bab Boujeluod, la parte più occidentale e più alta della città vecchia. Il nostro hotel è qui, al centro di un piccolo labirinto di vicoli. Ai lati degli stretti passaggi solo pareti nude nelle sfumature della sabbia chiara. Ai piani terra si aprono negozi , banchi di vendita di cibo pronto ed atelier artigianali, tutti solitamente di pochi metri quadrati. Molti i passanti che sembrano moltiplicarsi esponenzialmente man mano che i vicoli si fanno sempre più angusti, tutti rigorosamente vestiti dei loro caffettani di tessuto pesante e dalle tinte morbide per gli uomini, a volte sgargianti per le donne. I cappucci a punta più o meno calati sulla testa a seconda dell’individuale resistenza al freddo. Muli ovunque, unico mezzo di trasporto di merci e persone sostenibile tra le strette stradine della mèdina. Ne vediamo alcuni impegnati con casse di coca cola , altri con bombole di gas, cesti di verdure o parti di camere da letto. In alto fitti graticci proteggono a tratti le stradine, o meglio le attività sottostanti ed i passanti dal sole cocente dell’estate. Camminiamo fino ad arrivare alla Medrassa più antica e famosa della città, la Kairaouine, risalente al IX secolo e nella quale si studiavano oltre al Corano, anche discipline quali la matematica, l’astronomia , la letteratura classica araba, facendo di Fes uno dei principali poli culturali del mondo islamico. Un grande cortile quadrato, riccamente decorato di ceramiche, stucchi e tanto legno di cedro intagliato, così come le aule interne dai bellissimi soffitti a cassettoni nelle geometrie a stella o a cupola. Nel magnifico edificio vediamo anche le piccole stanze degli studenti, del tutto analoghe alle celle dei frati nei nostri conventi. Usciamo dalla mèdina attraverso la porta azzurra che segna uno dei passaggi della lunga cinta muraria di terra cruda color rosa che circonda con i suoi 14 km di estensione tutta la città antica. Lasciamo la splendida immagine dei tre minareti inquadrati dai mosaici blu della grande porta per dirigerci verso la macchina con la quale raggiungeremo i laboratori di ceramica, una delle peculiarità dell’artigianato locale. Una sosta al forte collocato in posizione strategica nella sommità di una collina, ci regala una vista complessiva della Città che da qui appare come un disordinato accatastamento di scatole ocra chiaro sulle quali torreggiano i minareti e le coperture verdi degli edifici sacri. Una vista mozzafiato nonostante le centinaia di parabole fissate sui tetti piani che danno alla città una innaturale connotazione tecnologica stridente con quella pseudo medievale che avevamo percepito percorrendone i vicoli. La sosta al laboratorio di ceramiche ci svela l’arcano del fumo intenso di ieri sera all’ingresso in città al nostro arrivo. Un paio di forni rudimentali a cupola ospitano le ceramiche che saranno cotte tra qualche ora. L’ingresso del forno è già stato murato, una volta terminato il processo di cottura la porta sarà demolita a colpi di piccone. Alcuni ragazzi lavorano a mosaico i tavoli e piccole fontane , altri modellano l’argilla grigia tipica di queste zone, in vasi, piatti, ciotole, ed accessori vari, comprese le lanterne, le saliere e suppellettili di nessuna utilità. Di colpo il lavorio del laboratorio si ferma al richiamo del muezzin ed in molti salgono sul tetto piano a pregare. Tutti orientati ad est intonano preghiere quasi cantate e chinano il capo fino a toccare il pavimento nei classici gesti sincopati e reiterati della liturgia islamica. Un passaggio doveroso nel negozio del laboratorio mi fa uscire con un paio di pacchettini contenenti molte divertenti saliere e due piccoli piatti dagli incantevoli disegni geometrici di colore blu. Di nuovo in auto per ammirare la maestosa facciata del palazzo reale, non accessibile, e poi ancora alla mèdina, questa volta diretti alla sua parte orientale , quella bassa, dove gli edifici storici non mancano e nemmeno gli artigiani. La Mèdina è divisa qui in aree tematiche a seconda dell’attività prevalente, come se un piano regolatore ne avesse stabilito a priori l’uso. Ci aggiriamo quindi nei souk dei falegnami, dei fabbri, dei sarti, dei commercianti di filo di seta vegetale, ma la zona più pittoresca rimane quella delle piccole taverne dalle quali si riversano nelle stradine fitti fumi del grasso che cola sulle braci e meravigliosi profumi. I fuochi si affacciano proprio sul passeggio, è un po’ come camminare tra cucine rudimentali, a pochi decimetri dagli odorosi spiedini, o pentole di tajin e cous cous. Una delizia dei sensi! Nonostante Idrissi sia una guida regolare, non ci risparmia la sosta nel bellissimo palazzo del 1300, sede di un negozio di tappeti, con la scusa della incredibile vista della quale si può godere dalla sua terrazza. Difficile uscire senza acquisti se non resistendo con i denti stretti a tutti gli espedienti commerciali con i quali ci intrattengono per un tempo che ci pare eccessivo…ma resistiamo alla tentazione di far man bassa di quei bellissimi tappeti che vengono stesi uno sopra l’altro …o tutti o nessuno…e poi non abbiamo parametri per i prezzi che ci vengono via via snocciolati. Certo che seccatura questa guida….che dovremo pagare nonostante prenda il 40% sui nostri acquisti …e che non ci risparmia nemmeno una delle categorie artigianali che offrono prodotti in vendita. Dopo i tappeti è la volta delle bellissime e maleodoranti concerie che tra le altre cose fanno di Fes una città famosa. Innumerevoli vasche circolari di argilla di varie altezze e dimensioni piene di liquidi colorati sono collocate in un ampio spazio libero tra gli edifici scatolari del quartiere. Attorno ad esse alcuni lavoranti immergono le pelli da conciare o da tingere…. sul tetto piano di una casa sotto di noi una distesa di pelli gialle ad asciugare. E’ un’immagine indimenticabile questa che vediamo sotto di noi, che sa di altri tempi e di lavoro duro. Esteticamente perfetta nei cromatismi naturali che racchiude, dall’indaco all’ocra al rosso nelle varie intensità e sfumature. Dopo tanto rimirare e scattare foto ed osservare il lavoro dei pochi ragazzi che come equilibristi camminano sugli stretti bordi di argilla muovendosi da un angolo all’altro della conceria, scattano gli acquisti in parte dovuti. Questa terrazza è il posto migliore dal quale osservare le concerie…e guarda caso ospita un negozio su più piani di prodotti di pelle e cuoio, un acquisto anche piccolo è quasi dovuto ed i gestori non mancano di fartelo notare. Parto con un acquisto soft…un paio di ciabattine di morbida pelle rosa terminanti con una punta dalla chiara connotazione araba…per poi finire al piano sottostante ad indossare un soprabito di pelle marrone che mi sta d’incanto ed al quale spinta anche da Vanni non resisto. Lo acquisto alla metà del prezzo propostomi ….ma è ancora troppo. Considerando che la guida prenderà il 40% dell’importo, è già molto che me lo abbiano lasciato per quella cifra…e comunque sono sempre più bravi loro, questi arabi commercianti di antichissima tradizione.. Iniziamo seriamente a detestare la nostra guida che come tutte avrebbero fatto, ci propone continuamente luoghi finalizzati agli acquisti. Che palle questi marocchini! Rientriamo in hotel stremati dopo una ulteriore ciliegina, la sosta in un negozio di tessuti ricamati a mano….mostratoci sempre con la scusa di volerci far osservare il lavoro artigianale tipico della città. Acquistiamo una tovaglia ricamata in disegni geometrici blu simili a grossi fiocchi di neve e lunghissima per il tavolo di Forlì che abbiamo coperto finora con patchwork di tovaglie piccole Alla fine il compenso per Idrissi di 25 € è davvero una una presa in giro rispetto agli almeno 120 che si è rubato in percentuali. Ceniamo in hotel in compagnia di altri commensali francesi che occupano gli altri tre tavoli liberi. Anche questa sera la cena Fassi è squisita. Iniziamo con degli involtini triangolari agrodolci e dal contenuto indecifrabile, accompagnati da una salsa di verdure al cumino e patate stufate, quindi un ottimo tajin di bue alla frutta secca, prugne e mele cotogne. Il dessert è una mela cotta con confettura di arance ed uva passa…..un banchetto degno di un sultano!

16 Gennaio 2008

FES – VOLUBILIS – MIDELT

Lascio Fes con il desiderio di ritornare un giorno…la visita di ieri con Idrissi mi ha lasciato il desiderio di gironzolare libera per la medina, senza seguire nessuno, lasciandomi trasportare dalla sola necessità di assorbire l’atmosfera magica di questo incantevole spaccato maghrebino che sembra immutato da secoli. Vanni sembra sazio invece della confusione della medina ed anzi si lascia sfuggire un – io di città imperiali ne ho già viste abbastanza! – che non lascia spazio a patteggiamenti. Ci dirigiamo verso Volubilis percorrendo la N4, attraversando paesaggi di incredibile bellezza che come disegnati dal pennello virtuoso di un pittore rinascimentale ci appaiono nei colori vivaci di questa giornata senza nuvole. Sfumature di rocce lontane, blu intenso del lago incastonato nella verde vallata del Col Du Zeggota.   L’antica città romana risalente al II sec. D.c. rappresentava allora l’avamposto più occidentale delle province conquistate dell’impero. Da questa fertile vallata   i Romani attingevano olive ed animali feroci come leoni, orsi ed elefanti da sterminare nel corso dei sanguinosi giochi al Colosseo. Ciò che vediamo dell’antica e ricca città, depredata in seguito dei marmi e delle suppellettili tutte, è un bell’arco di trionfo dedicato ad Ottaviano, colonnati sui quali le cicogne hanno fatto i loro nidi, parte di una basilica ed una serie di pavimenti mosaicati che l’incuria ha in parte risparmiato dalla distruzione. I tesori che questa città ancora conserva valgono certamente la visita peraltro estremamente cip…1 euro a persona non è nulla. Ci allontaniamo dal sito percorrendo la N13 verso Meknes, dove ancora paesaggi collinari dagli incantevoli colori ci si propongono a 360 gradi…le tinte rese brillanti dal bel sole che durante la visita ci ha surriscaldati. Molte le persone al lavoro nei campi, immancabili i muli usati dai contadini come mezzo di trasporto che fanno apparire queste dolci colline come un grande presepio…è un incanto qui! Decidiamo di non fermarci a Meknes la cui visita ci deluderebbe dopo la bella Fes e procediamo verso il bosco di cedri che troveremo dopo Azru lungo la N13 che percorriamo verso Midelt. Intanto iniziamo a salire sulla catena del Medio Atlante le cui cime arrivano a sfiorare i 2000 metri, la neve è attorno a noi, candida e gelida. Ci prendiamo una pausa sostando dopo Azru, cerchiamo il lago Aquelmane de Sidi Ali che leggiamo essere inpedibile per chi si trova a passare da queste parti ed alla fine lo troviamo a poche centinaia di metri dalla strada , incastonato nella piccola valle innevata. Plumbeo e circondato da rocce rosate spruzzate di neve, sembra quasi metafisico nella sua immobile solitudine….sosta facile e gratificante questa, e che ci fa venire la voglia di tirarci qualche palla di neve. Il sole calante tinge dei colori del tramonto le alte montagne che vediamo in fondo all’ampia vallata che stiamo percorrendo sulla nostra Gazelle….ma non le attraverseremo oggi quelle cime….aspetteremo domani quando la luce renderà più sicuro il procedere. Arriviamo all’obiettivo verso le 18.30…è l’hotel El Abachi di Midelt…che la guida descrive come il più prestigioso del paese….ma quale prestigio! La camera piuttosto dozzinale è gelata, i termosifoni sono spenti e l’unica fonte di calore è rappresentata da una stufetta a parete microscopica e poco potente che non riscalda oltre il metro cubo d’aria di fronte a sé. Anche l’acqua del bagno è appena tiepida…ma almeno c’è. 35 € sono fin troppi per il servizio pessimo che offre questo hotel nel quale non contenti ceniamo anche con una zuppa ed il tajin di polpette ancora a 35 €.

17 Gennaio 2008

MIDELT   – MINIERE DI AOULI – ERFOUD

Una bella doccia calda nel bagno gelido suona come un inaspettato regalo viste le premesse di ieri sera….poi si parte verso le miniere abbandonate di Aouli attraversando le rocce rosse che delimitano la gola scavata nei secoli dal fiume che ora vediamo di fianco alla strada che sinuosa percorriamo. Pecore e capre arrampicate sulle rocce così come i loro pastori, brucano quel poco di vegetazione che trovano. Il sole disegna ampie ombre nel canyon lungo il quale Gazelle sfreccia serenamente nonostante l’asfalto accidentato , proprio come le Ziz berbere, le agili gazzelle che un tempo popolavano questi luoghi ed ora estintesi nelle pance gonfie dei golosi marocchini. Non incrociamo nemmeno un’ auto lungo il tratto di strada che dal paese di Mibladene conduce alle miniere abbandonate, solo due uomini con una bicicletta portata a mano, pastori mimetizzati tra le rocce ed un paio di bambini che giocano vicini ad una casa costruita sulla roccia a strapiombo. Iniziamo poi a scorgere gli impianti dismessi di quella che dalla fine dell’ ‘800 e fino agli anni 80 fu una fiorente miniera di piombo con alto contenuto d’argento, e che vide lavorare nei suoi cunicoli migliaia di minatori. Rotaie, ponti ed alcuni edifici costruiti sulla roccia, quasi aggrappati ad essa come gli antichi conventi greci, ed infine noi due, nel silenzio totale di questo sito suggestivo, la cui visita valeva la deviazione dei 35 km da Midelt. Ritorniamo sui nostri passi ed attraversiamo nuovamente Midelt per dirigerci verso Sud superando l’Alto Atlante. Appena fuori dalla cittadina, a pochi chilometri sulla strada per Ar Rachidia vediamo un bell’hotel nuovo ed invitante, costruito come un’antica casbah….se solo lo avessimo saputo ieri sera, non avremmo avuto dubbi sulla scelta…ma la guida naturalmente non ne faceva menzione! Di fronte a questo hotel Kasbah Ambar Vanni si ferma incuriosito dalle pietre ed i fossili posti in bella vista sul bordo della strada , davanti alla baracca che funge da negozio. Ne esce dopo lunghe valutazioni e contrattazioni con una bella pietrona di gesso traslucido arancione che diventerà una lampada. Io con il mio piccolo pacchettino contenente una modestissima pietruzza con venature verde acceso e azzurrite blu. E’ stata una festa trovarla tra le tante…proprio qui in Marocco, dopo essermene innamorata vedendola in un museo canadese. Attraversiamo l’Alto Atlante nel suo punto più basso e senza neve, sfioriamo quota 1600 per poi scendere di nuovo tra montagne che ricordano a tratti quelle rocciose americane. Poi il paesaggio si trasforma nel sud desertico disseminato di ksour , i villaggi fortificati, costruiti con la tecnica del pisè, mattoni di argilla cruda messi in opera ed intonacati con un impasto di argilla e paglia . Non può esistere edilizia più eco sostenibile di questa che tornerà ad essere terra senza alcun impatto sull’ambiente. I villaggi che vediamo si distinguono appena dalla terra sulla quale sorgono per la cromia perfettamente assonante e perché a volte quasi nascosti dai fitti palmeti delle oasi. Vorrei fermarmi ad assaporarne il silenzio, l’atmosfera magica dovuta anche all’estrema discrezione di chi abita quelle case, che protetto all’ombra delle mura di terra, le fa sembrare disabitate. Proteggersi dal sole e dagli sguardi sembra essere la priorità del femminile oltre che dei villaggi…coperte come sono da capo a piedi di inespugnabili teli neri avvolti attorno a tutta la figura e che ne lasciano scoperta solo una piccola striscia all’altezza degli occhi….ed a volte nemmeno quella. Ma quel piccolo despota di Vanni non ne vuol sapere di fermarsi …ed io inizio ad innervosirmi dopo cinque ore di marcia ininterrotta, senza mai sgranchirsi le gambe. Capirei se fossimo in mezzo ad una discarica, ma siccome questo posticino è incantevole…perché no, mi chiedo. Come sempre in questi casi abbiamo esigenze diverse e mentre la sua è rappresentata dal non perdere il contatto con l’acceleratore, indifferente agli stimoli che arrivano dall’esterno, la mia esigenza è trovare un contatto con il territorio e non solo vederlo dai finestrini. Se avessimo fatto un viaggio organizzato della serie “tutto il Marocco in una settimana” avrei senz’altro avuto più occasioni di sosta che con Vanni. Scatta così la proposta di fermarci in hotel ad Erfoud ed una volta lasciati i bagagli arrivare a Rissani per un giro perlustrativo …ma non ne vuole sapere il tirannoVanni…il suo obiettivo è arrivare a Mozuga e passare il resto a 150 km orari. Inizia ad argomentare con frasi del tipo : – cosa ci fermiamo a fare? – come se questo paradiso avesse bisogno di un motivo per una sosta che non fosse la sua sola bellezza. …e per di più gli arti anchilosati reclamano due passi. Mi incazzo. Gli chiedo di farmi scendere all’incrocio fra la stradina polverosa che stiamo percorrendo ed una laterale in cui un cartello indica uno ksour vicino. Mi incammino sola, ma dopo circa un quarto d’ora desisto non sapendo a quanti chilometri da qui si trovi il villaggio. Risalgo su Gazelle e proseguiamo lungo questo percorso che girando attorno a Rissani ne tocca gli ksour più antichi. Ne incrociamo alcuni bellissimi di origine medievale, circondati da mura e dalle torrette decorate a motivi geometrici a rilievo. E’ in uno di questi che scendo per una visita mentre lui rimane in macchina a leggere. Passo oltre la porta del villaggio, colorata di bianco e verde mentre un gruppetto di bambini molesti già mi segue tra le buie stradine di terra battuta come le case che immagino dietro le pareti senza finestre che le fiancheggiano. Solo a tratti dall’alto penetra la luce sulle stradine che larghe a volte poco più di un metro sembrano le gallerie di una miniera piuttosto che i viottoli di un paese. Niente stuoie qui ad ombreggiare i percorsi, ma soffitti di muratura che nulla lasciano passare. Nel buio totale e circondata dai bambini che non perdono occasione di allungare le mani toccandomi le spalle con la scusa di guidarmi spero di non pestare nulla si spiacevole e di uscire in fretta da questo labirinto deserto che sembra una trappola per turisti a caccia di emozioni forti. Finalmente dopo una serie di deviazioni ad angolo retto   torniamo alla luce della strada principale e poco oltre vedo Gazelle quasi come la mia scialuppa di salvataggio. Cero se gli accattoni non esistessero…adulti e bambini senza eccezione, la visita di questi luoghi sarebbe più rilassante di come invece finisce sempre per essere. La dignità qui non è di casa! Torniamo verso Erfoud entrambi di cattivo umore, l’obiettivo è l’hotel Kasbah Xaluca, a 6 km dal paese sulla strada verso Er Rachidia. Hotel confortevole in stile tradizionale e con un buffet per la cena da leccarsi i baffi. Il caldo intenso di oggi si spegne al dileguarsi della lice dopo il tramonto, ma la camera questa sera è ben riscaldata. Spendiamo 1500 dirham per la camera…circa € 140.

18 Gennaio 2008

ERFOUD – ZAGORA

Ci svegliamo con calma e di buon umore, quindi partiamo in direzione Marzouga , il paese più vicino alle dune di dell’Erg Chebbi. Ciò che troviamo laggiù sono 150 km quadrati di sabbia ed un contesto così turisticizzato da sembrare la Disneyland del deserto, con i soliti rompiscatole che si propongono come organizzatori di tour e motorette a 4 ruote che si arrampicano rumorose sulle dune solcate da infinite tracce. I ricordi vanno alla costa dell’Oregon, piene di americani che si divertivano a rendere inospitali per rumore e velocità quelle dune che invece andrebbero contemplate in raccolto silenzio. Scappiamo senza indugio. Ripercorriamo la strada verso Erfoud e poi deviamo sulla N12 per Zagora dove il paesaggio fatto di rocce e scarsa vegetazione è quello tipico del sud desertico. Secco e brullo, ci regala però belle viste sulle alte montagne del massiccio Jbel Sarhro che sfila per più di 200 km sulla nostra destra. Uniche testimonianze di vita i pastori che ad un secondo sguardo, più attento alla ricerca di qualcosa, scorgiamo lontani in mezzo alla pietraia pianeggiante, ai piedi della montagna. Ma ecco che dopo ore di piacevole viaggio immersi nel pittoresco paesaggio del massiccio, deviamo a sud sulla N9 verso Zagora che raggiungiamo dopo aver attraversato un lungo tratto della rigogliosa valle del Draa . Villaggi interamente realizzati in pisè si stagliano sui palmeti verdi che ricoprono tutta la valle ai bordi del fiume Draa fino a Zagora, città di frontiera, un tempo importante punto di transito delle carovane che arrivavano dal Mali cariche di oro, sale e schiavi. Trait d’union tra l’africa nera e le città commerciali del mediterraneo, dista 52 giorni di cammello da Timbuctu come leggiamo sul cartello diventato ormai un monumento della città. In seguito alla chiusura della frontiera con l’Algeria ed il Mali, Zagora, e con lei gli altri centri che si trovavano sulle rotte commerciali del deserto, decaddero riciclandosi come poterono. Zagora non ha nulla di particolarmente interessante se non appunto la sua vicinanza al deserto di sabbia e l’eco della sua passata grandeur, quindi una volta depositato il bagaglio all’hotel Reda andiamo alla ricerca di un barbiere per Vanni e di un’agenzia che possa organizzarci un’escursione ad hoc nel deserto…quella che ci ha consigliato il distinto receptionist del Reda. L’hotel è piacevole e maestoso, con un’ampia corte ingentilita da piscine in armonici disegni e fontane di cui solo immaginiamo i zampillanti di giochi d’acqua che sottintendono. Tutto attorno gli edifici dalle volumetrie articolate e decorate dei tipici archi arabi che contengono le camere . La nostra è già calda quando entriamo e questo ci fa sentire ben accolti dopo le recenti esperienze, anche solo questo ci fa pensare di aver fatto un’ottima scelta. Il costo di 1000 djirham comprensivo della colazione, cena e tasse ci sembra equo per   un hotel che 15 giorni fa ha ospitato anche il re del Marocco. In paese tutti ne parlano…e non c’è da stupirsene, deve essere stato proprio un evento. Prima di cena incontriamo il proprietario dell’agenzia turistica opzionato per il tour nel deserto di domani. Si presenta e quasi ci rapisce dall’hotel sulla sua vecchia mercedes…vista l’auto…non sarà uno spacciatore anche lui? L’agenzia è una cameretta che si affaccia con una vetrina impolverata sul porticato della strada principale, qualche foto alle pareti, un mazzetto di fiori di plastica sulla scrivania ed una grande cartina della zona appesa ad occupare quasi l’intera parete laterale. Le contrattazioni, rigorosamente accompagnate dall’immancabile tè alla menta, partono da un prezzo esorbitante e nonostante la tenacia di Vanni non riusciamo a spuntare un prezzo inferiore ai 450 € per due giorni nel deserto con un’auto d’appoggio. Usciamo quindi alleggeriti della sommetta, due turbanti blu tipici dei tuareg marocchini e la promessa di un tour indimenticabile nel mare di sabbia a sud di Zagora.

19 Gennaio 2008

ZAGORA – SAHARA

Alle 9.30 come d’accordo ci troviamo alla reception con Abdhul. Sfoggia una cilindrata leggermente inferiore, è un 3000, ma il modello del suo Toyota Land Cruiser è uno dei più recenti. Ci avviamo dopo poche parole lungo la N9 che porta a sud, sulla sua auto occupa il sedile del passeggero un alto signore che ha lo stesso nome, ma al contrario di lui è ossuto, di poche parole e parla solo arabo. La prima sosta è lungo la pista sassosa in corrispondenza di un paesino vicino ad un’oasi. Abbiamo lasciato la strada asfaltata da una ventina di minuti dirigendoci verso ovest lungo una strada sterrata che porta al deserto. Lungo la strada incrociamo diverse persone che come in pellegrinaggio si spostano a piedi o, i più fortunati, in groppa ai muli o sui carretti. Stanno andando al mercato del paese a 18 km a sud di Zagora, che abbiamo da poco attraversato sulla statale….un evento da non perdere qui! Le persone in marcia hanno tutta la mia ammirazione, esteticamente perfetti in questo loro sembrare d’ altri tempi…come comparse appena uscite dalla sala trucco di un set cinematografico…si muovono con un’eleganza da copione. Poco dopo aver costeggiato i muretti in pisè delimitanti i palmeti di proprietà, arriviamo al villaggio di Askjour dove ci fermiamo per una sosta tecnica. Abdhul sta organizzando strada facendo la nostra cena di questa sera, così ci fermiamo in un polveroso negozio di alimenti dove compra pane, marmellata e uova….poi ci chiede di aspettarlo qui davanti al negozio dove già nuvole di bambini ci stanno attaccando…Quando lo vediamo tornare in compagnia di una rigogliosa signorina, dal viso pieno e sorridente, capiamo che deve trattarsi della cuoca, colei che preparerà per noi il tajin di questa sera. Nemmeno lei parla francese, in compenso la nostra guida è quasi logorroica. Perdiamo ancora un po’ di tempo per una sosta pranzo che noi non desideriamo affatto….ma si sa, non si può imporre a tutti il digiuno del mezzogiorno…e poi questi arabi devono pregare ad orari fissi ed una preghiera recitata fuori orario vale come una preghiera di serie b. Quindi ce ne stiamo buoni buoni nell’accampamento di tende nere che sembrano abitate dalle popolazioni nomadi ma che invece sono state montate in prossimità di basse dune di sabbia chiara per accogliere gruppi di turisti dalle varie agenzie di Zagora. Aspettiamo che abbiano finito di pranzare , per poi ripartire lungo la pista sassosa che provoca a Gazelle un tremore continuo, siamo diretti all’Oasi Sacré dove arriviamo dopo un’oretta di sobbalzi. Vediamo dapprima la sorgente che scaturisce dal terreno generando un piccolo riscello popolato di piccoli pesci , girini e rane, poi ci spiegano perchè l’oasi è sacra ed il mistero è presto svelato. Tra le palme una piccola costruzione senza fronzoli. E’ la tomba di un Marabutto, un uomo santo. Accanto ad essa un terreno disseminato di piccole pietre conficcate verticalmente nel suolo, posti a segnare i corpi sepolti di quei berberi che hanno scelto di riposare in eterno accanto al santo e quindi in qualche modo garantiti dalla vicinanza di quel corpo. Ancora verso ovest….vediamo in lontananza le dune di sabbia dalle morbide forme invitanti alle quali ci avviciniamo per arrivare dopo un’oretta al campo dell’agenzia dove sei tende nere aspettano i turisti. Sono disposte su una spianata a ridosso delle dune che si stanno tingendo di tinte accese….è l’ora del tramonto. Vanni ed io decidiamo di far salire Gazelle su una bassa duna dalla superficie piatta isolandoci così dall’accampamento vicino ma non visibile da qui….avremo così la sensazione di essere soli in questo mare di sabbia, ma garantiti dalla presenza dei nostri accompagnatori. Vanni inizia le operazioni di apertura della tenda a guscio fissata sopra il portapacchi di Gazelle che terminano nel giro di pochi secondi….il nostro nido è pronto! Appena in tempo per salire sulla duna più alta ad osservare la palla di fuoco che scende nascondendosi dietro le morbide dune. I colori adesso sono al top dell’intensità. Oltre al sole scende anche la temperatura ed il mio poncho guatemalteco di lana bianca casca a fagiolo consentendomi di conservare quel tepore necessario per affrontare il tajin buonissimo di bue. Nella tenda adibita a sala da pranzo una serie di sofà squadrati e rivestiti di tessuti colorati circondano l’ambiente rettangolare. Al centro una debole luce a gas ci consente di vedere, una volta sollevato il cono d’argilla che fa da coperchio alla tipica casseruola marocchina, il tajin fumante e squisito, decorato con fette di limone, olive e piselli. Abdhul non mangia con noi ma ogni tanto arriva a scambiare due parole seduto accanto a noi. La sua presenza un po’ mi disturba, essendo io l’unica sua interlocutrice, mentre volentieri mi concentrerei sul gustoso piatto e su Vanni, al quale per coinvolgerlo ogni tanto traduco. Dopo la cena, una volta rimasti soli, Vanni legge per entrambi un racconto di Coloane, mentre io ascolto comodamente stesa sul sofà e penso a quanto è alienante sentire storie ambientate nella Terra del Fuoco quando si è in mezzo al deserto del Sahara. Poi stanchi entriamo per la prima volta nella nostra tenda spaziosa ed accessoriata di caldi sacchi a pelo supertecnici, fazzolettini di carta , gli immancabili tappi per le orecchie e due piccole torce. Il vento freddo ha cessato di soffiare ed un limpido cielo ci mostra l’intera Via Lattea mentre la luna quasi piena illumina questo paradiso di sabbia e silenzio. Ci addormentiamo felici per questa nuova esperienza insieme.

20 Gennaio 2008

SAHARA – FOUM ZGUID – SKOURA – OUARZAZATE

Il sonno discontinuo mi sveglia al primo chiarore dell’aurora. Apro curiosa la zip dell’apertura di fianco a me e vedo il profilo luminoso seguire l’andamento delle dune ancora nere, ad Est. Una leggera brezza scuote Vanni con un brivido, quindi richiudo per riaprire poi ad intervalli regolari….non voglio proprio perdermi la veloce metamorfosi cromatica del paesaggio all’alba ed ogni volta che metto fuori il naso dalla tenda questo luogo mi appare un po’ diverso. Dopo un po’ Abdhul ci chiama come d’accordo per vedere la leveé du soleil …ma a quel punto io sono di nuovo insonnolita e continuo a dormire, mentre Vanni proprio non si accorge di nulla. Al secondo schiamazzo delle 8.30 che ci invita alla colazione rispondiamo a fatica, ma quando poi ci decidiamo ad uscire dal nostro nido ci accoglie una colazione all’aria aperta quasi da spot pubblicitario. Un tavolino con due sedie è sistemato nel bel mezzo di un nulla color ocra ….è la scenografia naturale del nostro spuntino con una proiezione infinita verso lo spazio che ci appare illimitato. Un tè senza menta e due mandarini che mi sembrano i più saporiti della mia vita oltre al un cielo azzurro a 360° che rende tutto più gustoso. Pochi secondi per chiudere la tenda e poi Vanni conduce Gazelle giù dalla duna sulla quale abbiamo dormito…si riparte! Ci accodiamo alla nostra auto d’appoggio e partiamo seguendo una pista decisamente più interessante oggi, per via delle dune e della sabbia morbida e silenziosa sulla quale le due auto sembrano pattinare. Vanni è un pilota perfetto anche su questo elemento decisamente non familiare per lui…e Abdhul ne è soddisfatto e sollevato. Lo ha soprannominato Ali Babà ….da quando si è fatto sistemare la barba dal barbiere marocchino , in effetti ha un aspetto nuovo e decisamente allineato con il contesto. Arriviamo dopo un paio d’ore di meravigliosa fluttuazione al lago asciutto di Iriki. Le due auto corrono a tutta birra sul fondo compatto dello spazio senza limiti ….il senso di libertà è al massimo ….che felicità! La macchina di Abdhul devia poi verso una bassa altura coperta di pietre nere, quindi, una volta raggiuntala si ferma. Scendiamo tutti e con sorpresa vediamo che le pietre nere affioranti dalla sabbia del lago asciutto sono piene di conchiglie fossili….bellissime. Ne raccogliamo qualcuna da portare in Italia come cadeau, poi dirigiamo la prua di Gazelle verso Foum Zguid, un paesino che non merita una sosta. Siamo usciti dalla sabbia già da qualche chilometro, il nostro tour è terminato. Ci congediamo dai nostri accompagnatori e proseguiamo sulla N10 verso Ouarzazate, dove in un primo momento non troviamo un hotel che ci soddisfi. Proseguiamo dunque verso Skoura famosa per la sua Kasbah risalente al XVII secolo, così bella da comparire persino nella banconota da 50 dijrham. La rimiriamo in tutte le possibili prospettive, è bellissima ed articolata in una serie di torri in pisè decorate a motivi geometrici a rilievo. Entriamo nella sua corte interna con porticati ed un bel giardino, in compagnia di un ragazzo che ci ha aiutati a trovare questo gioiellino. Mohamed, simpatico ma anche molto invadente ci accompagna tra gli ambienti interni, numerosi di questa casa fortificata, dove tra le altre ci sono anche una stanza per la preghiera, ed una per ospitare i malati. Le scale strette sono di terra battuta, alcune piccole nicchie nelle pareti dovevano sostituire gli armadi o in generale i mobili contenitori. Sempre con Mohamed, che mi sta appiccicato in modo quasi imbarazzante ci sediamo al bar dell’edificio di fianco per un tè alla menta…ma questa volta davvero speciale. Ci spiega che quello che è ormai entrato nel lessico comune come l’ “whisky marocchino”, ovvero la variante berbera del tè marocchino è un infusione di cinque diversi ingredienti: verbena, assenzio, zafferano, menta e tè verde. Lo assaggio ed è fantastico oltre che per la fragranza che sprigiona, anche per il potere evocativo che ha di sabbia e copricapi blu. E’ già il tramonto quando arriviamo a Ouarzazate dove occuperemo una stanza all’Ibis…economico ( 512 dijrham) e decoroso anche se il ristorante propone un menù alla Mac Donald …ma siamo talmente stremati che sospendiamo ogni giudizio. Cadiamo svenuti nella camera a temperatura sahariana.

21 Gennaio 2008

OUARZAZATE – AIT BENHADDOU – MARRAKECH

In grande relax partiamo nella tarda mattinata per raggiungere la famosa Kasbah di Ait Benhaddou. La scorgiamo sull’altro lato del greto, oltre il paese. Costruita con i materiali sui quali si erge, ma con l’eleganza e lo slancio verticale tipico delle kasbah del sud sembra la versione araba di un grande castello. Tentiamo un avvicinamento scendendo per le strade strette del villaggio fino ad arrivare al greto sassoso e quasi asciutto del corso d’acqua dove un gruppetto di ragazzini in groppa ai muli aspetta che qualche turista abbia bisogno di un passaggio verso l’altra riva. Decidiamo di prendere subito una guida, tanto per non pensarci più e non essere inseguiti dalle decine che si proporrebbero fino allo sfinimento. Rassegnati all’odiosa tradizione marocchina di non mollare mai i turisti se non dopo avergli scucito un adeguato obolo, scegliamo il nostro accompagnatore tra il gruppetto di ragazzi vicini ai muli e che poi si rivela essere con nostra sorpresa un ottima guida …discreto e preparato, sa parlare anche la nostra lingua con grande soddisfazione di Vanni che per questo gli è sempre accanto ad ascoltare attento le spiegazioni dettagliate che fornisce. Saliamo attraverso la stradina lastricata sfiorando le varie kasbah…le abitazioni fortificate dalle caratteristiche torri decorate a rilievo, poste sui quattro spigoli del quadrato di base. Saliamo fino all’agadir…il magazzino, posto nella parte più alta del nucleo abitato. Il luogo più sicuro, dove anche gli abitanti del villaggio quando attaccato si ritrovavano per difendersi, e dal quale oggi godiamo di una vista fantastica a 360° sul paesaggio circostante che spazia dall’Alto Atlante a nord, alle ampie distese semidesertiche a sud. Il colore rosato delle pendici sovrastate dalle rocce scure o innevate nei picchi più alti è un meraviglioso contorno a questo capolavoro dell’architettura del XVI sec., protetta dall’Unesco e gettonato set cinematografico per film quali il Gladiatore, Sodomia e Gomorra, Laurence d’arabia e tanti altri…La visita all’interno di una delle unità fortificate è il necessario proseguimento del tour, e la nostra guida ci conduce in quella rimasta intatta anche al suo interno… ineccepibile set ed un affare per i proprietari, che la conservano in vista di future produzioni cinematografiche. I pavimenti polverosi di terra troppo asciutta accolgono i pochi oggetti di terracotta della cucina o le stuoie ed i tappeti delle camere. Buie e strette scalette di terra ci consentono di salire ai vari piatti di una delle torri, destinata un tempo ad accogliere una famiglia. Ci spingiamo fino al tetto piano ovvero la terrazza dove dormire nelle calde notti estive. Al piano terra enormi portoni borchiati definivano il limite delle proprietà la cui sicurezza era affidata a grandi serrature di legno dall’ingegnoso meccanismo di chiusura fatto grazie all’incastro di piccoli perni di legno. La chiave di legno ricorda molto una posata da spaghetti con piccoli cilindri sulla superficie piatta. Terminata la visita e scattate decine di foto, ci avviamo verso Marrakech….dimenticavo di citare l’estenuante e divertentissima contrattazione che mi ha impegnata per almeno una mezzora sull’ l’acquisto di un delizioso pensile di legno portaoggetti….che già immagino appeso vicino al lavello di casa. Procediamo felici verso le montagne ancora innevate salendo dai 1000 metri di Ouarzazate agli oltre 2000 del valico, per poi ridiscendere verso l’ampia vallata stretta tra le catene del Medio ed Alto Atlante dove la grande città ci accoglie rumorosa e piena di traffico. Come sempre non abbiamo prenotazioni quindi tentiamo all’hotel “La Maison Arabe” che la guida giudica persino migliore del Mamuniha, ricavato in un antico palazzo della medina. Ben presto ci rendiamo conto che cercare un hotel qui è ancor più complicato che cercarlo a Chicago, così dopo un paio di tentativi che ci hanno portati fuori strada, desistiamo e seguendo un taxi arriviamo. E’ davvero un bijou questo piccolo hotel! Di grande atmosfera, prezioso e raffinato nonostante il prezzo accessibile di 1900 dijrham (170€) per la nostra suite junior che si affaccia su un grazioso cortile interno con fontana sempre zampillante e boiserie di legno sui due lati porticati. Vanni sembra un po’ contrariato per il costo, ma è tardi e fuori da qui c’è una confusione pazzesca….inoltre la nostra camera è avvolgente come un abbraccio ed il personale cortese e premuroso poco dopo il nostro arrivo ci recapita un cesto di fritta secca ed acqua fresca. La scelta del ristorante è facile….Serena che era qui a Natale, ci ha suggerito il Narwana al 30 di rue el Kotubia come un posto da non perdere. Ci ritroviamo ancora in un palazzo antico favoloso, complicato questa volta da contaminazioni chil out. L’ atmosfera fashion un po’ ci confonde….ma siamo a Parigi? Al centro della corte, chiusa in alto da un’ ampia copertura trasparente, una piccola fontana zampilla acqua e fuoco…non male come effetto speciale e che magia anche tutto il resto. Spendiamo molto, 1000 dijrham sono pur sempre 90€, ed il mio San Pietro non è buono….ma valeva comunque la pena venire qui, in questo sofisticato trait d’union tra cultura araba ed europa.

22 Gennaio 2008

MARRAKECH

Tanto per rompere le abitudini oggi faccio colazione anch’io . Comodamente seduta nella bella sala da tè dell’hotel, disseminata di oggetti d’arte marocchina, quadri di epoca coloniale e tappeti colorati sul pavimento di legno, guardo il cortile attraverso le ampie vetrate. Un buon numero di uccellini svolazzano attorno alla fontana, altri invece sono intenti ad assaggiare ciò che rimane nei piatti di chi ha fatto colazione nei salottini all’aperto. Sul lato opposto è accovacciata a terra una donna berbera che, in abiti tradizionali, prepara crespelle salate con verdure per chi non è mai sazio. La pasticceria qui è ottima ed anche le pietanze risuonano degli echi del cumino e del cardamomo che io adoro. Sono così rilassata in questo luogo che decido di prendermi una mezz’oretta di sosta su uno dei divani del cortile dove scrivo qualcosa mentre gli uccellini cinguettanti mi fanno compagnia. Che meraviglia qui….Raggiungiamo la piazza Jemaa el Fna dopo una piacevole passeggiata tra le stradine del centro piene di artigiani negozietti e profumi di cibo….ma non deve essere il momento giusto questo perché la vivacità che ricordo è oggi del tutto assente….sarà l’orario…o la bassa stagione? Nessun acrobata, solo qualche incantatore di serpenti alla cui vista rabbrividisco, un cantastorie circondato di persone attente a non perdere nemmeno una parola del racconto e l’immancabile dentista con il suo tavolino pieno di denti estratti e dentiere. Proseguiamo la passeggiata verso le tombe Saadiane vicine al palazzo reale che però non visitiamo. All’apertura delle 14.30 entriamo per la visita alle antiche tombe arabe i cui edifici sobri all’esterno sprigionano all’interno ricchezze di ceramiche colorate e stucchi. Vanni mentre aspettava l’apertura ha acquistato un backgammon egiziano nel piccolo negozio di Kaled ….così sapremo cosa fare nei momenti di relax. Da bravi turisti tocchiamo tutti i monumenti di rilievo della città, compresi i giardini Menara che ritrovo impolverati e sciatti ma dove vinco la prima partita del viaggio. Torniamo in hotel stanchi alle 17.30 e mentre riposiamo nel cromatismo avvolgente della camera ecco che a gran voce il muezzin richiama i fedeli alla moschea Bab Doukkala a due passi da qui. Ceniamo in hotel al prezzo fisso di 4000 dijrham a testa…decisamente troppo per i contenuti offerti. Mentre siamo al bar dopo la cena, a fumare una sigaretta facciamo un breve riepilogo di ciò che vorremmo portare via dall’hotel….ormai è diventato un gioco quello di immaginarci dei ladroni d’hotel facendo progetti sulle cose che vorremmo per noi….e qui di cose da lasciare ce ne sono pochissime. Al primo posto della classifica una incantevole abatjour di bronzo a forma di fenicottero al cui becco è appeso il paralume…quindi tappeti, e quadri…insomma un bel bottino virtuale!

23 Gennaio 2008

MARRAKECH

La mia giornata inizia all’insegna del relax…tanto per cambiare…con una sosta nell’area dell’hotel dedicata alla cura del corpo per un pedicure e manicure. Le due giovanissime ragazze intanto canticchiano le melense canzoni amorose di Julio Iglesias che arrivano amplificate dal loro radiolone anche se, visti i risultati, avrebbero fatto meglio a concentrarsi sulle mie mani. Camminiamo poi insieme nelle stradine della medina, popolate di piccoli negozi ed atelier artigianali che propongono i diversi prodotti del souk nel quale ci troviamo. E sono ciabattini, falegnami, orefici, e così via, fino ad esaurire tutte le possibili categorie. I sensi si esaltano al passaggio accanto ai negozi di spezie, o alle taverne dove tanti piccoli tajin o spiedini di carne sono a cucinare sulle griglie. La vivacità di colori e profumi si spegne completamente quando deviamo dalle zone commerciali, per entrare in quelle squisitamente abitative, dove la povertà e lo squallore regnano sovrani. Cerchiamo di raccapezzarci osservando la nostra mappa. Vorremmo raggiungere la Medersa di Ben Joussef, ma l’operazione è pressoché impossibile visto che lo scarso grado di dettaglio ci da semmai un’indicazione di massima della direzione da seguire….ci abbandoniamo al flusso dei pedoni ed alle contrattazioni per oggetti che già sappiamo non compreremo mai…infine ci salva un ragazzo che vedendoci indecisi davanti alla nostra fotocopia si propone come guida abusiva mettendo in atto la strategia ormai nota….ci dà una prima indicazione, non chiesta, su come arrivare al monumento più vicino intuendo che noi siamo diretti proprio là. L’indicazione è data al volo, quasi lanciata, poi non mollano più. Seguono a pochi passi di distanza e ogni volta che un bivio mette in dubbio la via da seguire rilanciano l’indicazione. Seguiti o preceduti a distanza, si arriva all’obiettivo ed a quel punto la “guida” si avvicina per la richiesta di denaro variabile dai 20 ai 30 dijrham. Nulla è gratuito per i turisti che si avvicinano alle labirintiche medine, nemmeno un’indicazione chiesta o apparentemente fornita per pura cortesia lungo la strada ….questi marocchini hanno fatto persino della caratteristica conformazione urbanistica della città araba una sicura fonte di guadagno. Arriviamo finalmente alla bella medersa, della quale apprezziamo il grande equilibrio compositivo ed i canonici elementi decorativi tra cui i favolosi soffitti di legno di cedro disegnati in cassettoni a stella. La visita prosegue al vicino museo d’arte e la Koubba Almoravide, la tomba di un marabutto ovvero un santo di qui. Diamo una svolta al pomeriggio andando all’Aero Expo, l’evento che da oggi sarà ospitato all’aeroclub di Marrakech. Sono esposti diversi mezzi appartenenti ormai alla storia dell’ aeronautica militare marocchina, Usa e francese. Vediamo missili e piccoli aerei civili, poi anche il primo ministro che scorgiamo al centro di una massa di persone in movimento. Mentre ci aggiriamo nel tepore di questa giornata di sole penso tra me e me che Vanni da qualche giorno è insopportabile…cerco di capire il motivo ma senza riuscire a trovare nulla di significativo che possa giustificare questa sua arroganza che sembrava fare parte di un passato già superato da tempo. Certo a parte qualche ipotesi non posso fare altro…Vanni tiene come sempre per sé ogni stato d’animo…come se custodisse un prezioso tesoro…o un mostro improponibile ad altri. La giornata si conclude in modo così paradossale da diventare quasi divertente…e mi assumo tutte le responsabilità al proposito. Da quando siamo in città desidero fare un giro in calesse alla palmerie…il palmeto che occupa una parte della periferia. E’ una cosa da turisti, lo so, ma ne conservo un ricordo favoloso e romantico, quindi a distanza di una decina d’anni vorrei ripetere quella che era stata una esperienza indimenticabile. La piazza Jemaa el Fna è il luogo giusto dove contrattare un prezzo e partire con il calesse Per 200 dijrham un vecchietto è disposto ad accompagnarci….si ma dove! Dalla medina il calesse trainato da due ronzini ossuti si immette sulla circonvallazione satura di traffico con auto e pullman che sfrecciano sui due lati del calesse. Arriviamo al palmeto dopo circa un’ora di immersione nello smog denso che scende nella nostra gola con un sapore acre….un delirio. Arrivati al palmeto spelacchiato, il nostro vecchietto si ferma per una sosta in un locale, un bar all’aperto con salottini nei quali si nascondono coppie clandestine….questo per loro sarebbe un luogo romantico dove flirtare. Il tour consiste in questo dice il vecchietto che poi a malincuore risale sul calesse per accompagnarci tra le palme….10 minuti e poi siamo di nuovo tra lo smog del traffico sempre più sostenuto infreddoliti da morire in questa gelida serata marocchina. Certo questi 10 anni non hanno fatto bene a Marrakech che adoravo e nella quale avrei voluto vivere per un po’ …tanti anni fa …. al mio terzo soggiorno qui. Ed eccola ora, irriconoscibile e così sgradevole da volerne scappare al più presto!

24 Gennaio 2008

MARRAKECH – ESSAOUIRA

Lasciamo il caos cittadino nella tarda mattinata, e con esso anche la nostra stupenda camera alla Maison Arabe, l’unico luogo in città dal quale ci dispiace davvero allontanarci. Essaouira non è tanto lontana da qui, solo 200 km di pianure a tratti verdeggianti che scivolano via come divorate da Gazelle. Ci avviciniamo alla città valutandone le dimensioni da metropoli che non ci aspettavamo….arriviamo direttamente al lungomare, quindi costeggiamo fino a raggiungere una delle porte della medina. Nel frattempo abbiamo potuto osservare la bellezza di questa bianca città di mare, cresciuta all’interno di mura di pietra rosata ancora disseminate dei cannoni di bronzo che un tempo l’hanno difesa. Progettata da un architetto francese fatto prigioniero dal sultano Sidi Ben Abdallah che nel 1750 aveva avuto l’idea di fondare qui un avamposto militare. La città si arrocca su una protuberanza rocciosa della costa, bianca ed assolata, del tutto simile ad una delle perle del mediterraneo, con i suoi infissi blu come il mare di fronte. Una lunga spiaggia bianca flessa nell’ampia curva della baia conduce agli scogli di roccia scura sotto le sue mura. Gabbiani e profumo di mare. Alloggiamo all’hotel “Ocean Vagabond”, nuovo, dotato di riscaldamento e hammam e a due passi dalla medina…il più comodo e confortevole che Vanni potesse trovare….dopo il costo della Maison Arabe ha deciso, con mio grande sollievo di energie e responsabilità, di cercare lui l’hotel qui ad Essaouira. Lasciati i bagagli lasciamo subito la camera per un giro perlustrativo e, mentre il sole scende, le strade si animano di un fitto passeggio di locali che come noi si aggirano tra i negozi e le bancarelle, carichi dei sacchetti di plastica contenenti i loro acquisti. Mentre camminiamo serenamente tra le stradine, la mente torna per contrasto alla Marrakech nevrotica e maleducata lasciata dietro di noi…facendo così aumentare esponenzialemente il piacere di essere qui. Senza bambini che ti inseguono questuanti, senza doversi difendere da nessuno…che pace qui! Dall’alto delle mura osserviamo il bel tramonto di oggi, la cui luce colora di rosso le isole rocciose emergenti dalle acque dell’Atlantico a ridosso della costa. Seguendo il consiglio di un ragazzo dal quale abbiamo comprato qualche cassetta da ascoltare lungo il viaggio, andiamo a cena al Mouchat, dove le squisite pietanze di pesce sono accompagnate da ottima musica…il tutto per 450 dijram…very chip!

25 Gennaio 2008

ESSAOUIRA

Una bella passeggiata lungo la spiaggia , sotto il sole caldo ed immersi nell’aria immobile di oggi è un perfetto inizio di giornata. La spiaggia è ampia a quest’ora della mattinata, la marea ha lasciato scoperto un profondo e compatto bagnasciuga sul quale procediamo di buon passo quasi soli. Nemmeno sotto i pochi ombrelloni di paglia vicini al lungomare c’è molta gente….solo alcuni surfisti armati di tavola e muta affrontano le onde. Sono giovani ragazzi europei dai capelli biondi e le gambe lunghe che più che tra un’onda e l’altra fumano spinelli seduti sulla sabbia. Vanni ne segue la scia profumata vagamente desideroso, poi torna a concentrarsi sul movimento dei passi che uno dopo l’altro ci spingono verso la prospettiva infinita di questa spiaggia che sembra scomparire solo in fondo all’ampio semicerchio della baia. Al largo alcuni pescherecci rientrano verso il porto inseguiti da nuvole di gabbiani mentre le onde sollevano gli scafi in leggeri movimenti. Ancora un senso di grande tranquillità si impossessa di noi mentre continuiamo a camminare sull’avorio ancora umido di mare. Un bisogno si fa strada, sempre più urgente con l’aumentare della temperatura….un bikini per me da reperire in un qualche negozietto di qui. Abbandoniamo la spiaggia e risaliamo verso la medina percorrendo il comodo marciapiede del lungomare, dove adocchiamo qualche bel localino easy dove mangiare pesce o bere un drink sulla spiaggia. Sono piccoli ma pieni di turisti ed emanano invitanti profumi di pesce cotto ai ferri…del resto è l’ora giusta per uno spuntino. Scegliamo di proseguire verso la terrazza del ristorante Taros, a due passi dal mare ed abbastanza alta da farci godere di un bel panorama sulla baia e sul porto, i cui bastioni settecenteschi fanno da cornice al grande fermento attorno ai pescherecci appena arrivati. Un mojito ghiacciato è quello che ci vuole per accompagnare questo momento magico, mentre circondati dal bianco degli edifici e più oltre il mare, godiamo del sottofondo musicale chill out e delle saporite olive marocchine. Marocco e Grecia si mescolano in questa atmosfera sospesa tra passato e presente, donandoci un’oretta di estremo benessere. Incuriositi dalla frenetica attività del porto andiamo, passeggiando tra mucchi di reti color vinaccia, i pescherecci scrostati in manutenzione sulle banchine del porto dove sono in molti a smistare il pesce appena pescato accompagnati dalla luce ormai debole del sole calante. Da questa prospettiva Essaouira è incantevole….con le onde che si rifrangono sotto le mura merlate che contengono la città antica. I profili irregolari delle case bianche a tetto piano e dei minareti che ne emergono qua e la….è uno degli scenari più belli che il Marocco ci ha regalato finora. Camminando tra i venditore di pesce vediamo anche dei granchioni che ci verrebbe voglia di addentare all’istante…la metà esatta del king crab , ma pur sempre dei bei granchi le cui zampe sarebbero sufficienti a sfamare entrambi. Naturalmente il suggerimento che arriva è quello di comprarli e poi farceli cucinare in una delle tante tavole calde del porto…ma è troppo presto per una cena . Prenotiamo invece al Taros che si rivela essere la scelta giusta. Il cuoco si esibisce in un ottima Tartare di carne per Vanni che dopo tanto tempo ne è quasi commosso, ed un pesce per me….ma è il dolce a mandarci in estasi. Un tortino caldo di cioccolato accompagnato da gelato di vaniglia posto dentro ad un bicchierino panciuto realizzato interamente di zucchero caramellato. Mai visto niente di simile!…e che buona anche la dolce scultura! Intanto sulla terrazza al piano superiore un gruppo di musicisti locali ha suonato brani fusion che noi abbiamo ascoltato qui al caldo, protetti dalla fredda notte sull’oceano. Bella serata, ma Vanni al quarto Armagnac diventa molesto ed inizia a sparlare prospettando come unica possibilità per la sopravvivenza del pianeta e quindi della nostra specie, lo sterminio del 50% della popolazione mondiale….mon dieu!

26 Gennaio 2008

ESSAOUIRA

Una bel massaggio rilassante troppo breve per via dell’equivoco dell’orario con la receprionist , poi sui lettini in spiaggia. Che piacere stare distesi al sole….e da quanto tempo non ci prendiamo una giornata così….stesi a leggere, scrivere e giocare a backgammon ….direi che dall’Honduras di un anno fa non è più successo. Quanto tempo è passato da allora e quanti chilometri abbiamo percorso per raggiungere l’obiettivo Alaska…..ed ecco siamo di nuovo stesi al sole ad osservare le onde che arrivano ora deboli a pochi metri da noi, mentre squadre di ragazzini giocano a calcio sulla sabbia già allagata dalla marea. Gabbiani in volo, schiamazzi lontani ed il rumore del mare come una carezza nota. Ceniamo ancora da Taros, ….Vanni non rinuncerebbe mai ad un possibile bis di tartare ed anche a me tornare non dispiace affatto. Sul piatto del mio pesce, anzi sulla piastrella per essere precisi, mezzo limone è racchiuso nel tulle….una bella idea per non lasciare cadere sul cibo i semi …devo dirlo alla Daniela! Blocco Vanni dopo il primo Armagnac….tanto per non rischiare di sentire discorsi che non gradisco.

27 Gennaio 2008

ESSAOUIRA – GOULIMINE

E’ a malincuore che lasciamo questa città meravigliosa dove siamo stati benissimo ed in impagabile relax….ma il viaggio prosegue all’inseguimento dei nostri ambiziosi progetti ed il tempo a disposizione per realizzarli che appare sempre dilatato alla partenza, finisce con l’assottigliarsi inesorabilmente strada facendo. Il muso di Gazelle puntato verso sud procediamo parallelamente al mare più che mai blu in direzione Sidi Ibniz a circa 300 km da qui. Ridente cittadina ex spagnola come leggiamo sulla guida….ma la realtà è ben diversa e di ridente questo luogo non ha proprio nulla, e tra l’altro nemmeno un hotel che superi la soglia della decenza. Uno sguardo al mare e si riparte puntando verso l’interno per incrociare la N1 a Goulimine dove decidiamo di fermarci. Siamo in viaggio da cinque ore ormai e questa rappresenta l’unica sosta possibile nella lunga corsa verso sud. Goulimine non vale certo una sosta ed il nostro hotel non è migliore di quelli appena visti a Sidi Ibniz, ma siamo qui e proseguire significherebbe viaggiare per almeno altre 4 o 5 ore quindi parcheggiamo davanti all’hotel “Rendez-vous des Hommes Bleues”, il migliore, e cerchiamo di non pensare allo squallore che ci circonda ripercorrendo con la mente alcune piacevoli immagini della giornata di oggi. Per esempio le capre arrampicate sugli alberi di Argan a mangiarne i frutti ed i tanti surfisti che affollavano le prime onde dell’oceano lungo le belle spiagge tra Essaouira e Sidi. Rimaniamo in camera giusto il tempo di lasciare i bagagli, poi usciamo a fare due passi per la cittadina che si sviluppa lungo le due strade che vi si intersecano. Piuttosto triste e povera, notiamo subito i costi bassissimi per qualunque cosa….prima fra tutte la camera a soli 330 dijrham, e i 4 pain au chocolat che compro per non svenire al modico prezzo di 2 dijram, meno di 20 centesimi di euro. Certo la scelta del ristorante diventa difficile qui…dove tutte le più elementari norme igieniche sembrano ignorate, ma a furia di camminare sulla N1 troviamo un ristorantino così pulito da farci sentire altrove…e con cucina a vista. E’ nostro! Ceniamo benissimo e senza bere alcool che d’ora in poi sarà improbabile trovare ovunque….ci volevano questi musulmani per farci stare un po’ a dieta! Non spendiamo quasi nulla, 85 dijrham per un tajin ed un mezzo pollo arrosto sono meno di 8 euro.

28 Gennaio 2008

GOULIMINE – LAYOUNE

Lasciamo l’hotel senza rimpianti, il letto alla francese troppo stretto e la coperta blu elettrico a grandi fiori rosa un capolavoro del kitch, ma abbiamo dormito bene tutto sommato ed il costo irrisorio ci fa sembrare questa sosta come un affare in ogni caso. Prima di lasciare la città cerchiamo una fotocopiatrice e la pasticceria per un rifornimento di pain au chocolat. Facciamo una decina di fotocopie della fiche compilata a mano ieri sera, un elenco dei nostri dati personali da consegnare nei frequenti blocchi di polizia presenti d’ora in poi lungo la strada per la Mauritania. Almeno in questo la nostra Rough Guide è stata utilissima fornendoci un facsimile già tradotto in francese dei 15 punti da compilare, operazione che ci consentirà di risparmiare tempo durante le inevitabili soste ai posti di polizia Marocchina presenti nella fascia del Polisario contesa da decenni tra Marocco Mauritania ed Algeria. Siamo ancora in città quando ad un incrocio un marocchino in motorino ci affianca e ci saluta cordialmente. E’ Assan. Ha lavorato a lungo a Formigine in Italia e riconoscendo la nostra targa RA non ha saputo resistere dallo scambiare due chiacchiere in italiano. Ci chiede di seguirlo, vuole darci l’indirizzo dell’officina meccanica di suo cugino a Nouakchott, quindi ci consiglia di comprare due chili di tè da regalare ai doganieri per velocizzare i tempi in frontiera. Infine ci saluta calorosamente, come se dopo tanto tempo avesse rivisto dei compaesani. Ma si sa…qui in Marocco appena ti fermi un attimo arriva subito qualcuno a chiederti qualcosa…e per non smentire la regola, mentre Vanni comprava tè, un signore mi ha chiesto se potevamo dare un passaggio ad una giovane donna araba con il suo bambino piccolo….solo per una ventina di chilometri. Si accomodano sul sedile posteriore, offro loro i dolci appena comprati ed acqua da bere. La signora non capisce, né parla una parola di francese…attraversiamo quasi in silenzio   il paesaggio desertico dai magnifici colori…poi dopo una sessantina di chilometri all’uscita da una curva, ci fa cenno di accostare. Accetta l’acqua che le offro ma vorrebbe il nostro cellulare per chiamare qualcuno che venga a prenderla da un qualche villaggio qui vicino ma da qui assolutamente invisibile. Siamo in mezzo al nulla, ma una strada sterrata parte verso l’interno, ci ringrazia incamminandosi lungo il sentiero polveroso. Siamo di nuovo soli e questo ci fa sentire liberi come due ragazzini appena lasciati soli dai genitori….che strano effetto ci ha fatto aver qualcuno in macchina! Gazelle intanto sfreccia sulla stretta lingua di asfalto tra la sabbia e le rocce del paesaggio desertico…poi Vanni dice di vedere un miraggio…ma è verissimo quel mare blu che vediamo avvicinarsi davanti a noi. La strada d’ora in poi costeggerà l’oceano stretta tra il deserto a sinistra ed il mare a tratti vicinissimo. Le alte falesie bianche lo nascondono per lunghi tratti, ma poi aprendosi ci regalano la vista di bellissime spiagge deserte e ventose. Ad un certo punto la strada devia per insinuarsi tra le dune che invadono la carreggiata ed il vento forte tende a cancellare la strada trascinando con se la sabbia vicinissima. Il paesaggio è fantastico ma i freni cigolano e Vanni è già agitato. Mi scarica all’hotel Nagjir e poi parte con Gazelle in missione….so già che tornerà felice. Entro nella grande camera 109 sola. Mi stupisce la diversità tra la reception curatissima e rivestita delle tradizionali piastrelle colorate e la semplicità un po’ sciatta della camera…peccato! E pensare che l’hotel è quasi sempre al completo per ospitare le forze ONU insediate qui a Layoune, ma con lo sconto del 25% che mi viene offerto senza che io lo chiedessi la camera costerà 580 djirham, un prezzo equo. Verso le 17 esco in esplorazione nonostante il caldo ancora intenso. Raggiungo dopo una breve passeggiata il primo obiettivo, la pasticceria migliore della città al n°50 di avenue Mecka al Mokarrama, si chiama “Moyen Atlas”ed è tutto vero ciò che ho letto al proposito. Mi siedo ad un tavolino a gustare la mia spremuta d’arancia e la fetta di torta alla fragola che avevo scelto scrutando l’invitante vetrinetta…buonissima! Attorno a me solo uomini. Mi trovo nella parte nuova della città che non ha nulla da offrire oltre a questa buona torta….anche il palazzo dei congressi progettato dall’architetto francese preferito dal re, non è gran cosa, ma poco oltre è splendida la vista della città vecchia che si staglia laggiù contro una serie di altissime dune. Solo il minareto emerge dal tessuto edilizio colorato di rosso mattone. Rientrando mi fermo da un’estetista per un piccolo restauro…poi ritrovo Vanni in camera, ha tagliato barba e baffi, anche lui si è dedicato un po’ a sé. Ceniamo in hotel tra i membri delle nazioni unite le cui 4×4 nuovissime parcheggiate qui fuori sfoggiano antenne satellitari che costano quanto l’auto….certo non badano a spese!

29 Gennaio 2008

LAYOUNE – DEKHLA

Avrei dormito altre cinque ore quando verso le 9 un cameriere entra in camera con la mia colazione.
Ma che dire, la mattina Vanni è sempre vispo mentre i miei risvegli sono faticosi come se uscissi ogni volta da una specie di letargo. Vanni è già su Gazelle quando io raggiungo il parcheggio trascinando il mio trolley blu, una sosta alla famosa pasticceria per un doveroso rifornimento di brioches , e lasciamo la città diretti all’estremo sud del Sahara occidentale dove il paesaggio sembra scomparire inghiottito dalla sabbia sollevata dal vento forte. Ma ciò che vediamo scendendo là dove il vento più debole ce lo consente è un paesaggio incantevole fatto di alti zoccoli di roccia , le cui sommità piatte rimandano a grandi altari ancestrali. I colori variano dal grigio all’avorio in quello che sembra un melange acromatico. Solo quattro piccoli insediamenti interrompono il panorama selvaggio che stiamo attraversando ed i posti di blocco in prossimità di ognuno di questi ci costringe ad una sosta fortunatamente breve per noi che abbiamo la famosa fiche da lasciare ai poliziotti. La strada è in buone condizioni e quasi deserta, incrociamo poche auto e qualche camion, ma in compenso per un lungo tratto vediamo centinaia di cammelli , a volte in compagnia dei loro piccoli, brucare tra i ciuffi di vegetazione bassa e rinsecchita negli ampi spazi sui due lati della strada. Alcuni di loro si spingono pericolosamente verso la strada talvolta attraversandola, cosa che ci costringe a fermarci e spesso a scattare qualche foto. Alte falesie nascondono le spiagge sottostanti che immaginiamo osservando la schiuma delle onde sul mare blu intenso che stanno per frangersi sulla costa. Alcuni sub sono proprio sul bordo, indossano spesse mute e sono armati di fucili per la pesca…non capiamo come facciano a calarsi giù, né tanto meno come faranno a risalire le decine di metri della parete….probabilmente con una corda…ma con le pinne ai piedi? Andiamo oltre. Arrivare a Dekhla è come tuffarsi nel paradiso…almeno per me che adoro il deserto. La lunga striscia di asfalto si delinea con un leggero movimento sinuoso nel paesaggio lunare che ci si spalanca dalla cima di un’altura ….coni e altari di roccia bianca interrompono la piattezza del paesaggio nel quale ci spingiamo contenti…stiamo percorrendo la lingua di sabbia sulla cui estremità sorge Dekhla. Mentre procediamo lungo i 25 km che ci separano dall’obiettivo, vediamo sui due lati ampie distese di sabbia piatta appena emerse dalla marea, poi il mare aperto quindi l’ennesimo posto di blocco…il 5° in 500 km! Rischio anche il sequestro della macchina fotografica per aver fotografato un pick up davanti a noi che trovavo irresistibile…caricava infatti un paio di cammelli tutti rannicchiati nel cassone posteriore….come se fossero cani. Precedono la città una serie di caserme che costituiscono unitamente alla pesca la ricchezza di questo insediamento non abbastanza bello per entrare nei circuiti turistici tradizionali. Ma si costruisce molto qui, la periferia è piena di edifici nuovi, isolati ma concepiti come se dovessero essere addossati gli uni agli altri. Le nude pareti laterali senza finestre sembrano incompiute, mentre i soli fronti strada si articolano in porticati e terrazzini e sono intonacati o addirittura colorati. Dekhla è sempre stata abitata da popolazioni povere, maritane prima e marocchine poi, nel suo tessuto si legge l’assenza di grandi opere volte a celebrare sultani o re, nessun segno di ricchezza o prestigio qui, ma molte case semplici edificate dai pescatori senza sprechi o ostentazioni. L’hotel “Sahara Regency” che ci ospiterà per qualche giorno rappresenta quasi una sorpresa per la bella hall coronata da un alto cilindro cavo saggiamente illuminato ed anche la camera grande e con bagno separato da un disimpegno ci piace. 800 djirham comprensivi di colazione è un buon prezzo per un hotel che al quarto piano ha anche la piscina….Vanni intanto è in officina con Gazelle, bisogna cambiare il filtro del gasolio. Ceniamo al “Casa Louis”, sul lungomare accanto all’hotel Bahia…ma il cameriere è vagamente scortese e non hanno i crostacei che invece compaiono sul menu. La carne di Vanni è dura ma il mio pesce spada è buono. 14 euro il conto….ma è tutto vero? Rientriamo con il proposito di decidere l’itinerario da seguire in Mauritania…ma non senza un drink. Qui dove in nessun luogo pubblico possono essere vendute bevande alcoliche, Vanni riesce a trovare da bravo segugio un bicchiere di whisky…al bar vip accanto alla piscina del 4° piano. Tutto il mondo in questo si assomiglia!

30 Gennaio 2008

DEKHLA

E’ incredibile la bontà della pasticceria del sud marocchino…certo i francesi che li hanno colonizzati hanno lasciato loro qualche ottima consuetudine come quella di far trovare ai loro ospiti succulenti croissant a colazione. E’ Vanni a portarmi queste delizie accompagnate dal tè alla menta mentre io ancora sonnecchio. Che amore! Poi usciamo alla ricerca della bella spiaggia bianca che vediamo pubblicizzata sul un manifesto alla reception. Si chiama Plage Blanche ed è a 25 km da qui, la si raggiunge deviando dopo la poste de police dalla strada che abbiamo percorso arrivando…verso le ampie distese di sabbia piatte che tanto ci avevano colpito. Andiamo e ci fermiamo però dalla parte opposta, dove un gruppo di camperisti sono fermi vicini ad una spiaggia che si spinge ampia verso sud, come se si trattasse di una bassa marea a perdita d’occhio. A nord invece una lingua di mare consente loro di cimentarsi in spericolati windsurf e caicsurf…il vento è tesissimo e quasi fatichiamo a rimanere eretti, ma per loro è una festa. Le targhe dei camper sono tutte europee ovviamente con prevalenza di francesi. Indossano tutti la muta, anche quelli più attempati e che sembra strano dover vedere piroettare attaccati alla vela. Decidiamo di spingerci sull’altro lato della penisola prendendo la pista fuoristrada che forse ci porterà alla bella spiaggia, ma poi rinunciamo….Vanni non sta affatto bene e così rientriamo in hotel dove crolla sul letto colpito da un forte raffreddore e febbre…io intanto vado in farmacia a caccia di rimedi. Per non rimanere in camera tutto il pomeriggio vado qualche ora in terrazza accanto alla piscina a prendere un po’ di sole. Un gruppetto di inservienti sta lavando alcuni tappeti, ridono, scherzano….sono divertenti, diciamo che più che al piano vip sembra di essere in un cortile di servizio…ma sono in minoranza qui…tutti i turisti saranno alla bella plage blanche! Mentre leggo la guida Polaris della Mauritania per decidere cosa vedere nei prossimi venti giorni arriva anche il barista che alzata la serranda si mette a fissarmi da dietro il vetro….come se questo lo rendesse invisibile! Sono imbarazzanti questi musulmani…che ti guardano come se tu fossi nuda anche se indossi un decente costume da bagno…Ceniamo ottimamente in hotel….il mio filetto di bue è tenero e saporito come le migliori arrachere del Buffalo di La Paz ….Vanni che ha la febbre si limita ad una zuppa d’onion . La temperatura è piacevole anche la sera qui, e c’è un motivo….siamo a soli 22 km dal Tropico del Cancro che questa volta attraverseremo verso sud e nel continente Africa.

02 Febbraio 2008

DEKHLA

Un’altra giornata trascorsa in questa slavata cittadina del profondo sud della quale ormai conosco alla perfezione le farmacie ed i bancomat. Vanni è convalescente e probabilmente domani lasceremo questa camera 101 che è ormai diventata casa. Per fortuna è successo qui a Dekhla, cittadina dotata dei necessari servizi compreso l’hotel confortevole e pulito la cui camera con terrazza alla fine è servita a rendere quasi piacevole questa sosta forzata. La remise en forme di Vanni è necessaria ora più che mai, dato che il progetto ambizioso che abbiamo messo a punto per la Mauritania sarà durissimo per via dei tanti fuori strada nel deserto e la precaria stabilità civile. E’ di ieri la notizia che riporto per esteso, relativa ad un attacco terroristico all’ambasciata israeliana di Nouakchott: “ l’attaque ce matin de l’ambassade d’israel pour 6 hommes armés n’a fait aucun blessé parmi le personel. Un resortissant francais à été blessé par une balle perdue lors de l’attaque.” Naturalmente Nouakchott è per noi una sosta obbligata rappresentando l’epicentro inevitabile degli spostamenti attraverso il paese, nonché sede delle agenzie viaggi che dovremo contattare per avere un auto d’appoggio con guida ed autista negli spostamenti attraverso le difficili piste dei territori desertici dell’Adrar e dell’ Aoukar. Sono qui sepolte nella sabbia le antiche città di Oualata, Tichitt, Ouadane e Cinguetti che fin dal medioevo rappresentarono un importante punto di sosta e di scambi delle carovane che si spingevano cariche di manufatti, rame e sale verso l’antico Ghana, e da lì con schiavi, oro e gomma verso il mediterraneo. Queste città furono così importanti da divenire i grandi centri della cultura islamica del Sahara, e con maestri così illustri da richiamare discepoli dal lontano Egitto e dal Marocco. Ciò che è rimasto oggi della passata grandeur è un patrimonio inestimabile di manoscritti antichi gelosamente conservati dalle famiglie che ancora vivono in queste città, sempre più disabitate per via della desertificazione. Impossibile non andare ad esplorare queste biblioteche del deserto che hanno scatenato l’interesse di studiosi prima e dell’Unesco poi. Anche l’Italia con la sua ONG “ Africa70” di Milano sta realizzando progetti di sviluppo in Mauritania volti a contenere lo spopolamento di queste che furono le città più importanti del Sahara.


Menù delle città

Percorso della tappa

Fotografie
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Cambia Tappa

10 Benin

Africa

11 Niger

Africa

12 Nigeria

Africa

13 Camerun

Africa

14 Camerun

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15 Gabon

Africa

16 Congo

Africa

17 Rep. Dem. Congo

Africa

18 Angola

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04 Mauritania


03 Febbraio 2008

DEKHLA – NOUADHIBOU

Lasciamo Dekhla e con lei la malattia di Vanni che come sempre è già pronto per uscire quando io ancora sto dormendo. Dice di fare con calma…ma immaginarlo già in macchina con il motore acceso rende ciò impossibile, così salto alcuni passaggi e mi tuffo sotto la doccia raggiungendolo in un tempo record di 15 minuti. Vanni conosce i suoi polli e questa tecnica che ultimamente mette in atto spesso inizia a dargli qualche risultato. Ancora un bel sole cocente ci accompagna mentre percorriamo a ritroso la penisola dal paesaggio indimenticabile, 30 km e siamo già sulla litoranea che ci porterà fino al confine maritano attraverso un territorio incantato color ghiaccio che si staglia sul blu intenso dell’oceano. Spiagge rosate, dune bianche , cammelli, conformazioni rocciose chiarissime e qualche ciuffetto di vegetazione impolverata. Poi ancora bune bianche che risaltano sotto rocce scure…la bellezza di questo angolo del profondo sud marocchino è incredibile e quasi non ce ne facciamo una ragione mentre lo attraversiamo ponendoci spesso la domanda – cosa abbiamo mai visto di più bello di questo?- ma è inutile fare paragoni l’unicità e la bellezza di questi luoghi è equivalente a quella di altri visti per esempio nelle americhe. Arriviamo in frontiera. La prima, quella marocchina passa velocemente compresa la sommaria perquisizione dell’auto, quindi andiamo oltre attraversando la terra di nessuno, otto chilometri di pista polverosa e minata. Siamo in pieno Polisario e già da 50 km vediamo i cartelli che segnalano il pericolo di mine al di fuori della carreggiata….ma il pericolo maggiore è proprio qui, in questi ultimi chilometri che separano le due frontiere. Assoldiamo una delle guide disponibili, si chiama Ely e sale con noi , forse anche per sdrammatizzare si mostra subito simpaticissimo. Ha cinque anni meno di me ma sembra mio nonno, con solchi profondi sul viso e i denti tutti cariati… indica la strada a Vanni e così arriviamo sani e salvi alla frontiera della Mauritania dove le cose si fanno un po’ più complicate….perchè dobbiamo fare l’assicurazione per la macchina e pagarla nella moneta locale che non abbiamo , gli ougiya. Ci propongono un cambio Djirham – Ougiya da rapina : 100 dhm = 2000 Mro che ovviamente non accettiamo….Ely si propone di cambiare a 3000 Mro, ma senza il regolare foglio di cambio che sappiamo essere obbligatorio qui….insomma un bel casino. Accettiamo il cambio più favorevole cambiando solo l’importo necessario per l’assicurazione…9000 Mro. Sembra incredibile per noi italiani che ci dissanguiamo ogni anno per assicurare la nostra auto, ma qui spendiamo 30 € per una copertura totale della durata di 20 giorni. Intanto Vanni è andato su tutte le furie perché il poliziotto di frontiera ha segnato la macchina sul mio passaporto anziché sul suo e che ha poi dovuto correggere facendo di una delle pagine del mio documento un pasticcio incredibile. Ma non è arrabbiato con lui…bensì con me. Sbraita con tutti sfoderando quella sua arroganza che io detesto….fa osservazioni del tutto inesatte al signore dell’assicurazione, si sente soffocato dai due cambiavalute che sono entrati, non invitati, nella piccola baracca di legno dell’assicuratore….inizia ad urlare contro tutti, si sente braccato e va in tilt. Ne esco stremata più per l’ansia che lui mi ha fatto venire che per le pratiche da sbrigare. Dopo esserne usciti, con l’assicurazione per 20 giorni ed i passaporti timbrati percorriamo i 40 km che ci separano da Nouadhibou. Il centro urbano è incasinato più che mai, sviluppandosi sulla strada affollata di tutto, auto, persone, carretti ed animali il tutto in movimento sui due lati ed intersecante la strada. Proseguiamo per altri 11 km verso Cansado, un piccolo paese che si affaccia sulla baia e dove troviamo il migliore hotel nel raggio di centinaia di chilometri, il Osiana che ci rapina con un costo di 16500 Mro, circa 150 €….ma non si può capire la tristezza di questo luogo, considerato qui, uno dei paesi poverissimi dell’africa, un vero lusso da far pagare caro. Si cena benissimo qui in hotel con zuppe di lenticchie e pesce freschissimo come menu fisso. In automatico ci viene servita acqua da bere…qui dell’alcool non se ne può nemmeno parlare!

04 Febbraio 2008

NOUADHIBOU – IWIK

Usciamo dal Osiana con due obiettivi precisi….prima di tutto cercare una banca che ci cambi con regolare ricevuta i djirham rimasti, poi andare all’ufficio del famoso Parco Nazionale Du Banc d’Arguin del quale abbiamo letto a profusione circa le sue bellezze naturalistiche prevalentemente ornitologiche. Molti degli uccelli migratori provenienti dal nord europa scelgono questi banchi di sabbia per una sosta a fini riproduttivi….potremmo andare per riprodurci anche noi…già che siamo da queste parti! Per quanto riguarda il cambio finisce che nonostante i buoni propositi di volerci muovere all’interno della legalità, ci rivolgiamo un’altra volta al mercato nero…tanto per non perdere 500 ougiya ogni 100 djirham cambiati. Sarebbe assurdo farsi rapinare dalle banche anche in vacanza! In seconda battuta andiamo a cercare la sede del Parco, che troviamo dopo una serie di informazioni chieste in città. E’ un edificio ad un solo piano dalla volumetria semplice e sulle cui pareti non rimane quasi traccia del colore di un tempo. Un ragazzo alto e nerissimo esce dalla porta principale e ci invita ad entrare…sembra quasi che ci aspettasse. Dopo una breve conversazione con il ragazzo che ci spiega tutte le possibilità che abbiamo nella nostra visita al parco, capiamo che la cosa migliore è arrivare attraverso la vecchia pista ad Iwik e da lì prendere una lancia di pescatori che ci porti in prossimità dei banchi d’Arguin ad ammirare gli uccelli….proseguire poi da Iwik verso il Capo Timiris e poi fino a Nouakchott. Ora dobbiamo solo cercare una guida che ci accompagni….naturalmente una di quelle ufficiali e preparate che la nostra guida Polaris raccomanda. Il ragazzo ci consiglia di rivolgerci al campeggio qui vicino per avere qualche nominativo di persone affidabili. Il ragazzo fa una telefonata e poco dopo arrivano in due, il proprietario del camping dall’aria sveglia e che sembra sapere il fatto suo…ed un altro smilzo e basso che indossa il caffettano tradizionale. Chiariamo subito che la guida deve essere regolarmente iscritta nell’elenco di quelle ufficiali, con tanto di foglio timbrato dall’ufficio governativo preposto….ci viene assicurato che questo Zinedin è regolarmente iscritto. Inizia la trattativa che lascio a Vanni allontanandomi, in questo lui è insuperabile ed io mi sento a disagio quando lo vedo tirare troppo con gente che sembra poverissima. L’operazione termina con un importo pattuito di 350 € per 8 giorni che ci vedranno, dopo il parco, raggiungere le famose biblioteche del deserto nelle antiche città di Atar, Ghinguetti e Ouadane, quindi verso la capitale Nouakchott. Sale in auto con noi, ma alla domanda – vogliamo vedere il tuo attestato – lui risponde laconico – è a casa -. Gli diamo subito i 100 euro dei 350 pattuiti, quindi gli diciamo che andiamo a casa sua a prendere l’attestato che vogliamo vedere., ma rilancia proponendo di andare alla sede dell’associazione che guarda caso è chiusa. Nel frattempo fa qualche telefonata, scende dall’auto e torna poco dopo con un bigliettino da visita ancora caldo di stampa….ci siamo fatti fregare! Siamo entrambi furiosi….propongo a Vanni di farci restituire i soldi e scaricarlo….ma realisticamente Vanni ribatte che sarebbe improbabile riaverli. Con l’ansia che ormai mi esce dalle orecchie per via della situazione ma soprattutto per Vanni che diventa insopportabile e mi giudica continuamente…questa volta se l’è presa perché nel momento delle trattative io sono andata in macchina lasciandolo solo…anzi perché non l’ho avvisato chiamandolo in disparte e comunicandogli che preferivo non seguire le contrattazioni. Incredibile….mi sembra di essere all’improvviso diventata la segretaria del presidente del consiglio! Rassegnati ormai della fregatura che ci siamo presi partiamo con il fetente a bordo verso alcuni negozi dove prendiamo qualcosa da mangiare….menta, tè, pane, mele. In auto l’aria è tesissima mentre procediamo sulla strada asfaltata allontanandoci da Nouadibou, poi Zinedin rompe il ghiaccio con una domanda….- vogliamo entrare subito nel parco percorrendo la vecchia pista fino a Iwik, oppure procedere per 180 km sull’asfalto e poi tagliare verso il villaggio?-. Nella prima ipotesi arriveremo a Iwik domani, dato che tra una cosa e l’altra è già l’una e 200 km di dune sono impegnative…Accettiamo la seconda ipotesi. Nel frattempo mostrando una carta stradale   a Zinedin mi rendo conto che sa riconoscere solo i numeri, ma non sa leggere…quindi vedere una carta geografica non è per lui significativo….lo odio! Sotto la calura di un sole cocente procediamo accompagnati dalle note di Cheb Chaled …la cassetta di Essaouira che però non riesce a scalfire la tensione a bordo. Ad un certo punto l’impostore dice a Vanni di rallentare….e di deviare dalla carreggiata per entrare nella piatta distesa di sabbia a perdita d’occhio alla nostra destra. Titubante Vanni sterza e cautamente conduce Gazelle sulla grande distesa di sabbia compatta color ocra….. in lontananza bellissime dune giallo intenso ci accompagnano in questo nostro fuoristrada verso il mare, mentre qualche cammello rappresenta l’unica forma di vita qui…oltre noi naturalmente. Ma ecco Zinedin ci propone di avvicinarci ad un albero isolato per un tè alla menta, accettiamo di buon grado e l’atmosfera si fa più rilassata. L’ottimo tè preparato sulle braci fatte con due rametti secchi dell’albero messe dentro una piccole buca nella sabbia ci fanno finalmente gustare il piacere immenso di essere qui, al centro di un paradiso. Strada facendo accendo il GPS ed inserisco le coordinate di qualche caposaldo del percorso che faremo che leggo sul depliant del parco…. mi sembra una buona occasione per prendere confidenza con lo strumento anche per i fuori strada. Zinedin non sbaglia mai…è come se avesse le coordinate ben fissate nella sua memoria di uomo del deserto dato che lo scarto che vedo sullo strumento tra la rotta del GPS e quella che genera Gazelle è davvero minima. Procedendo sulla sabbia compattata dalle mareggiate invernali arriviamo al mare favolosamente azzurro contenuto da un arco di sabbia chiara . A tratti vediamo qualche promontorio roccioso interrompere il profilo piatto della costa mentre poco dopo arriviamo ad Arkeiss, il primo villaggio del parco verso nord costituito da qualche tenda bianca e nient’altro. Arriviamo al campeggio di Iwik all’imbrunire. Ci accoglie una donna di colore vestita di un tessuto bianco avvolto sul corpo, ci sorride con denti bianchissimi e stranamente intatti. Ci accordiamo per un costo di 3000 ougiya al giorno per l’accampamento, più i pasti e le eventuali docce a 1000 ouriya l’una….qui l’acqua è preziosa e certo non la regalano! Andiamo alla sede del parco per prenotare la lancia di domani , quindi al negozio del paese per pagare i 20000 ouriya dovuti per il tour in mare e per i quali ci rilasciano una ricevuta scritta in arabo su un foglietto strappato da un foglio a quadretti. Il paese è formato da un groviglio disordinato di baracche di legno dai colori ormai slavati appoggiate sulla sabbia. Capre, galli e bambini razzolano disordinatamente tra i ritagli di sabbia lasciati liberi. Noto con un certo disappunto che gli uomini qui non stringono la mano alle donne in segno di saluto….che abitudini scortesi hanno questi musulmani! Ceniamo con ottimo pesce cotto alla griglia, riso e patate, alla luce fioca di un piccolo neon collegato ad una batteria per auto. Poi via, nella nostra tenda dentro ai caldi piumini anche se qui la temperatura è piacevole anche la sera ed il cielo stellato una favola.

05 Febbraio 2008

IWIK

L’appuntamento è alle 8 nel negozio del paese a 500 m dal campeggio. Zinedin ci consiglia di lasciare qui Gazelle e di andare al villaggio a piedi . Il cielo è piuttosto coperto, solo dopo qualche minuto di cammino i raggi obliqui del sole scaldano le tonalità del paesaggio attorno a noi stendendo ombre lungo di lato ai ciuffetti d’erba. E’ una meraviglia ….l’aria ancora fresca ci aiuta a svegliarci da un sonno interrotto troppo presto…camminiamo sulla crosta resa salata e scricchiolante dalle passate mereggiate, tra i gusci vuoti delle conchiglie bianche arrivate fino qui. Siamo ad almeno 200 m dal mare, non sembra possibile che l’acqua debba fare tanta strada durante le mareggiate…Il negozio è aperto, ma il nostro capitano non c’è ancora. Un ragazzo va ad avvisarlo, ma torna dicendo che bisogna aspettare che la marea si alzi per poter salire sulla barca, ancora appoggiata su un fianco nell’acqua bassa. Finisce che partiamo solo alle 10 salendo su di una scaletta addossata a prua per l’occasione….con i piedini tutti bagnati di acqua gelida. Prendiamo posto sulle assi appoggiate ma non fissate sul fondo del barcone da pesca e si va, con poco vento, rigorosamente a vela. Queste imbarcazioni non hanno motore perché all’interno del parco è assolutamente vietato averlo….le regole del parco sono ferree e vengono rispettate alla lettera, i motivi che hanno ispirato questa è il rispetto degli uccelli ed anche la tendenza a scoraggiare qualsiasi innovazione. Veleggiamo verso l’isola di Tidra e poi ancora verso i famosi banchi di sabbie emerse che ospitano le varie specie di uccelli migratori. Pian piano familiarizziamo con il marinaio, simpatico e cordiale, il capitano invece è molto sulle sue anche perché non parla francese e con noi proprio non c’è storia con l’arabo… Ci offrono il tè caldo e squisito come sempre, poi all’ora di pranzo il pesce appena fritto, ereditato pochi minuti prima da un altro barcone di pescatori che abbiamo incrociato durante la navigazione. Vediamo sulle sabbie affioranti i cormorani, pellicani, fenicotteri ed altre specie alle quali non è semplice per noi dare un nome, a parte le rondini. Certo i banchi che vediamo non sono poi così affollati come credevamo, la marea adesso è alta e chissà dove sono finiti questi uccelli. Ma è comunque un incanto qui…e noi stiamo benissimo nel mare silenzioso e rilassante. Rientriamo al villaggio verso sera…questa volta niente scaletta , il marinaio ci carica sulle sue spalle e ci porta camminando nell’acqua bassa, direttamente sulla battigia. Che gentilezza!…e che fustacchione…non sembrava vedendolo. Torniamo al campeggio soli, percorrendo a ritroso il breve tratto in leggera salita, poi ci prendiamo un po’ di riposo nella nostra tenda 5 stelle. Ieri nell’ufficio del parco ci siamo informati sulle possibilità di pesca in apnea nelle acque della riserva….la risposta è stata positiva, quindi se Massimo vorrà potrà venire a pescare qui, ma dovrà prima farsi rilasciare un permesso dal direttore del parco presso l’ufficio di Nouakchott e seguire le norme interne di regolamentazione della pesca. Certo il pesce di oggi era squisito ed i grandi merluzzi che la barca di pescatori ha scaricato sulla nostra sono un chiaro segno della pescosità di questi mari. Questa sera a cena siamo tantissimi ad affollare la saletta ristorante, oltre a noi due e Zinedin c’è una coppia di anziani francesi con le loro due guide. Il gestore del campeggio, un signore alto e magrissimo che ha circa la mia età, ci intrattiene parlandoci della situazione della popolazione che vive qui nel villaggio di Iwik e più in generale all’interno del territorio protetto del parco. E’ gentile e molto determinato nel denunciare una situazione difficilmente sostenibile da parte di queste genti. A differenza di molti giù al villaggio che sono a malapena secolarizzati, lui ha avuto la fortuna di studiare specializzandosi in oceanografia. Si chiama Sidi e veste l’abito tradizionale maritano costituito da una tunica bianca o azzurra decorata con passamaneria color oro, molto ampia e che si porta arricciata sulle spalle. La sua Email è iwikvacance@volia.fr e le coordinate del campeggio che gestisce,”l’Iwik Vacance” sono N 19°53’225”, WO 16°17’915”. Impossibile trovarlo senza una guida o senza questi riferimenti geografici. Il suo racconto è pacato ma incisivo ed estremamente umano. Senza arroganza né velleità di suscitare la nostra pietà espone l’obiettivo resoconto di una realtà che stenta ad autogestirsi in modo adeguato. Le sue parole non aggiungono molto a ciò che noi stessi abbiamo constatato passeggiando tra le baracche dei pescatori, ma ne segnano e chiariscono punti a noi sconosciuti. Stiamo parlando di un piccolo villaggio di pescatori della nazione più desertificata del mondo, con tutte le problematiche legate a ciò ed al fatto di dover sottostare alle rigide regole del parco che ne condizionano la crescita. Il numero delle lance di legno ereditate dalle Canarie spagnole come mezzi dimessi, non può aumentare. Ogni lancia ha una carte gris, praticamente un libretto di circolazione che ne attesta la proprietà, ma il numero delle carte gris nel parco è fisso , quindi le imbarcazioni possono essere riparate o sostituite ma non moltiplicarsi e questo fa si che l’economia dei villaggi, che si sostiene con la pesca, sia stagnante. Non esistono scuole qui….quindi i bambini se vogliono studiare devono trasferirsi in capitale con costi alti che le famiglie non possono sostenere. Non ci sono sorgenti e l’acqua potabile che arriva in cisterne dalla capitale o da Nouadhibou costa carissima….infine il desalinizzatore donato dalla Spagna funziona con un generatore a gasolio che al momento è fermo per mancanza di fondi per l’acquisto del carburante. Insomma un disastro aggravato dalla gestione del parco che quando riceve fondi da sponsor stranieri, anziché investire nelle strutture, sostituisce il parco macchine. Nemmeno il turismo è gran cosa qui, non rientrando questo parco tra le mete turistiche battute dai tour operator , l’afflusso esiguo di persone paganti non aiuta, così come la decisione solo politica….dice lui…. Della Francia di sospendere a tempo indeterminato la Paris-Dakar. L’uccisione dei 4 turisti francesi lo scorso dicembre non può essere considerato un atto terroristico di Alquaeda, dice, quanto piuttosto un atto di protesta contro il governo mauritano da parte di briganti locali per denunciare la situazione di grave precarietà economica nella quale la maggior parte dei cittadini versa. Ma perché colpire 4 francesi innocenti? Pensiamo noi…..per mettere in ginocchio l’economia di una nazione già poverissima? Questa tesi non regge! Alla fine Sidi chiede qualcosa anche per sé ….ovviamente! Gli servirebbero giusto un paio di pompe che consentano alle docce di erogare acqua che sia un po’ più abbondante di quel filo con il quale Vanni non è nemmeno riuscito a risciacquarsi del sapone….e le chiede proprio a lui che mai tornerà qui a farsi un’altra doccia! Prometto a Sidi di lasciargli le poche medicine che abbiamo con noi…non è molto, ma è pur sempre qualcosa per chi non ha quasi nulla. Dopo la conversazione sullo stato pietoso dei villaggi del Parco, iniziamo a conversare con la coppia di francesi che vengono spesso qui in Mauritania per trovare il figlio che lavora in capitale. Ci confermano ciò che noi avevamo solo sospettato….e cioè che le nostre carte di credito Visa e Mastercard sono inutilizzabili su tutto il territorio maritano ad eccezione di un paio di hotel di Nouakchott , il Mercure ed il Novotel. Incredibile ma vero, siamo entrati da soli 4 giorni e ci rimangono solo 30000 ougiya ….l’equivalente di 30 €…e 380 € in contanti. Poter dormire e mangiare a tempo indeterminato nella capitale, che tra l’altro non merita una sosta, non consola chi come noi aveva grandi progetti di escursioni alla ricerca dei vecchi testi e delle antiche città del deserto. Sob! Il problema sembra coinvolgere tutti i presenti, compresa la nostra guida non autorizzata, le due guide dei francesi e Sidi che con grande generosità si offre di prestarci il denaro sufficiente a coprire le spese del nostro soggiorno qui in Mauritania….ma lui non sa quanto siamo capaci di spendere noi nei 15 giorni che ci servirebbero per compiere il nostro tour qui. Rifiutiamo cortesemente, sbalorditi per l’estrema disponibilità di un uomo che sembra così povero. L’altra ipotesi che emerge come l’unica sostenibile è quella di abbandonare la Mauritania senza quasi averla vista, per arrivare al Mali attraverso il Senegal, più ospitale nei confronti dei turisti occidentali Visa dipendenti. Anche questa ipotesi non ci fa impazzire naturalmente se non per il fatto che così avremo una buona scusa per scaricare Zinedin in modo definitivo, liquidandolo con quei 100 € che ormai gli abbiamo dato. Questo sarà quello che gli diremo domani, qualunque sia la nostra decisione per il proseguimento del viaggio. Ma che comfort i nostri due sacchi a pelo di piuma d’oca!

06 Febbraio 2008

IWIK – NOUAKCHOTT

Lasciamo il villaggio dopo un bel saluto a Sidi e con esso il saldo del campeggio mezza pensione per un totale di 22000 ougiya . Usciamo dal parco a mani vuote, cioè senza la bottarga di muggine che viene preparata qui in grandi quantità e venduta in blocco ad un’associazione slow food toscana. Del resto sulle scansie del negozio del villaggio non mancavano gli spaghetti…questi buongustai terranno per sé la bottarga invenduta per preparare succulenti piatti. Lasciamo Iwik dirigendoci verso la statale che raggiungiamo dopo aver attraversato una ventina di chilometri di deserto di sabbia dai colori ocra. Poco dopo aver raggiunto la strada goudronnée fermiamo l’auto….è arrivato il momento di congedare Zinedin! Nasce una polemica che sembra non avere più fine…lui non ha nessuna intenzione di mollare l’osso, e vorrei ben vedere….quei 350 € pattuiti come compenso per 8 giorni di lavoro equivalgono al reddito medio annuale dei mauritani. Quindi perché accontentarsi dei 100 già incassati? Tanto più che l’annullamento della Paris Dakar ha provocato il crollo dell’afflusso turistico qui, rendendo piuttosto remota la possibilità di incontrare altri polli da accompagnare . Zinedin intavola una polemica stupida e senza speranza finalizzata ad incassare l’intera cifra pattuita. Stupida perché lui era presente ieri sera quando si parlava del fatto che non abbiamo più soldi per proseguire il nostro soggiorno qui….sa che non potremo dargli altro denaro, ma lui insiste dicendosi disposto a seguirci in Senegal per prendere il denaro e ritornare per il tour…..un delirio! Noi non abbiamo più bisogno di lui, quindi deve solo dirci dove preferisce essere scaricato….dovrà farsene una ragione! Insiste, dimostrando una ottusità che mi fa uscire dai gangheri ed inizio ad urlare…mi rendo conto in questa circostanza di essere abbastanza padrona del francese da potermi esprimere anche in preda alla collera più nera. Quello che vorrei fare è sbattere l’impostore analfabeta giù da Gazelle a calci e tirargli dietro il suo zaino…ma non è nel mio stile. Quindi gli dico che gli unici soldi che abbiamo sono 5000 ougiya , con i quali dobbiamo arrivare a Dakar, il primo luogo sulla nostra strada nel quale poter prelevare denaro. Gli faccio notare che il serbatoio è pieno solo a metà e che quindi con quel denaro forse non arriveremo nemmeno a Dakar.. Replica che verrà a Dakar con noi….ma noi non abbiamo bisogno di guide per arrivare là…e quindi essendo cambiati per forza di cose i programmi , la sua presenza d’ora in poi è del tutto inutile. Ancora non molla…cambio approccio. L’aggressività lascia il posto alle scuse. Mi scuso immensamente con lui per il fatto di avergli promesso che avrebbe lavorato più di quanto non sia poi successo….finalmente si rassegna ma vuole 3000 dei 5000 ougyia che ci sono rimasti….per mangiare oggi, dice, finchè non troverà un passaggio per Nouadibou. Tutto il denaro che gli abbiamo dato dice di averlo dato all’associazione delle guide alla quale però lui non appartiene….insomma prova a trarre il massimo vantaggio fino alla nausea, poi finalmente scende, lo salutiamo e Vanni gli regala una scatola di tè. Che sollievo! Ripartiamo finalmente soli, Gazelle sfreccia sulla lingua di asfalto tra le favolose dune del Sahara….siamo di nuovo liberi e felici!….sappiamo che quale che sia lo sviluppo del nostro viaggio, lo affronteremo insieme, con serenità e complicità. Arriviamo in prossimità della capitale nel pomeriggio, siamo diretti all’hotel Mercure che accetta carte Visa. Per raggiungerlo attraversiamo la periferia di questa città di recente fondazione. La prima pietra sulla sabbia, che tuttora la circonda, fu posta nel 1958, da allora la sua crescita è stata costante anche per via delle tante popolazioni ex nomadi che a causa della desertificazione hanno affollato i margini di Nouakchott creando attorno ad essa un grosso bacino di povertà. Le case sono basse ed anonime, nessun edificio spicca nella sua piatta sky line, nemmeno una palma o la torre di un acquedotto…ma poi arriviamo al Mercure dove come una doccia fredda ci arriva la notizia che l’hotel è pieno fino a sabato. Quasi crollo dietro la reception, poi mi riprendo abbastanza da riuscire a chiedere quale alternativa abbiamo qui in città noi Visa dipendenti. L’ex Novotel, ora Tfeila è l’alternativa possibile. La strada polverosa è piena di vecchie mercedes, carretti trainati dai muli e persone tante. Procediamo quasi inciampando ad ogni incrocio, dove le auto seguono flussi disordinati dirette ovunque, ma a velocità da tartaruga. Quando finalmente entriamo nella 106 del Tfeila ci sembra di essere in una reggia…siamo quasi un po’ in soggezione per via di questo che oggi ci sembra un lusso esagerato… la doccia…un regalo inestimabile, ed anche il comodo ed ampio lettone sul quale ci buttiamo esausti. Dall’esterno notizie poco confortanti ci confermano l’impossibilità di prelevare denaro con carte di credito, ed anche il direttore dell’hotel al quale chiediamo di poter usare la carta anche per prelevare denaro oltre che per pagare la camera, non può venirci così incontro….l’ipotesi di dover lasciare la Mauritania per il Senegal si fa sempre più concreta, ma Vanni vuole giocare anche l’ultima carta. Contatta la sua banca italiana per chiedere se è possibile avere un bonifico su una banca locale d’appoggio…naturalmente in tempi brevi…la risposta arriverà solo domani. Ceniamo in hotel piuttosto bene, ma qui non sembra nemmeno di essere in Africa, se non fosse per il colore scurissimo della pelle dei camerieri e per la totale assenza di bevande alcoliche dal menu. A proposito di questo dimenticavo di raccontare della perquisizione dell’auto ad un posto di blocco sulla strada verso la capitale, ovviamente finalizzata alla ricerca di alcool…la droga qui è un tale tabù che nessuno osa nemmeno pensare che possa essere nascosta da qualche parte. Ciò che non sappiamo è l’entità delle pene da scontare nel caso se ne sia in possesso. Mah!

07 Febbraio 2008

NOUAKCHOTT

Che bella dormita questa notte! Quando mi sveglio il tè è già freddo e Vanni arriva poco dopo…ha navigato un po’ in internet. Usciamo. Siamo curiosi di vedere qualcosa di questa grande città piena di bidonville, dove la maggior parte della popolazione è arrivata da lontano in cerca di qualcosa da mangiare per sopravvivere. Andiamo con Gazelle verso il mercato che però sembra impossibile raggiungere. Chiamare traffico il fenomeno nel quale siamo immersi è in questo caso improprio perché quel termine rimanda ad un idea di movimento…qui quasi del tutto assente. Le attività artigianali occupano i lati della carreggiata polverosa e quindi impediscono di superare da destra. In strada le auto si intrecciano ai flussi dei carretti pieni di merce da recapitare, agli animali ed alle persone che circolano un po’ ovunque. Alcune auto sono ferme …aspettano che il passeggero torni dal mercato? Ai lati schegge di fuoco escono dalle fucine dei fabbri , mentre donne colorate si spostano camminando tra le auto bloccate. Scendiamo anche noi a fare due passi sotto il sole cocente del mezzogiorno, tra scatole vuote di una piazza che doveva essere affollatissima visti i residui…il mercato è finito. Qualcuno intanto si affianca per convincerci sulla necessità di comprare un caffettano di ottimo tessuto, vediamo parcheggiata una vecchia Mercedes targata Bari, osservo incuriosita qualche banchetto che propone un po’ di tutto. Al rientro in hotel la notizia è che nessuna banca italiana garantisce l’arrivo di denaro in Mauritania ed anche volendo rischiare il tempo minimo di attesa è una settimana. Troppo per una sosta qui. Domani entreremo in Senegal, ormai è deciso…la Mauritania può attendere!


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05 Senegal


08 Febbraio 2008

NOUAKCHOTT – PUNTA ALMADIES

Partiamo  alle dieci dirigendoci verso Rosso, la piccola cittadina sul confine con il Senegal. Alcune sparute indicazioni segnaletiche spariscono ben presto lasciandoci nel buio più totale, ad ogni rotonda chiediamo qual è la direzione da seguire finchè la presenza sempre più rarefatta delle grigie scatole abitative ci fa percepire l’uscita dalla caotica metropoli. Stiamo percorrendo di nuovo il deserto, le cui dune ora sui toni dell’arancio fiancheggiano come onde la striscia di asfalto. A tratti qualche albero sulla sabbia è ogni volta una sorpresa. Vediamo cammelli con i lunghi colli protesi verso le alte frasche, come giraffe ad attingere le fresche foglioline un po’ meno impolverate dei rovi a terra. Dopo circa 200 km di sabbia siamo alla periferia di Rosso, città di frontiera sul fiume Senegal attraversabile con un piccolo traghetto sempre affollato. Ma Vanni si era informato a Nouakchott sulla strada migliore da fare per evitare le lunghe file al traghetto, quindi proseguiamo deviando verso Ovest lungo la strada sterrata che costeggia il fiume per raggiungere la diga di Diama.  La natura qui è bellissima, siamo nel parco di Djoudj. La deviazione ci consente di vedere la ricca popolazione di uccelli che popola gli acquitrini del delta. Siamo soli, immersi nel silenzio di questo luogo desolato e ricco di vegetazione palustre e specchi d’acqua. Certo fa effetto la ricchezza di verde e di vita qui….soprattutto provenendo dai territori mauritani dell’interno  la cui desertificazione inarrestabile ha spinto all’esodo verso il Senegal ed il Mali le popolazioni che le abitavano. La vita, questa vita rigogliosa  ha restituito il sorriso alle persone che vediamo passando all’esterno delle poche capanne sparse ai bordi della strada…che meraviglia percepire la felicità negli altri! Siamo quasi arrivati alla diga quando un uomo in divisa ci fa cenno di fermarci. E’ il gabelliere del parco che ci chiede 5 euro a testa e non ci rilascia le ricevute. Altri 10 km ed ecco la diga e sulle due sponde gli edifici della polizia di frontiera.  Gli addetti della frontiera Mauritana stanno mangiando, quindi aspettiamo un po’ e già che ci sono scrocco un bicchierino di tè alla menta il cui profumo mi aveva ingolosita entrando. Sono tutti gentili e sorridenti anche sul lato maritano…sembra un miracolo per questo popolo di imbronciati, provato dalla miseria nera e dall’islam…magari un goccetto ogni tanto farebbe bene.  Spendiamo comunque 40 euro per uscire dalla Mauritania e nulla per entrare in Senegal…sono loro anzi che ci regalano sorrisi ed allegria …cose alle quali eravamo disabituati. Subito dopo eccoci in Africa…quell’Africa vivace e rigogliosa che avevamo lasciato anni fa tornando dal Kenia. Enormi baobab segnano il territorio verdeggiante, belli e significanti come se avessero un’anima dentro quel loro grosso involucro di legno.  Dopo una sosta veloce a Saint Louis per un prelievo di contante, ci dirigiamo verso Dakar come meta finale del nostro spostamento di oggi, ma ecco che a Rufisque siamo intrappolati in un ingorgo inestricabile. Venditori ambulanti sfilano con sacchetti di mandarini , mele, anacardi da vendere agli automobilisti. Altri vendono mutandoni bianchi, tute da ginnastica, oggetti cinesi piene di lucine colorate, banane rigorosamente portate in catini in equilibrio sulla testa. Il traffico probabilmente generato dal mercato del venerdì stenta a sbloccarsi, assediato com’è dai venditori. Intanto il sole tramonta ed il buio totale avvolge la strada. Ai lati lanterne di vetro si accendono per rendere ancora visibili i prodotti in vendita….ma ancora non ne usciamo…procediamo ormai da ore di 300 metri ogni 30 minuti ed i 20 km che ci separano da Dakar si dilatano sempre più fino a diventare infiniti.  Intanto studiamo un po’…c’è tutto il tempo di pensare a dove fermarci una volta arrivati a Dakar. Non avendo guide del Senegal diamo sfogo alla fantasia, ma poi Vanni riesumando un ricordo legato alla Parigi Dakar visualizza la spiaggia dell’arrivo della corsa…e dopo un altro po’ ricorda anche il nome dell’hotel sulla spiaggia…è il Meridien. Un hotel sulla spiaggia rappresenta più che un’ancora di salvezza per noi stanchissimi viaggiatori fai da te. Arriviamo alle 21.30 al Meridien in ristrutturazione con poche stanze disponibili e tutte occupate…la storia si ripete. Ogni volta che arriviamo stanchi in una città il primo tentativo và sempre a vuoto. La signora della reception, bellissima e gentile ci trova una camera all inclusive al Club Med, proprio a due passi da qui. Chiaro che consideriamo questo un ripiego….i club non sono proprio adatti a noi, viaggiatori indipendenti….ma che dire…siamo proprio stanchi dopo 11 ore di viaggio! Dico al receptionist che ci fermeremo due giorni, legano un cordino ai nostri polsi , quindi ci sottopongono un conto stratosferico….770 € per due giorni è una follia anche per un all inclusive. Vanni si incazza…vuole recedere ma ha già firmato la ricevuta visa….io mi sento svenire per la stanchezza e per l’incazzatura che si sa…è contagiosa.  In formato zombie esco verso il parcheggio, ma poi Vanni viene a chiamarmi farfugliando un “chi sbaglia paga” tiratissimo. Dopo un salto “si fa per dire”…in camera andiamo al ristorante già in chiusura dove il buffet è quasi del tutto scomparso dai tavoli…che palle i club! Sveniamo poco dopo la cena sui nostri due lettini della camera, senza vista mare, al piano terra

09 Febbraio 2008

PUNTA ALMADIES

Ci svegliamo nei comodi lettini della camera che, vediamo solo ora, ha anche un terrazzino con poltroncina  di plastica e tavolino. Sul lenzuolo un particolare gioco di luci disegna nel buio una sorta di cielo stellato in movimento. Sono i sottilissimi raggi di luce che passano attraverso i forellini microscopici della persiana di legno sulla parete…una magia questo risveglio…anzi sembra di essere ancora immersi in un sogno interstellare. Colazione e spiaggia con schermatura fattore 50…tanto per stare tranquilli. La spiaggia è piccola e protetta da due dighe artificiali , ma con sorpresa vedo che non è poi così affollata….sono quasi tutti attorno alla piscina in compagnia degli animatori per fortuna! Ampi ombrelloni di paglia  e lettini di plastica bianca, molti dei quali occupati da turisti eterogenei in prevalenza francesi. Il mare è blu ed al largo intravedo le bianche lingue di schiuma dei marosi che si frangono su ostacoli invisibili. Un bel faro è isolato in mezzo al mare a 200 metri dalla spiaggia. Leggiamo un po’, poi Vanni mi batte a backgammon per 3 a 2. Usciamo poi a reperire una guida….l’aeroporto qui vicino sembra essere il posto più adatto dove trovare una libreria fornita…ma una volta là non usciamo nemmeno dall’auto. Alla domanda rivolta ad un passante se ci fosse una libreria dove acquistare una guida la risposta è no. Ma…c’è qualcuno da quelle parti che il nostro interlocutore conosce e che potrebbe averla. Torna dopo 5 minuti….ha trovato l’uomo, ma vuole 50 € per la guida. Rifiutiamo ovviamente…ma vuole una mancia per il servizio. Offriamo 25 € ma vogliamo vederla …è una Routard del 2008 in francese, la compriamo per 15000 CFA, praticamente 23 €, poi vediamo che nella prima pagina interna è scritto a matita il prezzo di 11500 CFA. Chiaro che la libreria dentro l’aeroporto c’era, ma anche qui farebbero qualsiasi cosa pur di guadagnare due soldi. Almeno sono più simpatici qui in Senegal, e con quei bei sorrisi candidi si fanno perdonare in fretta. Torniamo al club per un paio di mojiti sulla spiaggia al tramonto, poi a cena nei tavoli collettivi dove conosciamo una simpatica coppia di italiani…Marina ed Enrico arrivano dal veneto, anche se le origini di lei si perdono tra il Sudamerica e l’Italia. Ex hostess alitalia, carina, simpatica e potenziale compagna di viaggi, visto il suo incontenibile desiderio di viaggiare appunto attraverso il mondo intero. La figlia Barbara, dolcissima e dagli occhi svegli, nata otto anni fa, ha castrato inevitabilmente la sua indole di viaggiatrice ed ora ascolta incuriosita i racconti dei nostri viaggi recenti. Lasciamo loro l’indirizzo email, vorrebbero venire a Bologna a trovarci per vedere le nostre foto ed avere una copia del nostro diario che così avrebbe un interessante allargamento del pubblico dei lettori. Spero proprio di rivederli. Rientriamo in camera felici della bella conversazione…due narcisi come noi non resistono di fronte ad interlocutori affascinati da ciò che facciamo. Nel frattempo Vanni ha parlato con il direttore dell’hotel che ci offre un ulteriore giorno di soggiorno qui a 190 €….ma sorpresa delle sorprese, scopriamo leggendo la nota che il conto che abbiamo già pagato di 770 € si riferisce a 3 giorni, non due come avevamo chiesto al momento dell’arrivo. A Vanni torna il sorriso…mentre io penso a quanto sono suonati questi senegalesi…ed anche noi, se non altro per non aver controllato la nota sottopostaci e da noi sottoscritta al momento del pagamento. Insomma un altro giorno di relax in spiaggia tra la fauna del villaggio.

10 Febbraio 2008

PUNTA ALMADIES

Colazione abbondante e poi in spiaggia, oggi coperti di maglietta per evitare l’ustione totale delle parti sfuggite ieri alla protezione 50 …piccole superfici sparse su tutto il corpo ora di un rosso intenso. Sarebbe comodo se queste creme fossero visibili anche dopo essere state stese sulla pelle…Il tempo passa pigro mentre scrivo e Vanni legge un po’ di guide rimbalzando tra sole ed ombra senza tregua. Un gruppo di romani fà casino, imponendo il classico radiolone a tutto volume …che burini, del resto prima o poi capita di incontrarne qualcuno. A metà pomeriggio si alza il vento freddo che ci costringe ad abbandonare il campo ….ripieghiamo al bar per un torneo inter nos a backgammon che anche oggi perdo. La chance mi ha abbandonata!  Incontro di nuovo Marina che è rimasta così colpita dai nostri racconti di ieri da aver sparso la voce tra l’equipaggio alitalia fermo per una piccola sosta qui al mediterrané ed in partenza assieme a loro questa notte. Presto il freddo diventa insopportabile anche qui al bar e così ripieghiamo in camera , l’unico posto riparato oltre il ristorante che però è ancora chiuso. Ascoltiamo il discorso di Sarcosi sull’europa poi altre notizie francesi…certo per i turisti che arrivano dalla Francia essere qui è un po’ come rimanere a casa!

11 Febbraio 2008

PUNTA ALMADIES – LAC ROSE – RISERVA BANDIA – SALY

Lasciamo questa prigione per turisti diretti al famoso lago rosa  ad una trentina di chilometri da qui. Per raggiungerlo dobbiamo attraversare ancora Rufisque che anche nella tarda mattinata è saturo di auto che si muovono al rallentatore su questa che loro chiamano l’autorute….ma qui altro che autostrada, l’ingorgo è una certezza!  Raggiunta la cittadina deviamo verso Bambilor e carichiamo per un passaggio le tre simpatiche studentesse alle quali abbiamo chiesto una informazione e che sono dirette proprio al villaggio vicino al lago.  Dal paesino fatto di poche case deviamo ancora per  una sterrata che si inoltra tra la vegetazione. Le acque hanno una densità salina pari a quelle famose del Mar Morto, cioè 10 volte più di quelle del mare. Le alghe che lo popolano tendono ad ossidarsi per difendersi dal sale, rendendo così l’acqua di un particolare rosa intenso che a moi ricorda vagamente quello della Laguna Colorada in Bolivia….ma qui non ci sono fenicotteri…sono rimasti  tutti al Banc d’Arguin? Sulla riva del lago una serie di uomini cosparsi di burro di karité sono immersi fino alla vita per estrarre il sale depositato sul fondo. Una serie di sacchi sono già pronti per essere caricati. A parte il colore dell’acqua il paesaggio non è particolarmente interessante, insomma non la definirei una meta da non perdere. Lasciamo il lago per tornare verso Rufisque e poi oltre verso la Petite cote dove la Riserva Bandia promette l’avvistamento degli animali tipicamente africani….Siamo così eccitati all’idea di rivedere le giraffe! Entriamo nel parco a bordo della nostra Gazelle, una sosta per i biglietti e per caricare la guida obbligatoria ed uno stagista che accettiamo volentieri a bordo. Sarà una specie di esame per lui quello di oggi….ci spiegherà tutto lui, mentre la guida lo correggerà se sbaglierà o integrerà se dimenticherà qualcosa. Ci tuffiamo nel paradiso naturalistico del parco, ricco di acacie, baobab e molti animali. Ami, la nostra guida è una bella ragazza vestita in mimetica, accetta controvoglia di sedersi nel sedile posteriore e per aumentare il suo cono visivo sfila velocemente il mio poggiatesta. Vanni si altera leggermente, ma poi fa finta di niente e proseguiamo. Avvistiamo dapprima un gruppo di struzzi, poi costeggiando la rigogliosa vegetazione vediamo gruppi di Antilopi Cavallo ed Elan. All’ombra di un gruppo di acacie riposano un gruppo di bufali ed un rinoceronte bianco, un maschio stravaccato in riposo. Ci spiegano che in realtà l’attributo “bianco” non indica un diverso colore rispetto a quello nero, quanto piuttosto una diversa stazza….in origine il termine che li indicava era wide, cioè grande, poi trasformatosi per una serie di errori reiterati in white, bianco. Ecco poi un gruppo di giraffe elegantemente in sosta ai bordi di una pozza d’acqua, tra loro c’è anche un maschio, un bellissimo esemplare dalla pezzatura nera…mai visto prima. Ci raccontano che il tempo di gestazione di una giraffa è di 15 mesi, ma poi già dal 18° sono di nuovo in dolce attesa, e così sempre per tutta la loro vita. Non si accovacciano per partorire, rimangono erette e sganciano il piccolo facendogli fare un volo di due metri….un insolito benvenuto! ….ma alcuni non ce la fanno e muoiono appena nati. Le giraffe muoiono di artrosi …non lo sapevo ma le capisco, essendo anch’io nel mio piccolo a collo lungo. Nel parco non esistono predatori quindi nessun felino, né antagonisti delle specie presenti…quasi un pensionato per animali quindi…o un paradiso, a seconda del punto di vista….sarà per questo che li vediamo così tranquilli, e che possiamo scendere dall’auto anche vicino ad un rinoceronte. Vediamo una coppia di tucani e poi un baobab particolare del quale vale la pena spiegare qualcosa. E’ una tomba, in disuso dal 1960 perché da allora fuorilegge. Fino a quaranta anni fa gli appartenenti alla casta degli agricoltori  di una certa tribù del Senegal, solevano essere seppelliti nel tronco cavo di un baobab. Pensavano che chi aveva lavorato la terra per tutta la vita non potesse riposare serenamente all’interno di quella stessa terra, i loro corpi venivano così calati attraverso una fenditura all’interno del tronco cavo di baobab. Ci avviciniamo per dare un’occhiata  e vediamo le molte ossa mescolate a terriccio e teschi disordinatamente mescolati. La superstizione dice che se si fosse interrotta la tradizione sarebbe seguito un periodo di siccità ed Ami e lo stagista confermano che dal 1960, cioè dall’entrata in vigore della legge che vieta questa pratica  vecchia di secoli, effettivamente piove meno….vai a sapere! Insomma un baobab particolare questo, direi sacro, e che sfoggia sulla corteccia dall’altro lato un’altra sorpresa per noi. Una serie di piccole cavità segnano la corteccia dalla base alla cima…sono i buchi che gli uomini hanno fatto conficcando dei pioli che consentivano loro di salire in cima al tronco, ed ecco che proprio verso la cima il tronco prende la forma esatta di una figura umana nell’atto di salire…dalle ginocchia al mezzo busto. Incredibile. Non può trattarsi solo di una coincidenza  e nessuna manomissione è visibile sulla corteccia…è tutto naturale. Vediamo le tartarughe ed i coccodrilli in un’area separata e protetta, poi ci accomodiamo nel baretto del parco vicino all’uscita per una spremuta d’arancia squisita. Vedere questi animali ci ha dato un’energia incredibile, quindi usciamo felici dal Bandia. E’ ormai giunta l’ora di trovare un posto dove dormire, quindi ci dirigiamo  verso la petit cote dove a Saly troviamo un residence, uno dei tanti qui dove i turisti non disdegnano venire per frequentare le tranquille spiagge. Vanni scende un paio di volte a chiedere ospitalità, ma il cinque stelle è carissimo, quindi ci fermiamo al Royal Saly che per 110 € ci offre una mezza pensione e camera con bagno. Ma sorpresa….scopriamo che si tratta di un hotel convenzionato Alpitour…dalla padella alla brace. Qui il livello è ancora più basso visto il prezzo, ma noi siamo degli ospiti particolari non all inclusive e quando al bar chiedo una birra ed una bottiglia d’acqua mi viene chiesto…- no alpitour? – . Scoppio in una risata fragorosa…questo è davvero troppo divertente! ….soprattutto sentirsela dire nel corso di un viaggio che vorrebbe essere tutt’altro che questo. Ceniamo malino e poi fuggiamo in camera mentre là fuori impazzano le mazurche.

12 Febbraio 2008

SALY – SIMAL

Stiamo per arrivare nell’area del grande delta al confine con il Gambia, il Sine Saloum. La regione del fiume Saloum è una riserva della biosfera ed uno dei luoghi naturali più belli del Senegal. Il delta forma qui un groviglio di isolette e di banchi di sabbia, paradiso delle mangrovie e degli uccelli, ma anche di pesci e crostacei. Il Sine Saloum leggiamo, è uno dei più grandi siti ornitologici dell’africa occidentale, secondo sono al Banc d’Arguin in Mauritania. Partiamo inseguendo il miraggio di una escursione in piroga nel pomeriggio, raggiungiamo Mbour e poi Joal, due paesini che ci inghiottiscono con il loro mercato lungo la strada. E’ uno spasso vedere letti matrimoniali in vendita ai bordi della strada….il traffico è rallentato dalle tante distrazioni che arrivano dagli ambulanti che si propongono con i loro prodotti in vendita. Siamo nella patria delle arachidi qui…e sono in tanti a venderle, vicini ai crogioli dove con braci e cenere si fa la tostatura. Dopo Joal ci spingiamo all’interno, su un’ampia sterrata che attraversa Sambadia e poi Fimela, attraverso fitti palmeti e gli immancabili baobab. Arrivati a Fimela chiediamo indicazioni per raggiungere Simal, la piccola isola nella quale siamo diretti. Ci fermiamo vicini ad una ragazza che ci indica un gruppetto di ragazzine che sono dirette proprio là. Salgono tutte sei sul sedile posteriore che animano di sorrisi, gridolini ed un odore pungente di sudore. Sono meravigliose e ci fanno una grande cortesia guidandoci tra le stradine sabbiose del paese verso il ponte stretto e lunghissimo che attraversa la laguna ormai insabbiata di Simal che vediamo come una sottile striscia di sabbia gialla e di vegetazione soprastante. Questa è Simal, ci dicono una volta abbandonata la stretta striscia di cemento, procediamo tra le capanne del centro abitato, tutte in muratura a pianta quadrata e coperte con un cono di paglia. Che meraviglia qui…tutto attorno l’acqua bassa della laguna ed all’orizzonte le altre terre emerse, strette lingue di sabbia coperte a volte di vegetazione sbiadita dal sole. Emerge a tratti il profilo imponente di un baobab. Ci accompagnano sull’altro lato del villaggio dove si trovano le piroghe, un piccolo mercato artigianale gestito dalle giovani donne dell’isola ed infine il Campement de Simal dove dormiremo questa notte. Ci accoglie il sorriso bianco di un ragazzo che gentilmente ci mostra il piccolo campeggio e la nostra capanna, la 17. A pianta circolare ed interamente realizzata di canne palustri, ha una copertura a cono. Il pavimento leggermente rialzato è di cemento decorato con conchiglie bianche, una tettoia ne protegge l’ingresso ed un cortile circolare di pertinenza recintato è il nostro bagno. Un letto matrimoniale è protetto da una zanzariera….necessaria qui. Insomma un bel posticino e che ci costerà con la mezza pensione 17000 CFA , circa 30 €, a persona. Il luogo è fantastico con i tavoli di canne a pochi metri dall’acqua e la vegetazione in alto con le fitte chiome a proteggere gli ospiti sottostanti. Stiamo in panciolle fino alle quattro del pomeriggio, l’ora della nostra balade sur le delta, poi con i pantaloni tirati sopra il ginocchio andiamo verso la piroga decorata a prua con disegni colorati. Condividiamo l’escursione con 3 giovani francesi dall’aria intelligente e poco socievoli. Si parte con un filo di gas, disposti sui due bordi della lunga piroga che punta verso il profilo sottile dell’isola di fronte. A romperne la rigida linearità alcuni solitari baobab e le mangrovie. Il nostro capitano, un ragazzone dal sorriso largo ed il copricapo da rasta ci porta alle piantagioni di mangrovie, superfici rettangolari di piantine che spuntano di poche decine di centimetri dall’acqua. Hanno due anni queste che vediamo spuntare di una spanna…Ci racconta che sono le donne del villaggio ad occuparsi del ripopolamento delle mangrovie. Seminano il frutto in profondità nella sabbia sommersa ed attendono la crescita. Non avvistiamo molti uccelli, solo qualche airone cinerino ed un paio di cormorani. Gli uccelli sono lontani da qui e noi non arriveremo fin là….peccato, era proprio ciò che volevamo vedere, in questa riserva famosa proprio per questo. Dopo un paio d’ore siamo già di ritorno alla base….un aperitivo accompagnato dal formaggio grana portato dall’Italia ed ancora buonissimo, quindi ci sfidiamo in una partita tiratissima in riva al fiume. Con un certo disgusto notiamo che anche questi luoghi remoti non sono esenti dal turismo sessuale da parte di attempati signori che vedo sbaciucchiare due giovani ragazzine che potrebbero essere le loro nipoti se non fosse per il diverso colore della pelle. Che schifo, mi si chiude lo stomaco. Mentre sono vicina alla macchina per prendere una cosa mi si avvicina una ragazza. La riconosco, è una delle studentesse alle quali abbiamo dato un passaggio questa mattina. Mi chiede un’altra penna colorata e mi lascia il suo indirizzo. Si chiama Marthe Kanou Faye, è figlia di Maria Teresa. L’indirizzo è: Villane de Mar-Lodj BP 43 Thiadiaje- Senegal. Tel. 4855154. Le do anch’io un foglietto con le mie coordinate, poi mi chiede di comprare qualcosa al mercatino artigianale, sua madre è una delle venditrici….ma per oggi ho già consumato il mio buono shopping….una collana fatta di perline d’argilla colorate ed incise con disegni. Ceniamo alla luce di lampade a petrolio su quegli stessi tavoli bordo fiume sui quali siamo stati a lungo in ozio nel pomeriggio. Gli insetti attratti dalla luce però attirano gli insetti e le nostre pietanze iniziano a muoversi dei loro movimenti, come se fossero ancora vive. Dormiamo malino sul materasso ondulato della nostra capanna, certo le due coca cole bevute nel pomeriggio non aiutano a prendere sonno, e nemmeno l’apertura senza porta che da nel cortiletto con bagno…non mi sento sicura qui ed ogni rumore mi fa sussultare. Ogni tanto accendo la torcia ed ispeziono la capanna…è tutto ok. Vanni dorme beato.

12 Febbraio 2008

SIMAL – PARCO NIOKOLO KOBA

Colazione a bordo fiume e poi un po’ di shopping al mercatino appena fuori dal camping dove una ragazzona con tettone gigantesche mi atringe la spalla con un forte semi abbraccio e mi porta a forza davanti alla sua distesa di souvenir con oggetti di legno intagliato , collanine e manufatti di cuoio. Volendo scegliere qualcosa in fretta per uscire velocemente dal suo abbraccio, vedo una cosa che mi invoglia….un paio di sandalini di pelle morbidissima con una conchiglia bianca fissata sul dorso. Li prendo e per sfuggire a tutte le altre, che nel frattempo mi chiedono quasi offese di comprare qualcosa anche da loro, mi incammino a grandi passi verso Gazelle dove Vanni aspetta con il motore acceso. Una fuga in piena regola insomma. Ritroviamo le stradine sabbiose del villaggio di case a pianta quadrata ed il tetto a cono, come tante piccole capanne in muratura, i bambini che camminano verso la scuola ed i vecchi seduti sotto apposite tettoie di legno a chiacchierare. L’aria è limpida ed il cielo sereno, i colori ancora caldi del sole della mattina presto. Ripercorriamo a ritroso il lungo ponte quindi chiedendo indicazioni percorriamo la pista verso Sessene fino ad incrociare la nazionale asfaltata che prendiamo in direzione Fatick, poi verso Kaolack dove facciamo una sosta. Certo il mercato di questa cittadina posta sull’incrocio delle principali direttrici del Senegal varrebbe una visita anche solo per comprare le famose arachidi della cui produzione Kaolack vanta il primato nazionale….ma si sa come sono i mercati qui…si viene immediatamente presi d’assalto da persone che si offrono di guidarti e che poi ti portano a comprare cose che non vuoi dai loro conoscenti che ti dissanguano per lasciare loro un adeguata percentuale. Glissiamo il mercato ma ci concediamo invece la visita all’edificio dell’ “Alliance Franco-senegalaise de Kaolack” ( HYPERLINK “mailto:afkl@orange.sn” afkl@orange.sn) che progettato da un architetto francese molto attento all’aspetto antropologico della società nella quale opera, ha vinto il premio di architettura di Karim Aga Khan nel 1994. Il complesso si sviluppa in piccoli edifici ad un piano raccordati da chiostri e cortiletti ombreggiati da tettoie frangisole fatte di cilindri a strisce coloratissime. I muri rossi sono dipinti con disegni in nero eseguiti da artisti locali. I pavimenti di cemento lucidato rosso a disegni antropomorfi bianchi e neri armonizzano tutti gli elementi decorativi del complessodove si respira un atmosfera di tranquilla vivacità …piacevolissima. Che bella sosta questa! Da Kaolack a Tambacounda percorriamo 270 km di asfalto modello groviera che mette a dura prova non solo le balestre di Gazelle, ma anche i nostri nervi. 7 ore di viaggio con una media dei 35 km orari un delirio! Le ore passano ad evitare le buche profonde nell’asfalto, che in alcuni tratti è scomparso del tutto. Evitiamo anche i numerosi camion fermi sulla carreggiata a sostituire i pneumatici esplosi o semplicemente forati. Intanto pensiamo che con questa strada il Senegal strappa il primato delle strade impossibili alla Tanzania che tanto ci aveva fatto penare anni fa nel tratto tra Kalo e Dodoma, la capitale. Arriviamo a Tambacounda alle 18.30 più morti che vivi e ci precipitiamo all’hotel “Le Relais de Tamba”, il primo dei due migliori che però è pieno…sob! Ma il problema dell’alloggio non si risolve nemmeno con la visita al secondo ed ultimo hotel decente, l’”Oasis Oriental Club” dalla cui reception esco con un foglietto dove c’è scritto il nome di un hotel di categoria inferiore che non offre nessuna garanzia di pulizia e comfort, ma suggerito come unica alternativa dalla gentile ragazza dell’ufficio. Uscendo vedo Vanni che parla con due italiani alloggiati in hotel ….saranno la nostra ancora di salvezza questi due gentili italiani di Perugia che sono qui per seguire la direzione lavori del rifacimento della strada appena fatta…alla buonora!…se solo avessero iniziato un po’ di tempo fa! Ci consigliano di raggiungere un Lodge che dicono essere incantevole, il Wassadou , nei pressi del Parco Niokolo Koba ad una sessantina di km da qui, ma di strada perfetta. Telefonano per prenotarci una casetta e ci accompagnano fuori città, sulla strada diretta al parco. Sono così gentili che regaliamo loro un pezzo di grana ancora sigillato, uno dei tre portati dall’italia. Accettano di buongrado il nostro cadeau e ci salutano. E’ già buio quando lasciamo la strada asfaltata per inoltrarci lungo la pista che conduce al lodge, in ottima posizione sulla riva del fiume Gambia. Una doccia ed è già l’ora di cena. Organizziamo velocemente la nostra escursione di domani al parco, poi ci spegnamo lentamente sui due lettini con zanzariera della nostra pulita e confortevole, spartana casetta che costerà 20500 CFA a testa per la mezza pensione, circa 30 €….un affare.

14 Febbraio 2008

PARCO NIOKOLO KOBA

Il letto comodo, la porta chiusa e la stanchezza infinita delle 11 ore di viaggio di ieri ci hanno regalato un sonno intenso dal quale ci riprendiamo verso le 8. Mohamed arriva puntuale all’appuntamento delle 9 alla reception ricavata in un angolo dell’ampio makuti che copre lo spazio aperto del ristorante. La vista del fiume che scorre lento una decina di metri sotto di noi da qui è incantevole…la giornata inizia proprio come si deve, in immersione totale nella natura selvaggia che circonda il lodge. Proprio in questo punto una sorta di terrazza naturale si spinge verso il fiume che piega formando una leggera ansa, e consentendoci una vista longitudinale del suo corso. Sull’altra sponda vediamo il parco naturale che con i suoi 900.000 ettari occupa il 30% dell’intera regione. La vegetazione rigogliosa occupa la quasi totalità del paesaggio attorno a noi, emergono le palme e le bellissime Ceiba Pentandra anche detta Fromager, alte e possenti all’ombra delle cui fronde siamo fermi in contemplazione della vista impagabile che si spalanca davanti a noi. Questa è l’Africa ….almeno nel nostro immaginario, lo è pienamente. Alcuni ippopotami sono già immersi, ne vediamo gli ampi dorsi che ogni tanto si inabissano e le fauci spalancate come in giganteschi sbadigli. Rimaniamo un po’ ad ascoltare il suono degli animali nella foresta, poi partiamo con Mohamed , ossuto e taciturno, verso Dar Salam ad una ventina di chilometri da qui dov’è l’ingresso del Parco . Acquistiamo i biglietti per 9000 CFA compresa la macchina ed entriamo seguendo la stretta pista alla ricerca di animali. Il caldo si fa presto soffocante e la possibilità di avvistamenti di conseguenza piuttosto remota. Una serie di uccelli dagli sgargianti colori sulle tonalità dell’azzurro ci si propongono sui rami vicini alla strada. Mi sembra siano i più belli mai visti prima…se non in cattività dentro voliere. Ci fermiamo ad ammirarli e fotografarli, grati per la loro presenza nonostante la canicola. Più oltre sono visibili dalla strada gli imponenti termitai cattedrale, alti in qualche caso più di due metri …ci spiega Mohamed che quelli ancora occupati dalle termiti non presentano buchi sulla loro superficie, ma sono completamente chiusi da quella che sembra una colata di argilla. Gli altri sono invece occupati da altri animali, serpenti e manguste che sfruttano così il lavoro delle termiti. Vediamo diverse famiglie di facoceri che rappresentano l’unica specie del parco al sicuro dai bracconieri musulmani che in quanto tali non possono mangiarli. Molte antilopi tra cui la Kob, la Oribi, la Defassa Waterbuck e la meravigliosa Bushbuch che ha sul mantello fulvo dei disegni bianchi che sembrano proprio dipinti. Ogni tanto uno scoiattolo attraversa il sentiero a tutta birra e gruppi di babbuini si spostano da un punto all’altro di una grande radura che scendiamo a perlustrare. Nessun leone qui….che Vanni desiderava tanto avvistare né elefanti che sono stati sterminati dai bracconieri. Non è certo il Masai Mara questo parco, preso d’assedio da chi ha dovuto abbandonare i villaggi dal 1976 inglobati al suo interno. Per vendicarsi quindi di non avere avuto nulla in cambio di questo esodo forzato che per molti di loro ha rappresentato un danno si dedicano all’uccisione degli animali, un modo questo di boicottare il parco stesso….così ci diceva ieri sera Moussà, il direttore del personale del lodge. Usciamo alle 18 , puntuali sull’orario di chiusura e felici dell’escursione in questo selvaggio angolo di Africa nera. Dopo la doccia veloce siamo già seduti sulle comode poltroncine artigianali, in fila ordinata sotto i fromagers davanti al fiume le cui acque sembrano immobili ora. Per un istante le tinte si accendono per poi spegnersi al calare della sera. La temperatura è perfetta ora, in equilibrio con quella dei nostri corpi che percepiscono il benessere infinito di questo momento magico. Per aumentare lo sballo beviamo un drink e….non sono i fumi dell’alcool che ci fanno vedere le scimmie salire sui tronchi di un albero mentre dietro di loro il cielo è ancora rosa delle luci del crepuscolo. Qualche urlo e molte code arricciate in movimento mentre gli ippopotami rumoreggiano godendosi il loro bagno. Una serata indimenticabile con molte stelle e mezza luna.

15 Febbraio 2008

PARCO NIOKOLO KOBA

Dopo una mattina di sesso sfrenato la decisione di restare è unanime…perché lasciare tanto presto un paradiso come questo? Sarà difficile lasciare questa vista meravigliosa sul fiume e proprio per questo ieri sera sull’onda dell’entusiasmo abbiamo raccolto qualche informazione relativa alla vendita di terreni qui in zona. Moussà ci ha spiegato che lo stato dà in concessione per 99 anni il terreno ad un costo che dovrebbe dirci questa sera. L’idea di avere una casa sul fiume non è male. Rimaniamo a contemplarlo qui all’ombra dei possenti fromagers, schiacciati dal caldo torrido del primo pomeriggio, poi alle 16.30 paiamo con Mohamed per una balade sul fiume. Lui è al timone a barra, io e Vanni a sedere sulla traversina al centro della piccola imbarcazione. Certo indossare i giubbotti di salvataggio con questo caldo è una mezza tortura, ma di toglierli non se ne può nemmeno parlare. Poco dopo la partenza le acque poco profonde del fiume impongono a me e Vanni di scendere per proseguire a piedi fino al capo opposto dell’isoletta, mentre Mohamed  prosegue pagaiando attraverso le secche. Certo chi lo avrebbe immaginato osservando il fiume dal lodge ….la portata d’acqua sembrava diversa, invece eccoci, naufraghi sull’isolotto pieno delle impronte fresche degli ippopotami. Difficile che io abbia paura, ma qui mi si gela il sangue quando vedo le impronte enormi di quegli animaloni aggressivi…e se dovesse sbucarne uno all’improvviso? Le dimensioni delle orme non incoraggiano a proseguire la passeggiata a cuor sereno, anzi l’idea di dover passare ancora da qui al ritorno ci inquieta non poco. Ma che strana la mente umana…non ho avuto paura davanti ad un elefante che agitava le orecchie con fare minaccioso, e nemmeno di fronte alle orme degli orsi in Canada, ma qui è un’altra cosa. Torniamo finalmente a bordo, dopo che un ragazzo nero, statuario e vestito delle sole mutante, aveva aiutato il nostro marinaio a superare una rapida sassosa controcorrente. Non si capisce da dove sia sbucato, forse da un documentario sulle tribù africane di Alberto Angela? Proseguiamo ancora un po’ lungo il fiume sempre più asciutto, vedendo uccelli belli e variopinti, Mohamed ha un nome per tutti loro…non so come faccia a ricordarseli. Il Martin Pescatore, il Pluvian d’Egitto, l’Ibis, Il merlo metallique, il Guepier a gorge rouge, il Rollier d’abissinia poi i Cormorani ed altro ancora. Un ghepardo morto sulla riva del fiume cattura l’attenzione di Vanni che subito chiede se può averne la pelle. Poco oltre un grosso tronco sbarra il passaggio, la nostra balade termina qui, con Mohamed che vira di 180° spingendo la prua ad occidente, ancora una passeggiata tra le orme spaventose e poi al lodge per l’ aperitivo aspettando il tramonto e con esso le scimmie. Ogni sera sembra di vedere “il libro della giungla”. Pochi passi e siamo sotto l’ampio makuti aperto verso il fiume, il nostro tavolo è pronto. Moussà arriva con le informazioni che gli avevamo chiesto, si siede al nostro tavolo ed inizia a parlare. Il terreno costa 20.000 CFA l’ettaro, circa 30 € per uso residenziale, più altri 30.000 per la lottizzazione e la registrazione del progetto. E’ il consiglio della comunità rurale, di cui lui è membro, a decidere se vendere o no il terreno, quindi in caso di risposta affermativa la pratica passa alla regione e poi allo stato. Con un piccolo investimento di circa 3.000 € si possono acquistare i diritti per un secolo di 10 ettari d’Africa….una bazza! Dopo la cena, gustosa come sempre ed accompagnata da un buon bordeaux torniamo di nuovo sulle poltroncine sul fiume, questa volta ad ascoltare gli animali e guardare le stelle …alle 10 mi si chiudono le palpebre per il sonno, quest’Africa  mi ha rilassa così tanto da avermi fatto recuperare i naturali ritmi  di sonno e veglia.

16 Febbraio 2008

PARCO NIOKOLO KOBA

Ci svegliamo solo alle nove, quando già dovremmo essere all’appuntamento con Moussà che si è offerto di accompagnarci a vedere un terreno che potrebbe piacerci. Abbiamo voluto andare a vedere più per sognare ad occhi aperti che per una vera intenzione di comprare qui….anche in questo caso abbiamo le stesse opinioni noi viaggiatori tarantolati….perchè fermarsi da qualche parte, quando ancora non si è visto tutto, ma proprio tutto il pianeta? Dopo pochi chilometri di strada asfaltata Moussà ci indica di deviare per una sterrata che inoltra fra la vegetazione verso il fiume. Alla fine di un ampio terreno piantumato ad aranci e manghi ci fermiamo, salutiamo il proprietario del frutteto e con lui andiamo verso un primo appezzamento che però non ci fa impazzire….inseguendo il nostro sogno noi vogliamo più alberi ad alto fusto …siamo così innamorati di questi fromagers che ne vogliamo almeno uno sul nostro terreno. Ci spostiamo sull’altro lato del frutteto e vediamo finalmente qualcosa di più rispondente alla nostra idea. Molti alberi ad alto fusto ed un paio di fromagers e….cosa rara qui, una piccola montagna di rocce duecento metri più a monte….insomma proprio un bel posticino! Per continuare a sognare chiediamo a Moussà quanto costa costruire qui, per esempio una casetta come quella nella quale dormiamo al lodge. Due sacchi di cemento, più 30.000 CFA di manodopera. La cosa che costa di più sono gli impianti, ma si tratta comunque di cifre ragionevolissime, ed anche lo stipendio per una coppia di custodi che vivano qui con noi tutto l’anno è di 35.000 CFA al mese a testa, quindi in totale 100 € al mese per tutti e due….1200 € l’anno. Insomma davvero poche migliaia di euro ci separano dalla realizzazione del sogno di vivere sul fiume Gambia, in una delle aree più depresse del Senegal, sogno che però non ci interessa per il momento realizzare. Certo se il costo della realizzazione dei sogni fosse sempre così modesto, potremmo realizzarli sempre tutti! In questa regione sono musulmani, ma c’è qualche cristiano. Le donne non vestono in modo castigato come altrove ma mostrano oltre ad ampi sorrisi, anche le gambe fino al ginocchio e le spalle….con una certa civetteria che le rende meravigliose. Insomma tutto tranquillo da quel punto di vista, almeno per ora. Dopo la visita Moussà ci chiede di accompagnarlo a casa sua, nel villaggio. Vuole salutare la sua famiglia e vedere se tutto a casa procede bene. In prossimità del villaggio di Dialakoto deviamo inoltrandoci tra le piccole case coperte a capanna e la capanne tout court. In fondo al sentiero ci fermiamo. Siamo arrivati. Un gruppo di donne si alternano al mortaio spingendo con forza lunghi bastoni dentro un contenitore di pietra dove stanno macinando il mais. Hanno il sorriso sulle labbra mentre faticano nel caldo torrido di quest’ora….anzi ridono proprio a crepapelle quando le salutiamo e non capisco se sia per una momentanea crisi isterica o se perché ci trovano ridicoli. Opterei per un misto di invidia e benevolenza. Entriamo nel cortile vero e proprio sul quale si affacciano gli edifici in muratura della proprietà. Il padre di Moussà, che ha 83 anni, ma è ancora in gran forma, ci stringe la mano e ci invita a sederci all’ombra del grande mango cresciuto al centro del cortile. Ci sono molti bambini qui, di Moussà e di suo fratello che vive qui, eppure mancano quelli che sono abbastanza grandi da essere a scuola. Il più piccolo dei presenti si accomoda sulle ginocchia di Vanni ed inizia a giocare con lui. Difficile stabilire chi dei due si stia divertendo di più ! La scuola è obbligatoria per 13 anni. La scuola statale dà istruzione gratuita dai 7 ai 20 anni….I primi anni i bambini frequentano anche alla scuola coranica, dove imparano l’islam, mentre la scuola statale li istruisce sul modello della cultura occidentale o francese, come la chiamano loro. Lo stato provvede all’istruzione fornendo le aule e gli insegnanti, ma i libri le penne ed i quaderni sono a carico delle famiglie, così come le tasse d’iscrizione. In questo modo la scuola rimane la prerogativa dei bambini le cui famiglie possono sostenere queste spese, di molti ma certo non di tutti….ed il tasso di scolarizzazione nei villaggi della brousse è ancora molto basso. Dopo una mezz’ora di giochi e chiacchiere lasciamo la famiglia e torniamo nel centro del villaggio dove dovremo parlare con il presidente della comunità rurale per quel terreno, certo una presentazione del tutto informale, tanto per farci conoscere anche da lui. Moussà ci inizia alle usanze di qui, per le quali è importante, anzi fondamentale, il contatto diretto tra le persone che andranno a decidere od a concludere una compravendita anche a titolo preventivo. Insomma vogliono poter guardare negli occhi le persone alle quali affideranno una parte del loro territorio. Il presidente è in viaggio però, e nel piccolo cortile che dà sulla strada ci sono solo giovani donne, mogli e figlie del presidente, tra i rifiuti e le pareti annerite delle casette che un tempo dovevano essere azzurre. In piedi o sedute per terra tra i polli ed i pulcini sembrano in attesa di qualcosa. Già che siamo in centro cerco il detersivo in polvere per i miei piccoli bucati in hotel …quando riesco a trovare un tappo nel lavandino. A volte è meglio fare da soli. Qui al lodge per esempio, le cose che sono tornate dalla lavanderia hanno ancora le macchie di prima, solo un po’ scolorite e non profumano affatto di pulito. Certo l’acqua del fiume in secca non deve essere il massimo in questo senso anche se depurata e di lavatrici non si parla neanche in un posto dove l’energia elettrica viene erogata solo poche ore al giorno da un generatore e dove il “fatto a mano” costa decisamente meno. Ma torniamo al negozio, dove trovo comode buste monodose e del sapone per bucato di colore marrone, fatto ancora come si faceva una volta. Vedo poi in alto su uno scaffale un grande contenitore trasparente pieno di Ciupa Ciupa, l’ideale per i bambini di Moussà. Torniamo a portarglieli e nel cortile si spalancano meravigliosi sorrisi, compreso quello di Moussà che non deve avere avuto spesso la possibilità di donare dalle sue stesse mani ai figli delle cose così inutili quanto buone. Lui da persona buona e generosa ne distribuisce anche ai vicini di casa e ne porta un po’ con sé per i dipendenti del lodge…ci piace questo Moussà. Almeno quanto Omar, il cameriere del bar dal quale ieri sera abbiamo comprato una musicassetta, la sua preferita alla quale ha rinunciato. La stavamo ascoltando seduti al bar prima della cena e piaceva molto a Vanni. L’ha ceduta davvero a malincuore nonostante gliela avessimo pagata più del doppio del suo prezzo. Come lo capisco, sono anch’io come lui. Oggi in paese Moussà si ferma poi a cercare quella stessa cassetta di Tiken Jah Fakoly per Omar….scoppiamo a ridere tutti e tre! Ma la musicassetta non c’è qui al negozio…chissà come ci rimarrà male…finirà per considerare tutti gli europei come dei capricciosi incontenibili, ma lui non sa che non sono tutti come Vanni! Torniamo al lodge verso le 13 con un nuovo passeggero a bordo. E’ la moglie del fratello che lavora qui. Indossa un vestito di raso azzurro che sembra da sera, una pochette di finto coccodrillo tra le mani ed una parrucca di capelli castani lisci che prima Vanni aveva visto abbandonata su una sedia del cortile. Cosa non si farebbe per sembrare più belle… indossare una parrucca con questo caldo deve essere un supplizio!…e non la rende affatto più bella, solo irriconoscibile. Valle a capire queste donne dai corpi statuari, i seni abbondanti, la pelle che sembra velluto, e che si imbruttiscono inseguendo un modello di bellezza che non gli appartiene. Ci fermeremo ancora qui al Wassadou, per osservare un altro piccolo miracolo, il tramonto di oggi e le stelle che arriveranno poco dopo.


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17 Febbraio 2008

PARCO NIOKOLO KOBA – KAYES

L’idea di lasciare questo posto che ci ha accolti e coccolati per qualche giorno mi dispiace molto e l’ansia che ieri sera non mi faceva dormire credo sia proprio legata alla nostra imminente partenza. La paura dei serpenti, che mi ha accompagnata sempre nel corso della mia vita ha avuto ieri sera un apice davvero scomodo. Dev’essere stato quel serpente nero di ieri, che era sulle frasche vicine al fiume e che io non ho visto. Il nostro accompagnatore ha dapprima fatto un balzo indietro, poi lo ha fatto scappare lanciandogli un grosso ramo. L’emergenza però è scattata verso sera, quando le paure si acuiscono. Mi osservavo, mentre ero stesa supina sul mio lettino, con gli occhi spalancati ed il fiato sospeso …rigida come una statua. Nessun commento, a volte capita, ed io non sono un bell’esempio di equilibrio. C’è voluto tempo, molto tempo perché riuscissi a tranquillizzarmi tanto da prendere sonno , ma poi questa mattina tutte le ombre erano scomparse, tranne che sotto i miei occhi. Partiamo insomma, dopo un caldo saluto ad Omar, il simpatico cameriere, che ieri sera per non vedersi sottrarre un’altra cassetta da Vanni, ha propinato agli ospiti del lodge musica italiana cantata in spagnolo…tra cui il ballo del qua qua…inascoltabile! Salutiamo anche Moussà , ringraziandolo caldamente per la sua grande disponibilità. (Moussà Diakitè –  HYPERLINK “mailto:wassadou@niokolo.comwassadou@niokolo.com ) . Arriviamo a Tambacounda dopo aver attraversato un coloratissimo mercato ai margini della strada presso un piccolo villaggio. Le donne vestite dei loro abiti tradizionali dai colori sgargianti vivacizzano le anonime bancarelle di legno. Restiamo a Tamba solo il tempo necessario ad un Bancomat ed il rifornimento di carburante, poi viriamo verso Kidira, sul confine a 180 km da qui. Brousse ( savana ), mandrie di ovini o buoi che migrano da un lato all’altro della strada e carretti trainati dai muli. Lo scarso traffico ed i  pochi villaggi attraversati ci consentono di correre ai 100 km/h sulla strada quasi deserta. Alla frontiera senegalese poche formalità, anzi ce la caviamo con i soli tre timbri di uscita sui passaporti ed il carnet de passage. Passiamo l’ampio fiume che segna la frontiera, lo vediamo affollato di donne che lavano e bambini che sguazzano allegramente, le terre emerse interamente coperte di panni stesi ad asciugare. Sull’altro lato, dopo un chilometro circa di strada, tutta piena di camion parcheggiati pronti per il controllo doganale, entriamo negli uffici maliani dove altri timbri vengono apposti sui passaporti  già vistati ed anche sul carnet de passage. Continuiamo per Kayes, altri 100 km ed avremo centrato l’obiettivo di oggi….Attraversiamo fantastici paesaggi…fatti di foreste di baobab seminascoste dalla  foschia tipica di queste aree calde ed umide del Mali. Cambia anche la tipologia delle abitazioni qui. I muri, intonacati di “banco”,  cioè argilla mista a paglia ed agli scarti di lavorazione del burro di Karitè, sono scanalati delle impronte delle dita che lo hanno steso con movimenti circolari e leggermente lucidi. Ogni unità abitativa ha un forno, sempre di argilla, coperto a cupola. Li vediamo solitamente occupare gli angoli più anneriti  dei cortili. Pur essendo Kayes la città più importante del Mali occidentale dopo Bamako, ci appare come un grande villaggio polveroso ed incasinato. Gli edifici maltenuti ed anonimi si succedono lungo le strade asfaltate che percorriamo in cerca di un hotel. Sono le uniche due asfaltate…quelle che tagliano longitudinalmente la cittadina ex coloniale che si sviluppa su una sponda del fiume Senegal. A vivacizzare le facciate disegni e scritte dipinti per pubblicizzare l’attività che vi si svolge ai piani terra, oltre le porte senza vetrine dei negozi….e sono barbieri, venditori di tessuti o di coca cola….Le attività artigianali più rumorose e necessitanti spazio trovano posto all’esterno degli edifici , in aree dedicate , sotto tettoie di lamiera sul nudo suolo. Sono fabbri, falegnami, ed anche signore che scavano delle grosse zucche ricavandone ciotole perfettamente emisferiche …le famose calebasse. Ognuno di loro vuole venderci qualcosa mentre scendiamo a dare un’occhiata. Uno dei fabbri si avvicina chiedendoci di non scattare foto, ma noi non abbiamo nemmeno la macchina fotografica qui ….e possiamo immaginare quanto una fotografia scattata in situazioni come queste, di duro lavoro in condizioni igieniche precarie, insomma là dove non c’è proprio nulla di bello da ricordare, ma solo povertà estrema e stenti da testimoniare, possa solo essere umiliante per il soggetto che la subisce. Evitiamo quindi di offendere il loro orgoglio e la loro dignità con uno scatto inutile e passiamo oltre. Le signore ci invitano a comprare le loro zucche svuotate ed il falegname invece, che vende dei bei mortai scavati nel legno,  non vuole venderceli adducendo come scusa il fatto che lui vende solo all’ingrosso. Peccato. Continuiamo la ricerca dell’hotel con un paio di tentativi andati a vuoto, poi Vanni ci salva adocchiando un cartello che pubblicizza il Kamankole Palace, un quattro stelle nuovissimo che non compare su nessuna guida. Andiamo in fretta, nella speranza di trovare ancora una camera libera, che per fortuna c’è. L’hotel è in fase di smobilitazione da un incontro al vertice di tre ministri e le relative delegazioni, per un totale di 120 persone che lo avevano occupato per tre giorni rendendolo inaccessibile a chiunque altro. Certo le stelle di questo hotel sembrano essere state rubate dal cielo più che meritate come dice Vanni. Infatti a parte l’apparente grandeur dell’edificio visto dall’esterno, una volta entrati le magagne saltano all’occhio una di seguito all’altra. Anche qui non potremo pagare con le carte di credito….per difficoltà di connessione alla linea telefonica dicono….ma poi hanno internet e lo usano! Il costo è sostenibile, 42.000 CFA compresa la colazione per occupare una camera piuttosto squallida e con moquette, che sembra un controsenso con questo caldo. Tutti i cavi  dell’impianto elettrico corrono sotto la moquette …altro che impianti a norma! Lo sciacquone del water non funziona, o meglio scarica acqua in continuazione. Evito di commentare la posa in opera delle piastrelle e gli scassi per gli impianti …più che un bagno sembra ancora un cantiere! Neon al centro del soffitto e tendaggi made in china, come tutto l’allestimento del ristorante  di chiara impronta orientale…ora iniziamo a capire come mai un hotel costruito un anno fa sembri già così vetusto. Gusto cinese e maestranze africane rappresentano un connubio esplosivo …ci rendiamo conto solo ora. Una volta preso possesso della 121 usciamo in missione. Vanni si è accorto un paio di giorni fa che abbiamo perso un pezzo di Gazelle, una lamiera sagomata che protegge il cambio…assolutamente da rimettere altrimenti lui non avrà più pace….me ne rendo conto vedendo che ricorda esattamente la posizione di tutti i demolitori incontrati durante il nostro precedente tour della città alla ricerca dell’ hotel. Prende accordi con un certo Moussà, un ricambista dell’usato che gli promette un pezzo non originale ma analogo per domani a mezzogiorno. Non pago ripartiamo alla ricerca dell’originale presso gli altri demolitori. Trova  una toyota identica a Gazelle parcheggiata in un cortile …ma non è in demolizione ed il proprietario cattolico rispetta il giorno di riposo la domenica, quindi se ne riparla domani. Ci spingiamo anche sull’altra sponda del fiume, oltre il ponte, dove la città va gradatamente diradandosi …E’ uno spasso vedere cosa riescono a fare loro con l’acqua del fiume…sul piccolo molo che si spinge nell’acqua del fiume gruppi di persone lavano qualsiasi cosa, dalle cisterne di un camion, alle pecore, alle auto, gli indumenti e ….sorpresa….le pecore che vediamo bianchissime asciugarsi al sole. Facciamo un bel giro al mercato alla ricerca di uno spremiagrumi, ci sono arance dolcissime qui, ma nessuno che ne sprema il succo… sarebbe meglio poter fare da sé se solo lo trovassimo, un banalissimo spremiagrumi….trovo invece degli ottimi manghi, maturi al punto giusto che mangio mentre Vanni è dal barbiere. Torniamo poi in hotel, per un riposino e la cena che consumiamo tra le cornici bianche e rosse del ristorante. I cuochi senegalesi  preparano per me ottimi gamberi saltati serviti in un letto di insalata verde e per Vanni il pollo. Tutto è squisito! Un punto a favore dell’hotel.

18 Febbraio 2008

Kayes

Che sorpresa al risveglio! Una dissenteria acuta mi impedisce di muovermi dalla camera….alla fine me la sono presa in Mali! Sfumano i programmi che prevedevano di raggiungere Sandarè, un villaggio sulla strada per Bamako dove si potrebbero trovare degli smeraldi da comprare. Vanni esce per un doveroso sopralluogo in farmacia e poi a caccia del pezzo di ricambio.

20 Febbraio 2008

KAYES – BAMAKO

Dopo due giorni di digiuno totale e dieta a base di acqua zuccherata e salata per reintegrare i Sali minerali perduti per forza di cose, mi rimane una debolezza infinita e la lingua di colore verdognolo. Gazelle invece è in forma, con il suo copricambio usato perfettamente installato dopo essere stato adattato a colpi di martello e scalpello dai volenterosi ragazzi del demolitore. Vanni mi raccontava tutto, quando rientrava in hotel descriveva le sue scorribande a Kayes in compagnia di Moussà, il ricambiata. Attraverso le sue parole ho visto Kayes e le persone che ha incontrato. Il nuovo ospedale costruito da un gruppo di cattolici italiani, il vescovo che già fa il calcolo delle conversioni che questo stimolerà, non tanto per potervi accedere, quanto per uscirne vivi! Mi rendo conto di quanto sono debilitata ad ogni gesto e movimento che mi costa una fatica inaspettata…..salgo su Gazelle e prendo posto mollemente sul sedile accanto a mio marito che con un bel sorriso gira la chiavetta….si riparte! Ha i capelli cortissimi adesso, e con la sfumatura alta alla moda maliana….sembra un marine e così abbronzato è uno schianto. Sono davvero contenta di averlo sposato il mio maschione dal cuore buono che per sdrammatizzare rispondeva agli sms delle mie amiche spacciandosi per un quasi vedovo. Mentre attraversiamo Kayes per lasciarla alle nostre spalle, mi rendo conto che Vanni la conosce ormai come se fosse la sua città, con tanto di  persone che lo salutano vedendolo passare su Gazelle. Deve aver mobilitato tutta Kayes per quel pezzo di ricambio! Dopo qualche chilometro siamo ancora nella brousse, a tratti piena di alberi dalle varie chiome, frondose oppure no, fiorite oppure no. I fiori sono stati una bella sorpresa oggi lungo questi 620 km di strada asfaltata in buono stato. Dopo il vento forte che sollevando la polvere rendeva incerti i contorni delle case e rendeva la vegetazione come immersa in una nebbia rada, ecco i fiori, rossi e carnosi ad occupare le estremità dei rami spogli di una particolare varietà di albero. Un tocco di colore acceso nel paesaggio fatto di pochi colori pastello è un piccolo spettacolo. Sono gli alberi del kapok, i Bombax Costatum, leggiamo sulla nostra guida Polaris. In questo periodo hanno perduto tutte le foglie e contro il cielo azzurro spiccano le miriadi di fiori nelle tonalità dal rosso corallo all’arancio, come tulipani dai petali carnosi. Quando il fiore sparirà lascerà il posto al frutto che maturo rilascerà nell’aria i batuffoli bianchi del kapok. Che bel viaggio quello di oggi….anche per i villaggi che incontriamo che presentano un elemento nuovo. Sono pieni di granai cilindrici d’argilla coperti con un cono appuntito di canne e sollevati da terra di circa una trentina di centimetri. Il perimetro di base infatti appoggia su pietre o supporti di legno. Sembrano tanti funghi. Arriviamo a Bamako a metà pomeriggio e troviamo una camera all’hotel Rabelais a gestione francese. Si articola in un paio di edifici, diversi tra loro per tipologia e colore. Quello che contiene la reception è bianco e preceduto da un piccolo giardino che dà sulla strada principale. Al suo interno ci sono un piccolo bar, l’infermeria, un paio di negozietti di souvenir ed una pasticceria-gelateria, il tutto arredato negli stili più vari, probabilmente succedutisi per sovrapposizione negli anni e farcito di suppellettili dell’artigianato locale. Proseguendo attraverso un piccolo corridoio si arriva al retro, un cortiletto che affaccia su una stradina di pertinenza usata come parcheggio dell’hotel. Ancora oltre l’edificio azzurro che contiene le camere e che si sviluppa a corte attorno alla piscina. Al piano terra il ristorante e la cucina. La nostra camera è al primo piano, confortevole e con aria condizionata, costerà 39.000 CFA, circa 60 € al giorno. Dopo averne preso possesso ed un po’ riposato usciamo per la cena…Vanni legge di un locale qui vicino, il “Coeur d’Afrique”, un’istituzione….ma il parcheggiatore ci dice che è chiuso purtroppo, per sempre. Ci dirotta al “Pirates” sempre vicino che raggiungiamo con una breve passeggiata. Bamako è la patria della musica maliana, avendo dato i natali a Salif Keita, Habib Koitè ed Ali Farka Tourè, tutti di fama internazionale. Leggiamo che si suona ovunque qui in capitale ed anche al Pirates, tutte le sere dalle 22.00 in poi, quindi la nostra scelta è ok….sono io che invece non lo sono tanto. La breve  passeggiata mi ha depauperato di ogni forza, ed anche il filetto di bue meraviglioso che ho appena gustato non ha fatto altro che farmi tornare la nausea. Povero Vanni, anche questa sera dovrà trascorrere la serata in camera!

21 Febbraio 2008

BAMAKO

Magdalena Konaté arriva in camera verso le undici….è la dottoressa che ho fatto chiamare dalla reception. Di mezza età ed un po’ grassoccia sembra una zia, vestita del suo completo di cotone marrone in stile anni ’70 con volant colorati ai polsi e piccoli orecchini sui lobi. Ha gli occhi vispi quando mi guarda e mi chiede di spiegarle cosa succede. Ancora stesa sul letto inizio a raccontarle la cronaca della malattia, con tanto di specifiche sul cibo ingerito prima e dopo il fattaccio. Misura la pressione del sangue (106 – 65), poi inizia a tastarmi il ventre mentre ancora mi rivolge qualche domanda, quindi formula la sua diagnosi, a dire il vero un po’ incerta…per sapere esattamente di cosa si tratta prescrive una serie di analisi da fare, del sangue e delle feci. Dai sintomi non si può escludere che si tratti di paludisme ( malaria ), ma potrebbe essere altro. Torna dal breve sopralluogo in infermeria con tre cartine di pastiglie, tra cui anche un antibiotico contro la gastroenterite tifoide….insomma le premesse non sono incoraggianti, speriamo che le analisi ci rassicurino almeno sulle patologie più gravi. Mentre io rimango spappolata sul letto, Vanni incontra Modibo, il cliente di Carlo Lucchese qui in Mali. E’ arrivato a prenderlo qui in hotel con un macchinone e l’autista. Cortese e sorridente lo ha accompagnato in banca, anzi direttamente dal direttore, dove ha così potuto ritirare una bella sommetta, per di più passando oltre una discreta file di persone in attesa. Insomma un potente di Bamako questo simpatico Modibo! Ma la sua cortesia non si è limitata a questo…lo ha accompagnato agli uffici di Air France per l’acquisto dei nostri biglietti di ritorno e si è reso disponibile per l’imballaggio dei nostri souvenir presso la sua azienda, dove anche Gazelle sarà parcheggiata fino al nostro prossimo ritorno qui. Insomma una grande bazza per noi questo gentile signore. La clinica Algi è a non più di 200 metri dal Rabelais. Piccola e gestita da un gruppetto di infermiere e dottoresse che indossano bei sorrisi ed abiti coloratissimi sotto i camici che in questo clima allegro e spensierato sembrano quasi di troppo. Se non fosse per l’odore forte di disinfettante penserei di aver sbagliato indirizzo. Siamo gli unici a sedere sulle poche poltroncine della sala d’attesa. Al banco accettazione, qui di fianco a noi, una signora ha già provveduto a stampare le etichette per i contenitori e la ricevuta di pagamento…poveretta non sapeva più come spiegarmelo che avrei dovuto lasciare anche un po’ di sell, o cacà, lì in clinica…io non riuscivo a capire…ma alla fine ce l’abbiamo fatta. La mia infermiera è, come da copione, robusta ed energica, ma sempre sorridente. Prepara tre vetrini per la prova colturale del sangue, sui quali scrive i miei codici con un pennarello blu, si annaffia le mani di disinfettante ed inserisce l’ago spingendolo sempre più in profondità con un’energia che proprio non mi aspettavo. Dolore massimo! Per fortuna finisce in fretta, spalma le goccioline sui vetrini ed è finita. Torniamo al “Pirates” anche questa sera. L’accoglienza è calorosa, tutti ci riconoscono e ci trattano ormai come due clienti di vecchia data. Il gruppo di musicisti è numeroso e pian piano trovano il loro affiatamento suonando piacevoli brani un po’ di tutti i generi ….certo il reggae rende molto qui. Vanni, carino come sempre, offre loro da bere….lo meritano proprio questi ragazzi!

22 Febbraio 2008

BAMAKO – NARENA – KOUREMALE’ – KANGABA

Una giornata indimenticabile quella di oggi…innanzitutto perché io finalmente dopo i pilloloni di antibiotici sto meglio , poi perché siamo diretti proprio nel cuore di quello che fu il grande impero del Mali, la regione Mandingo. Questo piccolo itinerario ci impegnerà per un paio di giorni, e non essendoci possibilità di essere alloggiati in strutture decenti anche se spartane, dormiremo nella nostra tenda cinque stelle…al bivacco. Partiamo dopo una colazione abbondante a base delle mitiche ciambelle del Rabelais….una consolazione preventiva per l’attraversamento di Bamako che ci aspetta tra poco. Per raggiungere Narena infatti, il primo villaggio del nostro tour, percorreremo la strada che si spinge verso la Guinea….che guarda caso parte proprio dalla parte opposta della città della quale disponiamo di una cartina così sommaria da risultare inutile. Sarà per me una buona occasione per vederla finalmente questa città, considerando che i giorni scorsi il mio mondo era circoscritto all’interno del triangolo ai cui vertici erano l’hotel, la clinica ed il ristorante Pirates!  Alcuni alti edifici emergono sul profilo basso della città che sfiora il fiume Niger, i volumi scatolari del Sofitel, il grattacielo etnico della zecca di stato e poco altro. Alcune ampie strade attraversano come arterie ordinate la città , così diverse dalle strette strade non asfaltate con fogne a cielo aperto sulle quali affacciano le case vere dei quartieri storici. Il traffico oggi è scorrevole nonostante si tratti di una capitale e per di più africana! Gli imbottigliamenti di Nouakchott sono solo uno scomodo ricordo, mentre circoliamo in questo flusso ordinato di una città che sta crescendo con buone intenzioni ed ottime strutture. Raggiungiamo il quartiere Djikoroni  in un tempo ragionevole …è proprio da qui che la nostra strada prende inizio. Al bivio seguiamo la strada con lavori in corso sulla destra. C’è una discreta foschia e molto calore che sentiamo entrare dai finestrini aperti, così i monti Mandingo sulla nostra destra ci appaiono un po’ sfuocati. Attraversiamo piantagioni di grandi alberi di mango, distese di sportine di rifiuti, alcuni piccoli villaggi mandingo fino ad arrivare a Siby, un grosso villaggio ai piedi della falesia dove decine di bancarelle vendono solo i profumati frutti di mango. Continuiamo verso Narena, dove le falesie di arenaria si articolano in erosioni bizzarre  tra cui un gigantesco dito di roccia staccato dalla parete e apparentemente in miracoloso equilibrio. Appena arrivati in paese chiediamo ad un poliziotto di un posto di blocco come possiamo fare ad incontrare gli orpelliers, i cercatori d’oro che sappiamo essere proprio da queste parti. Ci dice di raggiungere l’edificio dell’armeria che ci indica a qualche decina di metri verso l’interno. Là troveremo il capo del villaggio che senz’altro ci aiuterà a trovarli. Il capo è sorridente e cortese nel suo caffettano blu acceso. Gli spieghiamo brevemente e lui subito ci presenta Namuri Keita, un ancien combattent, come ci dice lui appena salito in auto, poi spiega meglio….c’era la ribellione negli anni tra il 1976 ed il 1977 nei territori sul confine con il Burkina Faso….ma non capiamo bene se lui era uno dei ribelli o se invece combatteva contro di loro. Quest’uomo magro e non più giovane si mostra subito preparato, energico ed un po’ autoritario. Malcelando la sua indole al comando dà indicazioni secche a Vanni e controlla con fare inquisitorio se ho scritto bene il suo nome sul mio foglio di appunti, così come il nome della zona nella quale siamo diretti, Narema Kelebani. Seguiamo la breve pista che si insinua nella brousse , poi scorgiamo dei colori e dei corpi in movimento….siamo arrivati. Un piccolo mercato alimentare precede l’area di scavo vera e propria che si estende su 600 mq. all’ombra dei piccoli arbusti rimasti superstiti. C’è così tanta gente qui… sembra che un intero villaggio vi sia arrivato alla ricerca dell’oro, chi a piedi, chi in taxi-brousse…tutti ora sono in gran fermento. Superato il gruppetto dei mercanti d’oro, ora sonnacchiosi ad aspettare il bottino della giornata, e le signore intente a friggere soffici frittelle e fette di mango, zigzagando tra i bracieri dove si stanno cucinando spiedini di carne, arriviamo dal boss della miniera , che Namuri ci presenta. Una stretta di mano e gli innumerevoli  – ca va?- …d’obbligo qui in Mali ogni volta che si incontra qualcuno, anche se solo per chiedergli una indicazione per strada. Dopo i convenevoli Karim Traore ci fa  capire che se vogliamo visitare e fotografare il sito di scavo che lui gestisce dobbiamo scucire 5000 CFA. Eseguiamo all’istante. Ci inoltriamo camminando sulla terra battuta dai tanti piedi che vi circolano, attenti a non mettere il piede in fallo. Gli scavi avvengono in sezioni circolari del diametro di circa 60 cm e scendono fino alla falda di terreno aurifero la cui profondità varia dagli otto ai dieci metri. Sul fondo dei buchi attivi, uomini seduti in posizione yoga scavano a 360° attorno a loro stessi creando così cilindri perfettamente ergonomici, cioè costruiti sulle dimensioni del loro corpo in posizione seduta. Quasi non li si vede laggiù, nel buio dello stretto pozzo che ogni tanto si riempie d’acqua. Piccole nicchie scavate nella parete verticale consentono loro di scendere o salire, la torcia fissata sulla fronte ed una piccozza rudimentale …tutta l’attrezzatura è qui. Sopra il buco una folla ….parenti o amici?….che tra una chiacchiera e l’altra sollevano dal basso un contenitore pieno di terra legato ad una corda. Il lavoro di fino lo fanno le donne. Armate di calebasses, immerse nell’acqua limacciosa fino al ginocchio, le gonne rimboccate alla cintola si prodigano nel lavaggio del terreno alla ricerca di qualche pagliuzza d’oro. Con armoniosi movimenti rotatori della grande zucca eliminano argilla e detriti , poi ancora rigirano tra le mani il recipiente aggiungendo sempre un po’ d’acqua, fino a quando sul fondo non è rimasta che una polverina nera. Una di loro mi mostra orgogliosa il frutto del suo lavoro. Ha un bel sorriso  perchè quella sabbia nera…brilla….è piena di preziose pagliuzze. Poco oltre un’altra donna sta lavando un bambino di qualche mese….sempre dentro una grande calebasse. Ci sono tanti bambini qui, soprattutto piccolissimi  legati a fagotto sulla schiena delle loro madri al lavoro. Finito il giro torniamo da Karim il boss. Sta raccogliendo il frutto del lavoro di un minatore. Ancora coperto di fango rappreso, sta soffiando via dal suo bottino di oggi gli ultimi granelli di sabbia nera. Karim è pronto  con la sua bilancina protetta da una scatola di cartone come riparo dal vento (che non c’è), che potrebbe influire sulla pesata. L’oro finisce dentro un tubetto vuoto di medicinali, il minatore afferra le poche monete che gli vengono date come compenso, 500 CFA per 0.15 grammi di pagliuzze. Dopodichè scattano le richieste. Parte da lontano Karim….dalla generosità sempre dimostrata da parte degli italiani nei confronti del popolo maliano,  per esempio fornendo ed installando pompe per l’acqua nei villaggi. Qui al campo guarda caso il gruppo elettrogeno che fa funzionare le pompe per l’estrazione dell’acqua dai buchi è rotto. Karim propone 1 kg. di oro a 24 carati in cambio del gruppo ( F4L 812 DEUTZ ) senza il quale la miniera rende al 40%….e questo è un disastro per tutti, dal primo all’ultimo degli attori di questo che più che altro sembra uno strano rito vissuto da una collettività in festa. (Karim Traore tel. 3101742). Vanni non si sbilancia, ma prende nota del modello del pezzo da sostituire….ci penserà. Intanto si è fatto tardi per noi che dovremmo raggiungere Kangaba  seguendo una pista che non sappiamo bene dove prendere, quindi ci congediamo da tutti diretti a Kouremalè sul confine, dove chiederemo. Arrivati al primo posto di blocco ci sconsigliano di proseguire seguendo la pista per Banankoro. C’è proprio una pista che dal villaggio che abbiamo appena attraversato, ad un paio di chilometri da qui, porta direttamente a Kangaba . Seguendo alla lettera le indicazioni giriamo a destra proprio all’altezza del villaggio sulla stretta stradina costeggiata dalle bellissime abitazioni cilindriche di argilla coperte con il caratteristico tetto a cono di paglia e legno. Davanti alle case, leggermente defilati , vediamo dei piccoli forni cilindrici di argilla, sono aperti in alto e servono per la tostatura dei semi del karitè …dai quali poi si farà il famoso burro. Oltre il villaggio si apre la pista di terra rossa che attraversa la brousse verso Est. Ai bordi i caratteristici termitai a fungo, gli alberi delle tipologie più svariate, ma nessun altro essere umano nei 33 km. che ci conducono alla meta….solo un ragazzo in bicicletta ed un uomo che cammina accanto ad un bue. Attraversiamo anche un paio di villaggi sperduti, dove l’HIV deve essere un problema serio a giudicare dai grandi cartelli che inneggiano all’uso del preservativo. Strano vederli qui tra queste capanne, dove tutto sembra immobile a parte i bambini che corrono seminudi tra la polvere. Che fascino questi luoghi e che felicità essere qui ad assaporarli, anche solo per un istante. Intanto il sole calante allunga le poche ombre sulla nostra strada e restituisce al paesaggio la sua atmosfera più magica. Quando arriviamo a Kangaba, un villaggio sacro, è già quasi sera. Ci guardiamo attorno  alla ricerca di qualcosa…ma cosa? Leggiamo un cartello che pubblicizza un hotel…sembra incredibile che ne esista uno in questo villaggio sperduto….incredibile ma vero! Lo raggiungiamo grazie ad un ragazzino che si offre di accompagnarci…ed eccolo, l’hotel più scassato di cui abbia memoria e la notizia strana è che tutte le camere sono occupate…che sollievo! C’è il ministro del turismo con tutta la delegazione al seguito ci comunica il giovane gestore…e rifiuta anche la nostra proposta di campeggiare nel cortile di pertinenza, utilizzando il loro bagno pubblico. Addirittura si inventa una storia….dice che con il ministro ci saranno anche gli agenti segreti …e lui non vuole casini con noi in tenda nel cortile….problemi di sicurezza?! ….non vorrebbe dover essere costretto a chiudere l’attività per via della nostra presenza lì….Che fantasia questi maliani. Ma quale ministro! Le camere, scopriamo poi, sono occupate da ragazzi e ragazze arrivati da Bamako in occasione della fiera Mandì che inizierà domani. Ma che sciocco questo gestore…scomodare addirittura il ministro. Usciamo dall’hotel dopo una birra consumata nel tavolino della pista da ballo all’aperto che già spara musica a tutto volume. Passando davanti alla gendarmeria a Vanni viene l’idea di chiedere se possiamo campeggiare lì. Come sempre ci viene indicato il capo, il Maggiore Djibrillo Maiga, comandante della brigata di Kangaba ( 6144991 – 6762560) che ci si rivolge con una gentilezza e pacatezza davvero esemplari. Gli spieghiamo che dobbiamo trovare un posto dove fermarci con la tenda per dormire…un posto che sia sicuro per noi, e dove non essere d’impaccio a nessuno. Ci consiglia di andare alla spiaggia, in riva al Niger, vicinissima al paese. Addirittura ci accompagna a vedere il posto salendo in auto con il suo piccolo Mohamed di quattro anni. Nonostante il posto sia davvero incantevole vanni non ne vuole sapere….troppo isolato ed esposto a rischi di ogni genere. Torniamo quindi alla gendarmeria dove ci congediamo dal comandante ringraziandolo per l’offerta di accomodarci senza problemi nello spiazzo antistante la gendarmeria, che accetteremo, e per la cortesia concessaci. Certo dormiremo tranquilli questa notte….col machete in auto ed i gendarmi a due passi…ma il bagno?…dovremo fare in qualche altro modo, cioè senza! Dopo il sopralluogo nello spiazzo torniamo in hotel per la cena….è l’unico ristorante qui. Ci accomodiamo di nuovo al nostro tavolino in pista dove consumiamo la nostra cena con accompagnamento di musica africana, bella ma a tutto volume! Siccome siamo bianchi ci vengono date le posate e due tozzi di pane. La cena è semplice ma saporita e presto l’atmosfera si anima del ballo di un gruppo di ragazze arrivate per tempo da Bamako. Non resisto, ed anche se sono ancora debilitata mi faccio prendere dal ritmo e sulle note del noto musicista maliano Mangala Camara, mi unisco al gruppetto disposto a cerchio e ballo con loro. Sono simpaticissime, mi prendono in mezzo, mi imitano…insomma ci divertiamo. Del ministro ed i suoi agenti segreti nemmeno l’ombra….ma si sa, loro se ne stanno ben nascosti! In tenda c’è un caldo torrido ed il gendarme di guardia che guarda la tv, fuori dalla porta, a pochi metri da noi, tiene il volume altissimo…ma poi ci addormentiamo.

23  Febbraio 2008

KANGABA – BAMAKO

Mi sveglio tardissimo, dopo che Vanni si è già preparato il Nescafè nella bottiglia dell’acqua….ma per la colazione vera andiamo in hotel dopo un cordiale saluto al comandante Djibrillo e la sua piccola truppa. Un tè nero , un altro Nescafé caldo per Vanni ed un pezzo di pane…c’est tout! La marmellata qui non c’è. Mentre banchettiamo arriva un ragazzo già visto ieri sera, ci saluta e molto gentilmente ci chiede come abbiamo risolto il problema del nostro pernottamento…è il DJ che animerà la festa di oggi, sorridente e dall’aria sveglia. Ne approfitto per chiedergli un consiglio su eventuali cd da comprare, la musica di ieri sera mi piaceva molto, quindi ecco i suoi preferiti: Fodebaro ( musicista della Guinea ), Ali Farka Tourè ( il cd edito dal figlio che contiene una sua raccolta dal titolo “ vieux Ali Farka Touré”), Mangala Camara ( musicista maliano) EMI. Li troverò nei negozi del quartiere Debanane di Bamako.  Ma abbiamo ancora qualcosa da fare prima di rientrare in capitale, per esempio ….tornare sul fiume per vederlo in pieno sole e poi andare a vedere ciò per cui questo paese è famoso, la sua Casa Sacrée. Seguendo il lungo sentiero alberato che porta la fiume incrociamo un gran numero di carretti, pedoni e muli che preannunciano il grande fermento di attività che vi troveremo. Infatti ecco i pescatori lanciare le reti circolari dalla prua delle loro piroghe scure ed affusolate, altri costruiscono reti seduti sulla spiaggia, altri ancora aspettano sotto una tettoia di stuoie che arrivi la pinasse ( una piroga un po’ più grande) a prenderli per  traghettare sull’altra riva. Poi ci sono le immancabili lavandaie che piegate a 90° e con le gonne alzate oltre il ginocchio lavano e quindi stendono sulla sabbia ad asciugare, molti metri quadrati di bucato. Nel quadretto non mancano certo i bambini, sempre inseparabili dalle loro madri fanno ciò che tutti i bambini fanno in queste occasioni….sguazzano ridenti nell’acqua.  Intanto la pinasse arriva carica di persone, motorini e biciclette che vengono scaricate a forza di braccia…e qui le braccia non mancano mai per aiutare qualcuno! Per curiosità chiedo al costruttore di reti  quali pesci si pescano qui e lui risponde che ce ne sono di due tipi, il Capitain e la carpa. Vicino all’incrocio con la strada per Bamako ci fermiamo per la visita alla Casa Sacrée  di Kangaba. Patria dei miti e degli eroi dell’Africa occidentale, quello che ora è solo un grande villaggio fu un tempo la culla dell’antico impero del Mali, dove leggenda e magia si fondono. L’epicentro di questo patrimonio di tradizioni e conoscenza  è la Casa Sacrée, al centro del paese e sotto gli occhi di tutti. Piccolo edificio circolare intonacato e colorato di un indefinibile colore chiaro. Alcuni disegni colorati ne vivacizzano il perimetro, saranno senz’altro il simbolo di qualcosa penso io….due porte murate proteggono i misteri che questa casa contiene, mentre un tetto di paglia a cono ne fa da coronamento. Ogni sette anni si riuniscono qui i cantastorie provenienti dal sud per officiare il rito della manutenzione del tetto. Si dice che i due più puri tra le persone coinvolte nel lavoro, un uomo ed una donna, si impegnino in quella circostanza , con la sola forza delle loro formule magiche a sollevare il grande cono ed a posarlo delicatamente a terra, dove finalmente inizia il restauro. Una storia incredibile…vorrei proprio vederli questi due fenomeni! La poesia e la magia di questo luogo scema un po’ quando un bambino che mi vede fotografare mi suggerisce di raggiungere un gruppo di anziani lì vicino che mi indica puntando il manico della sua vanga. Sono i custodi della Casa, tre fannulloni  seduti all’ombra di una tettoia antistante un piccolo emporio. Salta fuori che se voglio scattare foto devo scucire 2500 CFA, sembrava strano che fosse gratuito! Ci liberiamo a fatica del gruppetto di mocciosi che improvvisandosi modelli sbucavano sempre davanti al mio obiettivo per poi volersi rivedere sul display della macchina fotografica…deliziosi…. Raggiungiamo Bamako dopo circa tre ore di pista un po’ dissestata, 90 i chilometri percorsi, dopodiché troviamo con facilità la strada che porta all’hotel Rabelais….ormai siamo di casa qui in capitale! Già che ci siamo andiamo in clinica a ritirare il mio primo referto della malaria che per fortuna è negativo. Mentre io riposo al fresco della nostra camera Vanni scende a dirigere i lavori di pulizia di Gazelle e di disinfestazione della tenda che questa notte era piena di zanzare. Questa sera l’aria densa della città odora di fogna. L’odore è ovunque, anche nei luoghi sigillati come la nostra camera dove passa filtrato dall’impianto di condizionamento. Quando usciamo per andare al nostro Pirates per la cena, una foschia fitta, forse polvere, rende le strade quasi spettrali…insomma non un granché questa capitale. Stesso tavolo, stessa cortesia,  ordiniamo gli stessi piatti dell’altra volta…più abituée di così ! Ottimi sia il potage di verdure che il filetto di bue. Tanto per rimarcare il fatto che siamo degli incredibili abitudinari Vanni offre anche questa sera un drink ai musicisti, sono tre ed un po’ fiacchi….ma poi inseriamo una piccola variazione chiedendo al proprietario l’indirizzo dell’artista autore delle sculture al piano terra. E’ Raoul, un cubano che però non ci raggiunge in tempi brevi, tanto vale ricontattarlo al nostro ritorno qui tra una ventina di giorni.

24 Febbraio 2008

BAMAKO – SEGOU

Lasciamo il Rabelais verso le 10 diretti a Segou, città popolosa che si affaccia sul fiume Niger a sud-est di Bamako. Attraversiamo il grande ponte des Martyrs e dopo qualche chilometro ci inseriamo nella grande arteria che attraversa tutto il Mali fino a Gao, sul confine con il Niger. Siamo ancora nella brousse che qui sembra ancora più secca…per il colore giallo acceso dell’erba alta. Attraversiamo molti villaggi animati dagli immancabili mercati affollati e coloratissimi, poi ci fermiamo di colpo nei pressi di un centro abitato. Abbiamo finalmente visto uno di quei forni cilindrici di argilla pieno delle noci di karité  dalle quali si estrae il burro. Appena ci avviciniamo arriva il padrone di casa, un ragazzone alto e sorridente che ci conferma la nostra ipotesi, sono davvero le noci di karaté…e non solo, ci porta anche all’interno della sua “concessione”, il terreno di pertinenza sul quale affacciano disposti sul perimetro i piccoli edifici, ovvero le stanze della casa. Al centro c’è lo spazio vitale della casa, il cortile, nel quale si svolgono tutte le attività all’aperto della famiglia e qui occupato in parte da tre stupendi granai a fungo, pieni di miglio ed arachidi dice lui,  oltre alle decine di pentoloni, bacinelle e mortai sparsi a terra. Un’anziana signora seduta all’ombra di una tettoia e circondata di pentolini ci saluta e ci invita a raggiungerla. Ha in mano un contenitore di plastica pieno di burro di karaté appena fatto.  Lo mangiano loro questo burro, ci dice il ragazzone, e lo usano anche come medicinale, ma non specifica oltre. Inizia invece a raccontare la lunga procedura da seguire per farlo, che partendo dal frutto, grande quanto un’albicocca e dalla polpa bianca e burrosa, si concentra poi sul suo seme che cotto nei forni che abbiamo visto perde così la scorza legnosa. I semi vengono poi macinati a forza di braccia nei mortai, quindi si amalgama  questa farina con acqua bollente per ottenere una pasta scura che verrà ancora  rimescolata  con le mani  aggiungendo acqua finché essa cambia colore e diventa bianca. Allora si farà riscaldare nei pentoloni e dalla schiuma di bollitura si otterrà finalmente il burro….ma che bella lezione quella di oggi! Chissà se Rebecca conosce tutta la trafila che c’è dietro al prodotto finito che lei commercializza in Italia! Ci congediamo dalla gentile famigliola lasciando una piccola mancia non so quanto gradita. Continuiamo a viaggiare lungo la strada  per Segou  tra la paglia gialla della brousse disseminata di alberi di ogni forma e dimensione, qua e là villaggi di argilla con i bellissimi granai a fungo, poi una decina di chilometri prima della città, fermi ad un posto di blocco, chiediamo al poliziotto dove inizia la pista per Segou Koro, l’antica capitale del grande e potente regno Bambara, il cui fondatore Biton Mamary Coulibaly regnò tra il 1712 ed il 1755. – La pista inizia proprio dietro la prima bancarella sul bordo strada alla nostra sinistra, là dove ci sono quelle pecore che brucano sulla spazzatura – risponde il poliziotto. Che fortuna esserci fermati proprio qui! Raggiungiamo quello che è ormai solo un grande villaggio percorrendo una stretta pista che dalla statale si spinge verso il fiume, ed ecco le prime case di argilla, i granai, poi il centro abitato che percorriamo per un breve tratto prima di essere agganciati da un paio di ragazzi che si propongono come guide. Proprio quello che ci vuole…ci sono tre o quattro cose interessanti da vedere qui e se loro ci accompagneranno noi ci risparmieremo la fatica di cercarle. La tassa è obbligatoria, 2500 + 2500, più quello che riterremo di voler dare alla guida per il disturbo. Gazelle rimarrà custodita da uno dei due sotto l’unico albero della piazza, mentre noi ci incamminiamo sotto il sole cocente del primo pomeriggio. Vanni come in un gioco di prestigio estrae dal fondo del sedile posteriore un ombrello mai visto prima, forse dimenticato dal precedente proprietario….è proprio quello che ci vuole…. affrontare questi 40°C  con il comfort  dell’ombra. Andiamo. Il villaggio sembra deserto, ma poi vediamo dove sono tutti…in riva al fiume a godersi l’ombra dei grandi alberi frondosi oppure direttamente a bagno nell’acqua fresca del Niger . Queste case sono le prime che vediamo in stile Bambara, dalle caratteristiche forme arrotondate, come per l’effetto del dilavamento degli intonaci che sono realizzati con il banco, un miscuglio di fango, crusca di riso ed i residui della lavorazione del burro di Karitè , tanto per aumentarne l’impermeabilità. Gli intonaci sono stesi a mano, cioè proprio con le mani….se ne vedono le impronte delle dita lasciate nei movimenti circolari della messa in opera. Ci sono un paio di belle moschee qui. I contrafforti sono a lesena e sporgono in alto oltre il limite dei muri perimetrali con forme arrotondate appunto, come gelati a stecco già un po’ succhiati. La cosa divertente è che per necessità il coronamento in cima ai minareti è costituito da bellissime uova di struzzo anziché  le sfere d’oro caratteristiche dell’architettura sacra araba. Andiamo anche a visitare una piccola scuola cranica con le caratteristiche tavolette di legno a forma di preghiera sulle quali sono scritti in arabo i versetti coranici. Vanni ne afferra una e posa per me….sembra un angioletto quando lo inquadro sul display! Andiamo poi alla tomba del fondatore, il mitico Biton, animista convinto e che non vedeva di buon occhio le moschee che sua madre convertitasi aveva fatto costruire…..queste madri! Lasciamo infine il villaggio percorrendo a ritroso la pista fino alla nazionale, poi gli ultimi dieci chilometri fino alla piacevole Segou dove troviamo una camera all’hotel Djoliba che gestito da tedeschi sembra la scelta migliore in città. L’hotel è ombroso e pulito, per non parlare del duplice effetto del condizionatore e ventilatore a pala …alla vista dei quali Vanni va in brodo di giuggiole. Riposo fino al tramonto gestendomi tra la camera ed il pergolato mentre il mio amore esce a socializzare ed a sondare un po’ il terreno, ma al tramonto, quando raggiungiamo insieme la riva del fiume ci si spalanca un mondo nuovo ed affascinante. Stiamo sul moletto ad osservare i preparativi per il mercato di domani come incantati dal fermento inarrestabile di pinasse e piroghe in arrivo ed in partenza. Sono piene di merci e persone. L’acqua della riva e’ tutto un ribollire di corpi umani ed animali. C’è chi scarica le merci dalla cima delle pinasse, chi dirige i lavori, chi afferra bacinelle o scatoloni, o ceste piene di cose. Ci sono i muli, nell’acqua alta fino alla pancia in attesa che i loro carretti vengano riempiti, chi scarica pezzi di legno secco, o un letto matrimoniale smontato….la  processione delle merci va verso la spiaggia vicinissima e già affollata di gente e contenitori….una meraviglia, per di più accompagnata da quel piccolo miracolo che si ripete ogni sera, il tramonto. Ancora incantati dallo spettacolo continuiamo la passeggiata lungo il fiume, tra le belle architetture di argilla colore rosso acceso mentre pensiamo… che bel posto è Segou la domenica sera!  Ceniamo al ristorante di fronte all’hotel  dove ci ha consigliato di andare il referente di Vanni, un giovane ragazzo rasta carino e preparato, ma che vuole rifilarci una guida a 100 € al giorno per la visita dei paesi Dogon. C’è musica dal vivo questa sera qui al ristorante…e che musica! Quattro suonatori di calebasses utilizzate per costituire quattro diversi strumenti musicali…..cosa non riescono a fare con queste zucche! Accompagnano la nostra cena mediocre con suoni e canti paradisiaci…è la musica Bambara il cui canto racconta di storie d’amore…e di sesso, a giudicare dai risolini che a tratti increspano le labbra dei cantanti e dei locali che ci capiscono qualcosa…che soavi melodie!

25 Febbraio 2008

SEGOU – DJENNE

Ci svegliamo presto e andiamo subito al mercato dove tinozze di pesce secco e sacchi di granaglie , pentole di latta e collane di perline unitamente alle verdure tutte e l’immancabile frutta rendono pittoreschi gli spazi deserti di ieri sera . Certo la bellezza dei preparativi alla luce del tramonto rimane insuperata. Lasciamo gli odori intensi del mercato per intraprendere il viaggio di circa 300 km  verso Djenne. Attraversato il fiume Bani, un affluente del Niger,  eccoci in territorio Bobo, altra etnia, altra cultura. La differenza più evidente per noi che passiamo tra i villaggi in auto è nella collocazione dei granai, mentre nei villaggi Bambara ogni “concessione” (unità abitativa) ha al suo interno i granai della famiglia, i Bobo hanno tutti i granai raggruppati in un unico punto del villaggio perché considerati un bene della collettività che in quanto tale deve essere difeso da tutti…differenza profonda e culturalmente rilevante. Siamo quasi arrivati a Djenne quando lasciamo la statale e seguendo l’indicazione che non lascia spazio a dubbi deviamo a sinistra dirigendoci nuovamente verso il fiume. Al posto di blocco subito dopo la deviazione paghiamo il biglietto di ingresso in città, un obolo di 1000 CFA a testa…per il restauro della moschea ci dicono…per la quale la città è diventata famosa nel mondo. Proseguiamo verso il delta interno del Niger diretti all’isola sulla quale sorge la “regina del delta” come è stata da tempo soprannominata, la bellissima Djenne. Attraversiamo le  fertili pianure ora in secca, piene di mandrie al pascolo. Il vederle rimanda ad un’idea di abbondanza e ricchezza che mi da un senso di grande sollievo…finalmente mi abbandona il senso di colpa evidentemente latente legato al fatto che io posso mangiare tutti i giorni…non me ne ero mai resa conto fino ad ora, .troppo sensibile?….E’ senz’altro così, ma così è! Arriviamo al fiume Bani dopo aver attraversato alcuni paesini Bobo e Pehul  con belle e piccole moschee in stile sudanese, sempre caratterizzate da linee morbide ed arrotondate come a suggerire l’ erosione delle piogge che arriveranno puntuali nei mesi di luglio e agosto. Le pareti esterne sono punteggiate di bastoni lignei  conficcati nella muratura….è una caratteristica stilistica forte questa e legata ad un problema pratico oltre che strutturale. Da un lato i bastoni in aggetto servono ad irrobustire i muri portanti, dall’altra fungono da impalcatura agevolando le operazioni di intonacatura che avvengono ogni anno. Arriviamo al fiume e con la solita fortuna saliamo sul Bac (traghetto) che è appena arrivato. Dietro di noi un carretto trainato da una coppia di asini è pieno di merce …sarà senz’altro un ritardatario che si reca al mercato del lunedì. Sul Bac oltre a turisti e locali a piedi o in bicicletta ci sono anche una serie di venditori di souvenir che propongono oltre alle collanine e ninnoli vari anche delle incredibili automobiline costruite piegando il metallo delle scatole di conserva o delle lattine di bibite…è proprio vero che qui in Africa nulla si perde, ma tutto si trasforma! Djenne ci appare subito dopo il ponticello, i contorni resi indefiniti dalla calura, le case del colore della terra. La terra è ovunque, anche nell’aria, sollevata dal movimento incessante generato dal grande mercato che occupa la piazza antistante la moschea, quest’ultima di una bellezza sorprendente. Ci facciamo largo su Gazelle tra la folla in lento movimento che intasa la strada tangente la piazza. Certo abbiamo un bel problema….al telefono con l’hotel Le Maafir, il migliore qui, anche questa mattina mi hanno confermato che non hanno stanze libere…. e nemmeno negli altri hotel della città si trova qualcosa. Che guaio! Sull’isola per di più non ci sono spazi dove campeggiare, stipata com’è di case. Vanni insiste di voler andare  al Le Maafir a controllare se davvero è pieno ed io che  trovo l’idea nient’altro che una perdita di tempo lo guardo con l’aria un po’ seccata …..ma poi la camera libera ha dato ragione alla sua ostinazione. Vanni ha spesso delle intuizioni geniali, ed una grande dose di fortuna che un po’ gli invidio. Un paio di turisti, ci dice il proprietario come per giustificarsi, hanno telefonato per disdire e così la camera n° 1 è nostra. Piccola ma fresca e con bagno…praticamente un regalo! L’hotel è ad un solo piano e si sviluppa  attorno ad un giardino dove i pochi alberi stanno ancora crescendo. E’ costruito in terra cruda ricoperta di “banco” secondo la tradizione locale, alcune camere si affacciano sul giardino attraverso piccoli loggiati  a nicchia con archi ad ogiva. Sui muri grigi di terra risaltano le cornici bianche delle porte  e delle finestre. Gli uccellini cantano svolazzanti ed i lucertoloni variopinti nei colori rosso blu e bianco prendono il sole aggrappati ai muri. Rimaniamo un po’ seduti  sulle poltroncine di vimini al centro del giardino, tanto per lasciare il tempo al calore di sbollire un po’. Mentre siamo lì a scrivere e a guardare i lucertoloni ci rendiamo subito conto di essere circondati da italiani. E’ un viaggio organizzato da KEL 12, sono tutti un po’ attempati a parte il loro accompagnatore di origine libanese ma che vive a Bamako, Ismail. Belloccio e  simpatico finisce col dare a Vanni un sacco di preziose indicazioni sulle mete che raggiungeremo nei prossimi giorni….numeri di telefono di guide da contattare, sia per i paesi Dogon che per il deserto a nord di Timbuctu, i migliori hotel dove soggiornare. Rimaniamo bloccati in hotel per il caldo insopportabile fino alle diciotto, poi usciamo per un giro di perlustrazione nella piazza dove il mercato inizia a sfaldarsi…vista l’ora. E’ tutto un movimento di carretti carichi e scatoloni che passano da un posto ad un altro. La moschea con la sua mole imponente ed i minareti sembra modellata dall’acqua. Saliamo sulla terrazza di fronte, parzialmente ombreggiata da un riparo di stuoie, da qui la vista della piazza e della moschea in controluce è splendida. Per salire siamo passati dentro la cucina  in piena attività di un’abitazione, mentre i bambini piccoli volevano a tutti i costi prenderci per mano. Sono un amore, con quella pelle che sembra velluto e gli occhi sempre sorridenti. Saliamo brevi rampe di scalini in muratura, larghe poco più delle nostre spalle e con alzate impegnative, ma poi eccoci di fronte alla spettacolare vista della piazza ancora in grande fermento e della moschea trafitta di bastoni. Rimaniamo giusto il tempo di vedere calare il sole dietro la moschea, poi torniamo sui nostri passi e ci fermiamo un attimo dal sarto a poche decine di metri dall’hotel. E’ un ragazzo giovane che confeziona abiti con la sua vecchia Singer a pedale, un pezzo da museo, e che sembra sapere il fatto suo. Mi accordo sulla riparazione dei miei pantaloni dipinti a mano presi a Segou ieri….sono troppo larghi. Dopo qualche minuti torno con i pantaloni recuperati in camera, gli spiego come fare, ma ad ogni parola ribatte con un – è il mio lavoro – inutile parlarne ancora….si ma lui non vuole nemmeno prendermi una misura! Torno in hotel, dove Vanni, gentile come sempre e grato di poter fare finalmente una bella chiacchierata in italiano con qualcuno che non sia io, sta organizzando uno spuntino a base di formaggio grana per il gruppetto di Italiani…E’ un successo…non solo per il formaggio che gradiscono, ma anche per i racconti dei nostri viaggi che Vanni  profonde con generosità. Il cielo è pieno di stelle quando ci accomodiamo in giardino per la cena,  poi stremati dal sesso e dal caldo sveniamo sotto la zanzariera del nostro letto appena increspata dal ventilatore.

26 Febbraio 2008

DJENNE

Ci trasferiamo dalla camera 1 alla numero 12 che è più grande e con aria condizionata…con il caldo che fa suona come una promozione! Ci prendiamo il nostro tempo per qualche coccola ancora, poi usciamo prima che il calore renda difficile qualsiasi movimento. La piazza oggi è quasi deserta senza il mercato ad animarla, ed anche nelle stradine lungo le quali camminiamo  si respira una quiete da the day after. E’ bella Djenne, con le sue antiche case di fango decorate in alto con merlature liquefatte ed i volumi delle case che si compenetrano alla rinfusa creando dei bei chiaroscuri. Ogni casa si sviluppa su uno o due piani ed ha un suo cortile interno sul quale affacciano le stanze e dove riposano capre e muli. La terrazza è su ogni tetto, per il fresco notturno e per l’essiccazione delle granaglie e del bucato, vi si accede da strette scalette che si incastrano tra i volumi miracolosamente salde nella loro struttura di argilla cruda. Le più antiche hanno facciate decorate da lesene terminanti in merlature arrotondate, tra queste alcune hanno la porta d’ingresso protetta da un piccolo riparo ricavato dalla spanciatura del muro che piega come arricciandosi verso l’esterno. La pace di oggi è impagabile, il lavoro del sarto perfetto….più tardi gli porterò ancora un po’ di lavoro da fare. Quando il sole inizia a scendere verso l’orizzonte usciamo di nuovo dalla nostra zanzariera bianca immersa nel bianco delle pareti passate a calce. Solo ora noto il soffitto che si articola in un paio di livelli, come due gradini dal profilo arrotondato alti circa 20 cm l’uno, a formare il più esterno un rombo con gli angoli arrotondati, il secondo più interno una sorta di otto…risultato, sembra una grande vagina spalancata. Per le strade della città ancora il silenzio del lavoro dei pochi artigiani protetti nelle loro stanze al piano terra. I bambini sono i veri protagonisti delle strade oggi, e della piazza che si è trasformata in un campo di calcio. Non si muove una bava d’aria e pian piano la polvere sale dalle strade di terra creando una sorta di densa foschia….irrespirabile. Torniamo in hotel giusto in tempo per l’ennesimo black out  che non si risolve, fumiamo una sigaretta al buio e poi, armati delle nostre torce torniamo verso la piazza illuminata, solo in parte dalla luce fioca di qualche neon sparso qua e la in modo casuale. La quasi totale assenza di luce pubblica ci regala in compenso un cielo stellato favoloso ad ogni alzata di capo. La maggior parte delle persone che affollano le strade a quest’ora camminano nel buio incuranti …evidentemente non temono di infilare un piede in un qualche rigagnolo di scarico o sulla spazzatura…la città è bella ma primordiale e le fognature tombate sono state fatte solo in un paio di quartieri, troppo pochi per poter camminare sereni al buio con un paio di sandolini come i miei! Poco oltre la piazza entriamo nel ristorante “Chez Baba” dove si può bere birra e dove oggi passando di qua avevo richiesto per me una omelette che qui non è abitudine mangiare. Rifiutandomi di mangiare polli qui può essere problematico trovare una alternativa. Comodamente seduti nel cortile del ristorante mangiamo le nostre omelettes accompagnate da fagiolini strepitosi e per i quali chiedo di poter intervistare il cuoco….per cercare di carpirne il segreto. Ousmane Barry arriva poco dopo al nostro tavolo. E’ giovanissimo, gentile e disponibile, iniziamo a chiacchierare di fagiolini ed altro, poi finisce col raccontarci la storia della sua carriera di cuoco iniziata qui da Baba sette anni fa. Vorrebbe mettersi in proprio naturalmente, visti i suoi successi con i clienti….noi intanto pensiamo che qui a Djenne manca proprio una gelateria. Il latte qui non manca e nemmeno i turisti. Diamo un appuntamento a Ousmane in hotel domani mattina per uno scambio di indirizzi e gli promettiamo che a dicembre gli porteremo una gelatiera…tanto per provare come viene! Dimenticavo dei fagiolini col pomodoro, che si fanno cucinare con un bicchiere d’acqua, olio, pomodoro fresco e cipolla. Si uniscono poi un dado ed una foglia di alloro.

27 Febbraio 2008

DJENNE – MOPTI

Consumiamo la nostra colazione in giardino in compagnia del cuoco, Ousmane, che ha pazientemente aspettato che ci svegliassimo. I nostri buoni propositi di alzarci presto sono stati anche oggi del tutto disattesi e così l’appuntamento delle otto è diventato delle nove in tacito accordo tra me e Vanni. Arriviamo a Mopti nella canicola del mezzogiorno e ne rimaniamo inizialmente un po’ delusi…la cittadina certo non colpisce per la sua bellezza soprattutto ad un primo superficiale approccio, a differenza della città che abbiamo appena lasciata, la regina del Delta. Anche Mopti è una città del Delta del Niger, importante perché in posizione strategica tra Djenne, i paesi Dogon e Timbuctu, nonché punto di partenza privilegiato per le escursioni in piroga che noi però rimanderemo al prossimo dicembre, quando il fiume in piena renderà tutto più scorrevole e ci eviterà di dover percorrere a piedi  lunghi tratti di fondali emersi. Qui in città  troviamo posto all’hotel “ Y a pas de problème “, una chicca con terrazza ombreggiata, piscina, decori etnici sparsi un po’ ovunque e per di più piuttosto economica. Il costo di 25.000 CFA per la nostra camera con aria condizionata, zanzariera e saponcini fatti a mano a base di burro di karité nella doccia, ci sembra del tutto onesto. Poco dopo la sistemazione in camera usciamo in missione alla ricerca di un bancomat che accetti la Visa.  Lo troviamo ma è fuori servizio, ci incoraggia l’ottimismo del direttore che non dispera e che ci conferma che da un momento all’altro potrebbe rientrare in servizio, aspetta una telefonata di ok quando la connessione sarà ripristinata…mah! Un tour nella città vecchia che occupa un’intera piccola isola ci fa un po’ rimpiangere Djenne…nessun edificio ci sembra di particolare interesse ed il tessuto urbano è discontinuo per la presenza di molti edifici di recente costruzione e di nessun pregio estetico se non la moschea anch’essa recentemente realizzata in stile sudanese, praticamente una copia in piccolo di quella mitica di Djenne.  Andiamo finalmente al Bar Bozo che affacciandosi sul porto rappresenta il miglior punto di osservazione di tutto il fermento legato alle attività di scambio e di trasporto. Avvicinarsi in auto sembra una missione impossibile da portare a termine, ma Vanni non demorde anche se sembra infinito il tempo che trascorriamo a schivare le odorose ceste di pesce secco, i carretti pieni e vuoti  e le persone stesse portatrici ognuna di qualcosa dentro a catini in precario equilibrio sulle loro teste o in pacchetti e scatoloni a mano. Arriviamo…..quasi portati dal movimento osmotico delle cose e dei corpi, e ci fermiamo a due passi dal Bar Bozo, praticamente una istituzione qui ed importante trait d’union tra i turisti ed i venditori locali che dalla banchina sotto la terrazza mostrano i loro prodotti artigianali e trattano a gesti sul prezzo. Osservandoli e trattando a mia volta per un acquisto imparo che le due mani giunte significano 10.000, la mano aperta 5.000. Faccio il mio acquisto divertendomi come una matta. Il mio interlocutore è uno spasso e poco dopo aver incassato lo vedo stendersi felice su di una stuoia  sulla banchina, accanto al suo radiolone acceso ed una motoretta. Gesticola ancora per dirmi che è felice e che con la sola vendita a me potrà riposare per il resto della giornata. Ridiamo insieme anche se separati dall’alto muro della terrazza…ma che importa…le risate arrivano comunque ed anche l’obiettivo della mia Lumix. Che soddisfazione aver reso felice qualcuno! Scatta l’amore per Mopti….finalmente qui sul porto tutto il fascino della città ci si mostra nel suo incasinato e puzzolente splendore. Sono centinaia le piroghe ormaggiate lungo il fiume Bani e non mancano le pinasse, più grandi ed a motore….spesso abitate. Proprio qui sotto di noi decine di piroghe in movimento sono spinte da “gondolieri” provetti che affondano le lunghe pertiche nella melma sul fondo e cosa lodevole lo fanno senza cantare “O sole mio”. Portano merci ma soprattutto persone, provenienti da chissà quali villaggi, qui sulle rive della piccola darsena. Bar, ristorante e teatro, questo è il Bozo. Rimaniamo ancora un po’ a goderci lo spettacolo dell’andirivieni e delle piroghe in sosta, unite a ventaglio a gruppi di sei o sette, le prue come incollate le une alle altre, poi andiamo alla fabbrica delle piroghe qui di fianco, un’altra cosa da non perdere! Lastre di legno spesse non più di 3 o 4 centimetri  sono unite tra loro a creare le superfici disegnate della carena della piroga con il solo utilizzo di chiodi ribattuti, ecco spiegato il motivo di tutti quei pitalini d’acqua buttati continuamente all’esterno dai passeggeri delle piroghe in movimento! Una volta realizzato il fondo vengono sistemati ai due estremi gli elementi di raccordo a punta, quindi i fianchi e gli elementi trasversali che fissano la forma compiuta. La cosa più incredibile è la preparazione dei chiodi e degli altri strumenti di ferro che consentono di lavorare il legno all’interno del cantiere. Vengono fatte scaldare pezzi arrotolati di scatolette alimentari, per esempio di pomodori o sardine o altro. Messe tra le braci mantenute roventi da un sistema di pompaggio dell’aria azionato facendo ruotare il pedale di una ruota di bicicletta, vengono poi battute a martello dai forgeron. Il risultato?  Chiodi perfetti! Torniamo alla terrazza del Bozo per goderci ancora un po’ di spettacolo. In lontananza sulla riva opposta del fiume intravediamo le capanne dei pescatori Bozo. Sono capanne provvisorie di paglia modellata a forma di igloo e disposte in ordine casuale sulle lingue di terra ora emerse. I pescatori Bozo praticano il nomadismo sulle isole del delta in cerca di acque sempre più pescose….li vediamo arrivare sulle loro piroghe piene di ceste di pesce secco. Quando il tramonto và scemando è già ora di tornare in hotel , ma non sarà facile uscire da questo casino. Vanni allunga una mancia al ragazzino muto che ha custodito Gazelle, e’ aiutato da un piccolino dotato di favella che rappresenta la sua voce, e che arriva da me in lacrime…il muto non vuole dividere con lui la mancia ed è necessario il mio intervento per convincerlo. Un paio di parole al muto ed ecco un bel sorriso apparire sul viso del piccolino finalmente legittimato a dividere il piccolo tesoro. Ci rituffiamo tra le ceste odorose di mercanzie, i carretti e le piccole cucine improvvisate a terra dove alcune signore sollevano profumate frittelle sferiche dai loro paioli pieni d’olio. Riconquistiamo la strada maestra ancora incasinata ma più scorrevole e dopo una breve sosta per ammirare le lastre di sale che arrivano da Taoudenni nel cuore del Sahara, raggiungiamo la terrazza dell’hotel per la cena. Zuppa di legumi e filetto di Capitain, il pesce del Niger, non si può sbagliare, è ottimo.

28 Febbraio 2008

MOPTI – SONGHO – SANGA

A poco più di 100 km. da Mopti che lasciamo nel grande fermento del mercato del giovedì, eccoci arrivare in territorio Dogon, con Songho che ne rappresenta l’avamposto sulla valle. Bello, bellissimo con i suoi stupendi granai costruiti in banco. Certo molto turistico e con la presenza insopportabile di bambini questuanti un cadeau o un bon bon. Andiamo con la nostra guida che ci spiega nei dettagli le particolarità del villaggio e più in generale della cultura Dogon. I granai ad esempio, che ad uno sguardo superficiale possono sembrare tutti uguali, sono maschili e femminili. I primi sono più alti e con il tetto di paglia a cono, hanno tre aperture ed all’interno sono divisi in due parti, una riempita di miglio, l’altra di sorgo. Quello femminile è più basso e coronato da una specie di cupola ribassata. Ha una sola apertura e l’interno è diviso in quattro settori nei quali vengono riposti gli strumenti della cucina ed i gioielli. Accanto al granaio maschile c’è sempre quello femminile….il numero tre è il numero maschile che si riferisce all’organo sessuale così come il quattro è quello delle grandi e piccole labbra dell’organo femminile. Cinque sono le famiglie del villaggio ma ci sono quattro quartieri e tre moschee. Insomma tutta la cultura Dogon di origine animista è permeata dal dualismo maschio femmina che si riflette in ogni cosa, anche nella struttura degli insediamenti. La scuola è stata costruita dagli italiani, l’ospedale dai tedeschi, loro non organizzano nemmeno lo smaltimento dei rifiuti del quale sembra si stia occupando un’altra organizzazione internazionale. Le donne filano il cotone ed i maschi lo tessono su piccoli telai a mano creando lunghe strisce di tessuto bianco. Le donne si dedicano all’approvvigionamento dell’acqua dai pozzi non sempre vicini ai villaggi, gli uomini costruiscono le case ed in autunno si dedicano alla raccolta del miglio. Elemento caratteristico di ogni villaggio è il Togu Na, ovvero il luogo della parola, è il primo edificio ad essere costruito nel villaggio che si sviluppa poi attorno ad esso. E’ un’ampia tettoia la cui struttura di travi di legno è sostenuta da sette ( 3+4) pilastri decorati ad altorilievo con figure zoomorfe ed antropomorfe scolpite. La copertura è costituita da tre strati di paglia di miglio appoggiati gli uni sugli altri fino a raggiungere spessori considerevoli di circa tre metri. Ciò che appare evidente osservando il “luogo della parola” è la sua scarsa altezza utile….là sotto vi si può stare solo seduti, a discutere di ogni cosa, a giocare o ad intagliare una porta. Tutte le decisioni del villaggio vengono prese sotto il Togu Na, rigorosamente frequentato dai soli uomini. Il motivo per il quale è così basso c’è ed è uno spasso….i Dogon detestano le discussioni animose, gli scatti d’ira, le parole pronunciate a voce alta….la posizione seduta è quella che maggiormente stimola la pacatezza….pare sia più difficile arrabbiarsi da seduti. Che geni questi Dogon! Dopo qualche sosta ad osservare le case più caratteristiche del villaggio, come quella del cacciatore che ha appese alla facciata le pelli secche degli animali uccisi, iniziamo ad arrampicarci sulla falesia verso il luogo sacro del villaggio dove si svolgono i riti di circoncisione dei bambini che hanno compiuto i 14 anni. E’ il rito di iniziazione che consentirà ai maschietti di diventare adulti accedendo al patrimonio culturale che si tramanda verbalmente da secoli…il sapere Dogon. Solo da un anno a questa parte, ci dice la guida, è stata sospesa la pratica crudele della infibulazione per le ragazzine….non ci posso credere! Mi sembra quasi di sentire l’eco delle loro urla mentre accettano loro malgrado la tortura della castrazione del loro femminile pur di essere accettate dai membri del villaggio …. Assurdo e crudele. Vorrei scappare subito, lontano da questa stronza cultura maschilista che mi stringe la gola. Non appena sbollita la collera mi siedo accanto a Vanni su una delle pietre del sacrificio, osserviamo i disegni sulla parete della cavità . Vi sono rappresentati i simboli della vita Dogon dipinti nei colori bianco rosso e nero: gli animali sacri come il coccodrillo, il serpente, lo sciacallo e la tartaruga, le maschere e le divinazioni. In una grotta attigua sono ammucchiate decine di calebasses a formare rudimentali strumenti musicali che vengono suonati dai bambini durante la festa rituale. Questa cavità sarà il loro riparo nelle giornate del mese che segue la circoncisione, staranno qui in raccoglimento, ma torneranno a dormire a casa dai loro carnefici. Un misto di islam ed animismo caratterizza la cultura di questo villaggio, troppo finalizzato al turismo per i nostri gusti, vista la quantità di mercatini di oggetti artigianali. Sganciamo 10.000 CFA per la visita e 5.000 per la custodia di Gazelle….un po’ caruccio questo parcheggio. Arriviamo a Sanga a metà pomeriggio dopo aver attraversato il bel paesaggio fatto di baobab ed alberi di karité sparsi tra la paglia gialla della brousse, fino a raggiungere le rocce della lunga falesia popolata dalle genti Dogon. La strada corre per un tratto parallela ad un corso d’acqua che poi attraversa. I terreni circostanti risultanti per sottrazione dalle formazioni rocciose della falesia pullulano del verde dei ciuffi delle cipolle. Sono molte le donne al lavoro con i figli saldamente stretti nei fagotti sulle loro schiene….ma ora quando le guardo sento solo una pena infinita. I bambini più grandi invece cercano continuamente di assaltare la nostra Gazelle dalla quale è quindi impossibile scendere per una foto o una pipì. I grandi stanno a guardare e non ostacolano gli attacchi …proprio dei grandi educatori questi signori Dogon! Una volta in paese raggiungiamo il “Campament Hotel La Guina”, il migliore e probabilmente l’unico qui al villaggio . Per 25.000 CFA ci offre una camera dozzinale ma pulita e con bagno…l’ aria condizionata funzionerà solo dopo le 18. E’ arrivato il momento di telefonare alla guida consigliataci da Ismail …il signor Ana che risponde al numero 2442014, ed è il capo dell’ agenzia cui fa riferimento anche il tour operator italiano Kel 12…siamo in una botte di ferro. Beviamo in sua compagnia una bibita fresca all’ombra del pergolato dell’hotel, mentre progettiamo il nostro tour. Ci consiglia di trascorrere almeno tre giorni tra i villaggi sulla falesia, gli unici nei quali sopravvive la cultura animista, l’antica cultura dei Dogon che secoli fa si rifugiarono su queste rocce inaccessibili proprio per fuggire dall’islamizzazione dilagante nei loro territori d’origine. Popolo estremamente fiero della propria cultura questo. Ana ci chiede 120.000 CFA (200€) per i tre giorni, compreso il cibo, le tasse e le mance varie per le foto. Abdoulaye, un ragazzo di 26 anni sarà la nostra simpatica guida, ma non parlando italiano sarò io la traduttrice per Vanni. A cena la solita omelette rappresenta l’ unica chance per me in questo paese di polli!

29 Febbraio 2008

SANGA – BANANI – IRELI – AMANI – TIRELI – KOUNDOU

Partiamo verso le nove , in ritardo come sempre rispetto ai buoni propositi del giorno prima. Abdoulaye aspetta accanto a Gazelle in compagnia di Ana, il boss, che vuole essere immortalato in uno scatto fotografico di gruppo prima della partenza. Lasciamo Sanga in pieno fermento….oggi è giorno di mercato. A proposito di questo vale la pena specificare che la cadenza dei mercati Dogon non è settimanale, cade bensì ogni cinque giorni… non esistendo un giorno fisso l’unico modo per sapere quando c’è un mercato è chiedere alla gente del villaggio…comoda questa usanza Dogon! La strada si inerpica subito in cima alla falesia , qualche tratto è a cemento, il resto invece una sassaiola di pietre acuminate che Vanni cerca di evitare…ma poi arriviamo al luogo delle “tables de divination du renard” che rappresenta la nostra prima breve ed interessantissima sosta. Praticamente funziona così, l’indovino disegna sulla sabbia dei grandi rettangoli, a loro volta ripartiti in settori rettangolari più piccoli ognuno dei quali rappresenta una famiglia. Al suo interno l’indovino struttura la domanda per la quale si vuole trovare una risposta, ponendo sassolini ( un mucchietto sono i soldi, separati sono i giorni, i mesi o gli anni ) e bastoncini ( le persone ) in modo ben preciso come solo lui sa fare. Finita la costruzione della domanda nel rettangolo, l’indovino vi sparge anche delle arachidi che le volpi la notte andranno a mangiare spostando così sassolini e bastoncini e lasciando impronte che l’indovino leggerà traendo le risposte cercate. Perché la volpe? Frutto dell’unione impura tra dio e la terra nasce la volpe che non può parlare ma in quanto frutto del divino conosce la verità. L’unico modo quindi per conoscere il disegno divino è interrogare la volpe attraverso la tavola delle divinazioni. Lavoro tutt’altro che semplice, prerogativa della sola casta patriarcale degli indovini che tramandano il loro sapere al primogenito maschio. Attenti a non spostare niente ci aggiriamo tra domande e risposte, curiosi di leggere anche noi qualcosa tra quei simboli sparsi a terra… un signore dal viso segnato e misterioso, l’indovino, suggerisce qua e là il criptico disegno divino. Divertiti risaliamo su Gazelle e proseguiamo lungo la stradina ancora verso la cima della falesia che poi scorgiamo in tutta la sua estensione poco prima di ridiscendere sull’altro versante. La parete è verticale e piuttosto alta, i colori dal rosso al bruno….poi ci si apre la vista meravigliosa del villaggio di Banani, arroccato sul ciglio della falesia. Costituito da edifici cilindrici e scatolari di varie dimensioni, il villaggio è dello stesso colore della roccia che gli fa da sfondo. Ciò che sembra osservandolo da qui è una scultura ad altorilievo, come un movimento di basse canne d’organo, l’ennesimo miracolo partorito dalla creatività umana….un capolavoro sospeso tra scultura ed architettura di fronte al quale rimaniamo incantati ad osservare. Abdoulaye ci fa notare che poco più in alto degli edifici del villaggio si vedono altre piccole case, inserite nelle nicchie naturali della parete verticale di roccia a picco, sono le antiche abitazioni dei Telem, i pigmei, che abitavano qui prima dell’arrivo dei Dogon dedicandosi alla caccia ed alla raccolta delle bacche spontanee per vivere. Ci chiediamo come potessero arrampicarsi fin lassù i piccoli uomini….forse con l’aiuto di corde e senz’altro con la magia nera, almeno nel caso la corda si fosse spezzata dice Abdoulaye. Quando i Dogon in fuga dalle loro terre Manding per via dell’islam che non volevano, arrivarono qui modificarono l’habitat a loro vantaggio. Da bravi agricoltori bruciarono la brousse per ricavarne terreni coltivabili e fecero così fuggire la selvaggina e distrussero le piante che fornivano ai Telem i frutti selvatici. Fu un disastro per loro che si videro così costretti ad abbandonare le loro case ed a fuggire verso i territori dell’Africa centrale. Banani è così bella da sembrare una scultura di terra sulla roccia fatta di volumi semplici ma estremamente plastici. Poco più sotto c’è il paese basso dove i granai a fungo, maschi e femmine, rappresentano gli elementi emergenti nell’architettura fatta di fango. E’ arrivato il momento della visita, che ci vede arrampicarci tra gli stretti sentieri del villaggio dove la roccia è sbozzata qua e là a forma di gradino. Saliamo fino al Togu Na, la casa della parola, dove un paio di signori Dogon stanno facendo dei manufatti artigianali…. poco oltre, l’inevitabile mercatino per turisti che non manca mai e nemmeno il gruppo dei bambini questuanti che ci seguono gesticolanti. Alla fine l’islam è arrivato, soprattutto nei villaggi della pianura più facilmente raggiungibili e dopo di esso, con il turismo è arrivata anche la cattiva abitudine del chiedere, insomma un bel mix di abitudini discutibili. Lasciamo la bella Banani per raggiungere altri bellissimi villaggi, tutti similmente aggrappati alle pendici della falesia, sotto le antiche case Telem, e sono Pegue, Ireli ed Amani, nel quale ci fermiamo ad osservare i caimani sacri, tutti tranquilli e grassi ai bordi dello stagno recintato del villaggio. Prigionieri della barriera di rovi, non possono spostarsi dallo stagno questi animali sacri….ma perché mai dovrebbero visto che giornalmente vengono sacrificati animali da dar loro in pasto?! La sacralità di questo animale è legata all’esodo dei Dogon dalle terre native, o meglio al loro arrivo in questa falesia prescelta per il loro stanziamento. Erano quattro le famiglie che si erano spinte fino qui e che si trovarono di fronte ad un bacino d’acqua da superare. Vennero loro in aiuto i caimani che li fecero salire sul loro dorso e li portarono sull’altro lato del grande lago, in salvo….da questo evento la sacralità del caimano non è più stata messa in discussione. Proseguendo per Tireli attraversiamo campi arati per la semina del miglio punteggiati di baobab, tamarindi, alberi del karitè, di mango e qualche acacia, la pianura a valle della falesia è variopinta per via dei minerali presenti e sfuma verso le rossastre dune lontane. Arrivati al villaggio di Tireli, che si sviluppa prevalentemente a valle, ci accordiamo per vedere la “danza delle maschere”, famosa per la coreografia e le maschere che rappresentano un altro degli aspetti sacri del popolo Dogon. Condivideremo lo spettacolo, che ci costerà così 50 € anziché 100, con un piccolo gruppo di turisti. Seguendo i consigli di Abdoulaye ci accomodiamo in posizione strategica a sedere su una grande roccia che dà sul piccolo spiazzo di terra battuta dove si svolgerà la festa. La macchina fotografica è accesa…siamo pronti! Un gruppo di suonatori di tamburi e pifferi, tutti rigorosamente negli abiti tradizionali colore blu indaco, indossano cappelli a cono in pelle e fibre vegetali e sono in formazione compatta su uno dei lati corti dello spiazzo. Iniziano a suonare una melodia ritmica e forsennata mentre alle loro spalle i danzatori scendono verso di noi in gran corsa da un sentiero roccioso….sono scatenati e coloratissimi e le maschere che coprono il viso di ognuno di loro sono di legno tutte diverse e variopinte. Iniziano a correre e saltare seguendo un percorso ovale, mentre tre di loro appoggiati ad una roccia di fronte a noi stanno legandosi ai piedi trampoli vertiginosi. Osserviamo i loro gonnellini di rafia rosa e gialla ed i pettorali confezionati solo con piccole conchiglie bianche, ma la parte più interessante dei loro costumi sono le maschere. Rappresentano gli animali che popolano queste terre, altre invece il feticcio della donna sacra, gli allevatori di bestiame o i malati con il gozzo. Altre maschere svettano altissime sulle loro teste, almeno due metri di scultura a trina a rappresentare la casa a più piani….la casa primordiale. I danzatori sui trampoli invece rappresentano coloro che scacciano gli uccelli con le fionde affinché non mangino il prezioso miglio. Insomma molta della vita Dogon è rappresentata in questa danza assolutamente impedibile. Torniamo alla macchina dopo il gustoso spettacolo durato almeno una mezzora, siamo diretti a Banani, dal quale proseguiamo poi fino a Koundou dove ci fermiamo per la notte. L’Auberge Asama è quanto di meglio si può trovare in questi villaggi, ma visto lo scarso livello di pulizia decidiamo di dormire sulla nostra tenda. L’auberge ci servirà per la cena, che gustiamo sulla piccola terrazza e la doccia….questa sì sacra, dopo questa giornata di arrampicate sulle rocce sotto il sole cocente! Andiamo a letto poco dopo le 21….la cena rischiarata da un lume a petrolio ha finito con l’abioccarci. Non sono stanchi invece i ragazzini che per almeno un’ora sono rimasti a pochi metri dalla tenda, per loro una grande novità, a rimirarsela tra risa e sollazzi e con le torce puntate su di noi. Addormentarsi non è stato facile, con i fasci di luce che dal basso investivano la tenda, ma sopra di noi il firmamento intero in tutto il suo splendore ha reso più sopportabile la situazione che contemplava anche il raglio dell’asino, il belare delle caprette nel piccolo ovile fatto di rami intrecciati a due passi da noi. Infine Morfeo arriva e con esso l’oblio.

01 Marzo 2008

KOUNDOU – YOUGANAH – YOUGADOUROU – YENDOUMA

Mi sveglio all’alba ed attraverso la zanzariera di fianco a me vedo dall’alto il cortile della casa di fianco. Curiosare non è nel mio stile ma questo spaccato di vita così a portata di mano mi stimola al voyeurismo e quindi, prima di crollare di nuovo sul mio cuscino, mi ci dedico senza remore. L’attività laggiù è in gran fermento, un uomo vestito di un caffettano azzurro beve un bicchiere del suo tè alla menta ed una ragazza sposta bacinelle piene di qualcosa….intanto asini e caprette a zonzo nel cortile intonano coretti a più voci. Intanto anche Vanni si sveglia ed esce, ma io non mi muoverò fino al suono della sveglia …alle 7.15. Consumiamo una colazione frugale sulla terrazza ombreggiata, una rinfrescata al viso con l’acqua minerale ed una passata di protezione 50 sul decolletè. Siamo pronti. Partiamo alle 8 accompagnati dall’aria fresca della mattina presto, il primo obiettivo è vicinissimo, si tratta della parte alta del villaggio nel quale abbiamo dormito, Koundou, in alto sulle rocce della falesia. Mi aiuta a salire un prestante giovanotto che cortesemente nelle situazioni più critiche mi tende la sua mano per tirarmi sulle pietre ossidate. Camminiamo su un sentiero appena abbozzato che sale ripidissimo sulla falesia, a tratti sembra scomparire inghiottito dalle ampie superfici inclinate ed appena increspate di roccia scura. Insomma un sentiero più che altro da capre lungo il quale ci fermiamo solo una volta per una sosta ristoratrice all’ombra di un grande baobab. Continuiamo dopo qualche minuto verso la parte alta della parete di roccia a picco che fortunatamente abbiamo quasi raggiunto….ma che meraviglia questa Koundou Gouma! Caratterizzata dai pochi volumi semplici delle abitazioni e dei granai di argilla, si inserisce in una delle nicchie naturali che rientrano nella parete verticale della falesia, quelle abitate fino a qualche secolo fa da quel gran popolo di arrampicatori che furono i Telem. Poco più in alto altre cavità conservano ancora ciò che resta delle case a cilindro e delle grandi giare sferiche con coperchio nelle quali depositavano il cibo. Lo spettacolo è unico….all’orizzonte la pianura, sabbiosa in questo periodo secco, è cosparsa di alberi, sotto di noi le pietre scure staccatesi dalla parete rocciosa. Noi siamo qui come sospesi nell’ampia cavità dal cui suolo si ergono le case scatolari dei Dogon….come volumi isolati o compenetrati gli uni negli altri. Costruita a ridosso della roccia è la casa del chasseur, il cacciatore ed in questo caso anche guaritore del piccolo insediamento nel quale vivono solo due famiglie, venticinque persone in tutto. Abdoulaye ci dice che questo signore prepara le sue medicine con le erbe, ma si aiuta anche con la magia bianca per svolgere nel migliore dei modi il suo ruolo. Ricorrono alle sue cure anche pazienti che arrivano dai villaggi vicini…insomma deve essere bravo se ha un pubblico così ampio! E’ seduto su uno scalino di roccia a ridosso della casa, indossa una tunica ocra con il cappuccio, il volto segnato e lo sguardo profondo…non stupisce che tanti si rivolgano a lui per cercare di ottenere un miracolo! La facciata della sua casa con torretta laterale è piena delle pelli gonfie appese di gatti selvatici ed altri animali che non riconosco, oltre ai teschi annegati nell’argilla della parete, di piccole scimmie….insomma l’ antro dello stregone in piena regola, con quell’aspetto un po’ inquietante che nel suo caso non guasta. Qui l’animismo non è ancora stato intaccato dall’islam. Una grotta con una pozza piena dell’acqua che filtra dalla roccia a due passi dalla casa, ci fa capire la posizione privilegiata di questo luogo dal quale non è necessario scendere a valle per approvvigionarsi, un caso unico qui… frutto della magia del chasseur? Chi può saperlo…Lasciamo la magica Koundou Gouma con un fragile acquisto, un piccolo braciere d’argilla scura e porosa che un bambino ha provveduto ad avvolgere in un una palla di stracci….per il viaggio. Scendiamo a fatica attraverso il “sentiero” ripidissimo…il prestante ragazzone sempre pronto ad aiutarmi, lasciamo la dovuta mancia al custode di Gazelle e partiamo verso Youganah percorrendo ancora un breve tratto di pista nella brousse a valle. Una seconda arrampicata ancora più impegnativa della prima mette a dura prova i miei muscoli sottotono per raggiungere il villaggio sulla falesia. Questa volta sono due i miei aiutanti, due ragazzini di 16 e 13 anni che mi porgono gentilmente la mano e, all’occorrenza, mi afferrano le braccia sollevandomi oltre l’ostacolo di roccia. Poverini! Vanni non è con noi….ha preferito rimanere ad aspettarci comodamente seduto su Gazelle, vicino ad un posto di ristoro del villaggio a valle…che pigrone! A Youganah vediamo il Togu Na, tappa obbligata della visita di ogni villaggio in quanto fulcro della vita sociale che vi si svolge, nonché edificio particolarmente rappresentativo dell’arte Dogon per via dei suoi pilastri di legno scolpiti a bassorilievo. In seconda battuta vediamo la maison des règles, ovvero la casa dove le donne mestruate vivono in isolamento durante i primi cinque giorni del ciclo, quindi facciamo una visitina alla signora che si occupa della tintura dei tessuti con l’ indaco. Il pigmento in polvere riempie un piccolo orcio posto in un angolo della sua stanzetta, di fianco alcuni tessuti originariamente bianchi sono a mollo in un denso liquido color blu intenso che ribolle dentro un paiolo. La polvere colorante è ricavata dalla macinatura delle foglie dell’indaco, una pianta a cespuglio che ho visto qui fuori….la signora che svolge questo lavoro ha un sorriso meraviglioso ed è bravissima nell’eseguire sulle pezze di tessuto ancora bianco le piccole cuciture che creeranno nella sua trama i motivi geometrici più chiari. Da Youganah raggiungiamo il villaggio di Yougadourou percorrendo un sentiero in quota che ci consente di non scendere a valle per poi risalire. Si trova più in alto però del villaggio che abbiamo appena lasciato, quindi dopo una mezz’ora di marcia senza sforzi ricominciamo ad arrampicarci come caprette tra le rocce impervie a tratti da elicottero. Mentre salgo affannata mi chiedo come possano le donne del villaggio salire tutti i giorni attraverso questo sentiero cariche dei secchi pieni d’acqua attinta dai pozzi a valle…che per di più tengono in equilibrio sulle loro teste! Certo loro hanno il vantaggio dell’allenamento, ma io preferisco pensare che si tratti di uno dei misteri Dogon. Quasi ogni attività viene svolta dai membri dei villaggi nella pianura dove si coltivano cipolle, miglio ed altri ortaggi. Laggiù si costruiscono i mattoni di argilla cruda che servono per costruire le case sulla falesia…la vita insomma arriva dal basso ma si ferma lassù ai piedi delle alte pareti verticali di roccia. Sono molti i villaggi a valle, ma la vera cultura Dogon , quella animista, viene custodita ormai solo nei villaggi in quota, irraggiungibili a tutti i non allenati. Raggiungiamo Yougadourou dopo più di un’ora di marcia sotto il sole cocente delle 13. Il sentiero scompare in prossimità delle grandi rocce da scalare, o si trasforma a volte in uno stretto passaggio dove i due piedi non possono stare accostati. Si procede con un piede davanti all’altro evitando con il corpo le pietre sporgenti in alto, poi finalmente arriviamo a quello che ho soprannominato il “pronto soccorso per turisti” costituito da una tettoia di paglia di miglio con una lunga panca accostata su un lato e bibite fresche da bere. Un paradiso. Siamo nella parte bassa dell’insediamento, le cui case scatolari o cilindriche ( alla moda Telem ) svettano in cima alle grandi rocce sulle quali sono state costruite. Non mancano certo i granai a fungo e nemmeno il Togu Na che si affaccia su una piazzetta molto più a monte ombreggiata da un grande baobab centrale. Vicino alla casa della parola Abdoulaye mi mostra una grande calebasse dipinta a disegni geometrici di colore verde, al suo interno sono raccolte le offerte per la grande festa Sigui che cade ogni 60 anni, la prossima si svolgerà nel lontano 2027. Lascio anch’io il mio piccolo obolo tra le bianche piccole conchiglie che costituivano un tempo la moneta locale, certa del fatto che quei 1000 CFA non saranno mai utilizzati per sponsorizzare quella festa. Ancora un piccolo sforzo ed arriviamo alla fine del villaggio, alla base della parete verticale. Siamo a poche decine di metri dalle abitazioni Telem, lassù nelle cavità della roccia, le vediamo benissimo…uno spettacolo! Sopravvissute miracolosamente fino a noi, sono cilindriche e costruite in argilla, appena fuori ci sono le poteries , i loro orci sferici sempre coperti dal coperchio di argilla. Iniziamo l’operazione di discesa…non semplice ma meno faticosa. I due accompagnatori mi salvano qua e là dai miei barcollamenti, sempre attenti mi porgono le loro mani un po’ sudate ma forti….che angeli, poi all’ombra di un albero per una sosta necessaria mi unisco al loro banchetto…stanno mangiando il frutto del baobab, la cui consistenza ricorda quella della meringa ed il sapore vagamente acidulo è simile a quello del limone, ma dolciastro….Un concentrato di vitamina B1 e C che non voglio perdermi, quindi ne mangio e lo trovo decisamente buono e dissetante….alcuni sassolini rimangono in bocca, sono i semi che conserverò per mia madre…voglio testare il suo pollice verde anche nei casi più estremi. Quando dopo più di tre ore arrivo alla macchina accompagnata da Abdoulaye ed i due giovanotti, vedo Vanni che riposa come un pascià. E’ steso sopra ad una branda strategicamente posta all’ombra del grande albero frondoso, vicina a Gazelle ed all’Auberge che gli ha fornito bibite fresche per tutto il pomeriggio. Non si può certo dire che non sappia organizzarsi al meglio il mio Vanni! Ci accomodiamo anche noi sulla panca lì vicina, beviamo bibite fresche, poi Vanni, visto il mio viso congestionato prende da Gazelle lo spruzzino a pompa, quindi con mia grande soddisfazione inizia a spruzzarmi l’acqua nebulizzata ovunque…che meraviglia…è quasi come una doccia! Il tempo di riprenderci e ripartiamo per raggiungere la terrazza dell’Auberge di Yendouma bassa, dove però l’aspettativa di un po’ di venticello fresco è del tutto vana. Sorpresa delle sorprese. Abdoulaye ci informa che proprio oggi qui in paese si svolgerà una festa del tutto simile a quella che tradizionalmente segue i funerali, ci spiega, con spari di fucile e musica prodotta percuotendo dei campanacci. Andiamo arrampicandoci sulle rocce fino quasi al Togu Na, il punto più alto del villaggio haimè, dove ci fermiamo in una piccola piazzetta. Il gruppo dei festanti partito dalla casa della parola arriva alla piazzetta accompagnato da spari a salve e nuvolette di fumo che escono dai fucili artigianali che impugnano… prosegue oltre per poi ritornare ancora al Togu Na. Sono i primi spari che sento così vicini e mi fanno una certa impressione…percepisco una sorta di pericolo che poi passa subito osservando i gesti un po’ comici di questi signori armati. Il villaggio monocromo si anima di corpi, colori, schiamazzi e suoni, mentre per osservare meglio alcuni ragazzini stanno salendo sul tetto piano di una casa su di una scala Dogon. E’ particolarissima e ne abbiamo viste a decine in questi giorni, sempre addossate ai granai che si riempiono dall’alto….consiste in un tronco d’albero terminante a forcella opportunamente sagomato su un lato con tagli orizzontali a scalino…scendere dalla quella scala deve essere una sorta di prova di coraggio! Nel frattempo alcune bambine curiose mi hanno vista darmi il burro cacao sulle labbra….un istante dopo sono attorno a me in processione, vogliono tutte che lo faccia anche a loro…forse pensano si tratti di un gioco e quindi inizio a giocare anch’io spalmando il burro su tutte quelle labbra sorridenti…che spasso! Esaurito il burro cacao torniamo all’Auberge dove ceniamo con una soupe d’ognon e poulet per Vanni ed Abdoulaye. La temperatura in tenda è soffocante, ma dopo una serie di manovre per togliere i sacchi a pelo e stendere i sacchi lenzuolo, riusciamo ad prender sonno.

02 Marzo 2008

YENDOUMA – BAMBA – DOUENTZA

Colazione in terrazza, chiusura della tenda e pagamento delle consumazioni ..il copione si ripete anche questa mattina. Andiamo verso Bamba un altro villaggio di pianura, dove saluteremo Abdoulaye mentre noi proseguiremo sulla pista per Douentza. Prima però dobbiamo soddisfare la curiosità di Vanni che ha letto da qualche parte che in uno dei villaggi vicini a Yendouma Ato c’è l’atelier di un artista cui manca una mano e vuole andare a trovarlo. Questa volta sono io ad aspettarli comodamente seduta su Gazelle….di salire ancora proprio non ne ho voglia. Li guardo allontanarsi lungo la strada pietrosa che sale verso la falesia, verso il villaggio che da qui non riesco a scorgere. Trascorro il mio tempo chiacchierando con due simpatici bambini che incuriositi si sono fermati per sapere chi sono e cosa faccio ferma lì. Stanno ritornando al villaggio dopo una mattinata trascorsa, loro malgrado, a lavorare nell’orto di famiglia in compagnia delle loro madri, sono impolverati, vispi ed hanno una gran voglia di raccontarmi del loro piccolo mondo Dogon. Mi parlano della scuola che la domenica però è chiusa, degli alberi che si trovano nella brousse e della coltivazione di cipolle alla quale hanno appena finito di lavorare. Dopo un’oretta torna Vanni, ha con sè un paio di disegni dell’artista, eseguiti a pennarello di cartoncino A4 ….non c’era molto da comprare dice, perché la maggior parte dei disegni sono in mostra a Parigi….caspita! Lasciamo Abdoulaye, sulla strada per Douentza subito dopo il grande villaggio di Bamba….una stretta di mano, un sorriso ed una mancia adeguata. Non ci si può sbagliare dice…ma noi confidando sul nostro navigatore Garmin invece andiamo fuori pista…e non solo…ci insabbiamo completamente! Provando e riprovando ad uscire dalla sabbia finiamo con lo sprofondare sempre più mentre Gazelle inizia ad emanare un preoccupante odorino di bruciato. Siamo vicinissimi ad un villaggio e questo giustifica l’arrivo di una ventina di bambini vocianti che colgono l’occasione per giocare un po’ …. tutto è relativo ed il loro entusiasmo per il nostro insabbiamento finisce col contagiare anche noi. Che energia questi mocciosetti… istruiti da Vanni iniziano a darsi da fare con la vanga togliendo un po’ di sabbia qua e là, ma soprattutto fanno casino e si divertono come pazzi. Le loro risate mi accompagnano mentre mi allontano a cercare un aiuto più efficace…in un campo qui vicino avevo visto arrivando qualche adulto al lavoro e li ritrovo seduti all’ombra di un albero a pranzare. Quello che deve essere il capo mi dice che verranno certamente al aiutarci se noi saremo così gentili da ricambiare in qualche modo…accetto di slancio la proposta che mi sembra assolutamente equa e dopo un quarto d’ora sono già al lavoro. Affrontano l’emergenza con tale perizia, che io e Vanni scaricati da qualsiasi responsabilità relativa a Gazelle, ci dedichiamo al gioco con i bambini, mentre il gruppo degli adulti taglia rami dagli arbusti che poi posizionano sotto le ruote, scavano, sembra che tirino fuori auto dalla sabbia ogni giorno. Il nostro salvataggio si trasforma in una piccola festa, con giochi, canti, balli e l’immancabile doccia con lo spruzzino, il nostro pezzo forte con i bimbi. Dopo una ventina di minuti il salvataggio è completato e Gazelle esce dalla buca al primo tentativo. Siamo salvi grazie a questi cinque volenterosi agricoltori che ricambiamo con una mancia così abbondante da commuoverli….ma hanno meritato ogni centesimo di quei venti euro che abbiamo dato loro. Ci riportiamo sulla pista per Douentza chiedendo ad un signore del villaggio, il maestro, che gentilmente ci accompagna fino al bivio che potrebbe trarci in inganno. Siamo salvi. A Douentza dopo un paio di tentativi andati a vuoto, raggiungiamo l’”Auberge la Faleise” solo grazie all’aiuto di un ragazzo che sale con noi per guidarci….è giorno di mercato oggi e molte delle strade del paese sono bloccate dal flusso di gente e merci ad esso collegato. Saidou ci guida attraverso un groviglio di stradine sterrate fino all’auberge che si trova sulla statale asfaltata, quella che collega Bamako a Gao, l’asse stradale del Mali. L’albergo è scassato da morire e manca anche l’acqua corrente….ci raccontano che è così in tutta la città, ma chissà se è vero….Ci consegnano un secchio pieno d’acqua e la chiave della 4. Ceniamo benissimo qui in hotel, come sempre ci siamo accordati all’arrivo sul menu, per dar loro la possibilità di andare a fare la spesa ed a noi di non dover mangiare strane cose. Patteggiamo con il cuoco per un paio di omelette con patate fritte e zuppa di cipolle con pomodoro….squisiti, ma nonostante questo la tensione tra noi due è al top! Poco prima della cena abbiamo litigato sempre per i soliti motivi….Ismail aveva dato a Vanni un paio di nominativi di operatori di Timbuctu da contattare per organizzare il nostro tour a Taoudenni , la miniera di sale nel cuore del Sahara. Ovviamente sono io a dover telefonare e parlare con loro per prendere accordi, quindi è normale che lo faccia seguendo le mie modalità, non le sue. Con il cellulare di Omar, il cameriere inizio a chiamare. Il primo numero è non raggiungibile, al secondo risponde un signore al quale espongo il nostro progetto fin nei particolari ed al quale chiedo di farmi un prezzo per la sua collaborazione. Ovviamente mi dice che dovremo ricontattarlo quando saremo in hotel a Timbuctu per vederci e, sul progetto dettagliato fare un prezzo….Vanni intanto mi parla a due centimetri dall’ orecchio affinché io insista per avere questo benedetto prezzo subito….insisto. L’interlocutore risponde qualcosa di incomprensibile per via della linea disturbata, quindi cade la linea e Vanni mi mangia la faccia. Si è messo in testa di voler avere subito i prezzi dei due operatori per poi poter contrattare con i due referenti una volta arrivati a Timbuctu. Mi scende una catena bestiale! Io che non amo parlare di denaro, né tanto meno dover essere la portavoce di chi ha atteggiamenti opposti ai miei nei confronti di ciò, nonostante questo mi sforzo di venirgli incontro prestandomi ad eseguire nel migliore dei modi le telefonate e lui mi accusa di incapacità? Assurdo. Da quando ci siamo sposati Vanni sembra aver recuperato tutta l’arroganza di un tempo….si sarà montato la testa per quel mio si? Consumo la mia cena in assoluto silenzio, quindi prima di incamminarmi verso la camera gli comunico che il mio viaggio con lui termina questa sera qui a Douentza, domani organizzerò il mio rientro in Italia.

03 Marzo 2008

DOUENTZA – TIMBUCTU

Al risveglio finiamo col fare la pace e poco dopo la colazione ripartiamo diretti a Timbuctu. La strada non asfaltata è in cattivo stato e sembra essere stata percorsa da centinaia di mezzi cingolati per le piccole affossature che una dopo l’altra ci fanno continuamente sobbalzare. Dopo tre ore siamo come intontiti dalle vibrazioni. Vanni inizia a vedere le stelline, concentrato com’è a fissare la strada che ogni tanto ha anche delle enormi buche che non sempre riusciamo ad evitare, con tonfi micidiali per la nostra povera Gazelle. E’ proprio finendo dentro ad una buca particolarmente profonda che si spezza una parte del gancio della mia cintura di sicurezza, esattamente come capitò in Tanzania con Carolina, e la parte terminale del paraurti anteriore. Insomma una bella botta che ha strappato un grido anche a Vanni. La bellezza del paesaggio però ci compensa dei disagi e ci vede passare dalle ultime propaggini della falesia con bellissime rocce verticali isolate, alla brousse, alle dune di sabbia del deserto ed infine alle distese piatte dei laghi prosciugati. Pochissimi i villaggi, perlopiù caratterizzati da capanne circolari di stuoie e fasci di paglia tipiche delle popolazioni nomadi del Sahel. Incredibili i colori della brousse, la savana, le cui distese di paglia secca a perdita d’occhio si accendono delle tonalità del giallo limone. A Korioume la strada termina sull’argine di un piccolo affluente del Niger che scorrendo di fronte a noi ci impedisce di proseguire. Che fare? Scendiamo perplessi dall’auto, non sembra ci siano alternative al traghetto del quale però non c’è traccia….ma poi arrivano a salvarci i locali che con nostro grande sollievo si propongono subito come guide. Mentre Vanni si intrattiene con il signore che ci guiderà, si avvicina una giovane madre. Ha in braccio una bambina di un paio d’anni, con un gesto rapido le solleva il gonnellino mostrandomi una ferita che ha nel sederino. Mi sta chiedendo aiuto senza pronunciare una parola, i suoi occhi sono disperati ed io non so che fare. Non abbiamo medicine e non essendo io un medico non posso nemmeno fare una diagnosi. Mi ritraggo un po’ scossa e molto dispiaciuta, lei ora mi guarda seria, quasi con disprezzo per non averla aiutata a guarire sua figlia. Mi rendo conto ancora una volta che nulla viene risparmiato ai viaggiatori che si avventurano nelle aree più povere dell’Africa….e la miseria di questa gente ci viene sbattuta continuamente in faccia, come un ricatto. Noi dovremmo essere sempre pronti ad aiutarli, in qualche modo, come se potesse esserci una soluzione a questa povertà inarginabile. Risaliamo in auto. Il nostro accompagnatore non parla una parola di francese, ma seduto accanto a Vanni gli indica con precisione la pista, ed arrivati di nuovo di fronte ad un piccolo corso d’acqua gli fa capire di attraversarlo a tutta birra. Non avevo mai pensato che Gazelle riuscisse a spostare tanta acqua fino alla doccia che mi sono fatta, finalmente, seduta sul sedile posteriore. La guida aveva dimenticato di chiudere il finestrino….ci mancava solo questo! Oltre il guado procediamo sempre seguendo la pista che la guida ci indica fino al punto dove un paio di auto ferme ci fanno capire di essere arrivati all’approdo del Bac, il traghetto sul Niger. Arriva lento il piccolo Bac, risalente la forte corrente del fiume. Aspettiamo che l’operazione di scarico sia terminata, quindi saliamo assieme ad altre due auto e tutta la coperta è piena. Vanni mi fa notare che stiamo viaggiando con un clandestino a bordo e mi porta a vedere. Un giovane ragazzo, seduto sulla sua piroga, è attaccato con le due mani alla poppa del traghetto….andare al traino si sa è più comodo! Altri 16 km di strada stranamente asfaltata ci portano in città, alla cui periferia troviamo il nostro hotel, l’ “Hendrina Khan” – il più nuovo, il più in – leggo sulla guida. Figuriamoci gli altri! L’hotel è squallido ma pulito, la nostra camera ha un grande letto, il bagno, l’acqua corrente e l’ aria condizionata. Il servizio lavanderia è contemplato e, sorpresa delle sorprese, sono disposti ad organizzarci il tour a Taoudenni. Un trionfo…. Sarà Abderhamane , il gestore ad occuparsi di tutto, quindi lo seguiamo nel suo piccolo ufficio senza finestre per mettere a punto il programma. In cinque giorni si può andare e tornare, ci dice. Occorre un’auto d’appoggio con autista e la guida tuareg che sarà il nostro passepartout in questo territorio un po’ bellicoso. Ci racconta che i Tuareg sono un po’ in subbuglio e che non sarebbe sicuro per noi andare soli, sarebbe quasi certo il furto della nostra Gazelle ed anche la nostra incolumità sarebbe in dubbio. 1500 chilometri nel deserto significano 800 litri di gasolio per le due auto, 5 cartoni di bottiglie d’acqua, riso, acciughe, spaghetti, cipolle, carote, pane, scatolame vario, dado Maggi, zucchero, tè verde, caffè ed un capretto vivo da sacrificare durante il viaggio per sfamare i due tuareg….roba da matti. La sola idea di partire con un animale vivo per poi vederlo sgozzare strada facendo mi fa trasalire e la mia immaginazione fa il resto. Mi ritrovo in lacrime davanti ad Abderhamane che non sa più cosa dire….è desolato. Esco da quel loculo di ufficio per fumare una sigaretta, quindi vado con Vanni dal direttore della banca che avvisato da Abderhamane ci aspetta. Preleviamo il milione di CFA ( 1480 € ) che ci servirà a finanziare la spedizione nel deserto, di cui 500.000 per il noleggio del pick up, l’autista, la guida ed i viveri. 430.000 per il gasolio ( i due serbatoi e 3 barili da 200 litri ) , 30.000 per l’acqua. Non avendo nessuna voglia di seguire le operazioni di rifornimento vado in camera per un riposino, mentre Vanni ed il direttore dell’hotel escono a reperire tutto il necessario. Partiremo domani mattina alle 5.

04 Marzo 2008

TIMBUCTU – ARAOUANE

Le ultime operazioni di carico dei viveri e dell’acqua sul pick up si svolgono nel buio della notte. Sono le 5.30 del mattino. Un saluto veloce a Lamanà ed Atahar che vedo solo ora e dopo pochi minuti saliamo a bordo di Gazelle…. seguiamo il nostro mezzo d’appoggio tra le stradine deserte della città ancora abbandonata tra le braccia di Morfeo. Le ultime case della periferia sono già immerse nella sabbia delle basse dune del deserto, e così senza il conforto della luce del giorno l’impresa, che sarà comunque impegnativa, assume una connotazione spettrale che ci fa rabbrividire. I dubbi ci assalgono. Riusciremo a percorrere questi 750 km che ci separano da Taoudenni? Questa partenza alla luce fioca delle sole stelle fa sembrare tutto più difficile….e per quanto il deserto possa piacerci noi non siamo abituati a percorrerlo ….figuriamoci di notte! Ci mette una lunga ora il sole a sorgere, stupendo oggi più che mai, si alza all’orizzonte regalandoci il miracolo della luce. Che spettacolo! La palla arancione è ben definita in tutta la sua circonferenza, poi salendo diventa pian piano pura luce. Le ombre sono ancora lunghe quando alle 7.30 ci fermiamo per la colazione, vicini ad un albero per accendere il fuoco con i suoi rami secchi. Pane, sardine marocchine e tè maliano in tre bicchieri….una meraviglia dalla quale Vanni si astiene. Fin da questo momento si fanno chiare alcune dinamiche del viaggio che possono essere così riassunte: le donne nel deserto non lavorano, le stoviglie si puliscono strofinandole con la sabbia, i tuareg mangiano portando il cibo alla bocca con le mani ed infine che i nostri due compagni di viaggio, inizialmente molto sulle loro, sono carini e disponibili, simpatici e molto musulmani….la preghiera all’alba, poco prima della colazione ne è stata un chiaro segnale. Il percorso è duro, procediamo slalomando tra le piccole dune di sabbia con la seconda marcia sempre inserita. Vanni si dimostra ancora una volta un pilota bravissimo ed avendo ritrovato con la luce del giorno, tutta la necessaria sicurezza nelle proprie capacità, procede in coda al pick up senza mai lasciarsi seminare. Ciuffi di vegetazione creano piccole dune di sabbia che ci fanno sobbalzare, poi la sabbia diventa liscia e come per magia vediamo materializzarsi all’orizzonte una carovana di cammelli carichi di lastre di sale. Il carovaniere è in testa alla fila ordinata di dromedari, cammina sulla sabbia precedendo i quattordici animali affaticati dalla marcia forzata. Ci fermiamo ad osservare la l’insolita lenta processione….quindi Lamanà ci indica un gruppo di cammelli ancora in sosta poco lontano da noi. Li raggiungiamo. Sono dieci, ancora accucciati a riposare dal tramonto di ieri. Sulla sabbia accanto a loro, addossate a due a due in precario equilibrio, stanno le lastre di sale, sembrano tante piccole tende canadesi bianche. Sono legate con corde di corteccia di baobab per poter essere caricate sui fianchi dei dromedari. Ognuno di loro carica quattro lastre da 35 kg l’una più altri due pezzetti più piccoli e gli otri dell’acqua….insomma una faticaccia per loro che ora sentiamo emettere eloquenti lamenti….hanno capito che stanno per essere caricati del fardello, la loro lunga marcia sta per riprendere. Quasi 200 kg di carico per ognuno di loro in marcia sulla sabbia nella quale tendono a sprofondare, non deve essere un gioco da ragazzi….anche a giudicare dalle carcasse di dromedari morti che ogni tanto incontriamo nel nostro procedere. Da Taoudenni le carovane impiegano circa 20 giorni per ritornare a Timbuctu, dove il sale sarà scaricato e venduto. Marciano dall’alba al tramonto senza mai fermarsi, nemmeno per preparare il tè del quale i berberi ed i tuareg vanno ghiotti. Le operazioni legate alla sua preparazione vengono infatti eseguite in marcia, così come i saluti di due carovane che casualmente si incrocino provenendo dalle due direzioni opposte….saluti cerimoniosi che si protraggono per tutta la durata dell’incrociarsi delle due file di dromedari. Cosa si dicono? Di tutto, come ci ha spiegato Abderhamane prima della nostra partenza….iniziano con l’informarsi della salute dei vari familiari, questo anche nel caso che gli interlocutori non si conoscano, poi continuano confrontandosi sui costi di miglio, zucchero, carne, tè, nei diversi mercati della regione. Insomma gli argomenti non mancano a questo popolo di chiacchieroni. Un paio d’ore dopo il fortunato incontro, alle 12 esatte, ci fermiamo per il pranzo all’ombra di un’acacia. Ce ne sono diverse in questo angolo di deserto, tutte piene di piccole foglie, ma soprattutto di lunghe spine. Lamanà sistema una coperta sulla sabbia e mi invita a coricarmici…le donne qui non lavorano continua a ripetermi. E’ un sogno qui…soffia un venticello fresco, l’harmattan, e tutto attorno la sabbia color albicocca fa da cornice al nostro banchetto. Comodamente distesa all’ombra dell’acacia li osservo lavorare. Prima di tutto raccolgono qualche ramo secco da terra, quindi Atahar, l’autista, compone un castelletto con i rami delle diverse dimensioni ed è fatta! Spaghetti alla tuareg chiarisce Lamanà non appena mi permetto, da buona italiana, di dargli qualche consiglio sulla cottura….li cuoce direttamente nel sugo, fatto con cipolla, poco pomodoro, carote, dado Maggi ed acqua, quanto basta per avere una cottura perfetta. C’era da immaginarselo che qui l’acqua non andasse sprecata e se ne aggiungesse all’occorrenza fino a cottura. Saggezza tuareg. Riprendiamo il viaggio sulla sabbia a tratti molle, troppo molle per non affondare e Vanni per quanto guidi come uno di loro non ha ancora imparato, perché nessuno glielo ha ancora suggerito, che quando ci si ferma non si deve frenare mai, nemmeno leggermente perché anche un leggero affossamento degli pneumatici significa alla partenza un insabbiamento sicuro. Per ben due volte i nostri accompagnatori si ritrovano a spalare sabbia ed a posizionare gli scivoli metallici sotto le ruote posteriori….infine la tecnica è acquisita ed è sempre in folle che Gazelle si ferma leggera sulla sabbia. Dopo un po’ di sballottamento per via dei fastidiosi ciuffi di vegetazione secca che con il vento creano piccole dune di sabbia, ecco le belle distese di liscia sabbia chiara e poi, prima di arrivare al villaggio di Araouane, saliamo sulle grandi onde di sabbia bianca. Che meraviglioso paesaggio questo, dove le grandi dune sembrano un ondulato fuori scala, parallele le une alle altre. Le cavalchiamo a tutta velocità mentre il sole sta scendendo….che bella sensazione di libertà e che felicità essere qui! Le casette di banco del villaggio sono come scatole di colore chiaro in cima ad una duna altissima di sabbia avorio. Ci fermiamo proprio davanti a quella sella sorella di Lamanà….visto che siamo qui una visita parenti è doverosa. Appena scendiamo da Gazelle siamo assaliti, come da copione, da un gruppo di bambini di tutte le età, curiosi ed in cerca del solito cadeau. Li lascio a Vanni mentre scappo con la macchina fotografica approfittando dell’ultima luce di oggi per immortalare questo paesaggio al tramonto che mi appare di una bellezza sconvolgente. Saremo ospiti di Lamanà questa sera….le provviste rimangono su Gazelle, intonse. Mentre la sorella è ai fornelli per preparare un piatto a base di riso, noi seduti sul tappeto buono della stanza d’ingresso ci intratteniamo con i suoi due bambini deliziosi, Mohamed e Deja di dieci e cinque anni. Due giochi poi si cena. Noi due sempre sul tappeto buono, gli uomini nella stanzetta adiacente e le donne in cucina, sull’altro lato del cortile. Le poche stanze della casa occupano il perimetro di un rettangolo di circa 6 metri x 10. Al centro il cortile, affollato di polli e pulcini, è il fulcro della casa e funge da disimpegno per le stanze che vi si affacciano. I pavimenti non esistono, ovvero sono di sabbia, e nemmeno il bagno….per i bisognini si esce fuori!

05 Marzo 2008

ARAOUANE – FOUM EL ALBA

Dopo la notte in tenda consumiamo la nostra colazione sempre al nostro posto sul tappeto buono che ho saputo provenire dalla Mauritania, poi si parte per una impegnativa giornata di salti sulla markouba e cioè i soliti piccoli cespugli con dunetta alla base. Dopo un po’ sembra di impazzire…decine di chilometri di balzi ad una velocità di 10/15 km/h….con le mie due ernie cervicali che naturalmente si fanno sentire ma non troppo….mi piace troppo il deserto per poter star male! Verso sera il fondo migliora così tanto da poterci concedere la bella velocità di 80 km/h …correre così è fantastico…senza ostacoli, in relax. Ci fermiamo dopo un bell’avvistamento. Una carovana lunghissima si sta dirigendo proprio là dove anche noi ci fermeremo per la notte, il pozzo di Foum ed Alba. Intanto il paesaggio è cambiato ed i fastidiosi cespugli hanno lasciato il posto alle rocce scure che a tratti formano piccole montagnole. Paesaggio magnifico anche questo…..ci spostiamo dal pozzo di qualche chilometro per raggiungere il luogo dove bivaccheremo….tanto per non essere disturbati da nessuno, dice Lamanà. Si sa che i pozzi sono molto frequentati dalle carovane ed i carovanieri sono persone che hanno sempre bisogno di qualcosa da chi viaggia in auto…quindi per non avere seccature ci isoliamo al riparo di una montagnola fatta di sabbia rosata e pietre scure….un incanto. Una breve ricognizione attorno a Gazelle ce ne mostra i danni provocati oggi da tutti quei salti….stiamo perdendo la tenda. Quattro dei sei attacchi che la tengono fissata al tettuccio sono rotti…domani la legheranno saldamente al porta pacchi. Stelle magnifiche accompagnano la nostra cena….ed il lavaggio delle stoviglie con la sabbia al quale, per solidarietà, mi unisco. Ora cucino io per me e Vanni, francamente mangiare spaghetti o riso tutte le sere mi sembra eccessivo con questo caldo!….gradisco invece molto il loro tè maliano…forte e zuccherato è quello che ci vuole per affrontare queste giornate piuttosto impegnative anche per me che non guido, ma soffro con Vanni ad ogni difficoltà del percorso.

06 Marzo 2008

FOUM EL ALBA – BIR OUNANE – TAOUDENNI

La difficoltà di oggi è rappresentata dalle rocce, da evitare continuamente per non forare. Alcune sono così alte da colpire il fondo di Gazelle, altre ci fanno sobbalzare provocando danni sempre più ingenti alla nostra tenda alla quale dovremo probabilmente rinunciare. A mezzogiorno in punto ci fermiamo come sempre per il pranzo, è Bir Ounane il pozzo prescelto oggi per la nostra sosta. Piselli e cipolla con omelette è il nostro menu, loro come sempre mangiano spaghetti. Non è semplice per me cucinare adattandomi a questi pochi comfort, ma alla fine, a parte la sabbia che scricchiola sotto i nostri denti ad ogni boccone, mangiamo con gusto i miei manicaretti. Oggi sono numerose le carovane che incrociamo, e tutte con un gran numero di cammelli. Cariche di fieno per gli animali e dirette a nord, oppure cariche delle lastre di sale, dirette a Timbuctu….ma c’è una costante, ogni volta che per vederle ci avviciniamo concedendoci una sosta, arrivano all’assalto i carovanieri berberi a chiedere medicine, accendini, cibo….o qualsiasi altra cosa venga loro in mente osservando il contenuto della nostra Gazelle, come se si trovassero davanti ad una bancarella del mercato. Cambiano le circostanze, ma la sostanza è sempre la stessa. Intanto la tenda si è staccata da tutti i suoi supporti e viaggia ora legata al portapacchi….voglio proprio vedere come faremo a non cadere questa notte, quando per essere aperta la tenda dovrà essere slegata dal suo sostegno. Per il momento rimarrà ben stretta , infiocchettata con la corda arancione di Vanni che la cinge come se fosse un bel regalo. Attorno a noi il paesaggio di sabbia si increspa a tratti con ammassi di rocce scure, le stesse che purtroppo sono anche sulla nostra pista….ed è per questo che poco dopo essere ripartiti, mentre stiamo percorrendo un tratto rettilineo, l’ennesima pietra che colpisce il cerchione fa sgonfiare la ruota anteriore destra. Anche questo intoppo non ci voleva! Già questa mattina abbiamo impiegato più di una mezzora per uscire con grande sforzo da un insabbiamento ….questa è la goccia che fa traboccare il vaso. I nostri due accompagnatori appena si accorgono di non essere seguiti tornano sui loro passi e si tuffano a capofitto sul lavoro di sostituzione del pneumatico….a Vanni non era mai andata meglio di così, ma la ripartenza è accompagnata da tensioni forti….tutti questi ostacoli rendono il traguardo sempre più lontano e qui in mezzo al nulla, la paura di non riuscire a far fronte ad eventuali altre emergenze, si fa strada. Le pietre si diradano, ma Vanni non aumenta la sua velocità…mancano ancora 130 km a Taoudenni e sono già le 16, con questa media dei 40 km/h arriveremo domani! Ma gradatamente tutto sembra prendere una piega diversa….la sabbia si tinge di rosso e cordoni di morbide dune rendono il paesaggio di una bellezza straordinaria. Le pietre lasciano il posto a bianche concrezioni di gesso che complicano di incredibili sfumature il paesaggio, mentre le dune lontane si tingono di viola. Si profila ad un certo punto, oltre la barriera di dune rosse, una montagna rocciosa di grande bellezza….per un momento è come un tornare indietro nel tempo, al bellissimo Akakus libico di 10 anni fa. Scivoliamo dentro questa meraviglia non senza sforzi per via delle dune da superare negli stretti passaggi tra le rocce. Fortunatamente la sabbia di questi stretti passaggi obbligati è come consolidata dalle orme delle centinaia di dromedari che l’ hanno percorsa rendendola più dura…intanto il pensiero va a Taoudenni sempre più vicina, ed agli sforzi che stiamo affrontando per raggiungerla….chissà se è per questo che poi, quando il procedere si fa liscio come l’olio e quasi planiamo sulla sabbia silenziosa, circondati da questa forma essenziale di autentica bellezza, quasi sveniamo di piacere… Nei pressi di Taoudenni file ordinate di centinaia di dromedari procedono nelle due direzioni….cariche di foraggio verso la miniera di sale, dove a parte ciò non c’è nulla, o con le lastre rettangolari verso Timbuctu. Ogni volta è una festa incontrare queste ultime carovane del Sahara che purtroppo si estingueranno nel giro di pochi anni…triste invece vedere gli scheletri dei poveri dromedari che oberati dal peso delle lastre non ce l’hanno fatta ad uscire da questo deserto, tanto affascinante quanto impietoso. Riusciamo a raggiungere l’obiettivo poco prima del buio. Seguiamo il pick up tra le basse montagnole di terreno di riporto della miniera, oltre le quali sono celati i buchi di estrazione rettangolari. Qua e là le casette fatte dei blocchi di terreno salato estratti per raggiungere gli strati di sale, sembrano più ovili che non gli alloggi dei minatori. Sono l’unica donna qui e questo giustifica l’arrivo di molti a curiosare subito dopo il nostro arrivo. Sosteremo di fronte alla casetta di Abdi, il nipote di Lamanà, nonché fratello maggiore di quel simpatico Mohamed col quale abbiamo giocato ad Araouane. Hanno lo stesso bel sorriso….peccato che la necessità di sopravvivere abbia costretto Abdi a questo lavoro infame che li ha separati. Mohamed aspetta che io gli porti la foto di suo fratello quando tornando ci fermeremo di nuovo ad Araouane ….è curioso di vedere se è cambiato in questi cinque mesi di lontananza… Non deve essere semplice lavorare qui per sei mesi di seguito, nel cuore del Sahara, lontani da tutto ed in compagnia dei soli uomini ed i capretti che saranno via via sacrificati per essere mangiati….il muezzin non manca però, lo sentiamo intonare la sua preghiera che echeggia nel nulla di questo luogo. La drammaticità qui è palpabile e noi rappresentiamo una nota di allegria e colore arrivata come per caso dal lontano orizzonte. Abdi prepara la cena per tutti noi e per qualche ospite che si è aggiunto all’ultimo momento….spaghetti tuareg buoni come sempre. E’ già notte quando finiamo la nostra cena, ma le stelle luminosissime e tutte presenti questa sera, ci forniscono quel poco di luce che ci serve per raggiungere la nostra tenda a due passi da qui. Non si vede più nulla….nè montagnole né squallidi ovili….siamo liberi di immaginare le distese di sabbia e l’armonia del deserto…..del tutto assenti qui.

07 Marzo 2008

TAOUDENNI – BIVACCO

La sveglia suona poco dopo l’alba, alle 6.30. Il fabbro arriverà presto e noi dovremo essere svegli per patteggiare con lui il prezzo della riparazione dei sei attacchi della tenda e consegnargli i pezzi. Il tempo di bere un tè maliano ed il nescaffè consumati a sedere sulle coperte stese davanti alla casetta di Abdi ed ecco il forgeron. Si presenta a Vanni e gli propone un prezzo sul quale Lamanà suggerisce di contrattare. Finisce con l’accordarsi per 35.000 CFA per l’intero lavoro, circa 50 €, e parte con lui verso il laboratorio. Intanto il sole è salito, le mosche non danno tregua ed in giro non si vede quasi più nessuno, sono tutti al lavoro dentro gli scavi perfettamente rettangolari, ad estrarre le preziose lastre che fin dal medioevo venivano acquistate dai mercanti portoghesi e veneziani per entrare nelle mense europee. La mattina scorre lenta nell’attesa che il lavoro del forgeron e la sistemazione della camera d’aria siano ultimati. Un lungo viaggio di ritorno, scandito dall’avvistamento delle carovane e dei pozzi, tutti allineati sulla rotta Nord – Sud, ci attende, ma intanto l’ambizioso obiettivo è raggiunto e per il momento ci crogioliamo nella nostra felicità. Per non sprecare tempo prezioso, mentre gli uomini sono occupati nelle varie riparazioni io vado con Abdi in giro per la miniera sempre in compagnia delle mosche così numerose da rappresentare assieme agli scorpioni ed i topi, unici animali qui oltre ai capretti ed i dromedari in sosta, una sorta di flagello. Arriviamo alla “concessione” di un suo amico che vediamo intento a rifinire una lastra con una specie di piccozza, sta eliminando dalla plaquette le parti argillose o impure. Scendiamo giù nel foro quadrato di circa 5 metri di lato attraverso una piccola scala scavata nel duro terreno salato, che ne rende agevole l’accesso. Saltano subito all’occhio i diversi strati del terreno sezionato. Hanno colori diversi a seconda della quantità di sale che contengono in percentuale variabile….dal rosso, al marrone, al bianco verdastro o avorio. Sono solo due gli strati che si estraggono in lastra, e si trovano a circa quattro metri di profondità, sono alti dai 10 ai 15 cm di spessore. Il primo strato che si incontra a partire dall’alto è quello di terza qualità, il meno salato e più impuro che normalmente si getta o si dà da mangiare agli animali dopo averlo macinato. Il secondo strato è di seconda qualità e nello spessore che si estrae se ne fa una lastra spessa circa 3 cm e di dimensioni 125 x 50 cm. Il terzo strato è il migliore, salatissimo, puro e verdastro. Con un po’ di fortuna se ne ricavano due plaquettes sempre della stessa superficie. Il lavoro procede per sezioni, scavando sotto lo strato durissimo di halite del quale non si fa nulla, ma che serve per sostenere il terreno sotto il quale si scava procedendo in orizzontale e spesso scontrandosi con il vicino che ha scavato verso lo stesso punto. Si procede scavando per blocchi della dimensione della lastra, uno standard che ogni minatore rispetta, eliminando dapprima lo strato morbido soprastante la falda di sale, poi affondando il picco per qualche centimetro attorno alla lastra affinché si stacchi. Si procede con la stessa modalità anche per i due strati sottostanti, i più preziosi, e così via per il blocco successivo sempre scavando in orizzontale fino all’inevitabile scontro con il vicino. Il lavoro di un giorno, se non ci si risparmia, permette di estrarre 12 lastre delle quali tre vanno allo scalpellino che le ha pulite. Vengono immediatamente vendute ai carovanieri ed ai camionisti sempre più presenti qui in miniera. Mi spiega Abdi che l’arrivo dei camion ha consentito rifornimenti più veloci di cibo ed altro per i minatori del villaggio. Mi mostra con un sorriso la “cabina telefonica”….una stamberga all’esterno della quale il marito di sua sorella sta maneggiando un telefono satellitare. Ci sono anche il fornaio ed il fabbro….insomma tutto l’essenziale c’è qui alla miniera….tranne le donne ed i bambini che renderebbero più umano questo luogo triste e desolato, dove nemmeno il fantastico deserto circostante è visibile, nascosto com’è dalle montagnole del terreno di riporto degli scavi. Una città fatta di buchi nel terreno e stamberghe, popolata di topi, scorpioni , mosche e dei circa 600 minatori sempre al lavoro dalle 6.00 alle 11.00 e poi dalle 14.30 alle 17.00 del pomeriggio, nei mesi compresi tra ottobre ed aprile, quando il caldo è ancora sopportabile. Vita dura qui! Partiamo alle 15.00, dopo aver installato tutti gli attacchi ora riparati ed aver acquistato e caricato su Gazelle le imperdibili lastre di sale della più antica miniera del Sahel. Durante il viaggio incontriamo ancora carovane composte da centinaia di dromedari che scorrono in fila indiana sulla sabbia color mattone. Il paesaggio è bellissimo qui vicino a Taoudenni, articolato in alte dune che all’orizzonte si tingono di viola…ogni volta che ci arrampichiamo con Gazelle su una di queste è un’emozione come da montagne russe. Ancora banchi di gesso bianchissimo e rari ciuffetti verdi interrompono il cromatismo tutto nei toni del rosso. Campeggiamo dopo il tramonto in una magica distesa di sabbia rosa punteggiata di rocce nelle stesse tonalità di colore, che ne complicano il profilo….non saprei dire dove ci troviamo esattamente, ma il nostro Garmin dice che mancano 279 km ad Araouane. Quello che invece sappiamo per certo è di essere capitati in un angolo di deserto popolato da formiconi alati che si infilano ovunque, dentro la zuppa di cipolle e su per i pantaloni.

08 Marzo 2008

BIVACCO – CAMPO ENI

Partiamo poco dopo le 7.00 percorrendo la pista che si svolge tra la sabbia rosata e le rocce più o meno aguzze che ne costellano la superficie mossa da dune lievi. La sabbia a tratti è molle e Gazelle ruggisce in seconda sforzandosi di non affondare. Qua e là evitiamo le pietre più grosse zigzagando verso l’orizzonte che va perdendosi in armoniche increspature. Questa mattina è Atahar a forare, questo tratto di pista proprio non perdona. Ci fermiamo per la necessaria manutenzione….sono le 9.10 e sul Gps mancano ancora 240 km per Araouane, il nostro obiettivo di oggi….ma poi la nostra attenzione si sposta sulle operazioni che i nostri compagni di viaggio stanno compiendo sul pneumatico forato….è incredibile e Vanni quasi è commosso nel vederli…..Non hanno o non vogliono usare la ruota di scorta del mezzo che Vanni ha noleggiato per loro….quindi smontano completamente il pneumatico ed iniziano a cucire la camera d’aria….si proprio con ago e filo! Vanni, già affascinato dal lavoro da certosino compiuto sugli attacchi della tenda dal forgeron, rimane basito di fronte a questa arte di arrangiarsi, elementare ma efficacissima. Intanto il passeggero ospite, prepara l’immancabile tè maliano trois verres. E’ un giovane ragazzo timido e non parla una parola di francese. E’ salito a Taoudenni per un passaggio fino a Timbuctu…lo schiavo, come lo ha soprannominato Vanni per il fatto che Lamanà ed Atahar non lo hanno accolto dentro l’abitacolo del pick up, lasciandolo sul cassone, seduto sui barili di gasolio, esposto al vento polveroso ed al sole così forte da cuocere il cervello. Non c’è da stupirsi di nulla qui, nemmeno che la schiavitù illegale in Mali, sia di fatto praticata dalle popolazioni tuareg del deserto. A Taoudenni sono molti i ragazzi che lavorano in stato di schiavitù per ripagare debiti maturati a Timbuctu dalla loro famiglia, o quelli che lavorano solo per la loro sopravvivenza e quella della famiglia rimasta in città. Dicevo che lo schiavo prepara il tè mentre i due tuareg stanno incollando una toppa sulla cucitura della camera d’aria. A proposito di questo ottimo tè, deve piacere proprio tanto da queste parti perché quando capita di incrociare le carovane, vediamo spesso qualcuno che agita in marcia il piccolo braciere fumante con la teiera in bilico sulle braci…peggio degli inglesi questi uomini del deserto! Ripartiamo dopo una ventina di minuti, un tempo accettabile per una foratura…ma poi alle 10.50 siamo ancora fermi per l’insabbiatura di Gazelle in cima ad una duna di sabbia chiara così fine da sembrare polvere. I tentativi di disinsabbiamento si protraggono con ogni mezzo nelle ore successive, ma senza alcun risultato, anzi, Gazelle affonda sempre più nella sabbia. A nulla vale scavare, mettere pietre e paglia sotto i pneumatici….Gazelle non esce dalla sua buca sempre più profonda. Alle 14 è unanime la decisione di interrompere gli inutili tentativi ….si pranza, o meglio loro pranzano, Vanni invece controlla i fusibili …la luce di inserimento del 4X4 non si accende più e poco fa Vanni ha probabilmente commesso un errore inserendo il differenziale con il 4X4 inserito. Il rumore che ha seguito l’operazione promette male e secondo lui abbiamo rotto il 4X4. Sarebbe atroce se così fosse! – Non rimane che aspettare che passi un camion – dice Lamanà, – siamo sulla pista e qualcuno prima o poi passerà da qui, potrebbe essere che ne arrivi uno mentre noi stiamo pranzando -. Ma in questi quattro giorni di viaggio non abbiamo avvistato un solo camion, se non quel camion cisterna dell’ENI che si aggirava proprio da queste parti un paio di giorni fa. E’ di Atahar l’idea di andare a chiedere aiuto al campo ENI che si trova a 15 km in direzione Ovest da qui. Vanni andrà con lui e lo schiavo, io rimarrò qui con Lamanà, ormai è deciso. Salgono in tre sul pick up e spariscono dalla nostra vista, inghiottiti dalle dune chiarissime qui intorno….io e Lamanà cerchiamo un po’ di ombra sedendoci vicinissimi a Gazelle, due chiacchiere, un riposino ad occhi chiusi e dopo circa una mezzora ci alziamo di scatto al rumore di mezzi in avvicinamento…..che sorpresa….sembra di essere assaliti da una serie di mezzi all’arrembaggio. Sono tre le auto in arrivo ed un grosso camion da deserto con ruote enormi….mai visto un dispiegamento di mezzi così per un insabbiamento mi dice Lamanà visibilmente sollevato e quasi commosso. Ma la cosa più divertente è rappresentata dai tre militari con i volti coperti dal passamontagna nero che armati di kalasnikov si avvicinano guardinghi seduti sui bordi del cassone di un pick up color avorio. Dal Toyota Land Cruiser nuovo fiammante scendono Fabio e Paolo, i due tecnici Eni italiani, quindi il responsabile del cantiere, un energico algerino che inizia fin da subito ad impartire ordini ai suoi uomini e Vanni. Fabio e Paolo ci spiegheranno poi che per contratto si spostano dalla base sempre scortati dalle guardie armate….in questo Sahara spesso lacerato dalle rivolte tuareg, non si può mai sapere cosa accadrà, quindi meglio prendere le necessarie misure di sicurezza. Intanto si è creata una piccola folla di tecnici e meccanici, segue qualche presentazione, poi l’algerino munito di radiotrasmittente inizia ad impartire ordini e tutto inizia a muoversi, compresa Gazelle che agganciata posteriormente al verricello del camion attraverso un lungo cavetto d’acciaio, esce velocemente dalla sua prigione indietreggiando fino a valle dove la accoglie la sabbia finalmente ben soda. Il meccanico, che indossa una pulitissima tuta blu da lavoro, sale a bordo della nostra mitica Gazelle e fa un paio di prove per verificarne il 4X4, ma appena inizia a risalire la duna appare evidente anche a me che le uniche due ruote motrici sono quelle posteriori….il sistema di trazione integrale è rotto! I militari armati, che durante le operazioni di soccorso erano saliti sulle dune circostanti per controllare che nessuno arrivasse ad attaccarci, risalgono sul loro cassone. In pochi attimi quello che era stato un luogo affollatissimo si svuota di ogni forma di vita, completamente…andiamo tutti al campo dove siamo stati gentilmente invitati affinché il meccanico possa esprimere una diagnosi più precisa ed eventualmente provvedere in qualche modo. Fortunatamente la pista per il campo è battuta ed i 15 km che ci separano da esso non ci danno alcun problema. Prendiamo posto in uno degli alloggi su ruote del campo ripulito ed allestito per accoglierci dove finalmente dopo cinque giorni ci concediamo una bella doccia ristoratrice. Raggiungiamo i ragazzi italiani poco dopo un breve riposo consumato sui lettini della nostra camera, ci presentano il capo del campo, un signore algerino vivace, simpatico e che detesta il caldo come capiamo nel corso della piacevole conversazione. Siamo di nuovo nella nostra camera in attesa che si faccia l’ora di cena, quando arriva la notizia devastante che Gazelle non potrà essere sistemata qui…serve un pezzo di ricambio, il perno del transfert, e nessuno qui è in grado di riparare l’originale rotto. La situazione si fa complicata. Ceniamo nella piccola saletta del campo dove tutto è pulitissimo, posate, bicchieri e piatti sono lustri in modo quasi innaturale. Un centrotavola rigoglioso di frutta fresca vivacizza il nostro desco attorno al quale ci sediamo in compagnia di Paolo, Fabio e dei due simpatici tecnici che scopriamo essere i responsabili dei lavori di sondaggio del territorio in cerca di petrolio, che la ditta algerina esegue per conto dell’ENI. La conversazione inizialmente in lingua italiana accompagna le portate del diner che si apre con una insalatina fresca, praticamente un miracolo qui…per proseguire con un potage di verdure, quindi cosce di pollo con patate fritte e finocchi in salsa. Frutta e piccoli budini confezionati costituiscono il dessert. Terminata la cena l’algerino, che era venuto in nostro soccorso nel deserto, si congeda con un bel sorriso. Noi iniziamo a raccontare con entusiasmo dei nostri viaggi nei due continenti, spaziando dal Mali, al sudamerica e all’Alaska. Sono tutti curiosi di sapere ed ascoltano con interesse le nostre avventure, poi arrivato il momento della sigaretta mi avvicino alla porta in compagnia dell’algerino, l’unico dei presenti con la mia stessa necessità di fumare. Iniziamo così una bella chiacchierata in francese sugli argomenti più vari tra cui la condizione femminile in Algeria e conseguentemente della famosa scrittrice Kalida Messaiudi della quale cui lessi il libro di denuncia “ad occhi chiusi” tanti anni fa e che ora, mi dice lui, è ministro della cultura…finalmente una bella notizia! Mi fa anche notare che oggi è la festa della donna….la festa più maschilista che l’uomo abbia mai potuto concepire…replico io. Alle 10, dopo la piacevole conversazione ci congediamo dai nostri salvatori e poco dopo entriamo tra le candide lenzuola dei nostri due lettini.

09 Marzo 2008

CAMPO ENI – DAJET EN NAHARAT

Poco dopo le 6.30 ci troviamo con Paolo e Fausto nella saletta per la colazione…con grande soddisfazione osserviamo il tavolo imbandito di succulente leccornie tra cui i biscotti che non mangiamo da mesi, marmellate varie e nutella. Dopo Mopti non abbiamo più avuto occasione di mangiare dolci quindi si può ben capire il nostro entusiasmo alla vista di quei biscotti. Usciamo poi per organizzare un po’ di cose, ma arriviamo tardi…Lamanà sta già scaricando da Gazelle il bagaglio più pesante, per alleggerirla al massimo. Poco dopo arriva anche l’algerino che, con nostro grande sollievo, ci conferma la decisione di assegnarci un’auto d’appoggio, un Toyota Land Cruiser nuovo fiammante e dotato di cavo d’acciaio da usare per eventuali disinsabbiamenti. Ci invitano anche a passare dal distributore per riempire tutti i nostri due serbatoi di gasolio…che angeli! Con quest’ultimo ennesimo atto di generosità il pool di algerini ed italiani ci salva definitivamente dal perdere l’aereo il 15 di questo mese. Con le due auto d’appoggio siamo tutti più comodi, compreso lo “schiavo” che ora viaggia comodamente seduto dentro l’auto ENI in compagnia di due coetanei che come lui parlano arabo. Quando partiamo sono tutti a guardare il corteo delle tre auto in uscita dal campo, poi le mani di tutti iniziano a muoversi in segno di saluto. Un po’ di sabbia resa molle dai mezzi in transito, poi i cespuglietti fetenti che ci fanno sobbalzare come se fossimo non su di una gazelle, ma su un toro scatenato. Ci insabbiamo due volte, ma con l’aiuto dei nostri uomini che ora sono cinque , ne usciamo velocemente. Dopo tre ore di sobbalzi e scossoni arriviamo finalmente sulle lisce dune di sabbia chiara che come grandi onde di latte macchiato ci trasportano a tutta birra verso sud. Gruppi di dromedari si stagliano sul bianco e soffice mantello di sabbia, offrendoci uno spettacolo ancora una volta di un’armonia incredibile. Ma il rodeo non è ancora terminato e presto, troppo presto, ritorna il flagello dei ciuffi di vegetazione che ora dobbiamo affrontare ad alta velocità per non affondare, senza la trazione integrale, nella sabbia. Il rodeo si ripete alternandosi a lunghi tratti di dune a grandi onde piacevolmente lisce sulle quali recuperiamo il grande piacere di essere qui. Ci fermiamo un paio di volte in questa lunga corsa verso Timbuctu…..per l’immancabile pranzo di mezzogiorno con sosta fissa fino alle 14.30 quasi imposta da Lamanà fin dall’inizio del viaggio, ed in prossimità di Araouane che non raggiungeremo per via della grande duna che dovremmo affrontare, per affidare allo zio di Atahar che vive qui nomade in una bianca tenda berbera, il bagaglio che Abdi invia alla madre. Ci rendiamo conto solo ora, vedendo le scatole passare di mano in mano, che abbiamo trafugato viveri destinati dall’Europa Unita alla miniera….ma siamo nelle loro mani in mezzo al deserto e perciò facciamo finta di non vedere. Risaliti a bordo continuiamo la lunga marcia fino al tramonto, quando arrivati in un avvallamento protetto dalle dune, ci fermiamo. Sono così stanca che crollo sulla sabbia dove rimango stesa in posizione leonardesca per un’oretta a godermi le luci del tramonto. Intanto Lamanà ha acceso il fuoco per cucinare la cena ed ogni tanto arriva ad offrirmi un bicchierino di ottimo tè fumante. Che grande guida Lamanà….e che bella persona….ha infuso coraggio a tutti noi, ed ha aiutato quando necessario senza risparmiarsi. Sempre efficiente e comprensivo….siamo stati fortunati ad avere lui. Dopo qualche lavoretto alla macchina anche Vanni mi raggiunge e si stende accanto a me. Rimaniamo così, immobili e stanchi ad osservare le stelle che nel frattempo sono arrivate tutte, anche quelle cadenti. Raggiungiamo il gruppetto dei tuareg per la cena attorno al fuoco a base di spaghetti, ma adesso che il gruppo è aumentato non ci considerano un granchè. Sono tutti in cerchio loro, vicini alla ciotola fumante dalla quale si servono prendendo gli spaghetti a pugno nella mano. Rifornimento di carburante dai barili ed a letto presto….domani ci aspetterà il tratto più duro…130 km di dune anche altissime.

10 Marzo 2008

DAJET EN NAHARAT – TIMBUCTU

Alle 6 siamo già svegli….alle 6.30 partiamo. Sono così tesa che scoppio in lacrime. Sono stati giorni duri questi ultimi e l’idea di dover affrontare quello che sarà il più duro di tutti senza 4X4 mi fa cedere. La palla di fuoco è ancora nascosta dietro le dune quando partiamo al seguito di Atahar, è il momento migliore per andare per via della maggiore compattezza della sabbia ancora fredda. Le dune si alzano fin da subito in ampie curve e sul nostro percorso compaiono a tratti i malefici ciuffetti, ma ci ripaga l’ avvistamento di alcune volpi del deserto che corrono a balzi fuori dalle loro tane, spaventate dal rumore delle nostre auto. Vanni guida a tutta birra ….è l’unico modo per affrontare la sabbia senza venirne risucchiati. Saltiamo come matti, a volte voliamo per poi riprecipitare subito oltre una piccola inevitabile duna. La pista è un inferno a questa velocità ed i sobbalzi rompono anche la nostra lastra di sale da 30 kg e spessa 3 cm…. non voglio pensare a come saranno le mie vertebre all’arrivo. A tratti la pista è così scavata da sembrare immersi nella sabbia, come se fossimo in una pista da bob….ad ogni movimento del volante si sbanda strisciando sull’alto bordo laterale, e a volte in curva la macchina è così sbandata da rischiare il rovesciamento. In un paio di occasioni nel corso di questa folle corsa verso la salvezza, sfioriamo tronchi di acacie cresciute troppo vicine alla pista….io finisco col colpevolizzare Vanni che ha voluto a tutti i costi affrontare questi 1600 km con un’auto sulla quale non ha nemmeno provveduto a montare dei pneumatici tassellati da sabbia e che ha voluto guidare su un elemento difficile senza la necessaria esperienza. Dopo quasi tre ore di questo inferno fatto di continue prove da superare, quando già all’orizzonte si profilava la skyline di Timbuctu, sull’ultima duna Gazelle si arrende stremata. Scendiamo tutti ed arrivano ad aiutare anche le persone stanno andando in città a piedi. Insomma è una folla quella che si accalca a spingere con le mani ben piazzate sul portellone posteriore di Gazelle, grazie a questo aiuto imprevisto siamo fuori in una decina di minuti e dopo altri dieci siamo in hotel dove il direttore preoccupato per il nostro ritardo aspetta fuori dalla porta. Siamo in ritardo di un giorno e mezzo, rispetto ai cinque giorni previsti….che avventura memorabile questa! Anche Atahar scende dall’auto ed arriva verso di noi….vuole che traduca per Vanni ciò che ha da dirgli : – in cuor mio non ho mai pensato che si potesse affrontare quel pezzo di pista senza 4X4. Complimenti a Vanni per la guida eccellente e coraggiosa. – Mentre traduco mi pento di averlo quasi aggredito in macchina questa mattina…ma ognuno di noi ha le proprie ragioni e solo perché alla fine tutto è andato bene quasi miracolosamente, non significa che non avremmo potuto risparmiarci molti degli stress che invece abbiamo vissuto. Se penso che per le mie esperienze precedenti io associavo il deserto al relax, alla meditazione ed alla bellezza armonica….che cambiamento di prospettiva ha rappresentato per me questo viaggio! Invitiamo Lamanà ed Atahar a cena per un doveroso commiato, quindi mi congedo da tutti e mi precipito sotto la doccia, mentre Vanni sistema un po’ i bagagli su Gazelle caricando la zavorra di souvenir che avevamo lasciato in hotel. Il letto ci rivede insieme dopo un paio d’ore….io spappolata, lui ancora iper energico che organizza a suon di sms la nostra cena al Biavati la sera del 16 maggio, poche ore dopo il nostro atterraggio a Bologna…..ho sposato Hulk! Alle 17 come d’accordo con il figlio del direttore usciamo per un tour nella città vecchia….ma che delusione questa Timbuctu…..passeggiando per le stradine povere e sporche, dove non c’è nulla da vedere se non le porte delle case rinforzate con grandi borchie di metallo luccicante, capiamo che la grandeur di questa città è solo un ricordo del passato e che solo il suo nome TIMBUCTU, altisonante ed evocativo, è rimasto immutato nella memoria collettiva, tante volte citato, sempre presente nel nostro immaginario come un luogo di grande fascino ed importanza commerciale. Non incontriamo nulla di veramente bello da vedere, o da ricordare, solo la grande moschea di banco ispido di bastoni risalente al 1350, il cui minareto a forma di imbuto rappresenta una eccezione tipologica di un certo interesse. Poi l’antica università anch’essa con un bel minareto…e niente altro. Solo miseria, tristezza e grigie scatole di banco, le case di Timbuctu, ravvivate solo dalla presenza dei forni collettivi circolari, a quest’ora in piena attività. La sosta per l’acquisto di prodotti artigianali è un punto fermo al quale è difficile sottrarsi nel corso delle visite guidate, e nonostante specificato strada facendo la nostra ferma intenzione di baipassare, Momo, la nostra guida, ad un certo punto si ferma vicino ad un’anziana signora seduta di fianco alla porticina della sua casa. Apre un sacchetto di tela e ne estrae i suoi capolavori….collane e braccialetti del colore dell’oro ma realizzati interamente in paglia. Sono bellissime le collane, e leggere come piume. Il costo irrilevante di meno di due euro l’una mi spinge a comprarne diverse ed a lasciarle anche una mancetta, per premiare la sua abilità e la sua originale idea. E’ impagabile il piacere che dà vedere spuntare un sorriso sul viso di una donna….ed avendo fatto così poco per provocarlo. Ci congratuliamo con lei e proseguiamo tutti contenti incamminandoci nel labirinto di strade polverose per tornare a Gazelle che ci aspetta davanti la grande moschea. Rientriamo in hotel per un altro breve riposino e per rispondere ai tanti sms arrivati negli ultimi sette giorni di isolamento telefonico. Alle 19.00 Lamanà arriva puntuale all’appuntamento per la cena. E’ elegantissimo nel suo caffettano bianco che lascia intravedere una camicia nera a righe chiare, in tinta con il turbante anch’esso nero….non lo avevo riconosciuto abituata com’ero a vederlo nel suo caffettano verde oliva. Dopo una decina di minuti ci raggiunge al tavolo Atahar anche lui ripulito come si deve. Iniziano subito le difficoltà legate all’uso necessario delle posate per la zuppa che loro lasciano completamente intonsa. Qualche chiacchiera, poi Vanni và loro incontro afferrando la coscia di pollo con le mani, dopo di che anche loro iniziano a mangiare. Ci scambiamo i numeri di telefono, ripercorriamo insieme alcuni momenti del nostro viaggio insieme che ci fa sentire molto legati a loro, poi ci congediamo con il proposito di rivederci il prossimo dicembre. Non ci sono molti turisti che amino spingersi nel deserto del Mali e quindi il loro lavoro è scarso purtroppo. Adotterei volentieri Lamanà a distanza, ha tre figli da sfamare e lo stimo molto, questo tuareg di poche parole, ma serio e corretto…ci penserò. (Lamanà Sidali, guide de desert, 00223 6042177. Atahar Sidi, 00223 9065309).

11 Marzo 2008

TIMBUCTU – MOPTI

Partiamo di buonora dopo essere usciti dalle lenzuola che hanno avvolto altri corpi prima di noi. L’odore dei cuscini non lascia spazio ad alcun dubbio. Ne usciamo volentieri quindi, nonostante gli asciugamani avvolti attorno ad essi ci avessero aiutati a superare la sensazione di disagio legata al pensiero di eventuali malattie della pelle a carico degli ospiti precedenti. Alle 7.30 siamo già a bordo di Gazelle diretti al Bac sul fiume e poi oltre, alla capanna dei bellè, gli ex schiavi, dove la bambina piccolissima ha bisogno delle medicine che le ho comprato. La madre non c’è, è il padre a mostrarmi il culetto ormai guarito della figlia. Inizia poco dopo la pista scassata verso Douentza….ancora scossoni e buche che per dimensione e posizione, in cima a salite che le rendono invisibili, hanno tutta l’aria di veri e propri attentati. Perdiamo un bullone che fissa la vaschetta dell’acqua del radiatore, un fanale anteriore e quasi anche l’altro che Vanni lega con un cordino. Gazelle sta letteralmente cadendo a pezzi. Dopo i 210 km micidiali arriviamo finalmente sul goudron dove Vanni lanciato a tutta birra verso Mopti riesce finalmente dopo giorni e giorni ad inserire la quinta marcia. Costeggiamo piccoli villaggi di banco, dalle bellissime piccole moschee che le punteggiano come tanti piccoli gioielli emergenti sulle monotone casette scatolari. A Mopti ci dirigiamo senza indugi verso l’hotel “Y a pas de probleme”, all’ombra della cui terrazza mi gusto una pericolosa insalata verde accompagnata dall’ottimo tè maliano. Vanni è da qualche parte con Gazelle, per un rifornimento ed il controllo del pneumatico che avevamo forato salendo a Taoudenni che ora ha una grossa bozza sul fianco. Quando dopo un paio d’ore torna Vanni mi dà una notizia che avrei preferito non sentire….quella mattina a Taoudenni, mentre Vanni era dal forgeron, Lamanà mi aveva mostrato la nostra camera d’aria danneggiata facendomi notare che i due tagli paralleli e vicini la rendevano non recuperabile. Ne avrebbero montata una nuova per un costo di 15.000 CFA, poco più di 20 €. Oggi Vanni, facendo smontare il pneumatico, ha visto che la camera d’aria, che doveva essere nuova, è più logora della nostra e con una toppa che chiude due tagli vicini pressappoco quanto i nostri. Avrebbe potuto chiedere lo stesso importo per la riparazione, anziché fregarci in questo modo! Che delusione i nostri due compagni di viaggio….inutile pensare di poter instaurare con loro un onesto rapporto di amicizia, appena possono ti fregano….questa è la triste realtà. Ma torniamo a questo bel posto che è Mopti….ancora di martedì, come 14 giorni fa, vigilia di mercato con grande movimento di piroghe e merci in vista del grande giorno di scambi, compravendite e festa. Il mercato è l’evento che riunisce le genti dei villaggi vicini e le mette in contatto con i compratori che vengono anche da lontano. Non possiamo mancare allo spettacolo del tramonto al Bar Bozo, quindi andiamo per tempo ad osservare il grande show che questa sera comprende anche un ragazzo che proprio qui sotto il muro della terrazza fa manicure e pedicure ai suoi clienti seduti in fila ordinata a terra. Poi ancora pinasse che arrivano e ripartono cariche e poi scariche….senza sosta. Approfittiamo di una bilancia del mercato per controllare il nostro peso dopo due mesi d’Africa…io ho perso cinque chili, Vanni quattro…non male! Il taxi ora aspetta fuori dal bar, davanti al cantiere delle piroghe. Tornare sulla strada attraversando il mercato in allestimento non è semplice nemmeno per un taxista di qui, ma comunque trova un varco tra carretti, corpi e ceste dalle quali arriva il pungente odore di pesce secco. Ceniamo nella bella terrazza dell’hotel dove questa sera ci godiamo il bel venticello mentre una cameriera con parrucca, lenta come una lumaca e sempre con l’espressione di chi ti sta facendo un favore, ci serve le gustose pietanze.

12 Marzo 2008

MOPTI – SEGOU

Lasciamo Mopti con la ferma decisione di tornare…questa città ci ha proprio conquistati con la sua vivacità legata al porto, alla gente simpatica e sempre sorridente, a parte la cameriera di ieri. Ce ne andiamo volgendo il capo indietro….ma che dire…tutte le cose hanno un termine e noi ormai siamo agli sgoccioli di questa prima parte del viaggio attraverso l’Africa che ci vedrà toccare altri numerosi stati di questo grande continente. Mentre percorriamo a ritroso la strada verso Bamako, sono tanti i ricordi che affiorano ed altrettanti i propositi legati al nostro ritorno il prossimo dicembre, quando la stagione delle piogge appena terminata avrà gonfiato d’acqua questo delta del Niger e tutto avrà un aspetto diverso, compresa la vista dalla terrazza del Bar Bozo che allora sembrerà navigare anch’essa come una pinasse sulle acque limacciose del fiume in piena. Sono poche le cose tralasciate in questi 27 giorni in Mali ma questo paese ci è piaciuto così tanto da non volerne perdere nemmeno una briciola. La navigazione sul fiume, tra i villaggi di pescatori e la bella Gao al confine con il Niger saranno i punti fermi del nostro prossimo passaggio qui. Non possiamo lasciare il Mali senza portare con noi almeno una calebasse , è per questo che ci fermiamo a Bla e ne acquistiamo due al costo irrisorio, ma senz’altro esagerato, di 2000 CFA, vista l’espressione del viso di chi ce la sta vendendo….come se stesse facendo una necessaria rapina. A Segou arrivo piuttosto stanca, devono essere questi 40°C costanti nelle ore centrali della giornata, ed il climatizzatore di Gazelle ormai scarico di gas. Torniamo all’hotel Djioliba, piacevole e pulito. Domani saremo a Bamako.

13 Marzo 2008

SEGOU – BAMAKO

Con questo caldo Bamako sembra irraggiungibile senza il conforto dell’aria condizionata a bordo. Attraversando il lungo ponte des Martyrs entriamo nel cuore della città della quale riconosciamo gli enormi volumi del Sofitel seguendo i quali e proseguendo oltre arriviamo al nostro hotel Rabelais dove la proprietaria, una signora francese di mezz’età, ci accoglie con un sorriso. Siamo ormai clienti affezionati qui visto che per la terza volta torniamo ad occuparne una delle belle camere al primo piano. Inizia il rito di preparazione dei bagagli con tanto di pesatura dei colli nel rispetto delle regole Air France. La lastra di sale rotta finisce con qualche tovaglia dogon e le babbucce di cuoio marocchine in una valigia di tessuto a disegni pacchiani acquistata per l’occasione. Mai visto nulla di più kitch e cadente, tant’è che la maniglia si è già rotta ed anche i brodi si stanno aprendo. Legata una corda, tanto per non perderne il contenuto, pesa la bellezza di 34 kg, due in più di quelli consentiti per un solo collo. Il bellissimo pietrone arancione traslucido di Vanni finisce nel mio trolley svuotato degli indumenti che lascerò qui. Peso 30 kg. Il suo trolley rosso pesa 14 kg…insomma riassumendo dobbiamo comprare ancora due sacche per contenere anche gli ultimi souvenirs e sfruttare al massimo il peso complessivo consentito per i bagagli in stiva di 46 kg a persona, più i 12 in cabina. Che delirio andare avanti e indietro con tutto quel peso dalla macchina alla bilancia del magazzino dell’hotel….qualche battibecco rende poi la cosa insopportabile, ma Vanni ha una resistenza da superman! Modibo ci raggiunge con un ritardo di circa un’ora. Seduti a bordo piscina beviamo una bibita e chiacchieriamo di tante cose, compresa la difficile situazione politica e sociale nella regione a nord di Timbuctu, dove eravamo noi, per via dei ribelli tuareg. Gheddafi fomenta la ribellione, che si protrae dagli anni ’90 con spargimenti di sangue, rapimenti e ricatti allo stato maliano. Insomma questi tuareg che non hanno proprio voglia di lavorare, dice Modibo, e che ancora praticano la schiavitù ai danni dei Bellè, chiedono continuamente denaro allo stato in cambio della non belligeranza. Discutiamo fino al tramonto poi Modibo si dilegua in gran fretta….forse deve pregare. E’ simpatico, nerissimo nel suo caffettano bianco, e indossa un vistoso orologio d’oro con brillanti che nemmeno io indosserei mai talmente è vistoso. I suoi due cellulari hanno suonato continuamente, quasi a voler sancire che si tratta di un impegnato uomo d’affari. Dopo un breve relax in camera cerchiamo di contattare Ismail, il ragazzo libanese conosciuto a Djienne che accompagnava il tour di italiani . Vanni deve aver scritto male il numero di telefono, 5145528, non rimane che andare a cercarlo nel suo locale, l’Exodus che ci aveva caldamente raccomandato. ( HYPERLINK “mailto:exodusmali@gmail.com” exodusmali@gmail.com ) Il taxi arriva in pochi minuti e dopo aver percorso le buie strade polverose della periferia della città entriamo in quello che ci sembra un piccolo ippodromo e poco dopo raggiungiamo una struttura di legno che sembra deserta. Una volta entrati siamo avvolti dall’atmosfera soffusa del locale ed accolti con un saluto caloroso da Ismail, che sta facendo qualcosa dietro al banco del bar. Ci chiede naturalmente del nostro viaggio, poi racconta la storia di questo Exodus che lui ha creato dal nulla, ma nel quale non c’è ancora nessuno a parte noi tre ed i camerieri. E’ carino qui, ha fatto un bel lavoro Ismail, dividendosi per di più tra questa attività ed il suo lavoro di guida. Ci consiglia di leggere un libro, si intitola “Africa Trekk” ed è stato scritto da Sonia ed Alessandro Poussin….da non perdere per noi che viaggiamo molto! Dopo un aperitivo con due misurini di rum che mi stende dopo un’astinenza di mesi, ci comunica che non ceneremo lì. E’ stato invitato da una sua amica italiana che lavora qui ed ha organizzato questa sera una cena da lei con amici….andremo con lui. La casa di Milena non è molto distante dal nostro hotel, spaziosa, pulita, arredata in modo sobrio ed ha un bel giardino. La cosa che mi colpisce entrando è la stupenda scultura di cartapesta che riproduce una due cavalli azzurro metallizzato in scala più piccola naturalmente, ma lunga comunque circa un metro. Visto il mio entusiasmo Milena mi fa vedere quelle che sono in camera da letto, un pullman ed un missile, fantastici e piuttosto grandi riempiono tutto lo spazio libero. Sono così belle queste sculture che ne vorrei avere una anche per noi. Già la immagino parcheggiata nel soggiorno di Forlì….magari una Gazelle…l’idea mi sembra fantastica! Ma non si trovano in nessun mercato…lei le ordina direttamente da questo artista che le costruisce….come fare? Senza naturalmente! Siamo in otto a partecipare alla cenetta a base di ottimi gnocchi di patate preparati dalla padrona di casa. Lavora qui a Bamako in qualità di architetto presso un’agenzia spagnola che si occupa della conservazione e dello sviluppo sostenibile dell’edilizia tradizionale in banco. Con lei sono Arancia, una ragazza spagnola che lavora per una ONG nel settore della nutrizione, Charles, che arriva dal Lussemburgo e che sta seguendo per conto del suo paese un progetto imprecisato. Poi c’è Natascia, unica rappresentante di colore, amica di Milena, scatenata e con l’immancabile parrucca, Fernando, spagnolo e medico senza frontiere. Insomma un bel gruppetto europeo a sostegno del settimo paese più povero d’Africa. Qualche chiacchiera in italiano con Ismail e la padrona di casa accompagna la cena che ci vede tutti seduti attorno al tavolino del salotto a gustare gli ottimi gnocchi e l’insalata della quale ultimamente vado matta. Dopo la cena alcuni di loro andranno alla Terrasse a scatenarsi in balli sudamericani, noi ci incamminiamo verso l’ hotel a piedi ….decisamente alticci.

14 Marzo 2008

BAMAKO

Dopo l’ottima colazione con le meravigliose torte dell’hotel, inizia l’attesa di Modibo che alle 10.45 non è ancora arrivato all’appuntamento delle 9.30. Gli telefoniamo per sollevarlo dall’impegno ma lui risponde  farfugliando  che ha mandato suo fratello,  poi aggiunge che ci raggiungerà alla sede Toyota. Seguiamo il taxi che ci conduce alla clinica Toyota dall’altra parte della città, dove poi ci sentiamo rispondere dal signor Sidibe, il capo dei meccanici dell’officina, che oggi non hanno il tempo di guardare l’auto per vedere quali pezzi sono da sostituire ….Per rimetterla un po’ in sesto avevamo loro chiesto un preventivo ed un elenco dei pezzi eventualmente da ordinare alla casa madre, ma loro ci snobbano dicendo che non hanno pezzi di auto così vecchie, non hanno tempo di stilare un elenco dei pezzi da ordinare….ma in fondo cosa sono 25 anni rispetto alle potenzialità della nostra Gazelle? …proprio non hanno voglia di lavorare….saranno tuareg anche loro? Esco furiosa e sempre più propensa al razzismo che anche Vanni condivide. Il pomeriggio trascorre lento attorno alla piscina dell’hotel ed i buoni propositi di andare a visitare il Museo Nazionale sfumano con il passare delle ore. L’alibi c’è naturalmente, per sedare i lievi sensi di colpa che mi assalgono in questi casi, continuo a ripetermi una frase di questo tipo: – la nostra esperienza in Mali è stata così piena, così vera e profonda  che l’idea di osservare degli oggetti ben inseriti nelle vetrinette di un museo non aggiungerebbe nulla alla conoscenza di questa bellissima nazione -. Eppure questo museo è il più interessante di tutta l’Africa occidentale per cui troveremo un momento per la visita al nostro rientro qui in dicembre. Alle 20 arriva Modibo, puntuale all’appuntamento per la cena in hotel alla quale lo abbiamo invitato in compagnia della moglie….ma arriva solo ed ha già mangiato ci dice, durante una riunione di lavoro svoltasi nel suo ufficio mentre discutevano dell’aumento eccessivo delle tasse doganali. Rimane con noi a chiacchierare, tra un boccone e l’altro, mentre il suo telefono non smette di suonare. Ci conferma la notizia del rapimento di due turisti austriaci nel deserto della Tunisia da parte di Al Quaeda, lo scorso 22 febbraio. Dopo aver attraversato il deserto algerino al seguito dei loro rapitori, ora sarebbero nel nord del Mali,  vicinissimi a Taoudenni, dove noi eravamo pochi giorni fa….- vous avez eu de la chance – ci dicono tutti ed è abbastanza vero. Alle 23 crolliamo dal sonno….ma stiamo migliorando!

15 Marzo 2008

BAMAKO – BOLOGNA

Modibo arriva alle 10 con un anticipo di 30 minuti. E’ in compagnia della sua seconda moglie e di una bambina piccolissima ma bellina da morire con i capelli ordinati in piccole trecce. Ieri sera ci aveva introdotto l’argomento della sua famiglia, per questo era venuto solo…come fare a scegliere chi invitare tra le tre mogli senza fare un torto alle altre due? Nella sua casa enorme convivono tutte tre e le numerose figlie, ben sette, di cui la più grande ha diciassette anni e la più piccola sette mesi. Con la prima moglie l’amore è finito subito…e sono iniziati i problemi legati alla sua sterilità dopo la prima gravidanza. La seconda invece è la sua favorita, più istruita delle altre e moglie perfetta sa come renderlo felice e inoltre lo sostituisce in azienda quando lui è assente. Con lei ha fatto cinque figlie e non avrebbe mai sposato la terza se non fosse che sua madre ha insistito affinché prendesse una della sua stessa razza, ma nemmeno questo  è servito ad avere un figlio maschio….suo grande cruccio. Ci dice che non è facile gestire le gelosie delle tre mogli, ma ognuna di loro vive in un’ala della casa a lei riservata ed ha un suo giardino….non manca proprio nulla a queste donne….dice lui come per giustificarsi agli occhi di noi occidentali. Ed è normale che un uomo della sua levatura abbia tre o quattro mogli…perché in definitiva le compra…penso io. Mentre osservo sua moglie e la piccolina  mi chiedo se  facciano parte di quel fortunato 7% risparmiato dall’infibulazione…. nonostante la curiosità mi trattengo dal chiedere perché se così non fosse non potrei più rivolgere la parola a questo signore che si occuperà di noi per tutto il pomeriggio e poi fino al nostro check-in  questa sera. Non vedendo Vanni, ancora provato dalla digestione della tartare di ieri, Modibo glissa l’uscita di questa mattina rimandando il nostro incontro alle 16 del  pomeriggio…..rilancio per le 15, non ho voglia di trascorrere tutto il pomeriggio in hotel a guardare Euro news in tv…e Bamako è davvero al di sopra di ogni tentazione di visita. Alle 17 arriva….ci accompagna al museo che a quest’ora è chiuso, quindi ci porta con sé allo stadio dove oggi gioca la sua squadra del cuore, il Djoliba AC , primo in classifica, ma che sta perdendo contro l’ultima in classifica, la USFAS. Siamo gli unici bianchi della tribuna coperta, la gradinata è caldissima ed il calcio non è lo sport che preferisco. Mai avrei pensato di concludere così il nostro viaggio, nello stadio di Bamako, dove i venditori ambulanti sfilano con  bevande e catini pieni di finocchi crudi o uova sode con tanto di condimenti, sale e pepe, in due barattoli a parte. I catini sono rigorosamente tenuti in equilibrio sulla testa dalle ragazze sempre itineranti sugli spalti, mentre molti bebè dormono tranquilli, nonostante il rumore delle tifoserie e dei tamburi, nei loro fagotti stretti alla schiena delle madri al lavoro. Usciamo dallo stadio delusi per la sconfitta schiacciante della squadra di Modibo….un salto in hotel a prendere Gazelle già piena dei nostri bagagli e poi si parte con destinazione casa di Modibo dove  la famiglia intera è ad accoglierci. Una volta parcheggiata Gazelle nel comodo garage annesso alla casa, dove rimarrà al sicuro nei prossimi mesi, ci accomodiamo sotto la tettoia dove una bimba arriva tutta orgogliosa a mostrarci una foto di qualche tempo, fa che ritrae Carlo Lucchese in compagnia della famigliola. Dopo molte chiacchiere con la primogenita e le mogli, ci congediamo da tutte loro, è già ora di andare all’aeroporto vicino per il check-in. Si torna a Bologna.


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28 Novembre 2008

BOLOGNA – BAMAKO

Fin dal risveglio il pensiero va all’aria tiepida nella quale saremo immersi questa sera, tra poche ore ed a migliaia di chilometri da qui, nella ben nota Bamako. La liberazione dal freddo che ci paralizza come in una morsa da qualche giorno, è la consolazione che sempre cerchiamo con l’avanzare dell’autunno, come se questo freddo non facesse parte della nostra storia e non ci avesse accompagnato per quasi tutti gli inverni della nostra vita passata. In taxi raggiungiamo il negozio di nautica per l’acquisto di una ulteriore ricarica del nostro telefono satellitare, per poi proseguire rapidi verso l’aeroporto Marconi, il nostro eterno trampolino di lancio verso il mondo. Al check-in le mie stampelle convincono la hostess a fornirmi l’assistenza dell’accompagnamento su sedia a rotelle nel transito di Parigi….le poche lettere scritte sul biglietto aereo e trasmesse al computer, assicureranno la mia comodità in questa partenza in un certo senso anomala, e mi eviteranno il faticoso arrancare lungo gli infiniti corridoi di collegamento ai gates dello Charles De Gaulle. Vanni è accanto a me, amorevole e premuroso come sempre, mentre silenzioso si occupa del nostro trolley. La gentilezza della signorina che si occupa di me a Parigi quasi mi commuove quando, senza la minima resistenza, decide di assecondare il mio desiderio di deviare verso il duty free a caccia dei profumi da regalare alle tre mogli di Modibo, come ringraziamento per la sosta di Gazelle nel garage di casa loro. Con una certa destrezza spinge la sedia a rotelle tra le vetrinette cariche di flaconi, mentre il commesso che ci precede spruzza sui cartoncini le fragranze tra le quali ricadrà la nostra scelta. L’arrivo all’aeroporto di Bamako ha l’impatto di uno scontro frontale….quasi travolti dalla moltitudine di corpi in movimento di turisti e locali stentiamo a trovare una qualche forma di armonia nel nostro procedere tra gli spazi troppo angusti per contenere tutta questa massa umana che vi circola disordinatamente carica per di più di voluminosi bagagli, compresi gli scatoloni contenenti monitor LCD e tutto quanto la migliore tecnologia occidentale possa far desiderare agli africani benestanti. Bambini sorridenti assicurano la loro incolumità aggrappandosi ai ventri prominenti delle loro madri, treccine di capelli neri incorniciano i loro visi ormai stanchi e sbalorditi nell’osservare tanto caos attorno a loro. Conquistata la porta di uscita cerchiamo tra la folla l’autista di Modibo del quale conosciamo solo il nome…Sekou Doumbia… lo individuiamo subito dopo aver letto sulla lavagnetta scura che tiene in mano, la scritta in gesso “Giovanni e signora”. Siamo salvi. Indossa una giacca a vento arancione ed un sorriso buono, ma è circondato da un gruppetto di giovani sconosciuti che appena vedono i nostri bagagli li afferrano in tutta fretta e senza consenso, imponendosi come portantini. Arrivo alla portiera della Mercedes scassata di Sekou, sempre comodamente seduta, sospinta da un accompagnatore questa volta scurissimo che mi aiuta ad entrare ed a sedermi nell’abitacolo mentre Vanni, che si occupa dei bagagli, lotta con i portantini in difficoltà nel dover ripartire in quattro una banconota da 10 €. Siamo in Africa! Ai lati delle strade buie ed accidentate, che percorriamo diretti a casa Modibo, intravediamo corpi seduti in piccoli gruppi accanto a baracche di lamiera e bastoni di legno. Sono il frutto dell’imprenditorialità spontanea di signore con velleità culinarie che per far quadrare il bilancio familiare offrono pasti caldi in cambio di un equo compenso e di qualche pettegolezzo nelle ore più fresche della giornata….fino a tarda ora. Ma questa notte a noi sembra fin troppo calda. Tra la polvere e l’odore acre delle fogne a cielo aperto procediamo lenti. La luce fioca dei fari e le stelle rischiarano appena la strada sterrata che porta alla reggia di Modibo che raggiungiamo in una ventina di minuti. La mercedes si ferma nei pressi di un alto muro di cinta bianco ed un paio di custodi si affacciano al portone per vedere se gli ospiti sono arrivati….la cautela nelle ore notturne è necessaria non solo per i turisti! Gazelle è esattamente nell’angolo del garage dove l’avevamo lasciata lo scorso marzo, valutiamo velocemente mentre, distratti dalle rane che saltano sul pavimento, ci avviciniamo….a bordo non manca nulla, ma dopo qualche tentativo da parte di Vanni alle prese con l’accensione, ci rendiamo conto che Gazelle non vuole proprio mettersi in moto. Vanni Sekou ed un paio di guardiani armeggiano vicini al cofano aperto, ma è ormai tardi, la casa è immersa nel silenzio e senza morsetti è inutile pensare di poterla riavviare. Accompagnati da Sekou, che Modibo ha gentilmente messo a nostra completa disposizione, raggiungiamo il Gran Hotel Azalai, oltre il ponte sul fiume Niger, dall’altro lato della città, che dalle foto viste in internet non ci era sembrato male….e’ mezzanotte quando entriamo nella nostra camera confortevole e pulita da 100 €….siamo stanchi ed un po’ agitati, esordire con un minimo di confort è necessario.

29 Novembre 2008

BAMAKO

Quando mi sveglio, verso le 8, Vanni è già uscito…..l’idea di dover trovare un rivenditore di batterie nuove aperto il sabato deve averlo fatto stare in apprensione tutta la notte….e del resto lo capisco, rimanere bloccati a Bamako non è proprio il massimo considerando che non c’è poi molto da fare qui e la città è piuttosto bruttina. Poiché l’aria condizionata mi sta uccidendo, decido di alzarmi, almeno per aumentare di qualche grado la temperatura nel termostato. Stranamente sento una sorta di disagio e non ho voglia di lasciare la camera nemmeno per scendere alla colazione….deve essere per via di questo piede che continua a condizionare i miei movimenti rendendoli impacciati se non impossibili….e l’idea piuttosto remota che qualcuno degli inservienti possa sottrarre dal mio bagaglio tutte le preziose creme antirughe che vi sono custodite proprio all’inizio del viaggio. Insomma sono in preda al delirio! Infine mi decido e scendo…anzi, mi viene voglia di andare da sola al famoso Museo Nazionale prendendo un taxi….ma l’indecisione mi fa desistere, afferro un libro e scendo in piscina. All’ombra della vegetazione rigogliosa del giardino, comodamente stesa su un lettino imbottito, leggo godendo della brezza leggera che a tratti interrompe il caldo asciutto di questo primo pomeriggio. Svolazza qualche uccellino, interessante per via dei colori vivaci delle piume, poi arriva qualcuno. Intanto i rumori del traffico attraversano l’alto muro che cinge il giardino, come a ricordare che siamo in una trafficata capitale africana e non nella foresta inviolata delle mie fantasie pomeridiane. Quando Vanni arriva, verso le 17, è stanco ma contento delle riparazioni eseguite su Gazelle….la professionalità dei meccanici locali, ineccepibile per quanto riguarda le vecchie auto, ha risolto il problema del 4×4 che ora funziona senza la sostituzione di tutti i pesanti pezzi di ricambio che abbiamo portato dall’Italia….anzi dal Canada…su consiglio di meccanici italiani. Ciò che rimane di Carolina giacerà d’ora in poi ai piedi del sedile posteriore, come una reliquia. Mi spiega che tra la polvere del bordo strada, senza l’ausilio di una buca o di uno strumento per sollevare l’auto, i meccanici hanno smontato il cambio e reintrodotto il bullone che, uscito dalla sua sede, aveva compromesso il funzionamento del 4×4. Tutto qui! Se penso al viaggio di ritorno da Miami con quel tubo pesante ed ingombrante spedito come collo speciale al ceck-in Lufthansa …..mi chiedo chi ce lo abbia fatto fare. Ma ormai è fatta e qualche pezzo di ricambio potrebbe sempre servire. L’Exodus è un locale fantasma per i taxisti della capitale che pur di non ammettere la loro ignoranza ci dicono che è stato chiuso…..ma Vanni come sempre non demorde e così, pur di andare, chiama in soccorso Abraham ( 76242177 ) un signore presentatogli da Dolo questa mattina in hotel . Il suo aspetto lo rende la copia esatta di Gandhi! La capacità di Vanni di tessere rapporti con i locali, che possano in qualche modo aiutarlo, è una delle qualità che maggiormente gli invidio….Aveva intravisto il signor Dolo ieri sera, nella reception dell’hotel, riconoscendolo come un amico di Ismail che accompagnava un gruppo di turisti italiani…. così mentre io chiedevo la camera lui l’aveva salutato e scambiato qualche parola nella nostra lingua, quindi chiesto se poteva aiutarlo con il problema del meccanico per Gazelle. Dalla breve conversazione era scaturito il numero di telefono di Abraham, immediatamente contattato. Una guida che parla italiano è preziosa quando si deve riparare la macchina ed il sosia di Gandhi lo ha seguito come un’ombra tutta la giornata di oggi. Abraham arriva in nostro soccorso dopo un’oretta che trascorriamo conversando con il portiere originario di Timbuctu, delle meraviglie del deserto a nord della città e di Taoudenni che lui però non ha mai visto….ci infervoriamo per un po’ nei racconti interrotti poi dall’arrivo di un venditore di piccole sculture tradizionali di bronzo. Ci mostra una pinasse di Timbuctu con rematori, una figura femminile Bambara stilizzata in pochi centimetri di metallo ed una figura femminile Dogon accovacciata nell’atto di partorire….le acquistiamo tutte….sono bellissime e non ingombranti, poi finalmente andiamo. Abraham gradisce il drink superalcolico che gli proponiamo mentre seduti attorno ad un basso tavolino all’aperto godiamo del cielo stellato e delle luci colorate dell’Exodus. Il socio di Ismail ci dice che il nostro amico arriverà più tardi….avremo tutto il tempo di cenare e di gustare la magica atmosfera del locale che ci sta trasmettendo un’energia incredibile….sarà per la bella musica anni ’70 ?….o perché questo posto ci riporta indietro nel tempo, quando al termine del nostro primo viaggio attraverso il Mali arrivammo proprio qui a salutare Ismail. Insomma siamo felici, anzi felicissimi e carichi delle energie necessarie per affrontare il nuovo viaggio verso luoghi sconosciuti e le avventure che certamente non mancheranno. Non mi sentivo così bene da giorni, e siccome la gioia del presente è sempre la più intensa, quasi mi stupisco di essere così fortunata. Quando alle 23 il taxi arriva puntuale a riprenderci Ismail non è ancora arrivato. Lasciamo la bottiglia di grappa ed il libro che ci aveva chiesto via email al socio e saliamo sul taxi, felici ed un po’ stanchi.

30 Novembre 2008

BAMAKO

Il piattino di frutta che Vanni appoggia sul mio comodino, dopo aver appoggiato le sue labbra sulle mie, fa parte del nostro rituale di coccole della mattina. Poco dopo parte in missione….Gazelle ha proprio bisogno di un bel lavaggio. Così mentre io nell’attesa godo del tepore di oggi a bordo piscina, leggendo e scrivendo all’ombra del palmeto dell’Azalai, Vanni è attivo per rendere ancora più irresistibile la già bellissima Gazelle che anche il taxista di ieri sera si è proposto di acquistare. Visto che gli impegni di Vanni hanno una battuta di arresto nel primo pomeriggio, si creano le condizioni per la visita al Museo Nazionale che raggiungiamo. Articolato in una serie di edifici color mattone dalle volumetrie morbide tipiche della tradizione sudanese, ospita una ricca mostra di tessuti, tappeti ed abiti così come sculture di legno o bronzo partorite dalla tradizione animista delle etnie saheliane del Mali. Rimaniamo colpiti dai bellissimi tappeti Dogon, così come dai brandelli di tessuto risalenti al II sec. A.c. rinvenuti nei siti archeologici dei Tellem, nella falesia di Bandiagara.  Ma c’è una  maschera che attira particolarmente la nostra attenzione…è a forma di testa animale ed è rivestita da un impasto di terra e sangue proveniente dagli animali sacrificati…..ancora non siamo avvezzi a queste sanguinolente tradizioni animiste, in fondo siamo sempre stati immersi nell’islam!

Nonostante i punti di sutura al piede siano stati rimossi poco fa continuo a camminare zoppicando tra  i percorsi della mostra….avendo una paura folle che la ferita possa riaprirsi per la terza volta ho deciso di non appoggiare l’intera pianta del piede ancora per qualche giorno….in fondo non mi costa molto fare questo piccolo sacrificio. Il chirurgo della clinica, un giovane sorridente di nome Adhaman, nonostante la scarsa luce nell’ambulatorio dove mi ha fatto accomodare, è stato bravissimo e molto delicato….ho pensato di lasciare a lui le mie stampelle affinché le dia a chi ne ha bisogno. Mentre aspettiamo il taxi per raggiungere il ristorante, il venditore di ieri sera ritorna all’attacco proponendoci altri oggetti da acquistare e questa volta ci rifila una mezza fregatura….una piccola figura a cavallo, che spaccia come oggetto antico dell’etnia Lerè di Segou, che ad un attento esame sotto la luce della camera, mostra ancora i segni delle pennellate di colore verde a simulare l’ossidazione del metallo antico. Spinti dalla nostalgia per il nostro caro Hotel Le Rabelais purtroppo senza camere disponibili, del quale conserviamo l’ottimo ricordo delle squisite colazioni, ne raggiungiamo il ristorante appena rimesso a nuovo. Compiaciuti dei risultati della ristrutturazione allora in essere, ci accomodiamo ad un tavolo ben apparecchiato  dove gustiamo i piatti della tradizione francese interpretati in modo sublime dal cuoco di etnia Bambara.  Questi maliani continuano a stupirci per il loro talento culinario….La nostra indivia con roquefort e noci è una squisitezza così come la tartare di carne di Vanni ed il mio filetto di vitello ai funghi. Il servizio impeccabile e l’atmosfera rilassata di questo ristorante decisamente chic per gli standard di Bamako, ne fanno una meta imperdibile ed unica, per il perfetto equilibrio creatosi tra la nazione ospitante e quella colonizzatrice. Si mangia da Dio! Satolli rientriamo in hotel dopo una puntatine all’Exodus in cerca di Ismail del quale anche questa sera non c’è traccia.

01 Dicembre 2008

BAMAKO

Vanni esce presto….l’appuntamento con Abraham, per far eseguire gli ultimi lavoretti all’elettrauto, è alle 8.30. Quando tornano a prendermi è l’ora di pranzo, insieme raggiungiamo l’abitazione di Modibo. La sua seconda moglie, Rukia, ci viene incontro circondata dalle numerose bambine di casa, le tante concepite nella speranza che un maschietto prima o poi sarebbe nato. E’ sorridente ed elegante nel proporsi, lontana da quello che nel nostro immaginario ci aspettiamo recandoci in vista da una signora africana anche se della capitale…con la gentilezza che le è propria ci invita ad accomodarci sui divani del soggiorno e con le mani appoggiate sul tessuto colorato che le copre le ginocchia unite, ci parla del suo amato Modibo, bloccato per un guasto all’auto in Burkina Faso, dove si era recato per lavoro. Al centro della stanza una ciotola di alluminio contiene ancora qualche residuo di cibo, ed il pavimento sul quale è appoggiata porta i segni di un banchetto appena consumato. Sorridente accetta volentieri le confezioni di profumo che abbiamo portato per le tre signore di casa, un piccolo dono rispetto al grande favore che questa famiglia ci ha fatto accettando di tenere al sicuro nel loro garage la nostra mitica Gazelle. Quando decidiamo di lasciare la casa iniziamo a recitare tutta una serie di saluti e di promesse necessarie per non sembrare scortesi a questi esponenti di una delle culture più cerimoniose del pianeta. Con l’augurio di rivederci un giorno in Europa, per un po’ di shopping ed una bella passeggiata tra le viuzze del centro storico di Bologna, usciamo dal salone e conquistiamo il cancello che si apre sulla strada polverosa. Abraham, che era in nostra compagnia nel corso della visita alla favorita di Modibo, ci spiega alcune dinamiche del menage famigliare di una famiglia allargata…..quando le mogli sono più di una queste si alternano, con turni di uno o due giorni, al disbrigo delle faccende domestiche compresa la preparazione del cibo e l’accoglienza degli ospiti. Immersi nel calore del primo pomeriggio raggiungiamo l’ambasciata del Burkina Faso, che sarà la nostra prossima tappa dopo il Mali, per ottenere il visto di ingresso. Riempiamo il modulo, consegnamo due foto e paghiamo circa 80 euro totali….domani alle 11 i nostri visti saranno pronti. Lascio Vanni ed Abraham diretti di nuovo dall’elettrauto ed all’ombra del giardino dell’Azalai mi immergo nuovamente nella lettura godendo di questo rilassante pomeriggio fino al mio rientro in camera dopo qualche ora…. appoggiati sul mio comodino vedo i tre cd di musica maliana che intendevo acquistare già da tempo poi sento la voce di Vanni che mentre è sotto la doccia mi aggiorna sulle news. Ha sentito finalmente Ismail che gli ha dato appuntamento per le 20 al “Bla Bla”, un localino che raggiungiamo puntuali in compagnia dell’inseparabile Abraham. Deve essere tosto per lui rimanere a casa in compagnia della moltitudine di figli…ben 13, in parte acquisiti dalle sorelle. Ismail, il nostro affascinante amico di origine algerina, è seduto al bancone in compagnia di due ragazze, una italiana ed una quebecoise. Il saluto che ci riserva è caloroso e la cena che condividiamo, infarcita dei racconti del nostro vissuto in questi ultimi mesi di viaggi. Il cibo squisito ed i bei quadri di Pierre Nikiema appesi alle pareti del simpatico localino, rendono ancora più preziosa la serata in compagnia del simpatico Ismail. Tra le chiacchiere scruto i grandi pannelli dipinti ad olio dell’artista di Bamako appesi alle pareti…..rappresentano figure sedute o in piedi, dalle chiare valenze tribali, su fondi monocromi. Mi innamoro del “metamorfosi n°11” che è in vendita alla bella cifra di 400.000 Cfa, circa 600 euro che però merita. Ripensando in seguito a quel quadro, mi pentirò amaramente di non averlo acquistato! Dal Bla Bla ci trasferiamo poi alla “Terrasse”, un altro dei locali di moda di questo scatenato quartiere libanese, per un drink ed un gelato. Nel corso della serata, mentre tutti infervorati raccontiamo ad Ismail il nostro progetto di raggiungere Agades e l’Air, un bellissimo massiccio che emerge dalle sabbie del Sahara nel nord del Niger, arriva immediata la delusione. Ismail ci dissuade dall’andare argomentando in modo chiaro che i tuareg nigerini, in ribellione dal 2006 nei confronti dello stato con il quale non hanno ancora trovato un accordo, scoraggiano ogni tipo di intrusione nei loro territori da parte dei turisti stranieri, tant’è che i tour operator hanno cancellato da allora ogni viaggio diretto in quelle sabbie da sogno. Che disastro! Proprio il deserto più bello del Sahara, come dice Ismail, chiuso per sommossa! A costo di farci rapire e depredare di ogni cosa io voglio andare….gli rispondo…. ma Ismail ci consiglia vivamente di evitare e di concentrarci invece su altri obiettivi come il Ghana, il Togo ed il Benin dei quali inizia a suggerire, da guida esperta com’è, eventuali obiettivi da non perdere. Ismail ama il Mali e la sua storia, ce ne rendiamo conto nel corso della serata, mentre ascoltiamo il racconto della storia delle varie etnie che si sono avvicendate nei secoli su questi territori saheliani…dall’XI secolo ai giorni nostri, con tanto di riferimenti e citazioni. Ci consiglia anche di leggere un paio di libri del celebre scrittore Hampaté Ba appartenente alla cultura Peul, la più colta del Sahel, dice….quella dei cantastorie Griot, la prima ad aver tramandato attraverso la scrittura la storia delle genti saheliane. Concentrati nell’ascolto non ci accorgiamo dell’ora tarda….è Abraham a farcelo notare quando raggiungendoci al tavolo, ci dice che è arrivata l’ora di congedarci….domani l’appuntamento è alle 8 in punto. Disturbata dall’interruzione rimugino tra me che il nostro Abraham farebbe meglio a pensare a se stesso, considerando quanto è ubriaco! Prima di lasciare la Terrasse, Ismail lancia un invito per domani sera all’Exodus….ci sarà una bella festa.

02 Dicembre 2008

BAMAKO – SEGOU

Dopo una saldaturina a Gazelle ed il ritiro dei passaporti all’ambasciata siamo pronti per partire…non ha molto senso fermarci un giorno ancora in questa città caotica e poco interessante, quindi dopo una telefonata di commiato ad Ismail, nella quale ci scusiamo di dover declinare l’invito per la festa di questa sera, salutiamo anche Abraham che ci ha nel frattempo scortati fuori città fino al bivio per Segou e diamo così inizio al nostro vero viaggio. Attraversiamo i paesaggi noti della brousse disseminata di villaggi animati dai mercati che trovano spazio tra la bassa vegetazione della savana. Qualche baobab si erge immobile e spelacchiato tra l’erba gialla di questa pianura. Lungo la strada incrociamo un paio di camion cinesi nuovissimi. Sembrano un miraggio considerando i tanti scassati che come contratti dallo sforzo sembrano procedere storti sulla carreggiata rettilinea. Capre e mucche attraversano la strada incuranti del modesto traffico almeno quanto i loro proprietari. Alti dissuasori ci fanno sobbalzare in corrispondenza dei villaggi, a quest’ora animati dalle corse lungo i bordi polverosi della strada dei bambini appena usciti dalle scuole. Altri, troppo piccoli per i libri, giocano trascinando qualche ramo secco nei pressi delle loro case….colori e suoni accompagnano il nostro procedere sulla strada in buone condizioni, verso Segou che raggiungiamo a metà pomeriggio dopo poco più di tre ore di viaggio. Le sue case di fango modellate nelle volumetrie dilavate tipiche dello stile sudanese ci sono note così come l’hotel Dijoliba nel quale prendiamo una camera. Quando poco dopo usciamo per una passeggiata verso il vicino fiume Niger, incontriamo un paio di ragazzi che si ricordano di noi. Uno di loro è l’omonimo di Vanni che si prodiga in un secondo tentativo mirato a venderci una escursione in piroga sulle dolci acque del fiume. Mentre camminiamo riassaporando la discreta vivacità di questo luogo che tanto avevamo amato lo scorso marzo, osserviamo alcune donne che si bagnano in quelle stesse acque dove mesi fa avevamo assistito alle operazioni di scarico delle pinasse gonfie di mercanzie alla luce sempre più fioca dell’imbrunire. La stessa luce fioca di allora accompagna questa sera il bagno di donne e bambini che vediamo immersi nell’acqua bassa vicina alla riva. Altre sono impegnate a lavare pentole ed abiti coloratissimi, altri ancora stanno ad asciugarsi vicino ad un fuoco acceso. Sull’altro lato del piccolo molo alcune persone provenienti da un villaggio diversamente non raggiungibile, stanno scendendo dalla piroga appena ormeggiata mentre altre più lontane circolano sull’acqua immobile, stagliandosi sulle tinte accese di un tramonto appena velato. Mentre percorriamo a ritroso la strada sterrata disseminata di bancarelle che propongono in vendita oggetti artigianali, Vanni vede un ragazzo poliomielitico che si muove a gattoni tra la polvere….abbiamo trovato il nostro uomo! Sistemiamo le stampelle abbassandole al punto giusto e le diamo a Mohamed che subito le prova con un certo sforzo, ma con un sorriso di grande felicità. Il giovane ragazzo potrà finalmente procedere a testa alta lungo la strada anziché trascinarsi con il viso troppo vicino alla polvere. Un gruppetto di persone ora circonda curiosa la scena, una signora si commuove…..che bel momento! La temperatura ora è perfetta….né freddo né caldo, stiamo in perfetto equilibrio termico vestiti solo della nostra maglietta di cotone seduti all’aperto in un tavolino dell’hotel in attesa della cena…..non passa nemmeno un’auto e la luna disegna una falce perfetta mentre noi ci accorgiamo di essere sempre più felici.

03 Dicembre 2008

SEGOU – MOPTI

Il sonno è così profondo e ristoratore qui in Africa, che finiamo col partire solo alle 11, dopo una bella colazione accompagnata dall’ottimo succo d’arancia del Djoliba. Il finestrino di Vanni ora non fa più pernacchie….infastidito dall’imbarazzante rumore, ha provveduto ad incastrare tra il vetro e la guarnizione un pezzo di gommapiuma che però gli impedisce di far scendere il vetro….non si può avere tutto. I 400 km che ci dividono da Mopti scorrono via lenti tra paesaggi sempre leggermente diversi punteggiati da grandi acacie, baobab ed altre varietà a noi sconosciute di alberi enormi. I villaggi costruiti in banco ( fango + paglia + sterco ) sembrano castelli di sabbia, leggeri ed eleganti, fatti della terra che tornerà un giorno ad adagiarsi al suolo…..l’edilizia più sostenibile che abbia mai visto! Essendo da poco terminata la stagione delle piogge la brousse è disseminata di pozze d’acqua limacciosa affollate degli animali che vi si abbevarano in compagnia dei loro proprietari Peul, l’etnia nomade di allevatori per eccellenza riconoscibili dai loro copricapi a cono di cuoio e paglia. La brousse è splendida nei suoi colori resi diafani dalla luce intensa del mezzogiorno. La vivacità, brulicante ad ogni centro abitato che attraversiamo, sembra non arrestarsi nemmeno in queste ore più calde della giornata. Impossibile fermarsi anche solo per scattare una foto. Quando lo facciamo, i bambini circondano immediatamente Gazelle e chiedono urlanti un cadeau, i visi contratti da un’aggressività quasi innaturale. Alcuni di loro prendono a pugni la carrozzeria quando rinunciatari decidiamo di proseguire senza scendere. Verso le 15 arriviamo al “Y a pas de probleme” di Mopti, il nostro hotel preferito di tutto il Sahel, per via della sua bella terrazza sulla città. Appena scendiamo alcuni locali ci riconoscono. Il ragazzo della reception, ed Amadou, l’handicappato su sedia a rotelle che subito lamenta di non aver ricevuto risposta alla sua mail di qualche tempo fa. Subito dopo aver preso possesso della camera usciamo a bordo di Gazelle diretti al Bar Bozo che raggiungiamo a fatica attraversando l’area del mercato Bozo (l’etnia di pescatori del fiume Niger) che si sviluppa sui bordi del porto naturale sul fiume Niger. E’ difficile rendere a parole l’idea del casino che dobbiamo affrontare per raggiungerlo….fatto di corpi, carretti, bancarelle, motorini, animali e cesti gonfi di pesce essiccato. Il paragone con gli esploratori che si fanno strada nella foresta a colpi di machete penso possa rendere l’idea della nostra impresa. Raggiungiamo la punta estrema del porto, affollato di pinasse cariche di mercanzie, dopo un tempo che sembra enorme rispetto alle poche centinaia di metri percorsi, ma finalmente siamo al Bar Bozo, una istituzione qui a Mopti per via della sua terrazza sul fiume e sul porto. Da qui possiamo ammirare, comodamente seduti a bere una bevanda ghiacciata, tutto il trambusto legato all’acquisto ed alla vendita delle mercanzie, lo scarico e carico delle stesse dalle pinasse in sosta e l’andirivieni di passeggeri sulle affusolate piroghe sospinte dai barcaioli nell’incessante movimento della lunga pertica affondata nel letto del fiume.
Dalle acque gonfie del fiume emergono in lontananza piccole isole deserte. Sulla sponda opposta, a qualche centinaia di metri da noi, intravediamo un villaggio dalle inconfondibili capanne circolari di paglia tipiche dei pescatori Bozo che vediamo impegnati nelle operazioni di lancio delle reti dalla prua sottile delle loro piroghe. Essere di nuovo qui è una gioia grande per noi che avevamo lasciato Mopti a malincuore. Immersi nel trambusto del mercato contrapposto al tranquillo fluire del grande fiume alle nostre spalle, osserviamo le pinasse dalle prue disegnate che lo solcano sospinte dal movimento agile di corpi snelli e scuri. Quando al tramonto usciamo dal bar Bozo Vanni si ferma a parlare con un ragazzo che lo aveva agganciato per vendergli il solito giro in pinasse che ormai per partito preso non faremo mai. Si chiama Sidi ed è amico di Abraham, la nostra guida di Bamako, che prontamente chiama per un saluto….La camera dell’hotel è ampia e molto africana, nel senso che le piastrelle del pavimento sono brutte e posate male. Alle pareti sono appesi parei colorati nelle tinte naturali tipiche del luogo, ed i cappelli a cono di cuoio e paglia degli allevatori Peul. La zanzariera appoggiata su un baldacchino di profili di legno grezzo lascia intravedere il colore verde slavato delle lenzuola che coprono il grande e comodo lettone. Tende nere a sgargianti disegni gialli nascondono le finestre mentre le due pale fissate al soffitto sono immobili per via dell’aria fresca di questa sera….il bel tepore serale di Bamako e Segou è ormai solo un ricordo. Il dramma si manifesta in seguito ad una accurata ispezione della mia cicatrice sul piede….vedo un paio di pallini scuri che ahimè non sono crostine come speravo, ma pezzetti di filo che il chirurgo di Bamako si è dormito….per questo mi faceva così male appoggiare il piede. Tragedia! Armato delle pinzette per sopracciglia Vanni con delicatezza estrae il filo più visibile, ma l’altro devo andare a cercarlo tra i tessuti molli, frugando, tremolante, con le pinzette per riuscire ad afferrarlo….vedendomi in difficoltà ed in lamenti è ancora Vanni ad estrarre il secondo pezzetto….che dolore!….ma sono salva. Crolliamo stremati per lo stress.

04 Dicembre 2008

MOPTI

Che freddo che fa oggi! L’Harmattan, il vento che arriva dal deserto, soffia veloce portando con sé polvere e freddo….se il clima non migliorerà rinunceremo all’escursione di domani sul fiume per la quale abbiamo già cambiato idea un paio di volte. Essere qui per soffrire il freddo non fa per noi… figuriamoci cosa sarebbe essere in mezzo all’acqua oggi! Ce la prendiamo con calma…la colazione tardi in terrazza si anima con l’arrivo improvviso di Sidi che non ha intenzione di mollare sulla gita sul fiume. Beve un caffè in nostra compagnia e chiacchiera curioso di sapere chi siamo e cosa facciamo, ma soprattutto vuole garantirsi l’organizzazione del nostro tour in pinasse. sul cui argomento torna in diverse occasioni. Quando rientriamo in camera la temperatura dei nostri piedi gelidi ci convince a tornare sotto le coperte rimandando così di un pò il nostro sopralluogo al mercato tra la polvere ed il casino. Quando finalmente usciamo il cielo è velato e l’aria troppo fresca per i nostri gusti. Ci infiliamo sul taxi familiarizzando subito con il giovane autista…simpatico ed intraprendente….che si propone di accompagnarci in visita a questo mercato settimanale che a differenza di quello Bozo, non abbiamo mai visto. Ci spiega l’origine e l’utilizzo dei tanti prodotti che affollano gli spazi del vivace mercato delle donne del giovedì. Pesci, verdure e spezie, donne e gli immancabili bambini al seguito, tutti accovacciati accanto ai prodotti in vendita in un trionfo di colori sorrisi e odori. Vediamo anche l’angolo dedicato alla colorazione dei tessuti, dove recipienti di alluminio sono pieni del liquidi nei quali i tessuti saranno immersi. I macellai rappresentano una eccezione al tema tutto femminile del mercato…ma l’uccisione degli animali e la vendita della carne è affare da uomini qui. La capretta ancora viva, legata sotto il banco pieno della carne di altre capre già macellate, è un quadretto a dir poco straziante ma emblematico della freschezza del prodotto in vendita. Passeggiando vediamo in un angolo delle signore anziane che non avendo nulla da vendere, offrono in cambio di un modesto compenso, il loro servizio di pulizia dei pesci appena acquistati dai loro clienti. Quando le squame e le viscere sono state tolte,dal pesce, ne incidono i due lati con tagli profondi e paralleli affinché il condimento scenda ad insaporirne in profondità la polpa. A giudicare dallo smercio di pesce fresco visto nei vari mercati, questo fiume Niger deve rappresentare una delle principali risorse alimentari dei paesi che hanno la fortuna di vederlo scorrere sui propri territori. Incuriosita dai minuscoli sacchetti di plastica trasparente pieni di condimenti, finisco col fare anch’io il mio acquisto…..speghettini disidratati da aggiungere alle zuppe, cipolla secca sminuzzata e cipolla in polvere concentrata. chissà che brodini preparerò a Vanni al nostro rientro! Quando ci spostiamo al piano superiore, nello spazio chiuso dei laboratori artigianali degli uomini, tutta la bellezza e la vivacità che ci avevano accompagnati fin qui sparisce di colpo. Nessuno di loro sta lavorando…in realtà si tratta di uno spazio di vendita di prodotti eseguiti da altri e questo toglie ogni interesse al nostro essere qui. Usciamo velocemente incalzati dai richiami dei commercianti che non vogliono lasciarsi sfuggire l’occasione rappresentata da due bianchi di passaggio, gli unici nello spazio del mercato.
La città brulica di sacchi di miglio, alimento base della dieta africana. Deve essere terminata da poco la raccolta ed il prodotto si vede ovunque contenuto in grandi sacchi plastificati…..trasportato su carretti, sulle spalle o sui portapacchi straripanti dei taxi brousse. Vanni si informa sul suo costo…. tanto per avere un termine di paragone e soprattutto per curiosare un pò….che ammonta a 15.000 Cfa, circa 23 €, per un sacco da 100 kg,….e già che ci siamo chiediamo anche del montone, che viene venduto ad un prezzo, variabile per le dimensioni, compreso tra 30.000 e 50.000 Cfa, 45 e 75 €. Ne vediamo a centinaia, trascinati dai loro venditori o, ancora vivi, trasportati sul tetto agli autobus. Parzialmente infilati dentro a sacchi dai quali esce solo la testa cornuta, sono completamente immobilizzati nella loro corsa verso il sacrificio che avverrà l’8 dicembre, in occasione della festa musulmana del Tabaski ….. tra pochi giorni. Tutte le famiglie sgozzeranno quel giorno il loro montone…..ed io rimarrò chiusa in camera per non sentirne i lamenti o peggio vedere spargimenti di sangue. Giorno di festa per loro e di lutto per me che rabbrividisco all’idea di una carneficina. Dal mercato ci trasferiamo all’ombelico di Mopti, l’antichissimo mercato della popolazione Bozo che da secoli si reca qui, sulle sponde del piccolo porto a commerciare, e che noi non ci stanchiamo mai di osservare dalla comoda terrazza….essendo uno degli “spettacoli” più belli visti qui in Mali. Oggi poi l’evento è particolare… trattandosi dell’ultimo mercato prima della grande festa, godiamo dell’apoteosi del traffico di pinasse stracolme ,in partenza dal piccolo porto. Quelle che ieri vedevamo ormeggiate semivuote in fondo al piano inclinato della banchina ora sono colme dei prodotti da portare ai villaggi sul fiume. Letteralmente debordanti di secchi, sacchi, stie, bacinelle,montoni e uomini pronti alla partenza. Le pinasse più grandi appartengono ai commercianti che rivenderanno nei loro villeggi le mercanzie acquistate qui a Mopti. Arrivano fin qui da Timbuctu, Segou e dai villaggi sul grande fiume. Il loro rientro sarà festeggiato con una piccola festa…..del resto qui ogni scusa è buona per festeggiare! Partono poco prima del tramonto cercando di non scontrarsi all’‘interno del bacino del porto, poi sfrecciano lanciando al massimo i loro potenti motori da camion….la linea di galleggiamento bassa per via del peso del carico, sembrano affondare.E’ come assistere ad una grande festa oggi qui a Mopti…e noi finiamo con l’innamorarcene sempre di più…..per la sua vivacità verace e per la gioia che trasmette sentirsene spettatori. Come venti anni fa avevo desiderato di trasferirmi a Marrakesh, ora vorrei rimanere qui, nel cuore pulsante del Mali…..un sogno del quale però mi stancherei dopo pochi giorni, quindi tanto vale partire….anche questa volta vince il nostro spirito nomade. Prima di rientrare in hotel facciamo qualche acquisto preceduto da estenuanti contrattazioni….si tratta di due sculture rappresentanti uomini a cavallo riconducibili per stile alla tradizione dogon. La più grande è di legno chiaro e l’altra di pietra…..praticamente un macigno che porteremo con noi come una palla al piede….ma mi piace molto e l’acquisto è irrinunciabile. Anche Vanni si lancia nell’acquisto del suo oggetto preferito…..i frutti del baobab decorati con forellini circondati da cerchi concentrici leggermente scavati nella superficie della scorza legnosa. Attraverso quei piccoli fori gli artigiani inseriscono dei sassolini che quando agitati all’interno del frutto vuoto, emettono suoni simili a quelli delle maracas. Sono molto carini e lui li impiegherà per creare i suoi famosi tavolini. Nel corso della cena prendiamo la decisione definitiva relativamente all’escursione in pinasse……è troppo da turisti….domani partiremo diretti a Gao, l’unica città del Mali che ancora non abbiamo visitato.

05 Dicembre 2008

MOPTI – HOMBORI

Partiamo dopo aver portato a termine la nostra missione presso il centro handicappati di fronte all’hotel. Li conosciamo bene….i visi di questi ragazzi sono immortalati nelle foto del nostro precedente viaggio qui e notiamo che non sono affatto cambiati in questi pochi mesi. I loro sorrisi li rendono davvero speciali. Hanno predisposto ciò che avevo chiesto, un cartello di ringraziamento a Germana e Giovanna che ci hanno affidato un piccolo gruzzolo da donare in beneficenza a nostra discrezione. Sono pronti per lo scatto, quindi Immortalo il gruppo ed il cartello che renderà un pò felici le nostre vecchiette forlivesi. In primo piano a sostenere il cartello c’è Amadou, il leader del gruppo che ha avuto il coraggio, dopo aver ricevuto l’offerta per il centro, di chiedermi con una certa arroganza dell’altro denaro a titolo personale. Che maleducato! Partiamo immediatamente dopo i saluti, siamo diretti ad Hombori, una tappa intermedia necessaria per raggiungere la lontana Gao. Percorriamo la strada già nota fino a Douenza, ma ci accorgiamo con sorpresa quanto il paesaggio sia cambiato in seguito alle piogge….e soprattutto notiamo, impossibile non farlo, le migliaia di bovini ed ovini che si spostano nella brousse dirigendosi a Ovest. Sono accompagnati dagli allevatori Peul, che camminano al loro fianco. Il capo coperto dagli inconfondibili cappelli, i corpi snelli coperti fino alle caviglie dai loro boubou colorati, si spostano dal Nord verso Mopti in cerca di pascoli sempre più ricchi. Le donne, i bambini ed i pochi beni di proprietà delle famiglie, il pentolame, gli abiti raccolti in fagotti e le canne incurvate che rappresentano la struttura delle loro capanne emisferiche di paglia, viaggiano su carretti di legno a due ruote trainati da muli…..in quella migrazione stagionale che ogni anno li vede attraversare tutto il sahel, dal Niger al Senegal. Il nostro procedere è rallentato, talvolta bruscamente, dall’attraversamento di animali che nascosti dai cespugli sul bordo della strada, compaiono all’improvviso sulla carreggiata…..un paio di volte ci fermiamo a pochi centimetri da loro! Lo spettacolo più sorprendente generato dalle piogge è rappresentato dai tanti laghetti talvolta ricoperti dei fiori bianchi delle ninfee…..che meraviglia! Dopo Douenza il paesaggio pianeggiante si complica di una serie di massicci rocciosi che sorgono isolati nella brousse caratterizzata da una vegetazione di acacie sempre più rarefatta. Altro che Monument Valley! La bellezza ed il numero di questi massicci è sorprendente….e l’assenza di colonne di camper lo rende decisamente più appetibile del famoso parco statunitense. Certo qui mancano le strutture turistiche e le piste per avvicinarsi ai multiformi speroni di roccia e poter apprezzare pienamente questo miracolo naturale…..ma sono così belli e solitari che li preferiamo ai loro gemelli americani. Sono ancora pochi i turisti che si spingono fin qui , nell’area che da un lato è quella paesagisticamente più interessante del Mali, ma che per contro non offre strutture ricettive adeguate al turismo organizzato. Hombori, che raggiungiamo poco dopo, è un piccolo villaggio circondato da picchi rocciosi estremamente pittoreschi, ma dispone di un paio di alberghetti davvero basic, per non dire indecenti e con bagni in comune. Che peccato…..questa sera non sarà semplice addormentarsi col viso appoggiato sui nostri cuscini duri come le rocce là fuori! Siamo al “Campement Hotel Mangou Bagni”. Il nome complicato non deve trarre in inganno, si tratta di una struttura semplicissima costituta da una zona pranzo ospitata sotto ad una tettoia di lamiera ….un paio di tavoli e qualche sedia. Un paio di edifici bassi a stecca ospitano qualche camera spartana e polverosa. L’unica piccola finestra è chiusa con un serramento di alluminio che lascia passare il vento e la polvere. L’arredo spartano è costituito da due letti accostati alle pareti ed un tavolo di legno grezzo sul quale per contrasto le mie creme Praerie sembrano piccoli gioielli. Che spreco! Solo in queste circostanze riesco a percepire l’enormità del nostro spreco, contrapposto all’essenzialità di questo ed altri luoghi africani. La camera non ha pavimento, solo il sottofondo di cemento grezzo…..così almeno non potremo criticare la posa delle piastrelle! Alcune capanne di paglia sono state costruite sul retro, sono emisferiche e terminano in alto con una leggera punta, riproducendo la tipologia tipica della cultura di questa area. Un forno costruito in banco ricorda quelli visti per le strade di Timbouctu ….una signora accovacciata nei pressi sta spennando la gallina troppo magra che mangeremo questa sera, mentre un’altra giovane lavorante sta lavando alcuni indumenti china su un secchio, incurante del figlioletto urlante che come un fagottino è fissato alla sua schiena con un pareo annodato sul davanti. Sono tutti molto gentili qui in Hotel….i loro sorrisi tradiscono la gioia per l’arrivo di qualche turista che si fermerà qui per la notte. Snobbata dai tour turistici tradizionali Hombori stenta a trovare il modo di sopravvivere…..l’allevamento di bestiame e la coltivazione del miglio in modo non intensivo non sono sufficienti a sfamare tutti, soprattutto nei periodi di siccità, ci raccontano. Il turismo potrebbe rappresentare una fonte di guadagno più o meno costante tutto l’anno, se solo non ne fossero così snobbati……ma che dire….mentre mi dicono queste cose lamentandosi, penso alla nostra camera da letto e mi chiedo come potrebbe ad esempio la Franco Rosso proporre ai suoi clienti un posto come questo….nemmeno l’incredibile bellezza del paesaggio circostante potrebbe convincerli a coricarsi in quei letti, sui quali noi abbiamo sistemato i nostri sacchi a pelo, tanto per sentirci almeno avvolti da qualcosa di morbido e pulito. Mi siedo ad un tavolo sotto la tettoia. In compagnia della mia coca cola ghiacciata, scrivo e faccio due chiacchiere con i locali che arrivano numerosi, ma rigorosamente uno alla volta per non affaticarmi. Tutti hanno qualcosa da chiedermi……o da vendermi. Si fa avanti anche un tuareg, che ricopre l’importante ruolo di forgeron del villaggio. Dispone sul tavolino i manufatti artigianali in cuoio tipici della sua etnia….. anche se, a dir la verità, le scatole di cuoio rosso che ho già visto decine di volte, sembrano più di produzione marocchina che non tuareg. Quella del fabbro è nella società dell’Africa occidentale una figura importante, non solo perché guadagnano bene, ma anche perché sono considerate persone d’intelletto dato che per lavorare devono saper fare due calcoli ma soprattutto perché lavorano a contatto con il fuoco, considerato un elemento sacro nella cultura animista africana, anche se islamizzata. Arriva tra gli altri anche un ragazzino, Boureima Maiga, che mostrandomi un quaderno molto ben scritto, sicuramente non suo, mi chiede di sponsorizzargli l’acquisto di un pallone per la sua squadra di calcio …..anzi si stupisce che non ne abbia l’auto piena per poter farne omaggio ai ragazzini africani come lui. Abdou Maiga invece è una guida nata e cresciuta qui. Il suo problema è legato al numero esiguo di turisti che si fermano qui ad Hombori, nonostante lui lo consideri il più bel villaggio del mondo, circondato com’è da questo bel paesaggio roccioso. Già che c’è mi mostra le foto che illustrano il lavoro degli artigiani locali per realizzare i famosi braccialetti di pietra di Hombori. Mi spiega che ogni pezzo presuppone un lavoro di una settimana…..si sa che qui i ritmi non sono certo frenetici, ma comunque trovo l’idea originale e mi faccio rapinare di 30 € acquistandone tre di pietra scura con venature bianche. Sono molto belli ed in qualche modo preziosi per il lavoro che presuppongono….alla fine ne sono fiera! Dopo i due Maiga arriva una guida, il cui viso mi sembra noto, al seguito di un gruppetto di francesi. Parliamo a lungo del Mali ed in particolare di Araouane, nel deserto a nord di Timbuctu…..è sempre bene raccogliere informazioni dalle guide, quando si prestano alle chiacchiere! Stupito dai racconti di quel nostro viaggio verso Taoudenni lo scorso marzo, mi dice che abbiamo avuto fortuna, perché gli risulta che qualche mese fa abbiano rapito, proprio nei pressi di Araouane, due italiani. Il mio pensiero va immediatamente a Paolo e Fausto, i due ingegneri dell’ENI che l’anno scorso ci hanno aiutati ad uscire da una insabbiatura seria arrivando con rinforzi dal loro campo base, poco a nord di quel meraviglioso villaggio. Mi consola il fatto che le notizie qui in Africa arrivano spinte da lunghi passaparola e chissà chi è stato rapito e dove. Prima di cena arriva anche Ousmane Maiga…..dal numero dei questuanti deduco che debba essersi sparsa la voce al villaggio, dell’arrivo in hotel di una assistente sociale! L’uomo estrae dalla sua cartella un quaderno, sempre troppo ben scritto, che mi sottopone. Nella pagina che leggo si chiede, ovviamente, un contributo per la costruzione di una mensa e per l’acquisto di materiale scolastico. Racconta a me e Vanni, che nel frattempo è rientrato dall’officina, di quanto sia dura la vita scolastica degli alunni della scuola di Gallou. Arrivano tutti dai villaggi vicini e quindi devono mangiare presso la scuola che però non ha uno spazio adatto ad ospitarli. Lo stato, dice, non aiuta le scuole che si sostengono attraverso i contributi dei genitori e dei turisti. Strano! Non sappiamo cosa ci sia di vero in ciò che dice, e nemmeno nelle tasche di chi finiranno quei 50 € che lasciamo per il sostegno della scuola. Vanni gli chiede di mostrargli un documento che attesti che lui è un insegnante e che la scuola esista, consapevoli che comunque nemmeno questo salverà quei 50 € dalle sue personalissime tasche. Ci mostra una foto, quella classica che si scatta per immortalare gli alunni, qui estremamente variopinti e disposti su tre file, in compagnia dell’insegnante. Dove finirà il piccolo obolo di Germana e Giovanna non si sa, ma ciò che è certo è che andrà in ogni caso a buon fine, vista la modestia dell’insegnante stesso. La festa del Tabaski rende tutti i musulmani bisognosi del denaro necessario per l’acquisto del montone da sacrificare. I 30.000 Cfa che rappresentano la minima spesa per l’ acquisto non sono una bazzeccola, ecco perché in questo periodo molti venditori propongono i souvenir in vendita a prezzi ribassati. Finalmente la cena viene servita. I locali sono come ipnotizzati di fronte alla televisione, che per l’occasione è stata portata nel cortile. Che buffi. Chissà se la propongono per liberare i turisti della loro presenza almeno durante i pasti. C’è una telenovela su TeleMali alla quale sembra non riescano proprio a resistere…..che meraviglia, così potremo consumare la nostra cena, a base di zuppa di legumi, fagiolini ed omelette ed il polletto rinsecchito per Vanni, con il necessario relax. Dopo aver contemplato per qualche minuto il cielo stellato ci ritiriamo nella nostra camera…..dentro i sacchi a pelo, protetti dalla zanzariera impolverata.

06 Dicembre 2008

HOMBORI – GAO

L’acqua della doccia comune è fredda, quindi ci laviamo sommariamente ed affrontiamo i locali rimasti. Il signore che ieri si era proposto di accompagnare Vanni dal meccanico per sostituire un foglio di balestra rotto, mi confida di non aver ricevuto nulla in cambio…..mentre il signore che gestisce il negozio artigianale cooperativo del villaggio reclama la nostra visita , pronunciando la solita formula rassicurante “ seulement pour le plaisir des yeux”! ….poi è chiaro che la tentazione è forte ed ogni viaggio è in fondo una modalità divertente per aiutare questa povera gente. Esco dal negozio con altri tre braccialetti di pietra che spero piaceranno a Gaia. Poi, prima di lasciare definitivamente il villaggio, la guida locale di nome Abdou ci consiglia di entrare in Burkina Faso attraverso la pista che camion e carretti percorrono ogni martedì per arrivare al mercato di Hombori….se lo facessimo, arriveremmo vicini al famoso mercato domenicale di Gorom Gorom nel nord del Burkina, che vorremmo visitare. Ci penseremo….intanto dopo aver fatto il pieno di gasolio con una pompa a manovella, chiudiamo gli sportelli e partiamo, lasciando il villaggio alle nostre spalle, e con lui anche la bella vista sul Monte Hombori, un enorme panettone di roccia rosata…..il più alto del Mali con i suoi 1.030 metri di altezza. Mentre procediamo verso Gao, facciamo progetti sul nostro prossimo futuro….riflettendo sulle informazioni avute da Kristof, un amico di Ismail, sentito al telefono questa mattina. Il fatto che lavori e viva a Kidal lo rende una preziosa fonte di informazioni per quanto riguarda l’area dell’Adrar des Inforhas poco più a nord, che intendiamo visitare dopo Gao. Ci consiglia di alloggiare al “ Village Tizi Mizi” di Gao e di contattare Joe, una guida con la quale sarà agevole organizzare il tour dell’Adrar a nord di Kidal. Ovviamente, trattandosi di un’area ad alto rischio sicurezza per via dei ribelli tuareg che nel 2006 hanno intrapreso una lotta armata nei confronti dello stato, ancora non del tutto sedata, siamo già decisi ad assoldare per l’occasione una scorta militare che ci protegga durante il viaggio. Mentre ragioniamo sul da farsi, osserviamo le variazioni del paesaggio attorno a noi dove la brousse ha lasciato il posto ad ampie distese semidesertiche libere da vegetazione che ci consentono di vedere molto lontano. All’ingresso di Gao vediamo il lungo ponte sul fiume Niger, che ci consentirà di raggiungere la città senza dover aspettare il traghetto in uso fino a poco tempo fa….. ma ecco che la paletta di un poliziotto ci blocca prima di potervi accedere. Siamo in un posto di blocco della polizia e nascono i problemi di sempre. Chiedono di esibire un documento di revisione dell’auto eseguito qui in Mali, ma sappiamo bene che è solo un tentativo di estorcere qualche CFA a due turisti italiani. Nessuno ci ha mai chiesto nulla di simile, tanto meno al nostro ingresso in frontiera. Mostriamo loro i timbri della revisione dell’auto in Italia, ma il poliziotto insiste per un buon quarto d’ora nella sua richiesta. Spazientita chiedo al capo della combriccola, nel frattempo arrivata a sostenerlo, se è il denaro che desidera veramente da noi. Accenna un sorriso che però si trasforma presto in una smorfia di disgusto….deve aver pensato che non poteva accettare denaro di fronte ai suoi sottoposti. Quindi stizzito ci invita a risalire in auto ed a ripartire….dicendosi offeso per ciò che ho avuto la spudoratezza di dire. Saliamo finalmente sul ponte, ma Vanni è furioso….dice che potevano arrestarmi per offesa a pubblico ufficiale e per tentativo di corruzione….ha sempre paura in questi casi….ma io proprio non sopporto di sentirmi la vittima di chi la legge dovrebbe farla rispettare e non usarla in modo improprio per fini squisitamente personali. L’hotel, che raggiungiamo poco dopo, è costituito da un gruppo di bassi edifici a stecca distribuiti attorno ad una piacevole area comune organizzata con tettoie e piccoli giardini. La camera è scassata quasi quanto quella di ieri, ma ormai siamo rassegnati ed in ogni caso non esistono alternative a questo se non peggiori. Regine, la signora francese che gestisce l’hotel, ci riceve ed ascolta attentamente la nostra richiesta di incontrare Joe per organizzare il nostro tour dell’Adrar. E’ sbalordita che qualcuno voglia affrontare il rischio di una simile impresa, ma manda qualcuno a chiamare Joe che arriva dopo una mezz’ora che trascorriamo a cercare di sopravvivere alla canicola di questo primo pomeriggio bevendo bevande ghiacciate. Stupito, al contrario di Regine, per il nostro timore di un eventuale pericolo rappresentato dai tuareg nell’Adrar, cerca di rassicurarci in tutti i modi ed esclude a priori che si debba ricorrere alla scorta militare. Organizzerà per noi un incontro con il capo dell’agenzia Timitrin Voyages, il signor Badi Faradji, che sarà di ritorno a Gao domani mattina. Ne approfittiamo per andare ad esplorare la città in compagnia di Joe. I bassi edifici di banco alternati a quelli di chiara matrice coloniale, su due o più piani ed articolati in un leggero movimento volumetrico, con porticati e balconi, affacciano sulle strade principali, larghe ed in parte asfaltate della città, percorse soprattutto da motorini e da qualche carretto di legno. In breve raggiungiamo la Tomba Askia, l’edificio storico più famoso di Gao. Si tratta di un edificio a forma piramidale, fatto realizzare nel 1450 dal re Askia di ritorno dall’Egitto. Costruito secondo la tradizione, in banco, il volume della tomba è trafitto dai bastoni di legno che ne sporgono ortogonali secondo i canoni tradizionali degli edifici religiosi ad uso pubblico. Questi bastoni sui quali i locali si arrampicano in occasione del rifacimento annuale del manto esterno, consentono loro di raggiungere anche le parti più alte dell’edificio, agevolando così i lavori senza bisogno di montare delle impalcature. Saliamo anche noi, seguendo però la scala stretta che è stata ricavata sul profilo della piramide a gradoni. Raggiunto il vertice, godiamo di un bel panorama sulla città e sul fiume che scorre a qualche centinaio di metri da qui. Leggermente defilata, la grande duna di sabbia rosa, risalta per contrasto sul verde della vegetazione attorno al fiume….è uno spettacolo davvero suggestivo….soprattutto per via della magnifica duna. Scendiamo per poi entrare all’interno della coeva moschea adiacente, realizzata sobriamente come una grande scatola bassa di banco, senza decori, ai piedi dell’imponente tomba. Entriamo scalzi sul pavimento di sabbia e camminiamo tra i possenti pilastri rastremati che sostengono la copertura e che formano i sette ambienti stretti e lunghi della preghiera. Possono contenere fino a 200 fedeli ognuno, per un totale di 1.400 uomini e 400 donne nella sezione distaccata, sull’altro lato del cortile. Il custode che ci accompagna ci spiega che i muezzin sono più di uno, ma è il capo che officia il rito. La luce ormai debole del tramonto rischiara solo gli ambienti vicini alle porte di ingresso che lasciamo alle nostre spalle mentre ci dirigiamo verso il luogo di preghiera dell’Imam, illuminato da tubi al neon. La porta chiusa che vediamo di fianco alla nicchia si affaccia su un ambiente che accoglie i membri della giustizia islamica che sono interpellati in caso di discordie soprattutto familiari. La giustizia vera è fuori da qui, ci dice, nei tribunali civili. Ascoltiamo la breve spiegazione del custode, poi usciamo nel cortile dove Vanni formula la sua domanda, classica in queste circostanze….chiede se può andare a pregare in moschea con loro più tardi. La risposta è si…purchè sia disposto a rispettare il rito delle abluzioni e dell’inchinarsi al Dio. Sia Joe che il custode condividono con Vanni l’idea che se un Dio esiste è unico e non importa qual’è il suo nome o la modalità della preghiera….che apertura mentale questi ragazzi di Gao!! E‘ un sollievo sapere che l’integralismo non è la prerogativa di tutti i musulmani. Raggiungiamo la riva del fiume affollata delle immancabili piroghe le cui prue affusolate si delineano scure contro la luce rossa del tramonto. Qualche fuoco è acceso qua e la. Asini si muovono lenti cercando qualcosa da mangiare tra la polvere dello spiazzo, mentre qualche avventore raggiunge le signore ai “fornelli” sotto piccole tettoie di lamiera…..sembra impossibile ma illuminato da questo splendido tramonto questo luogo fatto di nulla ha un grande fascino. Poco dopo la visita della città, Vanni telefona ad Abraham, la guida di Bamako, che non è affatto daccordo con l’ottimismo di Joe. Dice che alcuni tuareg che guidano i turisti sono a volte i complici dei briganti che aspettano il momento giusto per tendere l’agguato. Simulano l’aggressione alla guida tuareg compiacente, che cade svenuta al suolo, quindi portano via con sé ogni cosa a parte un paio di bottiglie d’acqua necessarie per sopravvivere almeno un paio di giorni nel deserto. Abraham, che lavora nel settore turistico da decenni, non ha mai sentito nominare questo Mr. Badi di Gao e questo non depone certo a suo favore. Ceniamo in hotel, in preda ai dubbi più atroci…..la cosa che appare certa questa sera è che senza scorta militare non ci muoveremo da qui…..poi arriva all’ultima ora il consiglio sensatissimo di Ismail che propone di lasciare Gazelle al sicuro a Gao e andare con l’auto dell’agenzia a fare il tour.

07 Dicembre 2008

GAO

L’appuntamento con il signor Badi Faradji è alle 8.30. Non so come abbiamo potuto accettare un appuntamento così presto…..ci eravamo illusi di poter partire per l’Adrar oggi stesso? Parlando con il signor Badi ci rendiamo presto conto di quanto questa speranza  sia una pura utopia. La festa del Tabaski di domani è l’equivalente del nostro Natale e nessuno è disposto a rinunciare ai festeggiamenti in famiglia, tanto meno il signor Badi, che, poco dopo la stretta di mano e le poche parole spese per la reciproca conoscenza, mette in chiaro questo punto. E’ un vero tuareg, con tanto di ampio boubou color ocra e turbante bianco. I suoi occhi profondi sono di un colore indefinibile, un melange di azzurro e marrone tipico dei tuareg doc, che rende il suo sguardo penetrante ed il suo viso estremamente affascinante. Mentre aspettava il nostro arrivo sotto il gazebo, in compagnia di Joe, ne aveva approfittato per studiare la nostra Gazelle, la toyota che anche lui preferisce. Complici di questo amore condiviso per le Land Cruiser over 20, proseguiamo la conversazione con la rilassatezza di un sano cameratismo. Espostigli i nostri dubbi circa la sicurezza di Gazelle e del suo contenuto nell’Adrar, è lui il primo a proporci di lasciare l’auto qui a Gao. Potrebbe essere effettivamente rischioso viaggiare con la nostra auto per via delle bande di briganti, ed è lui stesso a non volere complicazioni….meglio andare con una delle sue, naturalmente una Land Cruiser HJ80, un pò più recente di Gazelle.  I tuareg dell’Adrar, riconoscendola come sua, ci  lasceranno viaggiare senza tentativi di ruberie….così saremo tutti più rilassati e sicuri. Il fatto che la proposta di lasciare qui Gazelle, sia partita da lui, ci rassicura sulla sua onestà, ed esclude di essere finiti tra le grinfie di una guida collusa con i tuareg ladroni. Mentre conserviamo è evidente che ci sta studiando…..osserva il mio anello con grande malcelata curiosità, chiede come abbiamo portato Gazelle dall’Italia fin qui, che lavoro facciamo per poter viaggiare tanto a lungo, dove avevamo lasciato l’auto a Bamako  lo scorso marzo. Gli raccontiamo quindi di Modibo, del suo lavoro di rappresentanza per Florgres…..rimugina ma non ne capisco il motivo. Ci hanno parlato tutti così male delle popolazioni tuareg dell’Adrar che immediatamente associo la sua elaborazione delle nostre informazioni, ad una eventuale presa in considerazione di un nostro rapimento. Ciò rende l’idea di quanto ci abbiano spaventati i discorsi fatti con tutte le guide maliane con le quali abbiamo avuto modo di confrontarci in questi ultimi giorni. Badi sa che ovunque in Mali si parla di quei luoghi in questi termini, ma non se ne preoccupa. Da un lato è un pò risentito per il fatto che si parli così male dei luoghi nei quali lui è nato ed ha vissuto fino ad un anno  fa prima di trasferirsi a Gao per motivi di lavoro, dall’altra parte il lavoro non gli manca, ed un minor numero di turisti presuppone una migliore qualità degli stessi. Orgogliosi di appartenere a quella nicchia di viaggiatori impavidi, o meglio non facilmente suggestionabili, prendiamo ancora un pò di coraggio e proseguiamo le trattative e con esse anche le chiacchiere.  Gli racconto del mio precedente viaggio nell’Akakus libico, del quale anche lui considera il più bel luogo del mondo, poi inizia a parlare delle bellezze dell’Adrar, diverso, ma non privo di fascino. Ci sono delle piscine naturali di acqua dolce, i cui invasi si sono scavati nei secoli nella roccia,  dei bei graffiti ed il deserto che tutti noi amiamo. Prima di congedarsi ci invita  a casa sua per il pranzo di domani….sarà un onore per noi prendere parte al grande pranzo in compagnia della sua famiglia. Infine ci congediamo. Dopo circa una mezz’ora Joe bussa alla porta della nostra camera per recapitarci il preventivo dei costi del viaggio di 8 giorni, comprensivo di cibo, gasolio, autista e cuoco.Il costo totale di poco più di 900.000 Cfa, circa 1.400 € ci sembra eccessivo, ma prendiamo il nostro tempo, consapevoli che qui in Africa tutti i prezzi sono trattabili. Quando usciamo dalla camera dopo la doccia, il signor Badi è al tavolino ad aspettarci per discutere il prezzo…..o meglio è Vanni a chiedere un piccolo sconto, ma il fiero tuareg non è disposto a mollare nemmeno un centesimo…..al contrario siamo noi a cedere sul numero dei giorni di viaggio che siamo decisi a ridurre a 7. Il percorso sarà lo stesso, ci rassicura Badi, solo un pò più veloce, così diminuiranno i costi di autista e cuoco, cibo ed acqua, ma non quello del gasolio che ovviamente rimarrà invariato. Siamo tutti felici di quest’ultima stretta di mano che sancisce la nostra prossima partenza. Ci congediamo nuovamente. Poco dopo andiamo in banca a prelevare la metà dell’importo totale da dare a Badi e poi in un emporio per acquistare un profumo da regalare domani alla sua consorte, consciuta ieri pomeriggio in occasione di un insuperabile té trois verre consumato nel cortile di casa loro.

Mai visto un museo più misero  di questo che visitiamo qui a Gao. Tre stanzette aperte in occasione del nostro arrivo, contenenti poche cose impolverate e poco interessanti a parte qualche fotografia. La tomba Askia ed il fiume Niger che scorre lambendo la città sembrano davvero le uniche attrattive di questa città polverosa e semplice, dove quasi tutte le strade sono di terra battuta sconnessa e le case di banco non hanno gli elementi decorativi di pregio tipici dell’architettura sudanese. Polvere e confusione, questo potrebbe essere lo slogan di Gao. Dopo averlo scritto già me ne pento, consapevole di aver espresso un giudizio parziale e superficiale. L’atmosfera che si respirava sul lungo fiume ieri sera al tramonto, era davvero magica. I fuochi accesi a rischiarare i locali vestiti nei colorati abiti tradizionali, la fretta legata agli ultimi momenti di luce. I muli  a passeggio nello spiazzo, le bandiere colorate fissate a bastoni sulle pinasse….gli edifici sempre più rosa di fronte al grande fiume che da questa prospettiva sembra estendersi all’infinito come l’oceano. Il colore intenso del cielo senza più sole sul quale i profili snelli delle pinasse si stagliavano neri, come dipinti. Ma torniamo a noi….dopo il museo, la banca e l’acquisto del profumo, raggiungiamo la casa di Badi per consegnargli i 400.000 CFA dell’anticipo pattuito. La famiglia è raccolta per il pranzo all’ombra del muretto che delimita la concessione. Il contenitore di metallo che contiene il cibo è appoggiato a terra, da esso tutti ne attingono con le mani, e poi lo comprimono per farne palline oblunghe che inseriscono agevolmente in bocca. Protetti dal sole la temperatura è piacevolissima. Consegnamo a Badi il piccolo malloppo e continuiamo la conversazione interrotta poche ore fa. Mentre parla, le sue due figlie piccole gironzolano attorno a lui….è così grande l’amore che leggiamo nei suoi occhi mentre le osserva, che ne siamo quasi commossi. Immediatamente dopo mi chiedo come possa lo stesso padre amorevole consentire che le sue figlie vengano infibulate…..ma poi scopriremo in un secondo momento che questa barbara tradizione non fa parte della cultura tuareg….per fortuna! Mentre sto bevendo il secondo bicchierino di té, Badi  mi chiede perché ho smesso di svolgere l’attività di architetto…..gli rispondo che ho scelto di dedicare il mio tempo ai viaggi in compagnia dell’uomo che amo. Mi dice subito dopo che ha un terreno qui in città e che vorrebbe costruire un hotel, piccolo ma carino. L’idea finisce col conquistarmi, anche se non sarà comodo fare la direzione lavori vista la scarsa professionalità delle maestranze locali. Mando subito un sms ad Elisa e Beppe per coinvolgerli nell’impresa….sarebbe una esperienza interessante per tutti noi! Rientriamo in hotel per un bel relax all’ombra degli alberi dell’ampio giardino…..non proprio come lo intendiamo noi….ma qui il pratino se lo possono scordare.  Liquidiamo Joe fino a domani …ci accompagnerà in centro nella mattinata per vedere i locali vestiti a festa. Prima di addormentarmi, mentre osservo il controsoffitto  della camera scassata e sporca mi torna in mente quello crollato sulla classe in una scuola italiana….che brutti pensieri prima di dormire!

08 Dicembre 2008

GAO

Oggi è il gran giorno del Tabaski, Aidel Kebir in lingua locale. Le prime persone che incontriamo a sedere in un tavolino del giardino sono Joe e suo padre che già alle 10.30 del mattino bevono birra. Ci raccontano di aver già fatto il consueto giro di saluti a casa di parenti e amici e di aver portato loro in dono parte del montone sacrificato come forma di cortesia e di buon auspicio. Tornerà alle 12 a prenderci per portarci da Badi, che lui chiama eccellenza…..ubriaco com’è si è dimenticato del giro in centro che ci aveva promesso, per vedere la gente agghindata a festa. Entriamo nel salone di casa Badi, appoggiando i piedi scalzi sui tappeti stesi a ricoprirne l’intera superficie. Due file di materassi sono appoggiati a terra sui due lati lunghi della sala…..un piccolo tavolino sostiene la tv accesa. Solo Badi è seduto con noi sui tappeti del salone e le bambine arrivano ogni tanto a giocare con il padre sempre paziente ed amorevole. La moglie, Mamo, è in cucina a dirigere le due bellà alle prese con la preparazione del cibo. Le tratta senza rispetto, come fossero le sue schiave…..del resto i bellà sono sempre stati gli schiavi dei tuareg, ed anche ora che la schiavitù è vietata dalla legge, l’antica tradizione sopravvive ed i bellà sono ancora di fatto degli schiavi. Da occidentale vivo il privilegio di poter accedere al salone e, comodamente seduta sui tappeti, di poter partecipare alla piacevole conversazione con Vanni e Badi, spesso in veste di interprete. L’argomento cade ancora sul progetto dell’hotel, per la realizzazione del quale, Badi prevede di dover lavorare ancora 4 o 5 anni. La prima portata del pranzo è un piatto di montone arrostito che Vanni e Badi condividono rimanendo seduti sul tappeto. Badi taglia i pezzetti di carne e porge i bocconi più ghiotti a Vanni. Siccome il montone non è tra gli animali che mangio, raggiungo Mamo in cucina per due chiacchiere, anche se non sembra così ben disposta ad aprirsi. Le chiedo perché non viene anche lei in Europa ogni anno in compagnia di suo marito, si vede che muore dalla voglia di vedere l’Italia. Dopo un paio d’ore di attesa trascorse immersi nelle chiacchiere con Badi e, separatamente, con Mamo, arriva un cous cous buonissimo del quale anch’io mi servo. E’ stato preparato con carne di bue….sono stati davvero gentili a preparare un pranzo accessibile anche a me! Conversiamo ancora un pò, poi Badi ci mostra il resto dell’ampia casa Le ore trascorse in sua compagnia ci hanno consentito di conoscere ancora un pò questo tuareg intelligente ed aperto, che conosce i film di Michel Moore e con essi tutti i loschi intrighi della politica Bush. Fa piacere prendere atto che tutte le persone conosciute nel corso dei nostri viaggi hanno la medesima negativa opinione riguardo alla politica estera statunitense…..si tratti di canadesi, messicani, africani o statunitensi stessi. Verso sera Badi ci fa visita in hotel. Non è molto loquace, ma si confida un pò di più e ci spiega perché rimane in Europa un paio di mesi ogni anno. Un tuareg ama la propria libertà sopra ogni cosa, e così dopo aver lavorato duramente nove mesi prende il suo relax in totale libertà……lasciando la famiglia maliana a Gao e godendosi la sua seconda casa…..l’Europa. Ci dice anche che Gaye, il fratello della moglie, nostra guida ed autista, ha predisposto tutto il necessario per il viaggio. Quando lo avevo visto, accanto a sua sorella, in cucina, mi era sembrato timido e buono….avrei preferito il carismatico Badi, ma non si può avere tutto. Domani, tra le 8 e le 8.30, finalmente partiremo.

09 Dicembre 2008

GAO – KIDAL

La Toyota Land Cruiser, generazione 1986, di colore verde scuro arriva puntuale alle 8.30. Sono a bordo Gaye e Gorghi, quest’ultimo in veste di cuoco, Badi ed infine Joe che anche a quest’ora esala l’inconfondibile odore della birra. Scendono ed iniziano i preparativi di carico del nostro misero bagaglio. Un trolley, due sacchi a pelo ed uno spruzzino a pompa che sarà la nostra doccia. Joe ci prende in disparte e ci chiede un prestito di 2.000 CFA che gli rifiutiamo…..gli alcolisti ci fanno pena ma non ci sentiamo di incoraggiarli. Dopo un saluto caloroso a Badi con la promessa di rivederci l’anno prossimo in Italia, partiamo. L’auto è confortevole e ben molleggiata. Sui sedili sono appoggiate le coperte di lana colorata che serviranno loro per coprirsi durante la notte, Gaye guida a velocità sostenuta sulla pista verso Kidal….qualche buca e molta polvere. Animali, acacie ed i pochi villaggi costruiti in prossimità dei pozzi interrompono il nulla di questo paesaggio sempre più desertico che si perde, perfettamente piatto, verso l’orizzonte. Ci spiegano che i pozzi attingono da falde profonde circa 60 metri, per questo vengono organizzate squadre di animali, dromedari o muli, che legati l’uno all’altro, tirano le lunghe corde calate nel pozzo. Il paesaggio si apre in grandi distese a perdita d’occhio…..ogni tanto, il fenomeno di rifrazione della luce ci illude della presenza di enormi superfici d’acqua. Questi miraggi, per noi comodamente seduti a bordo e dotati di tutta l’acqua da bere che desideriamo, non sono poi così emozionanti….Attorno a noi il paesaggio cambia, rocce scure sostituiscono le acacie i cui frutti, piccoli come olive, avevamo appena imparato ad apprezzare come caramelle dal gusto amaro e consistenza gelatinosa. Gay ci dice che i bambini ne vanno pazzi e ci mostra le piccole pietre usate per farli cadere dai rami spinosi. E’ la stessa cosa che fa lui ad un certo punto, quando recuperando un gesto della sua infanzia lancia il sasso e raccoglie il bon bon che ci offre. Eliminata la buccia sottile e secca, rimane la polpa arancione, una sorta di gelatina soda, dolcissima appena la si assaggia ma che sprigiona poi un gusto amaro e profumato. Potremmo definirla la caramella di rabarbaro del sahara. Le rocce sono scure, dalle superfici arrotondate e raccolte in grandi cumuli. Introducono il tema dell’Adrar , la cui parola significa “roccia” in Tamashek, l’antica lingua tuareg. La sosta del pranzo a mezzogiorno in punto ci ricorda il rituale del pranzo di Lamanà per il quale sembrava aver acquisito una sorta di sacralità….. almeno agli occhi di noi inappetenti. Una volta individuata l’acacia più ombrosa stendiamo le stuoie ed accendono il fuoco per cucinare qualcosa, ma soprattutto per preparare il famoso e squisito tè trois verre. Arriviamo a Kidal nel tardo pomeriggio che precede il tramonto, dopo un accurato controllo dei nostri documenti da parte dei militari ad un posto di blocco di questa cittadina che sembra blindata. Percorriamo la strada, ora rosata, fino a raggiungere la casa della famiglia di Gorghi che ci ospiterà per la notte. Il grande cortile circondato da un alto muro di terra cruda è il fulcro delle attività della famiglia, al suo centro è stata costruita una capanna circolare, fatta di stuoie e bastoni flessi ad arco, nella quale dormiremo io e Vanni. Sul suolo di terra battuta del cortile avvengono tutte le attività legate al cibo, dalla preparazione al consumo, ed alla conversazione sempre vivace degli abitanti raccolti attorno al fuoco di cottura. In uno degli angoli del cortile, addossata al muro di cinta, una microscopica stalla costruita con materiale di fortuna, accoglie un montone sempre belante…..del resto come potrebbe non lamentarsi costretto com’è a vivere in uno spazio poco più grande del suo corpo? Nell’angolo opposto un muro ad elle divide lo spazio del cortile da quello della latrina costituita da un foro nel solaio ai cui lati è stato fatto un gradino per rialzare chi vi si accovaccia. Quella che loro chiamano doccia è un contenitore di plastica, a forma di teiera, da avvicinare al corpo una volta riempito per immersione in un secchio pieno d’acqua…..una tazza sarebbe stata la stessa cosa, ma quest’oggetto è molto di moda e viene usato anche per le abluzioni prima della preghiera, le moschee ne sono piene. Il terzo angolo è occupato da un edificio scatolare che rappresenta l’abitazione vera e propria. La semplicità estrema regna sovrana! Gorghi ci presenta alla famiglia, poi inizia immediatamente il rito del tè al quale prendiamo parte molto volentieri. Nel gruppetto dei presenti spicca un certo Ousmane, tuareg senza casa e senza famiglia, come ama definirsi. Un uomo che ha sempre scelto la propria libertà e con il quale nel corso della serata è un piacere conversare, per l’apertura delle sue opinioni, l’ intelligenza e l’acume. Non è solo un uomo saggio, conosce anche una serie di aneddoti che ci racconta tra una forchettata e l’altra dei nostri spaghetti tuareg che consumiamo seduti attorno al fuoco in cortile, in compagnia della famiglia ospitante. Attingono tutti dalla stessa ciotola piena del cibo che afferrano con le mani facendone piccole polpettine comode da infilare in bocca. Sono tutti seduti sulle stuoie di plastica colorate, le due sedie sono riservate a noi due ospiti, così come i due piatti e le forchette. Quando poi, gustando l’ennesimo bicchierino di tè, ne sottolineo la particolare preparazione dal sapore decisamente rituale, Ousmane se ne esce con una battuta che mi fa sorridere….si chiede come passavano il loro tempo i tuareg prima che i cinesi facessero loro scoprire il tè. Ipercritico nei confronti degli imam, ci racconta un paio di cosette circa il trattamento dei malati di mente da parte dei sacerdoti islamici….roba da non credere, sospesa tra la stregoneria animista e la tortura. Non poteva mancare la storiella tuareg relativa alla costellazione Orione…quando sorge bassa ad Est significa che è giunta l’ora di coprirsi perché arriva il freddo dell’inverno. Dopo la cena andiamo a cercare Kristof all’ “école des jeunes”, un centro per la formazione dei giovani di cui lui è uno dei responsabili. Il centro è in festa….una serie di giovani repper tuareg si stanno esibendo sul palco di fronte al pubblico numeroso di adulti e giovani. Sembrano la fotocopia dei giovani artisti europei ed americani, lo stesso linguaggio gestuale e ritmo musicale per non parlare dei classici pantaloni calati che li rendono del tutto adeguati al modello del repper internazionale. E’ incredibile il potere che ha la musica nell’abbattimento delle frontiere e delle differenze culturali…..ne siamo sinceramente commossi. Gustiamo lo spettacolo fino all’arrivo di Kristof, un ragazzo francese di una trentina d’anni, che salutiamo e col quale condividiamo una birra nella tranquillità di un bar semivuoto, nonché una serie di chiacchiere legate all’Adrar ed al suo soggiorno qui. Non è poi così freddo questa sera… ci infiliamo comunque volentieri nei nostri caldi sacchi a pelo di piuma d’oca. Il montone di casa non la smette mai di belare….che palle….è l’unico a non avere sonno.

10 Dicembre 2008

KIDAL – ESSOUK – ADIEL HOC

E’ ancora presto quando ci congediamo dalla famiglia di Gorghi. Dopo aver consumato una buona colazione, servitaci in un tavolino infilato per l’occasione dentro la nostra capanna, salutiamo la madre Aisha, Ousmane e le due giovani sorelle, quindi partiamo per una breve visita al mercato oggi semi deserto per via degli strascichi della festa del Tabaski. Ci riforniamo velocemente di pane fresco ed acqua, poi arriva l’ora dei saluti dovuti a parenti ed amici da parte dei nostri due accompagnatori. Le formalità, delle popolazioni tuareg sono estenuanti, soprattutto nei periodi di festa….quindi appena liberi dalla morsa dei saluti di circostanza che ripetono formule codificate intercalate da innumerevoli “Ça va?” ci congediamo dalla polverosa cittadina di Kidal per addentrarci nell’Adrar in direzione di Essouk nei pressi del quale arriviamo percorrendo una pista polverosa immersa nella brousse. Giunti in prossimità di una serie di rilievi di roccia e sabbia la toyota inizia ad arrampicarsi sulla pista serpeggiante tra rocce scure di varie dimensioni. Arrivati sulla cima ci fermiamo ad osservare la stretta vallata ora sabbiosa cosparsa dei resti dell’antica città di Essouk. Scendiamo infine nel luogo protetto, dove anticamente si adagiava l’oasi rigogliosa, che ospitò la più fiorente e popolata città commerciale del nord del Mali, ora pressoché scomparsa. In quello che fu un attivo centro commerciale, arabi, cristiani ed ebrei convivevano in pace, occupandone i diversi quartieri dei quali ora rimangono , sparse sulla sabbia, solo le pietre squadrate che formavano i muri degli edifici. Il nuovo villaggio desolato sorto lì accanto è costituito da qualche casa scatolare in ordine sparso attorno al pozzo. Molto lontano scorgiamo un magnifico massiccio roccioso immerso nella sabbia…..vorremmo tanto essere là, anziché in questa pietraia ad arrostirci sotto il sole cocente. Quelle cime aguzze e scure mi riportano all’amato Akakus libico che per il momento rimane un miraggio lontano. Tanto per sedare il nostro entusiasmo Gaye ci comunica immediatamente che quelle rocce laggiù non sono accessibili nemmeno con il 4×4….che peccato, il nostro autista proprio non ha voglia di rischiare e noi certo non saliremo su quelle alte dune a piedi! Poco dopo ci fermiamo per il pranzo al quale i ragazzi non rinuncerebbero per nessun motivo…..devono finire il montone della festa! Al rituale del tè segue la preparazione di una insalata di legumi in scatola per noi, condita con una salsa a base di senape, mostarda, olio ed aceto…squisita. Visto che ormai l’hanno preparata un assaggino lo facciamo. Seduti sulle stuoie, accarezzati dalla brezza fresca che soffia sempre durante il giorno, ci rilassiamo bevendo un bicchierino di tè ed assaporando l’ottima insalata. Siamo all’ombra di una enorme acacia, l’ unico albero che riesce a vivere nel deserto ed i cui rami secchi rappresentano l’unica risorsa per poter accendere un fuoco. Dopo la siesta ripartiamo diretti a Nord,. Siamo immersi nel paesaggio dell’Adrar caratterizzato da ammassi di rocce scure, poste talvolta in equilibrio precario, che segnano il territorio con leggeri movimenti…..come se la brousse piatta si fosse dotata di dune di roccia frammentata in pezzature sempre diverse. Poco prima del tramonto arriviamo nei pressi del villaggio di Adiel – Hoc. Addentrandoci nella brousse alla ricerca di un luogo adatto dove fare il campo, vediamo diversi accampamenti nomadi e gruppi di animali che pascolano nei pressi…..troppa gente per noi che quando siamo nel deserto vogliamo stare soli. Per assecondare il nostro desiderio andiamo ancora oltre, fino a sfiorare un paio di promontori di roccia scura in prossimità dei quali ci fermiamo e predisponiamo il campo scaricando dall’auto il necessario. Gettiamo al suolo le stuoie, i materassini di gommapiuma, i nostri sacchi a pelo….ma poi la sorpresa arriva come una doccia fredda…..il signor Badi ci ha fregati! Non ha dato ai ragazzi la tenda ad igloo che aveva promesso quando gli avevo espresso la mia paura dei serpenti…dovremo dormire all’aperto, sotto le stelle ed in balia degli animali notturni. Vestiti senza molte variazioni rispetto ad oggi, ci infiliamo dentro i nostri sacchi a pelo….ingombrati come siamo dagli abiti non è semplice girarsi però poi ci rilassiamo ed osservando le stelle cadiamo in un sonno profondo dal quale ci destiamo solo all’alba.

11 Dicembre 2008

ADIEL HOC – TASSIGDIMT – IN TEMSE’

Che bella dormita questa notte….senza montoni lamentevoli o il chiacchiericcio di casa Gorghi. La luna piena poi rendeva tutto più affascinante e meno sinistro, rischiarando la notte di un bagliore diffuso….e che emozione sentire gli ululati lontani dei cani, provenienti dagli accampamenti nomadi dislocati nei paraggi. La paura che un animale di passaggio potesse infilarsi nel mio sacco a pelo ha ceduto presto il passo ad una sana spossatezza che mi ha precipitata in un sonno profondo. Mi sveglio alle prime luci dell’aurora, quando ancora il sole non è sorto dall’Est di fronte a noi. Dormono ancora tutti immersi nel silenzio magico del deserto, quindi cedo ad un altro sonnellino. La palla infuocata ora è alta sull’orizzonte ed i nostri due tuareg sono già attivi attorno al fuoco acceso….stanno preparando la colazione. Dopo l’abbraccio del risveglio consumato castamente per via della totale assenza di privacy, ci incamminiamo in compagnia di Gaye verso il vicino sito archeologico. Dopo aver superato il letto di un fiume asciutto e sabbioso, dietro un cespuglio di acacie vediamo l’ ammasso di pietre scure sul quale gli antichi abitanti dell’Adrar lasciarono testimonianza di sé incidendo graffiti sulle superfici piatte di alcune pareti verticali. Dalle immagini che vediamo disegnate, capiamo che un tempo, in quest’area geografica ora desertica, l’uomo viveva in compagnia di giraffe, cavalli e buoi. Uomini armati di lance li cacciavano e poi scrivevano accanto alle immagini che li ritraevano parole ad oggi indecifrabili. I simboli che utilizzarono sono gli stessi dell’alfabeto Tamachek, ma la composizione in parole incomprensibili fa supporre che nei secoli il loro significato si sia modificato. Ci aggiriamo attorno al gruppo di massi scrutando le figure stilizzate e le parole verticali che sembrano ricamate sulla roccia….la temperatura è ancora accettabile e ne approfittiamo per compiere con calma la nostra perlustrazione. Carichiamo di nuovo tutto in macchina e ci dirigiamo verso l’oasi di Tassigdmit, che vediamo prendere forma nella vallata verde e popolata. Non vediamo costruzioni, ma le persone che ci vengono incontro al nostro arrivo e poi dromedari, asini e montoni sempre presenti negli insediamenti. Come in tutte le spedizioni nel deserto che si rispettino, nell’attraversare uno uado, ci insabbiamo. Arrivano in soccorso 4 uomini snelli ma forti che subito iniziano a spingere, le mani ben piazzate sul posteriore della Land Cruiser. Quegli stessi ci raggiungeranno poi all’ombra della vegetazione, per condividere con noi il pranzo. Uno di loro porta in dono un’anguria dolce ed appena rosata. Mentre io e Vanni passiamo il nostro tempo osservando la cartina stradale per cercare di individuare il luogo nel quale ci troviamo, il gruppetto tuareg non la smette più di chiacchierare nell’incomprensibile idioma tamachek. Chissà cosa si raccontano, tutti riuniti attorno all’unica ciotola di cibo alla quale attingono seguendo un ordine rigoroso…..quello del pasto è per loro un rito sacro, anche se consumato all’ombra di un’acacia. Più tardi gli adulti lasciano il posto ad un gruppetto di giovani timidi tuareg vestiti all’occidentale. Non dicono una parola, quindi per rompere il ghiaccio sono io a fare qualche domanda nel francese che loro hanno studiato. Dalla breve conversazione emerge che il gruppetto si occupa della cura degli orti nei quali crescono melanzane, pomodori, carote, patate…insomma un pò tutto ciò che serve. Usciamo dall’oasi dopo un paio d’ore, ancora insabbiandoci nell’uado sul lato opposto dell’oasi. Accorrono ancora ad aiutarci…sono gentili. Proseguiamo lungo la pista che attraversa i lievi pendii rocciosi dell’Adrar…sullo sfondo una catena montuosa color cioccolata, qua e la dune di sabbia sono coperte in cima da rocce sgretolate. Siamo nei pressi del campo notturno, ma Gay vuole fare una deviazione alla ricerca di un accampamento nomade dove poter vedere la festa del Tam Tam, abitualmente messa in atto in questi giorni di festa, dalle popolazioni nomadi di qui. La ricerca ci porta infine nel luogo giusto…a Duissacate la festa sta per iniziare! Un gruppo di ragazze sta trasportando un tamburo cilindrico fissato al centro di due grossi bastoni. Indossano i tradizionali abiti lunghi di cotone color indaco, i capelli coperti da un velo nero. I visi scoperti e sorridenti formano ora un gruppo compatto attorno al tamburo appoggiato a terra. Fanno parte del gruppetto tutto femminile anche bambine più o meno piccole e signore adulte, tutte rigorosamente in blu e nero…..alcune di loro iniziano a percuotere la pelle tesa del tamburo, altre battono le mani seguendo il ritmo ed emettono con la bocca il classico richiamo della donna tuareg, animalesco ed erotico. I maschi sono elegantemente seduti sulle selle dei loro dromedari, riccamente decorate con cuoio tinto di verde e tessuti colorati che terminano con frange legate a pon pon….qualcuno ha un fucile legato sul fianco della sella. Dopo qualche minuto di attesa inizia la sfilata dei dromedari che vede i cavalieri spingersi fino a lambire il gruppo femminile seguendo il ritmo del tamburo, come in una danza. Con eleganza lo sfiorano, ruotano attorno ad esso e poi tornano ad allinearsi nella fila leggermente defilata su un lato. Attorno a noi la brousse si spinge immensa fino all’orizzonte tingendosi delle tinte rosate del sole al tramonto. Non potevamo sperare in uno sfondo migliore di questo ad accompagnare il meraviglioso spettacolo tribale che esalta il nostro piacere di essere qui. Di fronte alla bellezza dell’evento percepiamo il grande privilegio e la fortuna di essere arrivati nell’Adrar proprio nel periodo del Tabaski! Siamo gli unici bianchi presenti….i tour operator non organizzano viaggi qui dallo scoppio della ribellione tuareg nel 2006….qualcuno si avvicina a salutarci ed a rassicurarci dicendo che non corriamo nessun pericolo. Ismail ci aveva detto che i tuareg difficilmente uccidono, piuttosto rubano tutto ciò che hai….certo mi dispiacerebbe perdere la macchina fotografica….ma in fondo nemmeno questo è poi così importante. La festa ad un certo punto si complica dell’arrivo di una giovane sposa proveniente da un accampamento vicino. E’ a bordo della Toyota grigia, identica a Gazelle, che si avvicina seguita da un gruppo di dromedari in corsa bardati a festa, ed un camion sul cui retro un gruppo di donne armate di kalasnikov sparano in aria. Il gruppo si unisce alla festa e noi ce ne andiamo diretti al luogo del bivacco serale….Gaye ha paura che la vista di tutti quei fucili possa turbarci….o forse che qualcosa di spiacevole possa infine succederci. Il tempo di fermare l’auto e già un signore spunta dalla vegetazione…..arriva dall’accampamento vicino, là dove arrivando avevamo visto salire una spira di fumo. Materassini, sacchi a pelo, stuoie e l’unico tegame escono dal bagagliaio, infine il nostro comodo spruzzino a pompa con il quale facciamo una piccola doccia nascosti per non essere visti, dietro un cespuglio nei pressi. Il nostro ospite rimane a cena, così come suo figlio che lo ha raggiunto…..ma, pur estremamente loquaci, non ci rivolgono mai la parola….forse non conoscono il francese. La luna piena è velata da uno strato sottile di nuvole diffuso su tutto il cielo, ma il bagliore è comunque intenso. Quando mi sveglio nel corso della notte, il cielo è completamente sereno, il silenzio totale e la luce della luna rende il paesaggio surreale. Che notte!

12 Dicembre 2008

IN TEMSE’ – ISSAWASSENE – ESSEL

I due ospiti della cena arrivano puntuali anche per la colazione che consumiamo verso le 8. La pentola che sbuffa sulle braci contiene montone con patate, mentre noi, a quest’ora inappetenti, ci accontentiamo di un pezzo di pane con marmellata,  ed un bicchierino del loro tè concentrato e gustoso. Ci prepariamo con molta calma caricando le poche cose in auto, salutiamo brevemente gli ospiti e partiamo. Mentre procediamo verso Issawassene circondati dal paesaggio sassoso, rifletto sui ritmi dilatati della mattina….. Dimostrano che dormire vestiti non riduce affatto  i nostri tempi di preparazione…anzi….doverci svestire per lavarci anche solo sommariamente diventa semmai una complicazione. La temperatura notturna decisamente bassa non offre  però alternative al maglione di lana ed ai pantaloni, nonostante ci avvolgano gli 800 gr di piuma d’oca dei nostri sacchi a pelo. La totale assenza di privacy rende inoltre impossibile denudarsi, e nel caso di un bisognino notturno è meglio uscire dal sacco a pelo con i pantaloni già inseriti….il senso del pudore dei nostri accompagnatori è rigidissimo e l’imbarazzo di Gorghi di questa mattina, quando portandomi un bicchierino di tè mi aveva vista seminuda nascosta dietro l’auto, è significativo del loro cattivo rapporto nei confronti dei corpi altrui. Che tenero Gorghi….perché fosse chiaro a Vanni che non era sua intenzione guardarmi, si è nascosto dietro di lui e gli ha consegnato il bicchierino appiccicoso pieno di tè…..per fortuna avevo già indossato il reggiseno altrimenti chissà…..forse sarebbe svenuto! Attraversiamo nuovi territori dell’Adrar, inospitali per via degli ammassi di rocce scure che   ne ricoprono il suolo ondulato…..ma ecco qualche oasi spuntare tra il paesaggio ad ammorbidirne l’immagine. Arriviamo nei pressi della località di Issawassene verso mezzogiorno. Lasciamo l’auto all’ombra debole di un’acacia e proseguiamo a piedi verso le piscine d’acqua delle quali il signor Badi ci aveva parlato come di un luogo particolarmente suggestivo. Il caldo è soffocante mentre camminiamo salendo tra le pietre fino a raggiungere un piccolo spiazzo sabbioso all’ombra di un’alta parete rocciosa. Sarà il nostro campo base. Ricominciano i rituali legati alla preparazione del fuoco e quindi del tè.

Preparano per noi la solita insalata di verdure in scatola, con sardine marocchine, che assaggeremo appena e per loro il montone accompagnato da pasta. E’ Gorghi ad accompagnarci alle piscine poco più a monte….procediamo a fatica tra le alte rocce granitiche levigate dall’erosione, fino a raggiungere il bellissimo sito delle vasche naturali scavate dall’acqua nella pietra grigia. L’acqua ha un bel colore intenso nelle tonalità del verde, le vasche hanno dimensioni e forme variabili, circondate dalle rocce che le delimitano. E’ davvero spettacolare questo luogo. Le vasche più profonde sarebbero perfette per un bel tuffo, ma le notizie poco rassicuranti raccolte a Kidal l’altra sera, ci impediscono di farlo….che peccato…la temperatura sarebbe perfetta! Kristof ed il suo collega sostenevano che quelle acque  contengono le larve del Verme di Guinea che infestano buona parte delle pozze d’acqua stagnante dell’Africa occidentale. Si tratta di larve visibili solo al microscopio, che entrano nel corpo se ingerite o attraverso la pelle e si sviluppano all’interno dell’organismo fino a raggiungere, nell’arco di circa nove mesi, dimensioni di un paio di metri.  Escono poi attraverso i piedi con grande sofferenza per il soggetto che suo malgrado li ospita. Gaye, quasi risentito per la nostra giustificata reticenza a tuffarci, sostiene che quella delle piscine non è acqua stagnante, ma sgorga da una sorgente a monte, e che il Verme di Guinea si trova solo nelle pozze dove gli animali defecano e bevono. Considerando la gravità dell’effetto, nel dubbio ci asteniamo comunque dal toccare quell’acqua invitante, limitandoci ad osservare la bellezza di questo luogo incantevole. Tornati al campo base, leggiamo sul nostro telefono satellitare le coordinate geografiche di questo paradiso nascosto tra le rocce…..nell’intento di renderlo accessibile anche a chi intenda arrivare senza l’aiuto di una guida. ( Lat. 19°35‘2.57’’ N – Long. 1°05‘49.24’’ E – Altitudine 521 metri slm ). La sosta nel piccolo spiazzo si protrae a lungo, rendendo anche questo pranzo una sorta di banchetto. Per ingannare il tempo Vanni parte a piedi percorrendo a ritroso parte del sentiero tra le rocce…..io invece aggiorno il diario e bevo il tè preparato con l’acqua delle piscine….nella speranza che le larve non siano resistenti alla bollitura!  Dopo un tempo imprecisato speso nel relax, e nel godimento del bel panorama sulla vallata desertica che vediamo leggermente defilata, abbandoniamo lo spiazzo protetto dall’alta parete rocciosa  e scendiamo verso l’auto che raggiungiamo dopo  mezz’ora di cammino. Siamo ancora in compagnia di Bilel, l’amico di Gaye che era spuntato dal nulla poco dopo aver parcheggiato l’auto sotto l’acacia. Alto come un vatusso e molto magro, Bilel ha condiviso con noi l’escursione alle pozze, condendola di sorrisi e parole dette in un idioma a noi incomprensibile. Non avendo nessuna intenzione di lasciarci andare via così presto, sale in auto con noi e insieme raggiungiamo, in località Essel, un meraviglioso gruppo di massi arrotondati dove faremo il nostro bivacco. Mentre arriviamo assistiamo al raro spettacolo naturale del sole che sta tramontando ad Ovest e la luna che, enorme ed ancora grigiastra,  sta sorgendo ad Est. Che meraviglia! Il cielo intanto si colora di rosa e con questa luce le rocce sembrano ancora più belle. Questa sera i nostri cuochi si esibiscono nella preparazione del tradizionale Tagillà ovvero “pain de sable”, per la preparazione del quale avevamo provveduto all’acquisto di un pò di farina presso un accampamento incontrato lungo la pista. Mi piacque molto quando lo assaggiai nell’Akakus libico….. poterlo mangiare di nuovo è un grande regalo che questi ragazzi ci fanno. Bilel inizia ad impastare la farina con l’acqua, questa volta attinta da un pozzo ed assolutamente incontaminata, aggiunge una presa di sale continuando a rigirare l’impasto con le sue dita enormi, fino a renderlo compatto ed omogeneo, quindi allontana le braci dalla sabbia ed appoggia sulla sabbia calda il disco di pasta. Ricopre con un sottile strato di sabbia ed infine con le braci. Dopo mezz’ora di cottura, il disco viene girato e ricoperto di nuovo. Quando dopo un’ora il pane viene estratto definitivamente, è tutto incrostato di sabbia. Viene quindi lavato e pulito bene per eliminare ogni fastidioso granello, poi spezzettato in piccoli pezzi che saranno poi inseriti in una salsa di pomodoro, cipolla, patate e carne. Il pane assorbe il condimento senza però ammorbidirsi troppo e rimanendo anzi in parte croccante….insomma una vera prelibatezza e quasi del tutto priva di sabbia! Siamo già da un pò dentro ai nostri sacchi a pelo quando Bilal, dopo le chiacchiere attorno al fuoco con i ragazzi, si incammina verso il suo  accampamento. Come una inattesa ninna nanna un pò di musica arriva debole dal mangianastri sull’auto…..è musica tradizionale tuareg, melodiosa e ripetitiva come una litania….l’equivalente di un sonnifero. Luna piena e  brezza tiepida rendono la serata perfetta….pian piano sfiliamo i nostri vestiti…ma che delirio….mi torna la paura dei serpenti!

13 Dicembre 2008

ESSEL – TIN FINAGH – ADIEL HOC

A differenza dei miei compagni di viaggio che sembrano aver dormito benissimo, io mi sveglio stordita. Cerco consolazione facendo un giro attorno alle rocce meravigliose di questo sito che, illuminate dalla luce mattutina, sembrano i giochi dimenticati da un gigante. La luce ancora bassa è perfetta per scattare alcune foto e per osservarne le forme. Riconsidero l’idea dei giochi proiettandomi invece sull’immagine del giardino zen. Queste pietre composte in forme armoniose rimandano ad una idea di equilibrio e di progetto. Dopo un bel tè concentrato che finalmente mi fa rinsavire, partiamo immergendoci nel bel paesaggio di dune ocra in parte coperte di pietre scure, che sembrano essere la caratteristica dominante del paesaggio dell’Adrar…una costante nella variabilità delle immagini che ci si propongono. Quello di oggi è il territorio più sabbioso finora attraversato….ed ecco che arriva la sorpresa di una bella ed altissima duna di sabbia immacolata. Avevo così voglia di questo che, appena uscita dall’auto, inizio a fotografare e poi corro sulla sabbia cedevole verso la cresta sinuosa di questo mostro color ocra….la superficie leggermente increspata dalle ondine lasciate dal vento. Dalla cima io e Gay, l’unico ad aver condiviso il mio entusiasmo, godiamo di una magnifica vista sulla distesa enorme sotto di noi, e sul cordone di dune che si susseguono sui due lati in un profilo sinuoso. Vanni scatta qualche fotografia dal basso mentre noi saliamo divertiti…è bello giocare con le dune! Dopo una pausa che a me è sembrata troppo breve, proseguiamo diretti a Tin Finagh dove potremo ammirare altri graffiti. Sembra spuntato dal nulla il signore vestito in abito tradizionale blu e turbante nero che fa cenno a Gaye di fermarsi. Non si vedono da tempo e così inizia la lunga sequenza dei saluti in lingua tamachek, dove parole sempre uguali si ripetono secondo il misterioso cerimoniale tuareg. Cortesemente stringe la mano anche a me e Vanni, poi invita tutti noi nella sua tenda per il tè…..lusingati dalla gentilezza e dal senso di ospitalità di questi tuareg dell’Adrar, accettiamo volentieri. Ci fermeremo quando saremo di ritorno dalla visita ai graffiti. Ripensando allo scorso marzo, quando a poco più di 100 km da qui Lamanà mi aveva avvertita di non porgere mai la mano agli uomini in segno di saluto perché lo avrebbero trovato sconveniente….appare chiaro l’ atteggiamento di disponibilità da parte di questi tuareg nei confronti di una cultura diversa dalla loro. Ci congediamo e raggiungiamo l’agglomerato di rocce sulle quali osserviamo i graffiti che riproducono immagini stilizzate di animali e le scritte del tutto analoghe a quelle già viste, quindi ci fermiamo per il pranzo all’ombra di una enorme acacia cresciuta nei pressi….questo viaggio è proprio all’insegna del relax! Mentre Gorghi accende il fuoco e predispone piatti, scatolette e l’immancabile pentola a pressione per il pranzo, noi ci dedichiamo alla visita dei graffiti, quindi alla nostra insalata di verdure che abbiamo iniziato ad apprezzare. Di ritorno ci fermiamo come promesso alla tenda di Ahmaied per gustare l’ottimo tè all’aroma di cumino….l’ingrediente che i nomadi aggiungono al tè, in mancanza di menta fresca. Alcune coperte di lana disegnate a fiori dai colori sgargianti sono fissate ai bastoni verticali conficcati nella sabbia. Chiudono l’ingresso della caratteristica tenda di tessuto nero. Su un lato è appoggiata a terra la sella di legno decorata in cuoio ed i paramenti….ma del dromedario non c’è traccia….Seduti sulla stuoia stesa all’ombra debole di un’acacia, osserviamo la gestualità sciolta dell’uomo intento a preparare. Ahmaied è un bell’uomo alto e snello…. gli occhi estremamente espressivi, sembra uscito da una vecchia pellicola di Hollywood….come dice Vanni. La moglie decisamente sovrappeso ci raggiunge porgendoci due cuscini e poi si siede leggermente in disparte. Ha un sorriso sgargiante e gli occhi meravigliosi che spiccano sulla pelle resa più scura dal velo tinto senza fissanti. Godiamo dei suoi bei sorrisi smaglianti, forse in segno di cortesia o per la gioia di partecipare ad un evento che rompe la monotonia delle sue giornate nel deserto. Una bambina si avvicina…..è vestita di una tunica nera semplicissima ed anche la sua pelle, come quella della madre ha un riflesso nero innaturale. I suoi capelli impolverati e irti la fanno sembrare una giovane streghetta….ci osserva con occhi impauriti….non deve aver avuto altre occasioni di vedere persone slavate come noi. La coppia conversa amabilmente con Gaye e Gorghi in lingua tamachek….a noi rimane la curiosità di sapere cosa dicono…se non altro per capire se siamo noi due bianchi il soggetto delle loro risatine. Ciò che stupisce qui nell’Adrar è che nessuno ci chiede nulla…..né denaro né indumenti o medicine, e nemmeno si propongono di venderci qualcosa…..forse perché passano direttamente al furto? Ci congediamo dal gruppo familiare per proseguire lungo la pista per Adiel Hoc. Pochi chilometri dopo vediamo un paio di fuori strada fermi vicino all’unico albero presente in zona. Rallentiamo e ci fermiamo. Dopo un minuto Gaye ci invita a scendere ed a raggiungere i tuareg che vediamo raggruppati sotto l’albero. Un ragazzo ci saluta cordialmente e poi ci presenta a due signori sui cinquant’anni. Uno di loro, ci dice mentre traduce dal tamachek al francese, è il boss che ha il controllo del territorio. Un incontro al vertice proprio non ce lo aspettavamo! Eccoci nel bel mezzo della cellula dei ribelli in lotta contro lo stato dal 2006. Hanno voluto incontrarci, unici turisti nell’Adrar, per rassicurarci e garantirci le loro buone intenzioni e la loro protezione durante i nostri spostamenti. Calati nell’ inatteso ruolo di ambasciatori di pace, ascoltiamo ciò che il boss desidera comunicare ai viaggiatori stranieri ed in generale a chiunque abbia delle curiosità nei confronti di quanto succede nell’Adrar. Mentre il signore in boubou azzurro, turbante ed occhiali da sole parla, il ragazzo traduce parola dopo parola il suo comunicato che recita più o meno così…..i ribelli non hanno nulla contro turisti, anzi, lui stesso si fa carico di proteggere chi decidesse di venire in viaggio qui, da eventuali episodi di banditismo. Le ostilità dei tuareg sono rivolte allo stato ed ai militari che ne rappresentano la forza armata, non ai civili né tanto meno ai visitatori che rappresentano invece per loro una fonte di guadagno del tutto gradita…..ma alla richiesta di Vanni di poter entrare nell’Adrar con la nostra Gazelle non viene data risposta. Intanto mentre io ascolto lui va a curiosare nelle auto in sosta….a bordo delle quali i kalasnikov non mancano e nemmeno la mitraglietta installata nel pick up. Ripartiamo. Il paesaggio si fa sempre più pianeggiante e le montagne scompaiono definitivamente. Nell’ampia spianata a perdita d’occhio, solo qualche acacia si alza dall’orizzonte piatto. Ci fermiamo ancora un paio di volte lungo la pista che porta ad Adiel Hoc…..sempre per salutare la miriade di conoscenti di Gorghi e Gaye. Queste sistematiche visite parenti finiscono con l’esaurire noi due che abbiamo sempre accuratamente evitato di fare cose del genere in patria….figuriamoci qui nel deserto! Arriviamo stremati al villaggio che trovo pittoresco per via delle case sorte in ordine sparso sul suolo sabbioso a creare piccole piazzette e strade tortuose. Ci sottoponiamo ai controlli militari in entrata e vediamo numerosi uomini armati a presidiare le strade del villaggio. Hanno tutti la pelle molto scura….nessun tuareg appartiene, per forza di cose, all’esercito. Per sgranchire un pò le gambe, accompagno Vanni a comprare le sigarette in un minuscolo emporio senza luce, ed il cui negoziante usa una torcia per illuminare le scaffalature e la cassa. Intravediamo dei vestiti appesi in alto, a terra sacchi di farina, bottiglie d’acqua e molta polvere, nelle scaffalature biscotti, saponi e di tutto un pò. Raggiungiamo di nuovo l’auto dove un ragazzino sta versando nel serbatoio tre piccole taniche di gasolio con l’aiuto di un grande imbuto munito di uno straccio che funge da filtro…..siamo di fronte al portone di ingresso della casa disabitata della famiglia di Gaye ed ecco che arriva la fregatura. Quando ieri mattina eravamo entrati nella scuola di Marat mi era venuta l’idea di fare una piccola donazione per l’acquisto di materiale scolastico da distribuire a quei bambini sorridenti ed impolverati. Parlandone con Gaye mi aveva risposto che non era il caso di dare nulla agli insegnanti perché la scuola è gestita dalla cooperativa dei genitori che strada facendo avremmo senz’altro incontrato. Ecco che ora, lontani da quel villaggio, Gaye mi chiede di lasciare quei 50 € al suo parente Granpère che non ha certo l’aria del benefattore. Il raggiro è chiaro, ma non ho la forza di sottrarmici e consegno a quell’uomo alto e magro il mio obolo….. Poi mi incazzo, prima di tutto con me stessa, poi con gli africani in generale, per i quali la regola è arraffare il denaro a scapito dei bambini ai quali quel denaro è destinato. Il povero che ruba al povero sembra essere il paradigma della moralità africana. Che schifo! Ci spostiamo dal villaggio alla ricerca di un posto adatto al bivacco….ma alla fine scopriamo che siamo a poche decine di metri dall’accampamento di un parente di Gaye che puntualmente arriva a condividere la cena e le chiacchiere, questa volta per fortuna in lingua francese, alle quali anch’io posso partecipare. Si propone di accompagnarci domani alle dune di sabbia e di riaccompagnarci qui in serata….dopo una rapida occhiata d’intesa a Vanni la decisione è presa…domani torneremo a Gao. Siamo un pò a disagio per via della totale mancanza di privacy di questi ultimi giorni….nei quali anche lavarsi o cambiarsi diventava un problema. Abbiamo deciso che questa sarà la nostra ultima notte nella quale dormiremo vestiti dentro i nostri sacchi a pelo, uno accanto all’altro sotto l’acacia di turno. Dopo la cena i ragazzi ci lasciano soli per andare al villaggio a salutare gli amici….per loro è normale trovarsi soli in mezzo al nulla, ma non per noi che ci sentiamo troppo vulnerabili qui soli in mezzo alla brousse, sotto la luce fioca della luna semi nascosta dalle nuvole. Mentre cerchiamo di prendere sonno, i passi di due dromedari che passano vicinissimi a noi, ci fanno quasi sobbalzare, così come la capretta che avvicina il suo muso vicino al mio naso poco dopo l’alba.

14 Dicembre 2008

ADIEL HOC – GAO

Il cielo nuvoloso di oggi protegge la nostra colazione dai raggi caldi del sole. Quando ci svegliamo sono tutti già raccolti attorno al fuoco a cuocere la carne di montone…Gorghi, Gaye ed il suo parente. Mentre Vanni spalma i formaggini dei quali ora va ghiotto, su una fetta di pane fresco, io bevo il mio Lipton sollevata all’idea che tra non molto mi verrà offerto un bicchierino dell’ottimo tè trois verre. Dopo qualche sorso comunico ai presenti la nostra decisione di rientrare a Gao oggi stesso, anticipando così di un giorno l’ appuntamento con la nostra desideratissima doccia. Più che stupore i loro visi esprimono disappunto….probabilmente temono di rimetterci un giorno di lavoro remunerato, o forse si chiedono cosa hanno sbagliato nel corso del viaggio che possa aver stimolato questa nostra strana decisione. Non rispondono, ma affrettano le operazioni di stivaggio dei bagagli ed alle 8.30 siamo pronti per partire. Nel corso del viaggio fanno discorsi vaghi circa la possibilità di rientrare in giornata, dicono che probabilmente dovremo fermarci per l’ultimo bivacco ad un centinaio di chilometri dalla città. Gaye intanto fa diversi tentativi con il suo telefono Thuraya…..probabilmente cerca di parlare con Badi per sapere come deve comportarsi di fronte alla nostra richiesta….insomma non vuole sbilanciarsi prendendo iniziative prima di aver consultato il capo. Il paesaggio che scorre dietro i finestrini è l’immenso piatto deserto che alterna sabbia a piccoli sassi. Per uno strano effetto ottico, le acacie lontane sembrano carovane infinite di dromedari che si spostano sulla linea dell’orizzonte. Attorno a noi il miraggio dell’acqua ci fa vivere l’illusione di spostarci su un’isola galleggiante che avanza col nostro procedere circondata da un mare piatto e chiaro. Poco oltre, un cordone di dune rappresenta il nostro regalo di oggi. Le raggiungiamo e saliamo fino a raggiungere a piedi la linea sinuosa che ne marca i due fronti. Dall’alto, la spianata di sabbia che si perde all’infinito, ci appare in tutte le sfumature cromatiche degli ocra, mentre le nuvole creano macchie scure sulla superficie assolutamente piatta. Com’è bella la sabbia…..e che senso di grande libertà scaturisce dall’osservazione di un paesaggio senza limiti come questo! ….dove l’occhio si perde senza trovare ostacoli e la mente si solleva in un moto di gioia. Il senso di libertà che esplode nelle nostre anime ogni volta che nel corso dei viaggi ci troviamo di fronte all’infinito, ci rende immensamente felici. A mezzogiorno in punto, con la puntualità di un inglese, Gaye abbandona la pista in cerca di un luogo adatto per la sosta del pranzo. Le caratteristiche imprescindibili del luogo sono la presenza di ombra e di legna secca da ardere. Gorghi ripete meccanicamente le operazioni che anche noi conosciamo a memoria, poi inizia ad impastare la farina per un pain de sable fuori programma, che noi leggiamo come una banale strategia volta a farci perdere tempo prezioso sulla via del ritorno….una stupida cospirazione ai nostri danni. Dopo aver sostato due ore sotto l’ombra debole dell’acacia riprendiamo la corsa verso Gao che raggiungiamo alle 17, dopo sette ore e mezzo di viaggio da Adiel Hoc. Il personale dell’hotel Tizi Mizi ci accoglie con un caloroso bentornato. Issouf e Karim si mettono a nostra disposizione e ci mostrano una camera, scassata come la precedente, ma che ora ci appare come una reggia. Gazelle fa il suo ingresso nel grande cortile dell’hotel poco dopo….Vanni la conduce con un’aria di trionfo dipinta sul viso…..Gaye e Gorghi, che non l’avevano mai vista, abbozzano un sorriso di approvazione. Gazelle è davvero in forma e gioca a suo favore il fatto che da giorni ormai non vediamo un’auto che non sia impolveratissima! Trasferiamo i pochi bagagli in camera e ci tuffiamo sotto la doccia che, per il piacere che ne traiamo, sembra la prima della nostra vita. Le stelle ci mancano, così come i grandi spazi liberi.
( Gaye Oumar, Aguel hoc, Kidal. tel 0022373337889. sat. 008821621242014. Email gayeoumar2006@yahoo.fr)
Ricetta del Tè trois verre per tre persone:
il tè verde non viene sostituito, si aggiungono solo acqua e zucchero, nelle seguenti quantità, per avere i due bicchierini di tè successivi.

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15 Dicembre 2008

GAO

Vanni si sveglia recitando una frase che gli ronza in testa ….. – cento paia di scarpe per camminare nei sentieri della vita, altre cento per inoltrarmi nei percorsi dei sogni – Ho sposato un poeta! Siamo senza programmi oggi….quindi ci prendiamo un giorno di vacanza nel quale abbozziamo un programma di sviluppo del nostro viaggio, valutando dove ci conviene andare uscendo dal Mali del quale conosciamo anche gli angoli più remoti. Solo verso le 16, quando la temperatura si è abbassata abbastanza da consentirci di uscire dall’ombra della tettoia, a bordo di Gazelle raggiungiamo il lungo fiume dove ancora il mercato è in fermento. Sotto le tettoie di bastoni e stuoie si svolge il commercio di Gao….pittoresco, colorato, impolverato e sporco, ma forse anche per questo affascinante. Ceniamo al Tizi Mizi in compagnia dei nostri due ospiti Gaye e Gorghi che stranamente si destreggiano piuttosto bene con le posate. La conversazione talvolta langue un pò, ma non è semplice gestire una intera serata in lingua francese e con pochi argomenti in comune. Dopo lo scambio dei nostri indirizzi raggiungiamo il nostro talamo…dopo sei notti di sacchi a pelo, la nostra intimità ritrovata è decisamente stimolante.

16 Dicembre 2008

GAO – FRONTIERA NIGER – GAO

I saluti a Regine e Miguel, i due gestori dell’Hotel, sono calorosi. E’ stato piacevole conversare con loro nei giorni di permanenza al Tizi Mizi e la loro accoglienza è sempre stata squisita. Lascio a Regine un paio di campioncini di crema Praerie che accetta felice…..dice che qui a Gao non è nemmeno pensabile di trovare prodotti del genere, e nel suo francese perfetto… – questo è un cadeau royale! – Partiamo diretti alla frontiera con il Niger….sono le 8.30 del mattino, avremo tutto il tempo di raggiungere Labbezanga che dista 200 km da qui. Il paesaggio si presenta da subito estremamente piacevole. La strada si snoda tra le dune di sabbia rosata, parallela all’ampio fiume Niger che vediamo pieno di isolette verdeggianti, come se in alcuni tratti si trattasse di una bella palude piuttosto che di un grande fiume. Alcuni rettangoli di erba verdissima potrebbero essere risaie. Le sfumature del verde in primo piano ci incantano, mentre sullo sfondo, al di là del fiume, le dune di sabbia rosa del Burkina Faso fanno da contrappunto in un bel contrasto cromatico. La strada recentemente asfaltata è perfetta ed attraversa i villaggi di pescatori sorti lungo il fiume. Le abitazioni sembrano grandi scatole di terra cruda color crema …. i loro volumi essenziali sono complicati da elementi architettonici nuovi, come le scale a profferlo che salgono accostate alla parete esterna fino al tetto piano, i forni ad ogiva, piccole tettoie addossate e pareti traforate in disegni geometrici. Le tante giare di argilla sparse nei cortili devono contenere i prodotti per la lavorazione e la conservazione del pesce, alimento base nei villaggi lungo il fiume, nonché merce di scambio quando venduto ai mercati, fresco o essiccato. I villaggi sono affollati di bambini vivaci e donne sempre indaffarate nei pressi delle loro case, o in groppa ai muli carichi di taniche di acqua potabile. L’approvvigionamento dell’acqua implica spesso di dover percorrere diversi chilometri per raggiungere il pozzo più vicino, soprattutto nelle aree semidesertiche del sahel….Come uscite da una favola le signore in abiti colorati cavalcano con fierezza i loro muli, in carovana lungo i sentieri di terra battuta, una di seguito all’altra. Una nuvola di bambini a piedi le accompagnano approfittando dell’occasione per fare un pò di confusione. Alcune si girano curiose vedendoci passare ed alzano una mano per salutarci. I pochi uomini che vediamo sono sempre seduti a chiacchierare raccolti in piccoli gruppi all’ombra di un albero o di una tettoia…..del tutto inoperosi. Lingue d’acqua entrano nei villaggi a formare piccole darsene dove alcune piroghe galleggiano sull’acqua limacciosa, allineate lungo la riva. E’ bellissimo questo tratto di Mali! Procediamo verso Est rallentando ad ogni dissuasore, così come al passaggio dei buoi, solitari o in gruppi, che attraversano la carreggiata al ritmo di un treno merci. Arriviamo alla frontiera con il Niger nell’ora più calda, verso mezzogiorno. Un pullman di locali è fermo nel piazzale….alcuni dei passeggeri sono ammassati davanti allo sportello dell’immigrazione in attesa di un timbro, altri pregano Allahà genuflessi su stuoie di fortuna. L’ufficiale di polizia che ci viene incontro appena scendiamo da Gazelle, ci accoglie con un bel sorriso e ci chiede se siamo a posto con i visti, perché qui in frontiera non è possibile farli. Che disastro….fidandoci di quanto ci aveva detto la guida di Mopti, eravamo partiti a cuor sereno, certi che saremmo riusciti a passare….e invece ora dovremo tornare a Gao! Imbestialiti per il contrattempo, torniamo sui nostri passi, ed iniziamo ad elaborare un’alternativa che ci risparmi dal considerare tempo perduto i chilometri percorsi oggi…..non ci è mai piaciuto dover percorrere due volte la stessa strada! Si fa strada l’ipotesi di entrare in Burkina Faso, per il quale abbiamo il visto, attraverso la pista che parte verso la frontiera a pochi chilometri da qui…..ma sarebbe come tuffarsi nel vuoto dato che sulla carta stradale, la pista scompare ad un certo punto sostituita da una linea nera su fondo giallo che significa sabbia, solo sabbia! Dopo qualche ripensamento decidiamo di tornare a Gao per poi scendere ancora verso Mopti ed entrare in Burkina attraverso una strada sicura. Sono tutti allibiti quando ci vedono rientrare al Tizi Mizi….anche Regine che ha il profumo della crema Praerie. Ci assicura che all’ufficio di polizia di Gao potremo prendere il visto senza problemi andando domani mattina di buon’ora….lei lo ha fatto diverse volte….peccato non essere andati sull’argomento ieri sera. Occupiamo ancora la camera 22 che ormai consideriamo nostra….in fondo è stato bello tornare a festeggiare il nostro primo anniversario di matrimonio, nell’ambiente familiare ed avvolgente di questo scassato hotel.

17 Dicembre 2008

GAO – MOPTI

Karim, il giovane garzone dell’hotel, ci accompagna al centro di polizia, dove gli impiegati sono già al lavoro prima delle 8. L’ufficio nel quale entriamo, rischiarato dalla luce fioca di un tubo al neon, è pieno di scartoffie impilate a terra e sulla scrivania. Mi accomodo sulla panca metallica di fronte all’impiegato indaffarato a maneggiare passaporti e certificati, poi Karim spiega il motivo della nostra visita…..l’ottenimento del visto del Niger. L’impiegato risponde che servono due foto e la compilazione del modulo che mi porge e che gli restituisco dopo pochi minuti. Controlla e poi timbra i passaporti che sfoglio per controllare…..del visto non c’è traccia. Gli chiedo di mostrarmelo e lui aprendo la pagina del visto del Burkina mi indica il timbro di uscita dal Mali che ha appena impresso sulla paginetta……il secondo in due giorni! Quando ribadisco che ciò che desideriamo avere è il visto, risponde che solo l’ambasciata di Bamako può rilasciarlo…. Non aveva capito! Gli chiedo di restituirmi almeno le foto che ci serviranno per richiedere altri visti nel corso del nostro lungo viaggio verso il Camerun, ma ormai sono state fagocitate dalla burocrazia maliana. Non rimane che raggiungere al più presto il Burkina, scegliendo per questo la strada più comoda. Rimane da verificare la condizione della strada che da Sevarè arriva a Bandiagara e poi al confine….se asfaltata opteremo per quella ed arriveremo nei pressi di Gorom Gorom nel Nord del Burkina, altrimenti attraverseremo più ad Ovest raggiungendo Bobo Diolasso, il più grande centro urbano del Sud. La strada per Mopti, già percorsa diverse volte, oggi ha un sapore diverso per via della foschia densa che inghiotte il paesaggio rendendolo quasi invisibile. Si tratta della polvere portata dall’Harmattan, il vento stagionale che soffia dal deserto, portando con sé il freddo e la foschia, la sua inconfondibile firma. L’incantevole paesaggio di Hombori, oggi lo spettro di se stesso, rivive ormai solo nei nostri ricordi, mentre sfrecciamo sulla striscia nera dell’asfalto…. annoiati ed un pò giù di corda, stentiamo a ritrovare lo spirito che sempre accompagna i nostri viaggi. Arriviamo al “Y a pas de problème”, la nostra seconda casa in Mali dopo il Tizi Mizi, nel pomeriggio. Il consièrge, riconoscendoci, ci solleva dal compilare il modulo di ingresso e ci allunga la chiave della n°20 al piano terra, ampia e confortevole. Una coca cola ghiacciata consumata nella bella terrazza ombreggiata ed arriva Sidi, la guida che ci aveva dato la falsa informazione riguardo al visto. Gli riservo un’accoglienza glaciale e poi sbotto in un lecito rimprovero che incassa con stile….in fondo cosa vuoi che gliene importi? All’improvviso il cielo nuvoloso lascia cadere una breve pioggia che tutti accolgono con entusiasmo…..è grande l’energia che uno scroscio fuori stagione suscita tra gli abitanti di queste zone! Il lungo fiume alberato ha il grande fascino di sempre e, nonostante la foschia, le pinasse dalle prue colorate fanno sempre la loro bella figura…. qualcuno lava l’auto sulla riva….sono dei precisini questi maliani…. Ceniamo come sempre nella terrazza dell’hotel, dalla quale non ci accorgiamo nemmeno del tramonto nascosto sotto le nuvole. Capitaine fritto e gli immancabili fagiolini lessati, una prelibatezza qui. Concludiamo con una gustosa crèpe al cioccolato.

Leggi la sesta tappa, Mali!

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18 Dicembre 2008

MOPTI – BOBO DIOULASSO

Alle 8, dopo una bella colazione a base di succo di mango, partiamo diretti a San, la cittadina a 200 km ad Ovest di Mopti dalla quale devieremo verso la frontiera del Burkina. Ancora un breve scroscio di pioggia, poi leggere schiarite accompagnano i primi chilometri del lungo viaggio di oggi…così come l’eccitazione legata all’idea che tra poche ore lasceremo il Mali…per quanto molto amato. La nostra inestinguibile sete di novità, la scoperta di luoghi mai visti ai bordi di strade mai percorse ci esalta ed il Burkina, per noi terra ancora vergine, ci fa già sognare. La brousse è sempre incantevole, così come i villaggi e le piccole moschee di banco che sembra debbano liquefarsi al prossimo acquazzone. Donne, bambini, animali, taxi brousse, camion ed automobili…la vita freme nel paese tutto sommato ricco che stiamo lasciando. Quello che invece raggiungeremo tra un centinaio di chilometri è il 3° più povero del mondo. Al bivio proseguiamo ancora per una cinquantina di chilometri senza problemi, poi l’asfalto, nel tratto tra Kimparana e Yorosso si fa pieno di buchi fino a scomparire del tutto…. e di conseguenza la nostra velocità media scende a 25 km/h. Le due frontiere sono dislocate in edifici in muratura lontani l’uno dall’altro…al primo posto di blocco esibiamo il Carnet de passage, poi dopo un paio di chilometri, il libretto e la patente, poi dopo un chilometro ancora, finalmente mostriamo i passaporti….stessa procedura, ma in ordine inverso, per entrare in Burkina dove però ad ogni sosta siamo assaliti dai venditori ambulanti di latte fresco e cestini di paglia…che fatica! All’aumentare della povertà aumentano le rappresaglie da parte dei locali per avere denaro, non necessariamente in cambio di qualcosa per noi del tutto inacquistabile. Avanzando verso Bobo il paesaggio si trasforma riempiendosi di una vegetazione rigogliosa tra la quale riconosciamo solo i manghi enormi ed i banani….la botanica non è il nostro forte….e tutte le altre grandi chiome verdi rimangono per noi un mistero! Siamo entrati nella fascia climatica sub tropicale africana e questo angolo del Burkina sembra esserne il manifesto. Nelle radure ai lati della strada vediamo montagnole bianco latte che sembrano enormi ricotte rovesciate….sono mucchi di cotone appena raccolto, una delle attività più remunerative dell’area. Entriamo in città, dopo aver percorso un centinaio di chilometri dal confine, attraverso la strada che da Nord raggiunge il centro dell’agglomerato. Qui si trova l’hotel “Auberge” che abbiamo scelto perché considerato il migliore dalla nostra guida e con il vantaggio di avere un ristorante di qualità al suo interno. Una grande voliera con pappagalli grigi, forse per il tedio di essere ingabbiati, segna l’ingresso dell’edificio a tre piani segnato in facciata da nicchie ad arco in corrispondenza dei terrazzi. A Vanni ricorda il Taj Mahal di Mumbay ma, lontano dal raggiungerne il fascino, sembra comunque una buona sistemazione considerando anche il costo contenuto di 31.000 Cfa. La camera è pulita, il bagno grande e l’arredamento di legno datato anni ’70. Il terrazzo affaccia sulla corte interna dov’è la piscina ed un paio di palme. Aria condizionata, tv e zanzariera a coprire il letto….necessaria visto il numero di zanzare che ci hanno attaccato fameliche durante la cena consumata in un tavolo accanto alla piscina. Finalmente un dessert ci viene proposto a fine pasto…..che meraviglia le banane flambé!

19 Dicembre 2008

BOBO DIOULASSO

Bobo Dioulasso, dove la sirena chiama i fedeli alla preghiera! Partiamo per un tour della città con Mohamed che puntuale arriva al nostro tavolo alle 10.30. Il primo obiettivo è la Grande Moschea, bellissima ed in stile sudanese. Fu costruita nel 1880 dall’intera popolazione della cittadina, allora grande quanto un villaggio. Alla realizzazione di questo capolavoro, ora patrimonio dell’umanità, parteciparono proprio tutti, animisti, griot e musulmani, in assoluta armonia. Nella volumetria bassa spiccano i due minareti rastremati verso l’alto e trafitti dai caratteristici bastoni di legno. Sulla loro sommità un uovo di struzzo è posto a simboleggiare il colore bianco dell’islam, ma svolge anche la funzione di parafulmini…..tutto fa brodo. Il resto dell’edificio, quello che accoglie i fedeli, non è molto alto, ma è caratterizzato all’esterno da possenti lesene addossate al muro perimetrale che hanno la funzione di contrafforti. Terminano in alto con la classica forma ad ogiva che suggerisce il dilavamento dell’acqua, ma sono protetti con coperture di argilla che impediscono alla pioggia di sciogliere il muro sottostante. La moschea è bellissima e già affollata per la preghiera del venerdì, non ci rimane che osservarla dall’esterno assaporandola nelle diverse prospettive, poi ci dirigiamo nella vicina città antica. Dislocati nei diversi quartieri, animisti e musulmani vi convivono allegramente, sostenendosi reciprocamente in caso di necessità in un rapporto di estrema tolleranza nonché di buon vicinato. Entriamo nel quartiere animista attraverso uno stretto varco. Distanti poco più di un metro, le pareti di fango delle case scatolari sui due fronti delimitano il vicolo angusto ed assolato. Alcune case sono crollate, distrutte dalla pioggia estiva, altre sono in fase di restauro, altre ancora sembrano disabitate. Trattandosi del quartiere vecchio di un paese poverissimo il decoro non è certo la priorità dei suoi abitanti, e le fognature sono un lusso, quindi ruscelli di liquidi scuri e maleodoranti scorrono al centro degli stretti vicoli, assieme alla spazzatura che ne viene sospinta. Mohamed ci conduce poi in un luogo speciale…..una stanzetta con due porte prospicienti ed una panca in muratura che corre lungo il perimetro interno. Un sedile più piccolo, costruito di fianco ad una delle porte, rappresenta il luogo dove siede il capo del consiglio. Lì accanto è costruito un feticcio, ovvero una montagnola di argilla addossata all’angolo tra le due pareti, e ricoperta delle piume delle galline sacrificate. Il foro praticato in basso rappresenta una specie di bocca della verità, il cui funzionamento ci viene spiegato. Se un ladro si rifiuta di riconoscere la propria colpa di fronte al consiglio, gli viene imposto di introdurre la sua mano nel foro. Nel caso sia effettivamente innocente non gli succederà nulla, ma in caso contrario la malasorte colpirà lui e la sua famiglia….è prevista anche la morte! Mohamed, pur essendo musulmano, sostiene che funziona davvero! Addossata alla parete esterna di questa sorta di tribunale, un ammasso di argilla terminante a punta, rappresenta il feticcio che protegge l’intera comunità. Anche in questo caso le piume di gallina sono conficcate nell’argilla e chiazze bianche di caolino spruzzato sul feticcio, tengono lontani gli spiriti cattivi. Ci racconta che quando una gallina viene sacrificata, il suo sangue viene sparso sul feticcio, e con esso le piume che così vi si impastano. Il quartiere animista ha anche un’area dedicata alla produzione della birra di miglio. E’ una sorta di cucina economica di argilla annerita dal fumo, nel quale sono inserite giare di terracotta che contengono un liquido in ebollizione. Sotto la base di argilla il fuoco viene alimentato continuamente dalle signore che lavorano qui, per tre giorni, dopodiché la birra è pronta. Sotto il sole cocente ci spostiamo nell’adiacente quartiere musulmano, diviso dagli altri quartieri da una fascia di rispetto di qualche metro. La casa più antica della città è qui davanti a noi, bella nella sua volumetria morbida tipica dello stile sudanese, ma inaccessibile per una visita. Il quartiere Griot che raggiungiamo poco dopo, non è molto diverso da quelli finora visti, se non per l’assenza totale di persone lungo i suoi vicoli. Pare che i signori griot, oltre ad essere pregevoli cantastorie nonché i portavoce di messaggi a lunga e breve distanza, insomma la versione antiquata dei nostri telefoni, siano anche estremamente gelosi delle loro donne e che per questo l’ingresso al quartiere fosse vietato persino al capo del villaggio. Le signore del resto sono famose per la loro bellezza e per le acconciature elaborate delle quali vanno fiere…..c’è una spiegazione per tutto! Entriamo nel quartiere dei fabbri e ne usciamo poco dopo aver fatto una visita al laboratorio a cielo aperto dove due anziani al lavoro stanno ritagliando una vecchia lamiera per farne delle statuette souvenir. Anche qui in Burkina i fabbri, ovvero i forgeron, sono tenuti in grande considerazione per via del loro ruolo di guaritori attraverso l’uso delle piante. La visita alla città antica termina con il sopralluogo ad un laboratorio artigianale dove un gruppo di giovani si occupa della lavorazione del bronzo con il metodo della cera persa. Rientriamo in hotel camminando sotto il sole cocente dell’una, il rischio di prenderci una insolazione è altissimo! Doccia, siesta ed una bella chiacchierata con Pierangelo Destefanis (pierdeste@yahoo.it – tel. 78413820 ), un signore di Cuneo che lavora da tempo su progetti di ONG in Africa, che in vena di chiacchiere mi impedisce di scrivere il mio diario in tranquillità. Di nuovo in compagnia della nostra piacevole guida, raggiungiamo l’interessante Museo della musica, piccolo ma ben fornito di strumenti musicali tipici dell’Africa occidentale. Alcuni sono davvero originali, tutti realizzati con fibre naturali, legno o calebasse e pelle animale. I loro suoni accompagnano i riti tribali o il lavoro delle donne, nel tentativo di renderlo più piacevole e dare un ritmo ai movimenti ripetuti per esempio quelli legati alla preparazione del burro di karitè o della farina di miglio. Altri ancora servono ad annunciare una guerra o un pericolo. Ce n’è uno che simula il ruggito del leone…..e che viene usato dalle madri stanche di sentir piangere i loro figli. Gli animisti usano due campanacci per entrare in contatto con gli spiriti dell’aldilà ed in seguito per curare i malati…..un bel filmato ce ne mostra l’utilizzo. Torniamo alla moschea per visitarne gli interni, a quest’ora privi di fedeli. L’impianto è lo stesso di Gao, grossi pilastri sostengono la copertura e definiscono i corridoi nei quali i fedeli si inginocchiano a pregare. Saliamo al tetto attraverso una stretta scala in muratura e dall’enorme terrazza godiamo della vista ravvicinata dei due minareti trafitti dai bastoni che si delineano slanciati verso il cielo. Una serie di bassi muretti stondati in alto scandiscono la superficie piatta del tetto e servono a convogliare l’acqua piovana verso all’esterno. Ciò che di curioso colpisce la nostra attenzione sono i coperchi di argilla lavorata che chiudono le prese d’aria della moschea……basta sollevare per aprire. Quando usciamo è quasi l’ora della preghiera, una breve conversazione con il custode della moschea per l’acquisto di una tavoletta coranica di legno, poi Vanni e Mohamed entrano a pregare mentre io aspetto in auto, assaltata dai bambini che cercano in ogni modo di danneggiare Gazelle. Da tempo Vanni aveva la curiosità di entrare in una moschea in preghiera…..ed ora finalmente ce l’ha fatta! Per rimanere in tema scegliamo per la cena un ristorante davvero particolare…. è gestito da suore che alle 21.30 in punto sospendono ogni attività e, ferme tra i tavoli, iniziano a cantare l’Ave Maria. Si chiama “Eau Vive” ed e’ in Rue de la Fosse, a due passi dell’hotel…ne valeva la pena non solo per la bizzarria dell’interruzione canora, ma per la qualità del cibo davvero squisito e del vino, uno Chablis strepitoso. Torneremo alla loro sede di Roma dove andai più di 20 anni fa……

20 Dicembre 2008

BOBO – BANFORA – BOBO

Partiamo prima delle 8 per evitare le ore più calde nella nostra escursione di oggi a circa 80 km da Bobo. Si tratta del famoso Domes de Fabedougou, uno dei fenomeni naturali più interessanti del Burkina. Si tratta di rocce immerse tra i campi di canna da zucchero, erose in modo bizzarro. Siamo a pochi chilometri da Banfora. Le rocce stratificate ed erose dall’acqua e dal vento, hanno assunto la forma di guglie che ne ha condizionato la scelta del nome….Duomo. Saliamo in cima ad un roccione per ammirare il paesaggio davvero suggestivo attorno a noi….e la Costa d’Avorio a qualche chilometro da qui, oltre la striscia verde dei campi di canna da zucchero. Raggiungiamo le vicine cascate percorrendo un viale di antichi e giganteschi manghi in fiore. Ci arrampichiamo sul ripido sentiero per avvicinarci alle cascate d’acqua, non certo imponenti, ma piacevoli perché articolate in più salti e laghetti. Sono le 11.30 ed il calore già insopportabile, quindi decidiamo di rientrare dopo un breve passaggio nella polverosa cittadina di Banfora, e l’acquisto in un mercatino lungo la strada, delle gustose noix de caju, gli ottimi anacardi. Le signore, colorate, sorridenti e dalle bizzarre acconciature, espongono i loro prodotti dentro a bacinelle di latta….ne approfitta anche Mohamed acquistando un pò di Ignam che qui in campagna costa decisamente meno! Ceniamo ancora all’Eau Vive….la voglia di Camambert persiste.

21 Dicembre 2008

BOBO – GAOUA

All’alba il cerchio arancione spunta dal tetto di fronte, oltre la piscina….è sempre una bella emozione vederlo, forse perché i nostri ritmi ci impediscono di vederlo dalle finestre di casa nostra? Oggi, dopo la parentesi romantica della levée du soleil trovo di nuovo conforto nel sonno tra le braccia di Vanni. Salutiamo cordialmente Mohamed che ci da un paio di indicazioni sulla strada da prendere, e lasciamo la città già in fermento e ancora polverosa. Percorriamo la strada nazionale N1 verso la capitale fino a Pa, poi deviamo sulla N12 diretti a Gaoua attraversando una miriade di villaggi di terra cruda dai caratteristici fienili, analoghi a quelli a fungo visti nei paesi Dogon in Mali, ma che presentano a volte piccole variazioni, per esempio la pianta quadrata o la copertura fatta con una stuoia sagomata a cono. Ancora montagnole di cotone bianchissimo appena raccolto, e molti incendi tra le sterpaglie della brousse. Bambini e donne ai bordi della strada camminano tenendo in equilibrio sulle loro teste bacinelle di alluminio contenenti qualcosa di indecifrabile raccolto in uno straccio. Non sembrano affaticate nella loro marcia sotto il sole cocente, per noi insopportabile. Arriviamo al villaggio di Gaoua quasi non riconoscendolo, per via delle case sparpagliate che sembrano negarne la dimensione di centro abitato. Sono le 13 quando entriamo nella reception dell’hotel Hala….. Papa, un amico di Mohamed, è là ad aspettarci steso su un divanetto. Ci saluta ancora assonnato. La camera è pulitissima, con aria condizionata e zanzariera….non lo avrei mai detto a giudicare dall’aspetto esterno di questo dimesso hotel. Papa ci propone di partire subito per l’ escursione ad un villaggio Lobi….prendiamo il tempo di una doccia ed una coca cola ghiacciata e andiamo. Seguiamo la strada che dal villaggio va verso Batié, quindi dopo una ventina di chilometri di strada rossa, in prossimità del villaggio di Gbomblora deviamo a destra per una pista stretta e tortuosa fino a Sansana, nel cuore della brousse. Il popolo dei Lobi arrivò in questa parte del Burkina nel 1700. Fuggivano dai potenti Ashanti del Ghana e trovarono qui una terra abbastanza fertile per fermarsi. L’etnia Lobi è composta da sette clan rivali, talvolta in guerra tra loro, per questo li si definisce popolo guerriero dedito all’agricoltura ed all’allevamento del bestiame, come se queste due caratteristiche fossero secondarie rispetto alla prima. Quando combattono lo fanno con arco e frecce avvelenate…..ma anche con i feticci che sono la base della loro religione animista. Il villaggio non si vede in distanza…..la sua posizione è stata scelta proprio per renderlo invisibile agli eventuali nemici, quindi a valle e non sul pendio lieve disegnato dalla collina vicina. Il villaggio è una famiglia….nessun altro può farne parte. Le case che lo compongono sono disposte in un ampio cerchio, lontane le une dalle altre una cinquantina di metri…..sono il risultato dell’accorpamento di corpi scatolari che, ad un solo piano, creano una volumetria articolata dagli ampliamenti successivi ….una nuova stanza viene aggiunta quando una nuova moglie viene acquisita, o meglio acquistata in cambio di buoi e montoni, oppure viene aggiunta quando i figli di 14 anni, troppo grandi per dormire ancora con la madre, conquistano uno spazio tutto loro adiacente al primo. Altra particolarità delle case Lobi è nell’aspetto della muratura eseguita in banco, un impasto di fango, paglia e sterco animale. L’impasto viene messo in opera per strati alti circa 50 cm leggermente spanciati in basso. Sagomato con le mani a creare lo spessore della parete di una decina di centimetri e successivamente levigato. Gli strati vengono aggiunti l’uno sull’altro quando quello sottostante essiccato ha raggiunto la durezza necessaria per sopportare il peso di quello successivo. Il risultato è che le fasce ben visibili delle successive sovrapposizioni , sottolineano la marcata orizzontalità della costruzione e le spanciature, come un motivo decorativo, la rendono esteticamente piacevole. Siccome gli animali entrano nella sala principale della casa che viene usata come stalla oltre che come sala di ricevimento, la porta di ingresso è sagomata sul disegno della forma animale, quindi rastremata verso il basso. Un leggero ricciolo è stato sagomato ad ingentilire i due stipiti della porta che viene sempre aperta verso Ovest, la direzione opposta a quella degli antichi nemici Ashanti che arrivavano da Est. I granai, elemento fondamentale di questo popolo dedito all’agricoltura, sono costruiti in parte all’esterno dell’abitazione ed in parte all’interno, perché nel caso il nemico arrivasse e incendiasse i granai esterni, rimarrebbero sempre le granaglie custodite e protette nella casa. La loro forma è a pianta quadrata rastremata verso l’alto e coperta da un tetto di paglia a forma di cono. Affinché nemmeno un grano di miglio vada perduto, sotto la struttura di bastoni di legno che tiene sollevato dal terreno il granaio, è stato collocato il pollaio. Diviso al suo interno in tre settori verticali per raccogliere i diversi cereali costituiti da miglio, sorgo e mais, è accessibile solo dall’alto attraverso una scala intagliata in un tronco di legno e terminante a forcella. Quando una donna vuole attingere dal granaio, deve calarsi al suo interno…comodo no? I granai interni all’abitazione sono accessibili dal tetto piano che viene usato per essiccare le pannocchie che verranno successivamente sgranate e depositate. Le cinque case che visitiamo sono affollate di bambini di tutte le età, chiedo a Papa il motivo di tanta progenie nonostante la povertà evidente di questa gente. La risposta che immaginavo arriva puntuale….i bambini sono la ricchezza di queste famiglie, nella misura in cui lavoreranno i campi, e, nel caso delle bambine, saranno cedute ad un marito in cambio di animali. Ne sa qualcosa il nostro Papa che per sposare la ragazza che ama e dalla quale ha avuto una bambina che ora ha 4 anni , dovrebbe dare in cambio alla famiglia dell’amata, 6 montoni e 4 buoi! I bambini più piccoli sono nudi, o vestiti di un filo di cuoio appena sotto i fianchi, ornato con piccole conchiglie bianche appese. Alcuni sono malati, hanno chiazze chiare sulla pelle e sulla testa, tra i capelli tenuti corti ed una bambina ha un orecchio ed un lato della bocca, pieno di piccoli insetti. In periodi di vacche grasse i Lobi prendevano una decina di mogli per avere da loro molti figli…..considerando le epidemie che li avrebbero decimati, ne sarebbero comunque rimasti abbastanza per garantirsi un buon tenore di vita. Ora che le vacche non sono poi così grasse, si limitano a prenderne cinque. Sono sorridenti, brutti e sporchi questi Lobi che a volte sembrano decomporsi sotto la loro pelle. Ogni casa ha un feticcio, consistente in una montagnola di argilla con due buchi al posto degli occhi, bastoncini, molte piume di gallina ed oggetti variabili…..un pezzetto di stagnola, un ossicino o una collana. Rappresentano gli antenati che proteggeranno la casa….ce ne fosse uno per la protezione dei cagnolini…..mai visti più malandati di così! Attorno alla casa c’è qualche maialino, faraone e polli smilzi, vasi di argilla, bacinelle di alluminio e secchi di plastica…a volte si cucina fuori! Entriamo nell’ambiente quasi completamente buio della sala principale…..un lato è riservato al ricovero degli animali durante la notte, l’altro agli eventuali ospiti o agli anziani. Il soffitto basso ci costringe a camminare chini, a meno che non si voglia dare una craniata contro i rami che costituiscono la struttura del solaio….certo non è semplice per noi procedere. Sulla parete di fondo tre aperture oblunghe, alte runa ventina di centimetri rispetto al pavimento di terra battuta, danno accesso a tre camere illuminate da una piccola presa d’aria sul soffitto. Sono le camere delle tre mogli ed hanno la particolarità di avere addossato ad una parete tutto il vasellame di argilla e alluminio che rappresenta la ricchezza della donna che lo possiede e che viene usato solo in occasioni speciali. Ogni camera ha un piccolo ambiente adiacente a cielo aperto dove ci si lava e che mette in comunicazione con il tetto piano. Una casa labirintica insomma, semi buia e con il soffitto troppo basso. Piccole aperture sono praticate sulle pareti perimetrali….poche per evitare di rendere vulnerabili queste case fortezza, e piccole da lasciar passare solo la freccia da scoccare al nemico. Alla seconda casa che visitiamo incontriamo una anziana signora…..Papa dice che ha 150 anni, ma come credergli? La sua particolarità, oltre all’età è quella di avere il caratteristico tappo di avorio inserito tra il labbro superiore e l’attaccatura del naso. Questo cilindro di un centimetro di diametro, fa si che le labbra carnose siano protese in avanti come il becco di una papera…povera signora….per fortuna è l’unica donna ad averlo! Si presta timida ad un paio di foto che le ho pagato in anticipo…ma non alza mai la testa. Capisco il suo imbarazzo e non insisto. La nostra visita termina alla casa del capo…il fondatore del villaggio, ovvero il padre o lo zio degli abitanti della piccola comunità. E’ la più grande e la più articolata nel labirinto di camerette con “servizio doccia”. Il progetto scaturisce dalla fantasia del capofamiglia ed in questo caso sono leggibili alcune varianti, per esempio un piccolo sporto sopra la porta di accesso, sostenuta da bastoni. Alcune donne lavorano, un bambino suona uno xilofono primordiale formato dalle consuete piastre di legno ma appoggiate sopra le calebasse di varie dimensioni. Adagiato sopra un piccolo solco nel terreno che funge da cassa di risonanza…..è un gioiellino, per la qualità del suono che ne esce. Rientriamo al tramonto percorrendo a ritroso il sentiero serpeggiante e poi la sterrata piena di pedoni che tornano dal mercato. Ceniamo in hotel gustando gli ottimi piatti libanesi proposti dal cuoco burkinabè.

22 Dicembre 2008

GAOUA

Dedichiamo la mattinata alla visita di un paio di case vicine al confine con la Costa D’Avorio, abitate dai feticheur……animisti carismatici iniziati al culto degli antenati, la cui attività è sospesa tra la chiaroveggenza e le pratiche legate alla cura dei malati attraverso pozioni e sacrifici. Per avvicinarci al luogo prescelto percorriamo la N12 verso Sud fino a Kampti, poi deviamo seguendo la sterrata verso Djigoue. Quando dopo un breve fuoristrada tra i campi di miglio ci fermiamo, siamo alla casa del feticheur di Kwkwera. L’edificio, del tutto analogo di quelli visti ieri, è affollato all’esterno di feticci di argilla con sembianze umane. Al posto degli occhi due piccole conchiglie, le teste sagomate con un accenno di orecchie, naso e bocca. Sono i feticci degli antenati con il quale il feticheur è in contatto. Prima di iniziare la visita vera e propria, circondati da bambini curiosi e vocianti, Papa ci spiega in cosa consiste l’animismo, cosa sono i feticci e quale è la loro funzione. Gli animisti credono nell’esistenza di Dio, ed in quella degli spiriti degli antenati…..les ancetres…. che svolgono la funzione di intermediari tra Dio ed i loro discendenti, viventi sulla terra. I feticci sono la rappresentazione degli antenati…..quando vengono impiegati si caricano della loro forza ed aiutano gli esseri umani intercedendo per loro presso Dio. Il feticheur è un uomo di particolare talento e sensibilità che può entrare in comunicazione con gli spiriti degli antenati. Questo talento può essere tramandato di padre in figlio oppure essere acquisito attraverso un rito di iniziazione che avviene in seno a più villaggi con cadenza biennale. Ci si rivolge al feticheur quando si ha un problema fisico o dell’anima. Il malato deve prima purificarsi lavandosi il viso con una speciale acqua preparata dal feticheur e posta su un particolare trespolo di legno, poi viene fatto accomodare in una capanna apposita e gli vengono somministrate le pozioni che il feticheur ha preparato con l’aiuto degli antenati. Se si tratta di una donna rimarrà in cura per 4 giorni ( numero femminile ) se uomo invece solo 3. Se il paziente ha trovato giovamento dalle cure, tornerà a casa con la pozione che continuerà a prendere. Se guarirà dovrà tornare e lasciare il vaso che conteneva la pozione in un angolo vicino ai feticci che lo hanno guarito. Un paio di statue di argilla sedute sopra la porta d’ingresso, proteggono il tetto piano dove si svolgono le funzioni più importanti della casa. Sulla sua superficie si fanno essiccare le granaglie, e vi si svolgono i sacrifici propiziatori prima di depositare i cereali nei granai. I piccoli muretti che riproducono in alto la scansione interna della casa sottostante, segnano sul tetto le aree dedicate alle varie mogli. Ognuna di loro starà nella sua zona in compagnia dei suoi figli….per mangiare e per i racconti che seguono la cena. Questo rigore è messo in atto per evitare che i bambini possano partecipare ad eventuali battibecchi tra le mogli. Il feticheur, al quale stringiamo la mano, ha il viso buono e gli occhi che esprimono intelligenza e sensibilità. Ci sorride e ci invita ad entrare…..vuole mostrarci il suo tesoro…..la camera dei feticci. E’ una stanzetta minuscola dove a fatica entriamo in quattro attraverso la piccola apertura rialzata da terra. Ci sediamo su piccoli sedili di legno che ci separano dal suolo solo di pochi centimetri e rimaniamo incantati di fronte alla magia delle statuette, ammucchiate nello spazio angusto della camera ed illuminate dal cono di luce che entra da un foro sul soffitto. Rannicchiati contempliamo quella meraviglia fatta di legni intagliati in forme talvolta appena accennate, elementari ma incisive. La luce zenitale amplifica il chiaroscuro e rende talvolta sinistri i visi dai lineamenti aguzzi ed i seni allungati delle figure che vediamo tutte per via delle loro diverse dimensioni. Piume di gallina sono sparse un pò ovunque, così come le piccole conchiglie bianche, i cauris, ovvero l’antica moneta africana lasciata come compenso agli antenati che non conoscevano certo le banconote del Franco dell’Africa Occidentale. Il fascino di questo luogo ci conquista, così come l’emozione stimolata dalla vista delle statuette. Questo piccolo tempio animista trasmette serenità e magia…..ce ne stiamo per un pò seduti a chiacchierare ed a porre domande…..si sta così bene qui dentro, sembra di essere nell’antro di Mago Merlino…..o meglio nella casa delle bambole del feticheur Lobi. Il benessere che gli antenati di altri infondono anche su di noi ci fa capire l’origine delle guarigioni o il desiderio da parte dei Lobi di entrare qui a porre domande sul loro futuro. Lasciamo il luogo sacro uscendo a fatica attraverso la stretta apertura, indossiamo le nostre scarpe ed usciamo definitivamente anche dalla casa. Ci congediamo dal guru e dalla famiglia con un sorriso, una stretta di mano ed una foto che Papa insiste a voler scattare. Ma non è finita qui. In auto raggiungiamo la casa di un secondo feticheur in località Bandjarà. E’ il figlio ad accoglierci, colui che erediterà dal padre il titolo e le capacità mediatiche…. fa entrare me e Papa nell’abitazione e senza esitare ci conduce alla “chambre au fetiches”. Vanni si astiene, dopo la preghiera in moschea e la prima visita di oggi, deve averne a sufficienza della spiritualità locale. Entro, preceduta dal feticheur in erba, nella prima sala che odora di letame…..è così buio che sbatto due volte la testa nei bassi legni del soffitto….camminare china non mi è servito molto! Dalla sala principale accediamo alla stanza del padrone di casa e da lì alla piccolissima camera dei feticci attraverso la solita scomoda apertura. La luce arriva ancora dall’alto….fioca ma sufficiente ad illuminare le figure scure e silenziose dei feticci di legno. Così come le gettonate religioni occidentali ed orientali, anche l’animismo ha creato una tipologia standard riconoscibile a tutti, il luogo sacro sede delle celebrazioni dei suoi riti. In questo luogo le persone si fermano, come noi ora, ad esternare i propri problemi ed a porre domande agli antenati. Appesi al soffitto un paio di recipienti sferici cosparsi di piume contengono le pozioni da somministrare ai bisognosi….le cordine tese dall’alto verso il basso rappresentano i successi, il ringraziamento per un consiglio andato a buon fine. L’assenza del feticheur toglie un pò di fascino alla visita…..la magia di quell’omino basso e dagli occhi vivaci di questa mattina, era importante almeno quanto quella dei feticci….ora lo percepisco chiaramente. Lasciamo il solito obolo di 1.000 Cfa e chiudiamo la parentesi feticci…..almeno per il momento. Tornando verso Gaoua ci fermiamo a Tabili per osservare gli scultori di feticci al lavoro. Sono tre seduti sulle radici, all’ombra di manghi frondosi che lasciano cadere dai rami formiche rosse particolarmente affamate…..come facciano a trascorrere le loro giornate sempre nel timore di essere pizzicati da una di loro, proprio non riesco a capirlo. Ci sediamo ad osservare, anche noi sotto la pioggia di formiche…..in pochi minuti una nuvola di bambini arriva a mostrare il lavoro dei padri contenuto in sacchi di plastica. Decine di seggiolini e piccoli feticci di legno chiaro, questi ultimi piuttosto interessanti…..ma Vanni desidera vedere qualcosa di speciale ed a breve gli viene mostrato un ciondolo d’avorio, un amuleto appartenuto ad un chasseur, come protezione dagli animali selvaggi. Ne avevamo visti alcuni nel museo di Bamako…questo è davvero bello….lo acquista. Soddisfatti per l’interessante visita di oggi e per i feticci ed amuleti acquistati, rientriamo per una doccia ed un passaggio di tintura di iodio diluita con acqua a mani, piedi e calzini…..non si sa mai! Alle 16 Papa è di nuovo sotto la tettoia dell’hotel per accompagnarci al villaggio di Dzikandu, dove le abitazioni fortificate dei Lobi si sviluppano in parte su due piani, spingendo al massimo le potenzialità delle strutture di fango…quasi un virtuosismo costruttivo. Come torrette coperte con coperture a cono in fibre vegetali, le camere al primo piano sono accessibili dal terrazzo….dall’esterno sembrano dei piccoli fortini. Le donne stanno cucinando la birra di miglio che sembra essere la bevanda nazionale…..un pò di sballo non dispiace nemmeno a loro! Per farla viene sacrificato una parte del raccolto, ma l’effetto di questa bomba in fermentazione è assicurato. Dopo la ricognizione al villaggio torniamo a Gaoua per assaggiare la famosa birra di miglio…..ormai siamo curiosi di provarla. Papa conosce un posticino dove vanno i locali a degustarla….è proprio la che siamo diretti. A giudicare dal numero dei recipienti nei quali ribolle il nettare biondo, direi che si tratta della distilleria del paese. La quantità minima acquistabile è di due litri e ci viene portata dentro una tanichetta di plastica che prima doveva contenere olio per auto. Due mezze calebasse scavate sono i recipienti che useremo per bere la bevanda tiepida, acidula e ribollente per via della fermentazione ancora in atto. Mai bevuto nulla di simile prima d’ora! Il sapore non è male, ma dopo due piccoli sorsi l’acidità di stomaco è alle stelle e noi scalpitiamo per uscire. Papa, che non si è sottratto ad una bella bevuta, è barcollante quando poco dopo lasciamo il localino sempre più animato di persone vacillanti e rissose……ma poi vuole a tutti i costi offrirci un drink…ne fa una questione di onore, per ricambiare quelli offerti da noi in questi due giorni….. ma in hotel costerebbe troppo, così ci invita a seguirlo in un altro angolo del villaggio, sulle tre sedie collocate nello spiazzo adiacente alla discoteca a quest’ora deserta. Due chiacchiere ed una Fanta, poi si torna in hotel dove assaggiamo ancora l’ottimo Chakchouka libanese…..una ratatouille con uova cucinate forse al forno sopra le verdure. Che squisitezza!

23 Dicembre 2008

GAOUA – OUAGADOUGOU

Stiamo riconsegnando le chiavi alla reception quando vediamo Papa venirci incontro. Si propone con una insolita richiesta….trasportare a Ouaga un pacco per un amico. Andiamo insieme a recuperare il pacco del quale Vanni chiede giustamente di vedere il contenuto…. risponde che non c’è problema e con sorpresa dopo aver percorso 500 metri ci fa cenno di fermarci in prossimità di una bancarella al bordo della strada. Vi si vende uno strano tubero, l’igname, che ha l’aspetto di una enorme patata dalla buccia scura. A Ouagadougou, dove siamo diretti, quell’ortaggio costa il doppio, dice Papa…..non c’è nessun pacco, solo un paio di bacinelle colme di quel tubero da caricare su Gazelle. Pesano come pietre questi ignam, ne carichiamo una quindicina alla rinfusa sul sedile posteriore….e lo salutiamo, il suo amico verrà a prendere l’omaggio all’hotel La Palmeraie dove siamo diretti. La scelta dell’hotel è stata azzeccata, ce ne rendiamo conto entrando nel suo giardino rigoglioso che ospita pochi bassi edifici….non sembra certo di essere nel cuore pulsante di una caotica capitale africana…..l’idea è piuttosto quella di essere approdati in un’ oasi silenziosa all’interno di un parco nazionale. La camera è spaziosa, pulitissima e arredata con qualche oggetto di artigianato locale….raffinata e dal sapore autentico….ci piace. Felici di essere approdati finalmente in un hotel confortevole e non drasticamente spartano, usciamo in taxi diretti all’ambasciata del Niger per i visti e qualche informazione sulla sicurezza dell’itinerario che ci siamo proposti di fare per raggiungere il Camerun. Il tempo di attesa di tre giorni per i visti ci sembra eccessivo ma non abbiamo alternative….e poi tra due giorni è Natale e pur essendo i cattolici in Burkina una minoranza, il 25 è festa per tutti….ogni scusa è buona per festeggiare! All’ufficio informazioni la signora in eleganti abiti tradizionali ci rassicura confermandoci che il Sud del paese è tranquillo…..solo l’Air a nord di Agades è inaccessibile per via dei ribelli tuareg ancora belligeranti dal 2006. Per quanto riguarda i paesi confinanti che dovremo attraversare per arrivare in Camerun, ci suggerisce di verificare a Niamey la migliore tra le due sole opzioni possibili…. Nigeria e Chad se la giocano alla pari in termini di sicurezza. Pianificare un viaggio in Africa è più o meno come dover risolvere un difficile rebus….dove l’intervento di una buona dose di fortuna può essere determinante sul buon esito del viaggio. In taxi raggiungiamo ancora un paio di luoghi del centro caotico ma di un certo fascino per via di qualche edificio di pregio di recente costruzione. Si tratta di uno stile che ho potuto osservare solo nelle capitali africane, caratterizzato da forti geometrismi e da rivestimenti inusuali con piastrelle. Ceniamo al ristorante Le Verdoyant sull’avenue Dimdolobsom. Come spesso accade nei ristoranti italiani delle ex colonie francesi, il cuoco è francese e questo giustifica forse gli spaghetti scotti di Vanni, ma le mie lasagne sono una squisitezza. Rientriamo in hotel ancora a bordo del taxi di Salif che abbiamo eletto nostro autista personale….meglio non rischiare con passeggiate serali…..i banditi potrebbero essere in agguato….dice lui!

24 Dicembtre 2008

OUAGADOUGOU

Sulla scia del relax che genera il risiedere in un luogo piacevole ed avvolgente, ci svegliamo piuttosto tardi rispetto ai nostri orari africani, e solo alle 9.30 siamo alla colazione…. nel cuore del giardino adorno di sculture, vicini alla piscina. Poco dopo usciamo con Salif a bordo di Gazelle…..andrà con Vanni da un meccanico per sistemare l’aria condizionata. Io ne approfitto per un passaggio fino al salone di estetica consigliatomi dalla signorina alla reception, dove l’operazione di ceretta, manicure e pedicure mi occupa per più di tre ore….un tempo enorme considerando che mani e piedi mi vengono fatti da due ragazze che lavorano contemporaneamente….ma c’è un vantaggio….ciò fa si che io possa fare un pò di spionaggio nel salone acconciature, mettendo a nudo il mistero dei capelli lisci e lucidi di quasi tutte le signore africane, viste a capo scoperto, in Mali ed in Burkina. I loro capelli estremamente crespi, vengono fatti sparire in una treccia a spirale aderente al cuoio capelluto….su di essa vengono cucite strisce di capelli sintetici della lunghezza e del colore desiderati…. fino a coprire tutta la testa…..mentre le osservo sorrido nel constatare che anche le africane non scherzano sul tempo che dedicano alla cura della loro immagine, anche loro una qualche fregaturina dalla moda e dai media se la sono presa! Consumiamo l’aperitivo in hotel comodamente seduti vicino alla piscina. Sommersi dalle fronde delle piante che la circondano, giochiamo a backgammon nell’attesa dell’ora di cena….Ouaga non è proprio quel genere di città che stimola alle passeggiate, per via della caoticità del centre ville, e poi perché non c’è proprio nulla da vedere. Ceniamo in hotel….oggi e domani le suorine del ristorante Eau Vive, con nostra sorpresa presente anche qui a Ouaga, sono in gran festeggiamenti e non ci pensano proprio di preparare da mangiare agli estranei!

25 Dicembre 2008

OUAGA – TIEBELE’ – OUAGA

Partiamo di buonora dopo aver consumato l’ottima colazione a base di pain au chocolat e croissant che sembravano usciti da una pasticceria parigina. Ci avviamo lungo le strade semi deserte della capitale in festa e dopo un paio di informazioni raccolte dai passanti troviamo la strada per Po, verso il confine con il Ghana. Percorriamo 145 km di asfalto, a tratti in cattive condizioni, immersi nella brousse affollata di alberi e di piccoli villaggi dalla tipologia insolita. Il Burkina è una grande miniera di tipologie abitative primitive perché nel suo territorio sono presenti diverse etnie fortemente caratterizzate per modalità costruttive ed estetiche dei loro insediamenti. Dopo le particolarissime abitazioni Lobi ecco che qui, ai bordi della strada, le concessioni, ovvero i nuclei abitativi familiari, si sviluppano a cerchio attorno allo spazio del cortile comune. Ogni concessione è costituita da un numero variabile di capanne circolari coperte di paglia. Sono disposte sul perimetro dello spazio circolare e raccordate da alti muretti a definire l’ambito privato della famiglia che vi abita. L’elemento comune delle varie concessioni è che ogni nucleo abitativo accoglie i membri di una intera famiglia allargata, comprensiva di figli, nonni, cugini, zii….Ciò non stupisce poiché la FAMIGLIA è l’unico forte referente dell’individuo africano. Non gli ideali, né le religioni, la famiglia è, nel bene e nel male, l’unica forte entità alla base di ogni pulsione individuale della società africana. Raggiunto il centro di Po, abbandoniamo l’asfalto avventurandoci lungo la sterrata di 31 km che ci porterà a Tiebelé, il villaggio capitale dell’etnia Gourounsi, famoso per le sue case colorate. Ne raggiungiamo la periferia senza difficoltà e con esso il viale alberato che introduce al nucleo vero e proprio….ma poi un gruppo di ragazzi che occupa quasi tutta la carreggiata ci costringe a fermarci. Barricati all’interno di Gazelle abbassiamo leggermente il finestrino per sentire cosa vogliono da noi. Un ragazzo si propone di accompagnarci alla famosa casa del capo del villaggio….la più grande e la più bella, quindi sale a bordo e guidandoci tra i campi di miglio già raccolto ci conduce fino ad un gruppetto di persone che se ne stanno tranquilli all’ombra di un grande albero, vicino all’ingresso del complesso abitativo. Siamo arrivati. La nostra guida si chiama Bernard, ha 23 anni, la pelle molto scura ed un sorriso che lo fa sembrare più simpatico di quanto non sia in realtà. Appena scesi da Gazelle, Bernerd inizia a darci qualche informazione relativa al luogo esterno alla concessione dove vediamo alcuni uomini intenti a conversare. Sono seduti su piani di legno appoggiati a basamenti di pietra o terra. E’ il luogo dove i soli uomini si ritrovano soprattutto nelle ore fresche della sera a conversare, mentre le donne rimangono all’interno dell’articolato nucleo abitativo collegato all’esterno da una stretta apertura….l’ingresso attraverso il quale entriamo. Il complesso che ci si apre davanti è ampio ed articolato in diversi piccoli edifici posti in ordine apparentemente sparso…è il luogo nel quale vive una sola famiglia. Un pò come se noi vivessimo con i nostri parenti, più o meno prossimi, in un condominio ad uso esclusivo….cugini, nonni, zii, fratelli, nipoti tutti insieme appassionatamente…una follia! In quel caso avremmo comunque la chance di poter chiudere a chiave la porta del nostro appartamento….qui invece non esistono nemmeno le porte, le varie unità sono accessibili da chiunque voglia intrufolarvisi e gli spazi all’aperto sono quelli nei quali alla fine si trascorre la maggior parte della giornata…più o meno insieme. La particolarità evidente è che è che i muri esterni delle singole unità costruite in banco, sono colorate nei toni del rosso, nero e bianco. I colori sono deboli perché dilavati dalle piogge,ma torneranno perfetti a febbraio, quando poco prima dell’inizio della stagione delle piogge, le signore di casa provvederanno a ridipingerli. La scelta dei colori non è casuale….il rosso ed il bianco sono i simboli della forza e della purezza….così come quella dei disegni che sono il risultato della geometrizzazione degli elementi fondamentali per la vita del gruppo. La pianta del miglio diventa così una sorta di spina di pesce, la pesca è stilizzata nel reticolo della rete, settori triangolari di calebasse formano cornici geometriche e così via per decine di elementi decorativi. I disegni dipinti corrono lungo tutto il perimetro dell’unità, solitamente neri su fondo rosso o bianco. Le donne curano l’aspetto estetico delle abitazioni in una sorta di rito che compiono tutte insieme dopo aver preparato i colori con ingredienti naturali…..il caolino per il bianco, la laterite per il rosso ed il catrame per il nero. I simboli vengono disegnati come buon auspicio, per il raccolto, la caccia, la pesca, mentre gli animali realizzati in bassorilievo una sola volta sulla parete, servono per onorare gli antenati. Lo sciacallo, la tartaruga, il coccodrillo ed il serpente sono i loro simboli. Ma non è tutto qui….caratteristica delle case degli anziani è la forma ad 8, ovvero due cilindri compenetrati di dimensioni leggermente diverse, mentre l’abitazione dei giovani sposi è a pianta rettangolare. Quella a pianta circolare invece è riservata ai ragazzi che stanno per sposarsi. Nell’ambito della concessione trovano spazio anche gli immancabili granai cilindrici o a pianta quadrata….insomma questo luogo è un trionfo di forme e colori! Ci spiega Bernard che anche i Gourounsi sono prima di tutto un popolo guerriero e le loro concessioni sono realizzate con accorgimenti volti a rendere difficile l’accesso ai nemici…a partire dall’apertura di ingresso, stretta ed unica. All’interno della concessione una serie di muretti definiscono gli ambiti più ristretti dei vari nuclei….nei punti ove l’accesso è facilitato, il muretto scende leggermente, ma bisogna pur sempre scavalcarlo quasi sedendovisi sopra per via dell’altezza. Ciò fa si che anche gli animali non possano facilmente entrare od uscire dal cortile di pertinenza. L’ingresso alle abitazioni è decisamente da contorsionisti….la porta è così bassa da doversi flettere sulle ginocchia per poter entrare, e immediatamente dopo c’è un muretto a semicerchio da scavalcare. Mi chiedo come facciano le due vecchiette che vediamo aggirarsi nel cortile. L’interno della casa ad 8 che visitiamo è ordinatissima e le superfici rese lucide dal burro di karitè miscelato all’intonaco. Su un lato della prima camera c’è il mulino, ovvero un piano in muratura sostenuto da un muretto a semicerchio, sul quale sono posate due pietre. Altre due più piccole da strisciare sulle prime, servono a macinare a mano i grani del miglio o delle arachidi. Le stuoie sulle quali dorme l’anziana signora che vive qui, sono arrotolate ed appoggiate in alto su due bastoni orizzontali….accostate al muro ecco le immancabili poteries di argilla, riccamente decorate con incisioni geometriche e colori scuri….strepitose! Se non fosse che arriverebbero solo i cocci, ne prenderei qualcuna da portare in Italia. Dopo aver ammirato il vasellame ci accomodiamo nella stanza adiacente, il secondo cilindro della forma ad 8, che ospita la cucina. Tre pietre a terra formano il focolare, su un ripiano vicino alcuni contenitori sono quelli che saranno usati per la cottura. Rispetto a quelle Lobi queste abitazioni ci appaiono decisamente sofisticate e pulitissime! La visita termina con la vista dell’intera concessione dall’alto di un tetto piano sul quale saliamo attraverso la solita precaria scaletta intagliata nel tronco….mentre sono intenta ad osservare, qualcuno mi parla chiedendomi qualcosa e mostrandomi un quaderno aperto….vuole dei soldi per gli agricoltori del villaggio. Appena usciamo dalla concessione ci troviamo poi con i piedi nel bel mezzo di un improvvisato mercatino allestito dalle signore di casa. Espongono calebasse decorate, e vasellame decisamente scadente rispetto a quello visto all’interno…altri invece ci propongono l’acquisto di un libretto esplicativo della cultura Gourounsi che prendiamo sfiniti dall’insistenza su più fronti. Scappiamo dall’assedio salendo a bordo di Gazelle con Bernard che ci condurrà fino al villaggio di Boungou famoso per il vasellame d’argilla che vi viene prodotto, ma che una volta visto non ci sembra un granché. Sulla strada del ritorno verso Tiebelè è Bernard a perorare la sua causa per avere da noi del denaro per finanziare la scuola del villaggio. Avezzi alle modalità degli africani per ottenere denaro cercando di impietosire i turisti, gli rispondo di lasciarmi l’indirizzo della scuola dove spedirò libri e dizionari ma, come volevasi dimostrare, la boite postale che mi viene data è quella personalissima di Bernard che poi rivenderebbe i libri a quegli stessi bambini ai quali noi avremmo volentieri donato qualcosa. Liquidiamo Bernard dandogli il compenso pattuito di 5.000 Cfa e torniamo verso Ouagadougou, consapevoli di essere stati ingannati anche sulla visita alla concessione del Capo del villaggio che vediamo fotografata sul libretto appena acquistato, grande almeno cinque volte quella vista. Che nervi! Ad aggravare lo stato d’animo, non proprio al massimo per via dei raggiri subiti, è la telefonata di auguri alla mamma di Vanni, che per nulla contenta della nostra felicità ci fa pesare per la millesima volta la sua infelicità legata alla nostra partenza. Decido che con quest’ultima terminano le mie telefonate di saluti alla Germana. Arrivo in hotel frantumata….ma poi tutto passa ed il non ritmo africano ci contagia fino all’arrivo della notte.

26 Dicembre 2008

OUAGADOUGOU

Ci svegliamo prestissimo per assistere alla cerimonia del Moro-Naba che, leggiamo sulla guida, si svolge tutti i venerdì mattina alle 7.15. Salif è a bordo del suo taxi con il motore già acceso, puntuale alle 6.45, saliamo a bordo e in una quindicina di minuti raggiungiamo lo spiazzo antistante il palazzo dell’imperatore dei Mossi. Il piazzale di terra battuta è delimitato lungo il suo perimetro da una fila di alberi ad alto fusto….non c’è quasi nessuno…solo i pochi lettori della guida Lonely Planet che riporta l’orario sbagliato e che come noi non hanno dato ascolto ai suggerimenti dei loro taxisti che non hanno mai visto iniziare la cerimonia prima delle 8….ora nella quale l’imperatore dei Mossi, ovvero il capo tradizionale più potente di tutta la nazione, riceve in questo spiazzo i dignitari più importanti ed i suoi ministri. l’attesa di circa un’ora è piuttosto lunga a quest’ora del mattino, ma ci consente di vedere l’arrivo in auto, in motorino o a piedi degli appartenenti all’etnia più numerosa e potente del Burkina, che vi regnò dal 1500 fino all’arrivo dei francesi colonialisti nel 1850. Ciò che rimane dell’antico regno è la figura dell’ imperatore e l’enorme influenza politica che ancora oggi esercita sul capo dello stato e sulle scelte del paese. I dignitari si salutano tra loro e si siedono a terra in file via via più lontane dall’imperatore a seconda del loro rango. Indossano il tradizionale boubou, l’ampia sopraveste di cotone lunga fino ai piedi, hanno una spadina legata su un fianco ed un copricapo rosso. Ad un certo punto viene condotto nello spiazzo un cavallo bardato con finimenti elaborati e poco dopo arriva il Moro-Naba, vestito con un boubou rosso. Viene sparato un colpo di cannone che ci fa sussultare, poi l’imperatore si ritira e torna poco dopo ma vestito di bianco. Si salutano tutti e la festa per noi è finita….i dignitari invece entrano a corte a bere birra di miglio…..tutto si conclude con una bella bevuta di buon mattino e con il consolidamento di una tradizione che non vuole morire. L’occasione è buona per sottoporre all’imperatore questioni per le quali ci si aspetta un verdetto risolutivo….dispute locali o crimini non gravi. Torniamo in hotel non proprio esaltati per la cerimonia così poco teatrale e devastati per il sonno interrotto troppo presto, quindi trascorriamo il pomeriggio osservando la piscina tra una pagina e l’altra delle guide che consultiamo curiosi. Nemmeno qui, nell’ambiente protetto dell’hotel siamo al sicuro dalle richieste dei locali, e così il nostro oziare è interrotto un paio di volte dai camerieri che si propongono di venire in Italia al nostro seguito….da quando hanno saputo che per entrare occorre essere invitati da un residente, un numero di telefono con indirizzo vale più di una mancia….ma dopo un mese di coesistenza con i locali, ora mi sento così distante da loro da essere assolutamente inattaccabile dai loro piagnistei e dalle richieste di aiuto peraltro del tutto legittime. Perché non cercano di destituire i loro tiranni pretendendo la democrazia e lo sviluppo nella terra dove sono nati? Ceniamo al ristorante Eau Vive, dove le suorine ci viziano con formaggi squisiti e gelati dai sapori inusuali….tamarindo, karité, sesamo ed un misterioso seen.

27 Dicembre 2008

OUAGADOUGOU – ARIBINDA – DORI

Partiamo diretti a Bani, un piccolo villaggio che merita una visita per le sue sette moschee di banco…..L’idea è quella di fermarci a Bani per la notte e tornare domani in capitale perché la strada per raggiungerlo, come vediamo sulla nostra carta stradale aggiornata al 2000, è asfaltata solo fino a Kaya e non conosciamo le condizioni della sterrata che segue. Con grande sorpresa l’asfalto prosegue oltre Kaya, ed anzi migliora…l’ampia carreggiata dal manto impeccabile ci fa supporre che la strada sia stata rifatta di recente…che fortuna! Decidiamo di rivoluzionare i nostri progetti….ci spingeremo fino a Dori, nel Nord Est, e lasceremo la visita della devotissima Bani a domani, sulla strada del ritorno verso Ouaga. Dori è una sonnacchiosa cittadina alle porte del Sahel….la fascia predesertica caratterizzata da paesaggi incantevoli caratterizzati da grandi distese di terreno incolto e polveroso, disseminato di acacie. Dori è di per sé insignificante e non merita una visita, ma è un importante crocevia verso il Niger e le località Nord orientali del Burkina, e ci consentirà di raggiungere gli antichi graffiti di Aribinda. Sconosciuti a tutte le guide in nostro possesso, apprendiamo dell’esistenza di questi graffiti da un depliant del tour operator italiano Harmattan che propone viaggi in Africa davvero interessanti. Certo Aribinda è da raggiungere attraverso una sterrata di 100 km…. e dopo le esperienze recenti in fatto di guide assoldate sul luogo, preferiamo cercare qualcuno che ci accompagni dalla sonnacchiosa cittadina di Dori che abbiamo raggiunto. Mentre ci aggiriamo tra le strade polverose e deserte cerchiamo di scovare un appiglio, un luogo dove poter trovare una guida affidabile. Optiamo per un hotel, l’Oasis, che occupa in parte le casette prefabbricate che Italgas utilizzò nel periodo di realizzazione della bella strada appena percorsa. Il flemmatico custode non può aiutarci, non conosce nessuna guida che possa accompagnarci ad Aribinda….quindi ci fermiamo di fronte al cartello Eau Vive che vediamo sul bordo di una strada. Un giovane ragazzo sta lavando un fuori strada nuovo fiammante….questa è la sede di un progetto sulla malnutrizione in Burkina ci spiega…. Alla nostra richiesta di una guida fa una telefonata e ci invita ad aspettare 10 minuti, il nostro uomo è in arrivo. Dopo 5 minuti arriva un ragazzino…suo fratello…che si presenta come Alì, guida professionale. Dopo esserci accordati per un compenso accettabile di 12.500 cfa, circa 20 €, partiamo imboccando la sterrata che si spinge verso Ovest. Sono già le due del pomeriggio. Dopo aver attraversato diafani territori punteggiati da grandi specchi d’acqua rigogliosi di ninfee, dove gruppi di bambini scatenati, accompagnati da qualche madre, fanno il bagno, arriviamo verso le 15.30 nei pressi di Aribinda. Ci fermiamo in prossimità di un ammasso di rocce scure che raggiungiamo a piedi. Si tratta della montagna sacra….ci spiega Alì….di notte emette un inspiegabile bagliore, ma nessuno scienziato ha mai avuto il coraggio di studiare il fenomeno perché violare questo sacrosanto segreto potrebbe costargli la vita….ci rendiamo presto conto che Alì ha molta fantasia! Gli chiedo dei graffiti e lui ci invita a salire sulla cima della collina….dove dei graffiti non c’è traccia. Iniziamo ad avere seri sospetti circa la professionalità di Alì….ed il tempo stringe. Alle 18.00 sarà buio pesto e Alì ci ha detto che qui non ci sono sistemazioni dove trascorrere la notte. Proseguiamo ancora in auto fino a raggiungere due collinette di roccia granitica le cui morbide curve disegnano il pendio. Scendo con lui e raggiungiamo la cima delle rocce, ma ancora una volta non c’è traccia dei graffiti. Imbestialita gli consiglio di chiedere informazioni ai bambini del luogo che ci stanno seguendo. La prossima collina sarà quella giusta, dice. Per fortuna questa volta è una ragazzina sveglia ed agile come una capretta ad accompagnarci sui graffiti….così anche Alì, come me, potrà vederli per la prima volta! i graffiti sono incisi sulla superficie quasi orizzontale della roccia sulla quale camminiamo, forse per questo motivo sono molto rovinati ed a tratti quasi illeggibili. I disegni sono il risultato della semplificazione di soggetti legati al tema della caccia….un cane, uccelli così stilizzati da essere incomprensibili, grandi punte di frecce che sembrano foglie, alcuni cacciatori a cavallo muniti di lance. Torniamo a valle dopo aver salutato il gruppetto di turisti che dormiranno qui ad Aribinda e raggiungiamo l’auto scendendo dall’altro versante della collina. Vanni ci aspetta seduto a bordo di Gazelle….dice di aver già salutato il villaggio intero che gli è sfilato davanti nell’attesa. Sono le 17.10 ed il sole già basso all’orizzonte, quando ripartiamo verso Dori. Dopo 45 minuti siamo già nella penombra ed a breve Vanni si trova a dover evitare le buche e gli animali che sbucano all’improvviso, nel buio totale. Intanto il ragazzino ha delle pretese…vuole ascoltare la musica, scrocca un paio di sigarette, chiede dell’acqua….se potessi me lo mangerei! Ai lati della pista alcuni fuochi accesi denunciano la presenza di qualche insediamento….incrociamo i fari accecanti di un paio di motorini ed un taxi-brousse ci supera. La tensione sale mentre procediamo nell’oscurità senza nemmeno il conforto del chiarore della luna….è da sciocchi avventurarsi in queste zone dopo il tramonto….gli agguati non sono una mera fantasia dettata dalla paura. Se Alì non ci avesse fatto perdere tutto quel tempo avremmo potuto tranquillamente tornare a Dori prima del crepuscolo! Alle 19 siamo finalmente in città, confortati dalla gente per le strade e dalle poche luci al neon…siamo salvi! Alì ci propone di portarci nell’hotel più nuovo e confortevole di Dori, il “Liptako de Dori”, nel quale ci fermiamo per un sopralluogo….ma che squallore….a parte le lenzuola che sembravano pulite, il resto è così triste e decadente…risalgo in auto col pollice verso….andremo all’Oasis. Le casette prefabbricate sono fuori uso… non ci resta che entrare nella camera altrettanto squallida dopo aver percorso un lungo corridoio impolverato. I bagagli sono già sul tavolino quando ci accorgiamo che le lenzuola sono sporche almeno quanto l’unico asciugamano disponibile in questa che sembra la cella di un carcere. Afferriamo i trolley e ce ne andiamo al Liptako che almeno sembrava più pulito. Ci vengono consegnati due asciugamani, una saponetta e le chiavi della 12. Il problema ora sarà la cena….un ragazzo dell’hotel ci accompagna nell’unico luogo possibile, il ristorante dell’Auberge Populaire che offre anche camere…non voglio pensare in quali condizioni. Siamo gli unici due clienti ad occupare uno dei tavoli di metallo scrostato del cortile buio e polveroso…..il piatto unico è costituito da cous cous, due birre da un litro arrivano dal locale accanto.

28 Dicembre 2008

DORI – BANI – OUAGADOUGOU

Alle sette, disturbati dal rumore di tosse che arriva dalla sala oltre la porta, ci svegliamo. Ci laviamo nel bagno che sembra un capolavoro di cattiva manodopera ed usciamo. I ragazzi dell’hotel hanno allestito per noi un tavolino con la colazione nella sala accanto alla camera…..che gentili. La sorpresa successiva è stata quella di trovare Gazelle perfettamente lavata dal ragazzo che ieri ci ha accompagnato al ristorante. Insomma i ragazzi hanno compensato il disagio dell’hotel ricoprendoci di attenzioni…e per la modica cifra di 17 cfa. Dopo 40 km sulla strada del ritorno verso Ouaga, incontriamo la cittadina di Bani dove questa volta ci fermiamo ad ammirare le famose moschee. Questa volta cerchiamo di non sbagliare rivolgendoci per una guida all’Auberge Fofo, l’unica possibile sistemazione per la notte qui a Bani, nonché quartier generale delle guide alle moschee. Cissé Moussa, il rappresentante delle guide e dei custodi delle moschee, si presenta con un foglietto sul quale c’è scritto il suo nome. Lo assoldiamo, tanto le moschee sono tutte ben visibili anche a noi….sarà impossibile sbagliare anche se accompagnati da un incompetente. Iniziamo la visita dalla più grande e più bella del villaggio. La facciata, realizzata con mattoni di terra cruda, è decorata con motivi geometrici ricavati per sottrazione nella massa muraria della parete… creano un piacevole effetto di chiaroscuro. Cissé ci racconta che l’edificio sacro è stato concepito da un uomo santo di Bani, un profeta insomma che è stato due volte alla Mecca a piedi. Ha sognato di dover realizzare una grande moschea e così, grazie all’aiuto materiale di fedeli provenienti anche dal Niger, Mali e Ghana, ha potuto realizzare il grande progetto. La facciata bassa e larga , ed il minareto cilindrico trafitto dai bastoni ortogonali, sono gli unici elementi di pregio estetico dell’intera costruzione. Nella penombra dell’interno vediamo le arcate susseguirsi fino a coprire l’intera ampiezza dell’ambiente della preghiera, a terra la sabbia sulla quale camminiamo scalzi fino a raggiungere la nicchia semicircolare rivolta a est, poi saliamo la ripida scala che porta al tetto…Per un errore di calcolo l’ultimo scalino è alto circa 80 cm. Dal tetto la vista del minareto è perfetta e ce lo godiamo in tutta la sua volumetria a botte unitamente al paesaggio sublime per le sfumature cromatiche che si complicano verso i rilievi lontani. Alle nostre spalle, sulla collina addossata al villaggio di Bani, sono visibili altre tre moschee quasi distrutte dalle intemperie e sulle quali nessuno ha avuto voglia di intervenire con opere di ricostruzione e restauro. Considerando che il patrimonio artistico rappresenta il richiamo turistico del villaggio che diversamente sarebbe ancora più povero….e che la maggior parte dei suoi abitanti non fa nulla se non lamentarsi della propria povertà….allora chiedo a Cissé perché non intervengono. Risponde che a pancia vuota non si lavora…e che stanno raccogliendo fondi per nutrire e per vestire chi sarà disposto a lavorare. Dopo aver perlustrato i ruderi scendiamo di nuovo e raggiungiamo Vanni camminando lungo le belle stradine coperte di sabbia del centro storico, tra case e granai di banco, bambini, asini e qualche adulto che vi passeggia. Percorsi circa 200 m in auto ci fermiamo per una foto ad un’altra piccola moschea ancora decorata con i motivi geometrici che solcano la facciata. E’ bellissima! Raggiungiamo il nostro adorato hotel La Palmeraie di Ouagadougou verso le 13 e ci tuffiamo nel comfort della nostra pulita e confortevole n°15. Che bello qui…immersi nella natura e con il vantaggio di un ottimo servizio. Un gelatone consumato sotto le fronde, un paio di partite a beckgammon e poi il richiamo di musica live che arriva da lontano. Usciamo dall’hotel per vedere. E’ una festa di matrimonio….che fortuna poter assistere ad un evento così insolito e folkloristico. Due file di sedie di vario tipo sono disposte attorno ad un ampio spazio ovale sulla strada preventivamente chiusa con transenne. La tradizione vuole che questa sia una festa squisitamente femminile, dove gli unici uomini ammessi sono il cameraman, alcuni musicisti e Vanni. La band occupa uno dei due lati corti dello spiazzo libero circondato dalle sedie….le due robuste cantanti in abiti tradizionali intonano, con la loro voce potente, brani musicali tradizionali che ricordano molto quelli del mitico Salif Keita. Le signore del pubblico sono vestite con tuniche impreziosite da ricami ed applicazioni…sono molto eleganti. Alcune di loro stanno sedute ad osservare, altre si muovono danzando in fila, come in una specie di trenino, al seguito della sposa che, vestita di un abito bianco a tubo con ricami in oro ed eleganti sandali con tacchi a spillo, conduce la fila. Si divertono molto le signore…sulle note delle cantanti che si lanciano in acuti a volte un pò azzardati. La festa continua per ore, sempre con la modalità del serpentone sulle note di brani musicali bellissimi che si susseguono senza interruzione. Ceniamo con una pizza squisita al ristorante Verdoyant che questa sera sembra scoppiare di clienti….mentre un topastro fa avanti e indietro accanto al muretto di recinzione, a due passi dai tavoli del giardino….se il gruppo di signore tedesche accanto a noi dovesse accorgersene potrebbe scoppiare un tumulto!

29 Dicembre 2008

OUAGADOUGOU

Vanni esce con intenzioni bellicose nei confronti del console onorario italiano, di nome Eline Giglio, che da cinque giorni non gli risponde al telefono rendendosi irreperibile presso il consolato italiano. E’ quindi il direttore della cooperazione italiana a Ouaga a convalidare con un timbro il fax arrivatoci dall’Aci di Roma che posticipa di 3 mesi la scadenza del Carnet de passage di Gazelle scaduto ieri. Con il nostro taxista Salif andiamo all’ambasciata del Benin per un visto sul passaporto che ci verrà riconsegnato nel pomeriggio, poi in hotel in cerca di un pò di frescura all’ombra della vegetazione. Intanto apprendiamo dal notiziario di Canal + la notizia di un attacco terroristico da parte dei ribelli tuareg maliani ad un presidio militare nella provincia di Segou, nel corso del quale 9 militari hanno perso la vita. La scelta di un luogo lontano dall’Adrar des Inforhas per la rappresaglia tuareg di oggi, coincide con la volontà espressaci dal capo del territorio dell’Adrar di garantire la sicurezza dei turisti in quei territori. La notizia di oggi non sorprende….anche il Niger, a nord di Agades, è del tutto inaccessibile a chiunque per via della stessa ribellione tuareg….muoversi in Africa è decisamente complicato….E’ di qualche giorno fa la notizia di centinaia di morti in Nigeria uccisi nell’ambito di una guerra tra etnie rivali…come anche la notizia di un colpo di stato in Guinea….Israele continua a bombardare la striscia di Gaza…ma per nostra fortuna è a distanza di sicurezza! Trascorriamo il pomeriggio a scattare foto agli edifici recenti del centro, particolari per le geometrie enfatizzate in facciata con elementi aggettanti. In prossimità dell’hotel Indipendente Vanni scende per osservare i prodotti artigianali esposti in baracche lungo la strada…so già che vuole acquistare la maschera del sole che aveva già adocchiato a Bobo Dioulasso. Dopo estenuanti contrattazioni usciamo con due enormi pacchi realizzati con un puzzle di cartoni uniti con nastro adesivo e corda. Contengono un grande sole di legno del diametro di 120 cm ed una maschera stretta e lunga un paio di metri, alla cui base mi ha conquistata la scultura della testa di un’ antilope. Come faremo a trasportarle in Italia rimane un mistero…per il momento sono state collocate nell’abitacolo di Gazelle, appese con cordicelle alle maniglie superiori. Ceniamo ancora al Verdoyant…..la pizza meritava un bis!….nessun topolino tra i tavoli.


Menù delle città

Percorso della tappa

Fotografie
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Cambia Tappa

10 Benin

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11 Niger

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12 Nigeria

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13 Camerun

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14 Camerun

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15 Gabon

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16 Congo

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17 Rep. Dem. Congo

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18 Angola

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09 Togo


30 Dicembre 2008

OUAGADOUGOU – NIAMTOUGOU

Salutiamo Ousmane, il simpatico portiere dell’hotel, e con questo ci congediamo dal Palmaraie e da Ouaga che ormai conosciamo abbastanza bene da poter uscire senza problemi. Ci avviamo lungo la N4 fino a Koupela, poi deviamo a Sud sulla N16 fino a raggiungere il confine con il Togo verso le 13 dove acquistiamo il visto di ingresso direttamente all’ufficio di polizia….è valido solo sette giorni, ma è estendibile fino a 30…basterà rivolgersi per questo ad un imprecisato ufficio della capitale e senza aggiungere nulla ai 10.000 cfa pagati oggi. All’ufficio di dogana l’impiegato non ha controllato la scadenza del carnet de passage ed anzi mi chiede di aiutarlo nella compilazione di questa paginetta che vede per la prima volta. Cosa che faccio con piacere! Percorriamo verso Sud una strada che nei primi 100 km sembra piuttosto un groviera, quindi visto il tempo che impieghiamo a percorrerla decidiamo di fermarci per la notte a Dapaong, la prima cittadina dopo la frontiera..ma quando arriviamo sono solo le 14 ed il centro abitato abbastanza sconfortante da decidere di proseguire visto che non abbiamo nessuna intenzione di arrampicarci sul Monte Semoo per vedere la fortezza che i Moba scavarono nella roccia per sfuggire agli abusi dei Chokossi. Fuggiamo anche noi da Dapaong spingendoci sempre più a sud con la sorpresa di proseguire su una strada perfetta e deserta…..peccato per l’Harmattan che impolvera il paesaggio rendendo invisibile l’orizzonte. Tranquillamente, ma con la stanchezza dei molti chilometri percorsi, raggiungiamo il Motel Niamtougou dell’omonima cittadina. La struttura sembra abbandonata da tempo….ma il gentile Antoine ci mostra una camera spaziosa e pulita con bagno ed aria condizionata che ci costerà solo 7.700 cfa cioè circa 10 €. Facciamo subito una lunga doccia ristoratrice poi andiamo sotto la tettoia della reception a bere qualcosa e ad accordarci con Antoine per la cena. Gli do due coordinate su come preparare la zuppa di cipolle ed è fatta. Visto che ne abbiamo il tempo prenotiamo una camera vista mare per domani all’Hotel Coco Beach di Lomè. Vogliamo festeggiare degnamente il nostro capodanno e siamo disposti per questo a fare nel pomeriggio di domani la lunga corsa di 440 km verso la capitale, strada che non sappiamo in quali condizioni troveremo. Ma domani mattina ci aspetta la visita alle case fortezza disseminate nella valle Tamberma….una chicca patrimonio dell’umanità!

31 Dicembre 2008

NIAMTOUGOU – VALLE TAMBERMA – LOMÈ

All’alba, dopo un saluto ad Antoine, l’unico impiegato del motel che dopo la nostra partenza tornerà deserto, partiamo percorrendo verso Nord i 25 km che ci separano da Kante. Deviamo poi ad Est lungo la sterrata sulla quale troviamo poco dopo l’ufficio che gestisce la visita alle belle case fortezza dei Tamberma. Joel sale con noi e ci conduce al primo villaggio che incontriamo dopo una decina di chilometri. Saliamo a piedi la breve scarpatina che ci conduce alla prima Tata ( casa fortezza ), bellissima….sembra un castello di fango. Il suo perimetro è articolato in diverse torrette cilindriche coperte da tetti di paglia, raccordate da un muro alto circa 4 metri senza aperture, se non la porta d’ingresso stretta da consentire il passaggio di una sola persona per volta. All’interno, su un lato del piccolo vestibolo cilindrico, vi è una vasca dove si battono le granaglie e sul lato opposto un piano più alto con due pietre che servono per macinare miglio ed arachidi. L’ambiente più ampio nel quale entriamo da accesso alla cucina leggermente rialzata dove sta bruciando la legna per cucinare. Dall’ambiente fumoso, attraverso una scaletta, accediamo al tetto piano nel quale si trovano le camere da letto circolari, basse e piccolissime, ed i granai che ora vediamo dall’alto salendo la solita pericolosa scaletta. Sulla terrazza si svolge la vita del gruppo familiare composto da diversi bambini con il ventre gonfio, una giovane madre dal seno lungo ed il padre già vecchio. La tecnica costruttiva impiegata per realizzare le murature è del tutto analoga a quella dei Lobi del Burkina….per fasce sovrapposte di fango messo in opera con le mani a formare un setto di spessore variabile dai 10 ai 15 cm e di altezza di circa 50/60 cm. Un solo piccolo foro circolare praticato nella parete esterna dell’ambiente più ampio al piano terra, serve per scoccare le frecce al nemico che però da 300 anni non si fa vedere! Teschi di capre sono appesi alle pareti di questo spazio che serve solo per combattere….se penso a quanto sono piccole le camere da letto mi sembra uno spreco dedicare quest’ampia superficie ad una attività in disuso da tre secoli….ma che dire, le tradizioni qui sono la legge e guai a chi le mette in discussione. Fuori e dentro la casa non mancano i feticci costituiti da coni di fango dalla punta arrotondata e con due fori a simulare gli occhi….la novità è il grosso ramo conficcato nel terreno a proteggere dai morsi dei serpenti ed un ammasso di pietre a creare l’hotel degli antenati. Altra similitudine con i Lobi è il grosso pearcing di avorio che una anziana signora porta sotto il labbro inferiore. Nel corso della visita tutti gli abitanti della Tata ci seguono e finiscono col soffocarci….propongono in vendita alcuni oggetti di argilla, troppo seriali per essere prodotti da loro…a pochi metri dalla Tata visitiamo il baobab sacrée, quello all’interno del quale andò ad abitare l’antenato più importante di questa famiglia….è un albero possente e cavo. Vanni intanto si è rifugiato in auto, non sopporta la pressione dei locali e vuole ripartire al più presto, così alle 9.30 torniamo a Kandé ed iniziamo a scendere verso Lomé e l’oceano. I chilometri sono quasi 500 da qui e la strada spesso in pessime condizioni ci fa procedere a rilento…..per non parlare dei camion fermi in panne lungo la strada, o quelli talmente storti da occupare ben più di una corsia. Il paesaggio collinare che attraversiamo è pieno di vegetazione bruciacchiata dagli incendi che gli stessi togolesi provocano per liberare il sottobosco dalle foglie secche e renderlo più fertile per la crescita dell’erba per il pascolo del bestiame…..ma stanno esagerando….sembra che l’intera nazione sia in fiamme! Alle 17.30, stremati per le molte ore di viaggio, arriviamo alle porte di Lomé e foriamo. Avremmo voglia di urlare ma non esce nemmeno un lamento…dopo otto ore di gimcana siamo cotti. Quando dico che Vanni è un uomo fortunato so di non sbagliare…e questa foratura me ne da la certezza perchè l’auto si ferma proprio di fronte alla baracca di un gommista che in meno di 30 minuti provvede a tutto in cambio di 2000 cfa, 3 €. Ma non è ancora finita….sbagliando strada finiamo nel bel mezzo di un mercato nel cuore della città vecchia. Pullula di gente che come formiche si muovono incessantemente strisciando contro Gazelle…è come essere immersi in un liquido vischioso che ci trattiene….oppure passare in auto nel bel mezzo di un corteo di manifestanti. Vanni inizia a canticchiare nervosamente….siamo all’ultimo stadio prima di una crisi di nervi! Quando riusciamo ad uscirne è già calata la sera, chiediamo ad un paio di passanti come raggiungere l’hotel ed eccoci imbottigliati nel traffico del bel lungomare pieno di palme….ancora nove chilometri e saremo arrivati! Riusciamo a raggiungere l’hotel sulla spiaggia alle 19….non è proprio come lo avevamo immaginato lavorando un pò di fantasia sulla descrizione che ne faceva la Lonely Planet che lo definiva il più elegante della zona….ma siamo arrivati e non vediamo l’ora che questo amato 2008 finisca in fretta. Ci accomodiamo nella camera che ha l’unico pregio di avere un bel lettone king size e dopo una doccia ed un riposino siamo pronti per affrontare il veglione….senza un bel vestito da sera che volentieri avrei indossato per l’occasione, mi accontento dei miei jeans bianchi stracciati ed una camicetta. Prima di entrare nell’edificio dove si svolgerà la festa, andiamo in perlustrazione per cercare di capire come mai questo hotel sia così caldamente consigliato dalla guida….Scendiamo le scale della palazzina ad un piano che si apre al piano terra verso il mare, percorriamo le brevi passerelle di legno che si spingono sulla spiaggia verso il mare ed ascoltiamo il vicinissimo rifrangersi delle onde immersi nel buio quasi totale. Basse palme delimitano l’area del bar all’aperto, nel cielo qualche stella sfugge alla foschia densa di questa serata caldissima ed umida. Faccio il mio ingresso tra le signore in lungo con la fierezza della viaggiatrice che predilige l’avventura al lusso, ed anche Vanni al mio fianco, con la barbetta di qualche giorno ha un look decisamente sportivo. Un drink e molte risate, poi ci spostiamo al primo piano dove i tavoli sono stati preparati con cura. Arrivano in sequenza le ostriche e la terrine aux poissons a base di salmone e merluzzo, poi i due piatti di coquilles Saint Jacque servite su un letto di squisiti porri saltati con il burro ed il fois gras per Vanni…il tutto accompagnato da un ottimo Sanserre del 2007. Arriva poi il momento del dessert …..Vanni ha ordinato l’assiette di formaggi mentre io, mi ero fatta ingolosire dal boudin blanc truffè che avevo ordinato visionando il menu de Noel. Rimango pietrificata quando vedo arrivare due salsicciotti bianchi accompagnati da insalata russa! Restituisco il piatto alla cameriera ed abbandono l’idea del dessert. Al bar del piano terra un giovane ragazzo dietro un’ improvvisata consolle propone bella musica anni ’70….balliamo un pò, soli davanti ad un paio di camerieri oziosi che ci guardano tanto per fare qualcosa ed un paio di coppie che chiacchierano nel salotto. Che bella serata…..ci divertiamo molto, forse anche per via dei brutti momenti che l’hanno preceduta. Continuiamo a ballare, complici e felici di sentirci così innamorati ed in sintonia. Fuggiamo prima che scendano i francesi nei loro abiti eleganti e dopo una mezz’ora, allo scoccare della mezzanotte, osserviamo dalla finestra della camera i fuochi d’artificio sulla spiaggia. Ci amiamo appassionatamente nonostante l’infinita stanchezza, poi crolliamo sul comodo lettone.

01 Gennaio 2009

LOMÈ

Sembra passata una vita dall’ultima volta in cui ci siamo svegliati dopo le 10….ci cerchiamo ancora, poi ci trasferiamo nei comodi lettoni sulla spiaggia. Godiamo del relax protetti dal cielo velato di oggi e dalla tettoia di paglia sotto la quale poco dopo trasciniamo i nostri giacigli. Anche qui sul Golfo di Guinea soffia il fastidioso Harmattan ci dice Patrick, il simpatico gestore dell’hotel di origine quebecoise. A causa della distruzione sistematica delle foreste ad opera dei locali, il vento del deserto non trova più barriere naturali ed arriva ad impolverare il cielo di Lomé che oggi sembra quasi nuvoloso. Verso mezzogiorno il ristorante e la spiaggia si riempiono di clienti, mentre il cuoco alle prese con la griglia  cucina pesci avvolti nella stagnola che emanano un profumo irresistibile. Vocii sulla spiaggia e profumo di cibo rallegrano il nostro pomeriggio….qualche piccolo bagno nell’ acqua, non proprio invitante, di questa lingua di mare protetta dalla diga parallela alla costa. Alle 18 è già buio ed un pò meno caldo di ieri per via di una piacevole brezza che ha iniziato a soffiare….mangiamo una buona aragosta cotta al cartoccio sulla brace e poi a nanna.

02 Gennaio 2009

LOMÈ

Vanni parte in missione in compagnia di Patrick. Dopo 145.000 km i pneumatici di Gazelle sono da sostituire e Patrick si propone per accompagnare Vanni dal suo gommista. Quando verso le 14 arriva in spiaggia è piuttosto provato, e Gazelle indossa dei 7.5 di marca cinese….Patrick assicura che sono il massimo.  Facciamo un paio di tuffi in questo mare troppo vicino al porto, qualche partita a backgammon ed è già il tramonto velato dalla foschia. Anche questa sera il pesce al cartoccio è esaurito per via dei numerosi clienti a pranzo….quindi ci rassegnamo a cambiare idea ed optiamo per una T-bon di carne. Unici clienti del ristorante a parte una ragazza seduta al tavolo vicino, al momento dell’arrivo delle nostre pietanze succede una cosa a dir poco bizzarra. Il primo piatto ad essere servito è un filetto con verdure miste  servito a Vanni….che protesta immediatamente perché vuole il purea di patate che ha ordinato ma inizia a mangiare la sua carne. Dopo un paio di minuti la cameriera arriva con un’altra T-bon questa volta con l’osso ed accompagnata da purea….resasi conto dell’equivoco afferra il piatto di Vanni già iniziato e lo da a Cristine, la ragazza svizzera  del tavolo accanto….come se fosse la cosa più normale di questo mondo dare ad un cliente un piatto già iniziato da un altro! Cristine da parte sua….abituata alle modalità africane fa un sorriso e restituisce a Vanni il pezzetto di carne che aveva già tagliato. La serata finisce con una lunga chiacchierata con la simpatica ragazza, volontaria presso i caschi blu dell’Onu in Costa d’Avorio, ora in vacanza a Lomé.

03 Gennaio 2009

LOMÈ – KPALIMÈ

Seguendo le indicazioni dettagliate di Patrick, usciamo da Lomé senza problemi ed imbocchiamo la strada che ci porterà a Kpalimè famosa per le sue cascate e soprattutto per le numerose farfalle che popolano le foreste nei pressi di Klouto, a pochi chilometri di distanza. La strada in condizioni piuttosto buone inizia a salire lievemente e la vegetazione si fa rigogliosa, con grandi alberi, palmeti e banani. Siamo finalmente immersi nella foresta e dopo tanta brousse bruciacchiata è un piacere trovarci circondati dal verde. L’hotel Chez Fanny consigliatoci da Patrick è proprio all’ingresso del paese….una palazzina anni ’70 rifinita con pietra e intonaco bianco che contiene camere spaziose e pulite. Ci accomodiamo nell’unica rimasta libera, con aria condizionata, acqua calda, televisione ed un grande letto….non manca nulla. La guida chiamata dall’hotel arriva puntuale alle 14…si chiama Guillaume ed ha 27 anni. Partiamo subito diretti al confine con il Ghana dove, in località Woamé, ci sono delle belle cascate da vedere. Per raggiungerle procediamo per 9 km in direzione Kpadape, poi deviamo su una stretta pista immersa nella foresta e dopo qualche chilometro ci fermiamo. Guillaume ci avverte che per raggiungere la cascata dovremo affrontare una marcia piuttosto fisica….poi capiamo di cosa si tratta. Scendiamo il ripidissimo sentiero dove alti scalini sono stati realizzati per facilitare il procedere….spingendoci sempre più all’interno della vegetazione rigogliosissima. Quando dopo circa 15 minuti arriviamo in fondo alla scarpata siamo completamente sommersi dal verde…solo un piccolo settore di cielo illumina la pozza d’acqua sotto la cascata che scivola sopra la roccia piatta. E’ un paradiso….. mancano solo Tarzan e Jane! Sui due lati del crepaccio dove ci troviamo le rocce aggettanti formano dei ripari naturali simili a grotte poco profonde…..le farfalle svolazzano appoggiandosi tra una foglia e l’altra come in cerca di qualcosa, mentre il rumore dell’acqua ci rilassa. La vegetazione qui è trionfale….enormi foglie di felce, liane che scendono dagli alberi più alti. Lasciamo questo paradiso dopo circa una mezz’ora trascorsa ad assorbirne il fascino….di bagnarci in quelle acque proprio non se ne parla….non si sa mai cosa può nascondere considerando quanto la natura qui in Africa possa diventare ostile…..velenosissimi serpenti d’acqua, o microscopici vermi che entrano nel corpo? Eppure alcuni locali si stanno divertendo molto nuotando e tuffandosi nella pozza. La salita è mozzafiato….arriviamo stremati dopo una quindicina di minuti….Guillaume ci cronometra! Ceniamo piuttosto bene in hotel dove il menu comprende l’ottima soupe a l’oignon, oltre al fantastico purea e formaggi francesi.

04 Gennaio 2009

KPALIMÈ – LOMÈ

Anche questa mattina ci attende una escursione esplorativa ….questa volta a caccia di farfalle. E’ Gregoire ad accompagnarci….un altro membro dell’associazione delle guide, coetaneo di Guillaume ma decisamente più preparato di lui. Alle 8.30 è puntuale in hotel dal quale partiamo a bordo di Gazelle. Seguiamo la strada in direzione Klouto poi dopo una ventina di chilometri deviamo prendendo una pista che si arrampica in cima al monte omonimo, alto ben 741 metri, dal quale la vista si perderebbe infinita se non fosse per la polvere dell’Harmattan che ci perseguita. E’ un vero peccato perché da qui, ci spiega Gregoire, si potrebbe vedere il Ghana. Ciò che intravediamo è il susseguirsi di colline, verdi della rigogliosa vegetazione, dalla quale emergono come giganti alberi altissimi e dal fusto retto….sono i fromager, belli più che mai. Scendiamo seguendo la stessa pista poi fermiamo Gazelle nei pressi del Campement de Klouto ed iniziamo la passeggiata tra la foresta a caccia di farfalle e di curiosità di cui Gregoire è esperto. Una di queste è il pigmento naturale rosso che si ricava strofinando la foglia verde dell’albero del teck. Il pigmento giallo invece si ottiene dalla corteccia di un altro arbusto ed il colore blu dalle foglie dell’indaco. Vediamo le piante di cacao e di caffè, quelle del cotone, i bei fiori dell’ibiscus ed altri profumatissimi e colorati. La cosa più divertente che Gregoire ci mostra è la “felce tatuaggio” così chiamata per via della polverina bianca, una sorta di borotalco, che ha sul dorso. Se appoggiata e premuta sulla pelle scura lascia l’esatto disegno della foglia…proprio come un vero tatuaggio. La radice velenosa di una pianta che ci viene mostrata è usata per uccidere i topi che mangiano il raccolto dei campi di miglio e di mais…ma, ci rassicura Gregoire, il veleno rimane localizzato nel loro apparato digerente e quindi i topi si possono tranquillamente mangiare! Finalmente capiamo quali animali mostravano ieri i venditori fermi sul bordo della strada….i poveri toponi afferrati per la punta della lunga coda. Di farfalle ne vediamo molte, ma sono poche purtroppo quelle grandi…e si spostano velocissime….le vediamo per lo più infilzate da aghi a comporre bellissimi quadretti in vendita nei pressi dell’auto parcheggiata. Le stanno sterminando queste farfalle! Ne acquistiamo un paio per le nostre mamme….Lungo il viaggio di ritorno verso Lomé, sorge il dubbio sulla possibilità di esportarle senza CITES….e subito dopo pensiamo all’ulteriore ingombro delle tre scatole di legno e vetro….il nostro bagaglio questa volta sarà davvero imbarazzante quando ci presenteremo al check-in in aeroporto. Al Coco Beach di Lomé ci aspetta la nostra camera vista mare ed i due pesci squisiti che finalmente Patrick si è ricordato di tenerci….. sono due Dorade cotte alla griglia che accompagnamo all’ottimo Sanserre…..dopo tanta insistenza Patrick si è deciso a prelevarne una bottiglia dalla sua cantina personale! Una foto ricordo e poi tutti a nanna.


Menù delle città

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16 Congo

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17 Rep. Dem. Congo

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18 Angola

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10 Benin


05 Gennaio 2009

LOMÈ- OUIDAH

Ritiriamo la biancheria pulita e lasciamo l’hotel diretti verso la frontiera del Benin questa volta già muniti di visto di ingresso. Al confine del Togo il caos è incredibile….file di camion sono fermi per il controllo doganale mentre i locali che si spostano abitualmente tra i due stati, saturano l’ufficio immigrazione. Per noi muniti di passaporto non ci sono file….un ufficio separato sbriga le formalità del controllo dei documenti e  così in una ventina di minuti siamo liberi di raggiungere la frontiera del Benin dove ancora una volta il doganiere rimane confuso alla vista del carnet de passage che gli spiego come compilare. Spingendoci oltre osserviamo il paesaggio cambiare trasformandosi in un selvaggio paradiso di palme che a migliaia seguono la costa…laghetti pieni di ninfee, lingue di sabbia parallele al mare che di tanto in tanto si insinua verso l’interno. Qualche palafitta  adagiata sulle acque di una laguna interna ci ricorda che tra qualche giorno visiteremo il noto villaggio di Ganviè. La foschia non manca, ma in questo contesto esalta la magia del paesaggio attorno a noi mentre percorriamo la lingua di terra compresa tra il mare ed il fiume Mono che scorre a qualche centinaio di metri dalla costa, creando lagune, acquitrini e piccoli laghi nei pressi dei quali sorgono piccoli villaggi di pescatori…….un paesaggio pittoresco ed unico. Dato che tutti ci hanno parlato male di Cotonou, sottolineando il caos, lo smog e lo squallore della città più affollata del Benin, decidiamo di fermarci a Ouidah, la capitale del vudu che tra cinque giorni ne ospiterà il festival annuale. Famosa anche perché prima dell’abolizione della schiavitù nel 1861, partirono dalle sue spiagge migliaia di schiavi diretti nelle Americhe e nei Caraibi, ora Ouidah è divenuta la città del ricordo di quella barbarie perpetrata in seno al regno Dahomey che si espanse grazie a questo commercio. Gli europei davano, in cambio degli schiavi, bevande alcoliche e soprattutto le armi che servivano ai sovrani Dahomey per conquistare nuove terre e nuovi schiavi. Per oltre quattro secoli circa 10.000 persone ogni anno, uomini, donne e bambini, percorsero in catene la strada  che  raggiungeva la spiaggia. Nel luogo dove attendevano di salire sulle scialuppe che li avrebbero portati alle navi ormeggiate al largo, sorge ora un memoriale….una porta commemorativa ornata di bassorilievi e bellissime sculture di bronzo che rappresentano stilizzati gli schiavi su un lato e gli schiavi liberati dall’altro. Qui nella patria del vudu  i feticci proteggono anche questo luogo sacro….due sculture colorate ed istoriate, sono proprio loro….gli antenati in comunicazione con gli schiavi deportati.  Il nostro hotel è a pochi metri da questo punto di non ritorno….in fondo alla Rue des esclaves, sul mare. immerso nel palmeto, ad una cinquantina di metri dalle potenti onde dell’oceano, c’è il nostro bungalow con aria condizionata e tv, ma non l’acqua calda. Siamo nell’Hotel de la Diaspora, uno dei migliori, al costo accessibile di 25.000 cfa. L’ampia piscina, attorno alla quale sono distribuiti il bar ed il ristorante, è adiacente alla spiaggia….non c’è molta gente e vi si respira un’atmosfera di antichi splendori ora decaduti. Immersi nel clima dimesso del luogo ci accomodiamo sui lettini di fianco alla piscina all’ombra di una orribile tettoia di tubi di ferro che copre anche i tavoli del ristorante. Il mare è blu intenso ….ma le sue onde hanno una forza che spaventa…meglio non rischiare e goderci piuttosto la bella vista lungo la spiaggia che vediamo a perdita d’occhio segnata dalle palme. Rimaniamo qui, in compagnia di un drink ed un libro, fino al bellissimo tramonto…..che meraviglia questo mare e queste palme…..che meraviglia l’Africa!

06 Gennaio 2009

OUIDAH – GANVIÈ – OUIDAH

Arriviamo in abbondante ritardo all’appuntamento delle 8.30 con Nasaire. L’ora in più del fuso orario locale ci ha disorientati, ma Benia Nasaire (tel 97154948, guida autorizzata dell’hotel “Jardin Brasilien Auberge de la Diaspora”) ci aspetta in rassegnata serenità. Saliamo a bordo di Gazelle per un tour mirato alla visita dei luoghi che hanno segnato la tratta degli schiavi nella storia della città. Partiamo dal vicino “arco del non ritorno” che inquadra un settore di mare oggi particolarmente blu….e da qui proseguiamo lungo la “route des esclaves” soffermandoci ad osservare le sculture che ne segnano la via sui due lati. I soggetti sono ovviamente legati a quel commercio disonorevole ed alla dinastia Dahomey che lo ha incoraggiato, il tutto farcito di figure mitologiche locali. Le sculture, realizzate in cemento e poi colorate di verde, non sono di particolare pregio ma illustrano senza drammaticità e con l’ausilio di una plasticità morbida le figure fondamentali legate a questo tema. Arriviamo poi al luogo nel quale uomini, donne e bambini ridotti in schiavitù venivano marchiati a fuoco dopo essere stati immobilizzati ed “imbavagliati” con un ferro cilindrico fissato tra i denti e legato dietro la testa….alcune sculture ne riproducono l’immagine esatta. Di fronte a tanta scellerata crudeltà, immersa in questo luogo di sofferenza e di morte non riesco a trattenermi….le braccia attorno al collo di Vanni piango pensando alla ferocia insita nell’uomo di ogni tempo…ed alle forme nelle quali si è espressa e si esprime ancora oggi. Proseguiamo la visita, con lo stesso spirito con il quale seguiremmo un funerale….e vediamo l’ “albero del ritorno”, attorno al quale gli uomini incatenati giravano diverse volte affinché le loro anime tornassero a casa il giorno della loro morte, poi la fossa comune ed infine il “tempio dei pitoni” dove vengono eseguiti i riti vudu che cadono ogni sette anni. Nel giardino del tempio si erge un grande albero magico vecchio di 400 anni, frondoso e coperto di liane…..è il luogo nel quale viene sacrificato il montone. Le sue radici vengono cosparse del sangue dell’animale e poi spruzzate di farina di mais. Dentro ad un piccolo edificio a forma di tempietto, riposano una cinquantina di pitoni…che però è Vanni questa volta a fotografare!…..ma non finisce qui…acconsente a che gliene venga messo uno attorno al collo…per purificarsi dicono. Di fronte al tempio dei pitoni si erge la grandiosa cattedrale cattolica in stile neogotico. Ultima tappa della visita di questa cittadina disseminata di antichi edifici portoghesi è la visita al museo che descrive attraverso fotografie, disegni , mappe e cimeli la storia del commercio degli schiavi e della religione nazionale….il vudu. E’ di Vanni l’ottima idea di proseguire la nostra giornata di esplorazione del territorio verso Ganvié….un villaggio il cui nome significa “luogo della pace”. Ad una quarantina di chilometri da Ouidha, in prossimità della città di Cotonou, deviamo verso Nord ancora per qualche chilometro, poi entriamo in una stretta sterrata affollata di bancarelle e negozi…praticamente il mercato….e raggiungiamo così la riva del lago, affollato di venditrici di pesce, dove decine di piroghe sono in attesa di qualche cliente per il tour. Ciò che andremo a visitare è un pittoresco villaggio di palafitte che occupa una parte del lago Nokoue. Gli antenati dei suoi attuali abitanti vi si insediarono per fuggire alla schiavitù ed alle guerre e scelsero per questo un luogo difficilmente raggiungibile, ovvero questo lago paludoso dalle acque piuttosto basse. Dopo aver acquistato i bglietti (5.050 cfa a testa) saliamo a bordo della piroga a motore e salpiamo in compagnia di Nasaire, una guida locale obbligatoria ed il marinaio fisso a poppa. E’ piacevolissimo procedere lenti sulle acque tranquille della laguna, tra le ninfee ed i recinti di foglie di palma….un originale sistema di pesca che gli abitanti del villaggio hanno disseminato nelle acque della laguna. Si tratta di recinti circolari più o meno ampi creati conficcando sul fondo della laguna le foglie di palma che macerandosi vengono colonizzate dai molluschi dei quali i pesci vanno ghiotti. Quando è il momento giusto il recinto viene circondato da reti e la trappola è fatta. Un metodo semplice ed efficace….a giudicare dalla quantità di pesce che vediamo trasportato nei canestri a bordo delle piroghe sospinte dalle signore del luogo! L’economia del villaggio è basata sulla pesca ed il turismo, uniche fonti di guadagno dei locali che possiedono almeno tre piroghe per famiglia….una per l’uomo che va a pescare, una per la donna che deve raggiungere la riva per vendere il pesce, ed infine una riservata ai bambini per andare a scuola. La laguna è tutta un fermento di attività legate alla pesca, alla messa in opera delle foglie nei recinti, al trasporto del pesce ed alla sua vendita….insomma c’è un gran andirivieni di silenziose piroghe alla cui guida sono soprattutto le donne, sole o in compagnia di un bambino in fasce legato alla schiena….coperte da cappelli di paglia dalla tesa larghissima per proteggersi dal sole ed anche dalle foto dei turisti. Mentre procediamo avvicinandoci al villaggio una veloce pinasse ci supera di lato….è piena di taniche di carburante. La guida ci spiega che si tratta di contrabbandieri che fanno la spola tra Ganvié e la vicina Nigeria…con soddisfazione immortalo i malfattori con uno scatto a tradimento. Le palafitte si profilano in fondo allo specchio di acqua immobile….mentre ci avviciniamo il traffico di piroghe si fa sempre più intenso fino a rasentare l’ingorgo. Le palafitte sono quasi tutte di legno o di canne affiancate, alcune sono colorate altre sono così inclinate che sembrano dover crollare da un momento all’altro. Oltre alle abitazioni c’è un bar con annesso negozio di souvenir, un luogo nel quale si va a prendere l’acqua potabile, un mercato di piroghe dove poter acquistare frutta e verdura fresche….insomma non manca nulla in questo pittoresco villaggio. C’è anche una grande statua…del re che fondò Ganvié….che meraviglia questo luogo! Vanni non si trattiene e chiede quanto costa uno specchio d’acqua sul quale costruire una palafitta….150.000 cfa, ovvero circa 200 € che a noi sembrano persino troppi! Al ritorno mi addentro nel mercato sulla terraferma in compagnia di Nasaire….sono curiosa di vedere le bancarelle di articoli per il vudu….a seconda dell’obiettivo che si vuole raggiungere sono diversi gli oggetti da impiegare…. Sui piani di legno dei banchi del mercato sono esposte rane secche, pelli di felini, teschi di capre, serpenti secchi come anche topolini, scoiattoli e tanto altro ….ma sempre rigorosamente secco…..dimenticavo dei codini di cavallo o asino, quelli classici che si vedono in mano agli stregoni nelle pellicole di Holliwood. Scatto un paio di foto pagando un piccolo compenso di 300 Cfa, poi rientriamo a Ouidah dove ritiriamo il machete che Vanni aveva lasciato per l’affilatura ad un vecchio arrotino…..ora finalmente gli strumenti per la nostra difesa sono a posto! Diamo a Nasaire il suo compenso di 20.000 Cfa e ci rilassiamo infine nel nostro bungalow tra le palme vicino alla spiaggia. Ceniamo anche questa sera nell’area ristorante accanto alla piscina, protetti da una tettoia in tubolari di ferro che ci fa sentire piuttosto ad un festival dell’unità, illuminata da tubi al neon che rendono l’atmosfera vagamente spettrale. Anche questa sera la Carpe rouge non è disponibile….iniziamo a pensare seriamente che non si tratti di un pesce ma di uno spirito vudu finito casualmente sul menu….ma l’avocado al tonno, pomodoro e cipolla è squisito così come il barracuda alle erbette.

07 Gennaio 2009

OUIDAH – ABOMEY

Impieghiamo circa una ventina di minuti per avere il conto che il gestore ricalcola tre volte per sicurezza, poi dopo un saluto a Nasaire che è venuto a portare un cadeau a Vanni, partiamo diretti ad Abomey. Baipassiamo ancora una volta Cotonou nella quale proprio non vogliamo entrare e ci spingiamo a nord sulla N2 seguendo un tracciato a gimcana per evitare i numerosi buchi della strada rettilinea. Abbandoniamo il bel paesaggio della costa per spingerci all’interno di una brousse con pochi alberi e generalmente spoglia che segue il terreno ondulato del Benin meridionale. A giudicare dalla povertà della vegetazione pare che i beninesi siano riusciti a superare i vicini togolesi in fatto di devastazione ambientale….ma è solo una ipotesi scaturita da una deprimente mattinata di cielo nuvoloso. Arrivati ad Abomey ci perdiamo cercando l’hotel d’Abomey che inseguiamo nella speranza che la Lonely Planet non abbia anche questa volta surclassato il reale livello di comfort degli hotel consigliati……ma la speranza, ci rendiamo conto presto, è vana. L’hotel si presenta piuttosto bene….i bungalow circolari rosso mattone coperti con tetti di paglia a cono immersi nella vegetazione rigogliosa del giardino, sembrano presupporre la stessa cura anche al loro interno, ma non è così. La suite che affittano al prezzo esoso di 55.000 Cfa è inaffrontabile per l’enorme salotto cinese che ne occupa il soggiorno….il più brutto che abbiamo mai visto! Alla fine optiamo per la camera matrimoniale semplice ma con acqua calda, che almeno ha una sola poltrona! Luce al neon, piastrelle sudicie ovunque, ma le lenzuola sono pulite…almeno questo! usciamo immediatamente dopo aver appoggiato i nostri trolley sul pavimento….dopo il Le Palmaraie di Ouaga non abbiamo più avuto il piacere di occupare una camera piacevole….cosa ci vuole a mettere una abadjour al posto di uno squallido tubo al neon? Il prossimo trolley diretto in Africa conterrà senz’altro le candeline Ikea. Andiamo all’ufficio turistico nella speranza di poter acquistare una mappa stradale del Benin, ma nulla da fare e l’impiegato non conosce nemmeno le condizioni della strada che si spinge verso Nord. Arriviamo finalmente al museo di storia di questa città che fu, e scopriamo essere ancora, la capitale del regno Dahomey….quello per intenderci i cui re vendevano gli schiavi ai mercanti portoghesi. Le due sole cose per le quali il museo è famoso è innanzitutto la sua sede….il palazzo del re Glelé e quello attiguo di suo padre, il sanguinario Ghezò…..ed in secondo luogo per il trono di quest’ultimo….di legno lavorato a traforo che appoggia sui quattro teschi dei suoi peggiori nemici. All’interno del museo ci sono un paio di ceramiche faentine e cosa buffa, la sputacchiera del re…..il cui uso è fondamentale in un paese animista, perché con un pò di saliva si può fare un Gri gri mortale! Quindi tutti quelli del re erano custoditi da una principessa all’interno del contenitore che vediamo, ed a fine giornata venivano da lei gettati in un luogo segreto. La nostra brava guida, una bellissima ragazza che ci spiega con trasporto tutte le vicende legate al regno Dahomey, mi vieta tassativamente di fotografare tra le altre cose anche i bassorilievi di argilla colorata che, protetti dall’Unesco, hanno resa famosa l’intera città. Anche se stentiamo a crederlo, siamo in luogo sacro! Sono figure semplici, quasi infantili, che descrivono scene di guerra particolarmente cruente….per esempio la decapitazione di un nemico. All’interno del museo gli oggetti più belli da vedere sono quelli che gli ambasciatori portoghesi regalarono ai vari regnanti che si susseguirono al potere fino all’ultimo, catturato ed esiliato nel 1902 in Martinica dai francesi conquistatori. Solo in quella data, con un ritardo di 40 anni rispetto al resto del mondo….se si esclude la Mauritania, si abolì la schiavitù in Benin. La case (feticcio) del re Ghezò, quello che istituì un esercito di amazzoni, è costruita con un impasto di fango e sangue umano, oro, acqua dolce e marina….all’interno di questo feticcio fatto a forma di casa dovrebbe albergare lo spirito del re. Dopo Ouidah, questa cittadina è il luogo più negativo nel quale mi sia mai trovata, ma il disagio che sento nell’essere qui mi sembra del tutto giustificato. Altro che luogo sacro…è come se ci trovassimo ad Auschwitz!…e poi l’assurdità della modalità della visita al sito sacro…figuriamoci che l’accesso alla tomba del re Ghezò ci è stato negato perché è vietato farlo quando in città è giorno di mercato…cioè oggi. Per non parlare delle 41 tra le sue 4000 mogli che si offrirono volontarie per essere sepolte vive….per accompagnarlo nel suo viaggio nell’aldilà…una carneficina risalente a circa 150 anni fa.
Sulla strada del rientro in hotel rimaniamo colpiti dalle decine di mototaxi che circolano per le strade….non è male come modalità di trasporto in città. Veloce ed all’aria aperta….d’estate potrebbe funzionare anche da noi! Sono seduta in giardino, su una sedia di vimini dondolante spolverata per l’occasione, quando vedo Vanni arrivare contrariato con in mano la chiave della suite. Stava per fare la doccia, nella nostra camera da 22.000 Cfa, quando nell’aprire il rubinetto la manopola gli è rimasta in mano. Ci hanno quindi spostato nella suite, dove dalla doccia scende un filo d’acqua gelida, ma il letto è un pò più largo…..una lotta questo Benin! Ceniamo malissimo in hotel….per fortuna domani saremo altrove.

08 Gennaio 2009

ABOMEY – NATITINGOU

Che sorpresa questa mattina…poco dopo l’uscita dalla città siamo fermi in fila….e lo rimaniamo per circa un’ora e mezza. Mentre aspettiamo di arrivare al punto critico facciamo alcune ipotesi….un ponte crollato?….un incidente?…..intanto una moto della polizia fa la spola per controllare che nessuno faccia il furbo superando la colonna che si muove al ritmo di un bradipo. Non si può capire il nostro stupore quando capiamo il motivo del blocco….Un poliziotto è al centro della carreggiata, sull’altro lato un signore del paese tiene in mano il sacco nero dove raccoglie le offerte in denaro degli automobilisti…attorniato dai compaesani che con vestiti coloratissimi sono fermi ai due lati della strada….una follia! una sorta di festa paesana a scopo di estorsione spalleggiata dalla polizia. A noi non chiedono nulla….ma abbiamo perso un’ora e mezza del nostro tempo proprio all’inizio di un viaggio che sarà lungo. Perché chiedessero del denaro rimane un mistero insondabile…ma questo paese è pieno di misteri! Procediamo verso Nord tra la vegetazione rigogliosa…. i granai nei villaggi cambiano leggermente la loro forma mentre la strada sale e scende assecondando l’orografia leggera del territorio. Non ci fermiamo mai, se non per evitare di investire una scrofa, qualche pulcino, una bambina ed una capretta. La N3 del resto è inaspettatamente in così buone condizioni che il procedere è piacevole e senza intoppi. Arriviamo all’hotel Tata Somba di Natitingou alle 15 in punto, dopo sette ore di viaggio ininterrotto….l’hotel ha un bel look e la camera è confortevole e pulita ed il suo costo di 30.000 cfa la rende addirittura a buon mercato. Le pareti esterne sono di colore rosa e si sviluppano su due piani, ad anello attorno alla piscina con giardino centrale. La gentilezza regna sovrana….insomma staremo bene! Mentre Vanni è fuori a sbrigare le solite incombenze che consistono nel prelevare denaro e mettere un pò d’olio su Gazelle, io faccio due chiacchiere con Joseph che sarà la nostra guida per i prossimi due o tre giorni e che ci accompagnerà a visitare le Tata Somba beninesi, una variante delle case fortezza già viste in Togo, ed il Parco de la Pandjari che pullula di animali. Il cielo è finalmente sereno e senza polvere, forse per via dei 440 m. di altitudine di questa nostra tappa….insomma questo Natitingou si presenta per ora come un piacevole atterraggio. Solo quando Vanni rientra ci rendiamo conto di aver perduto l’unico telefono funzionante che ci rimaneva…ovvero il suo vecchio Nokia con la mia scheda contenente la rubrica….il satellitare Thuraia ha smesso di funzionare in Togo ed il mio cellulare non si carica più…insomma siamo isolati. Sospettiamo che qualcuno ci abbia fatto un gri gri tecnologico! Intanto il mio maritino, che cerca sempre una soluzione ad ogni problema, è riuscito a farsi aggiustare il mio telefono….nel quale però non ho in memoria nessun numero della mia rubrica. Ci accomodiamo per la cena in un tavolo del giardino ….ma nel giro di un’oretta sembra di essere nel cortile di una caserma. Un andirivieni di militari in mimetica vanno avanti e indietro come mosche attorno alla tavolata che i camerieri stanno predisponendo per accogliere il ministro della difesa ed il suo gruppo di collaboratori. La moglie, vestita in abito tradizionale completo di copricapo in tessuto chiaro, si defila quasi subito. Il ministro invece, rimane a discorrere con i suoi uomini mentre si abbuffa mangiando a bocca aperta, anzi spalancata. Questa notte non avremo certo problemi di sicurezza visto l’affollamento di militari…siamo in una botte di ferro!

09 Gennaio 2009

NATITINGOU – BOUKOUMBE’ – NATITINGOU

Porta con sé un binocolo, una valigetta con il necessaire per la notte e la macchina fotografica….è davvero professionale il nostro Joseph. Poco dopo, quando in auto ci dirigiamo verso le tata somba bellissime di questa zona, ci mostra il suo tesserino di guida professionale e ci spiega che ogni hanno, per mantenerlo, deve sostenere un esame. Dopo poche decine di chilometri siamo immersi nel territorio dei Betamaribé che tradotto significa costruttori….coloro che costruiscono le loro case con la terra. Raggiungiamo la prima meravigliosa Tata nel villaggio di Kouaba….sembra un piccolo castello di fango rossiccio. Il volume è articolato in svariate torrette, che ne compongono il perimetro, coperte con gli immancabili tetti di paglia a forma di cono. All’interno delle torrette trovano posto i granai e le minuscole camere da letto accessibili dal tetto piano. Joseph ci spiega che in quest’area a Sud Ovest di Natitingou, esistevano sei tipologie di case fortezza….ora ne rimangono solo quattro, diverse le une dalle altre per sfumature che però ne fanno scaturire volumetrie e facciate decisamente particolari. La prima che vediamo ha la porta di ingresso che si allarga in una sorta di cerchio sospeso a metà della sua altezza…..serve a consentire agli animali di entrare agevolmente anche in assenza di una porta larga. Dalla porta entriamo all’interno di un vestibolo a pianta circolare che serve per la preparazione dei cereali. Sulla destra un piano alto circa 80 cm contiene le due pietre per macinare arachidi e sorgo, nella nicchia di fronte a questa, un foro scavato nel pavimento, serve da mortaio dove macinare il miglio con l’aiuto di un bastone. Superato il vestibolo accediamo alla sala principale riservata ad ospitare gli animali e le persone anziane che avendo difficoltà a raggiungere le camere sul tetto ne approfittano per fare la guardia all’intera casa. I volumi cilindrici dei granai accessibili dall’alto, sono usati in basso come pollai…li vediamo aprirsi in piccole aperture sulla sala principale piuttosto buia. Ci facciamo strada tra i pilastri di legno terminanti a v, che sorreggono le travi del basso solaio di copertura, ed accediamo attraverso la solita scaletta alla terrazza….il fulcro della vita del gruppo, nonché esplosione di torrette di varie dimensioni nel suo perimetro nelle quali si trovano due camere da letto e quattro granai. Anche qui come in Togo, la vita si svolge prevalentemente su questa terrazza, dove si cucina, si mettono ad essiccare le granaglie e si ascoltano le storie che accompagnano i pasti e il dopo cena. Nella stanza al piano terra che ospita gli animali e gli anziani, si accendono di tanto in tanto dei fuochi per asciugare il legno della struttura affinché non marcisca e crolli. Fuori dalla porta d’ingresso non mancano i feticci, li osservo dall’alto sporgendomi dal parapetto…c’è anche un anziano cacciatore nei pressi, che munito di arco e frecce posa per una foto mentre mostra a Vanni la sua arma. Una giovane ragazza ha il viso tutto segnato da sottili cicatrici che formano come la trama di un tessuto….tutti i componenti della famiglia, a parte le mogli acquisite da altri gruppi, hanno le stesse cicatrici che rappresentano la loro carta d’identità. Vengono fatte tagliando la pelle del viso con uno strumento affilato ai bambini di cinque anni….la sofferenza è enorme, ma necessaria per la conservazione della barbara tradizione. Anche Joseph le aveva, ci racconta, ma siccome non è mai stato d’accordo con questa crudele tradizione allora gli sono sparite tutte ad eccezione di quelle sulla schiena, le gambe e le natiche che noi non vediamo….e conserva anche il trauma di quel giorno, a giudicare dal suo viso serio e triste mentre racconta. Dopo ancora un pò di strada arriviamo sull’altro lato dello stesso villaggio per vedere una Tata Somba un decisamente diversa. Si può individuare qui una facciata articolata in quattro torrette, le più esterne sono a pianta circolare, quelle più interne invece a pianta quadrata. L’apertura di ingresso ha i fianchi perfettamente rettilinei che seguono all’interno con due pareti, ovvero parte dei muri perimetrali dei granai superiori. Attraverso lo stretto corridoio si accede alla sala principale sulla quale si affacciano diverse piccole aperture dei vani adibiti a magazzino. Al centro della sala è stato scavato il foro che serve da mortaio e attorno ad esso è stato costruito un basso muretto circolare che impedisce alle granaglie di perdersi sulla terra battuta del pavimento. Una piccola apertura consente l’accesso alla cucina leggermente rialzata e da lì la scaletta porta alla terrazza ancora affollata di torrette e di tetti di paglia. La differenza più evidente che noto rispetto alle Tata togolesi è che qui i granai sono divisi dalle torrette sottostanti, attraverso un basamento di bastoni di legno che li evidenzia formando una sorta di marcapiano….così come la superficie esterna delle pareti che risulta molto segnata dalle dita che ne hanno distribuito l’intonaco, a formare disegni. La volontà di decorare le pareti esterne con disegni si evidenzia nelle spighe di miglio stilizzate incise nella superficie esterna delle pareti con un bastoncino. Queste tata beninesi sono dei veri gioielli….non so perché non ancora protetti dall’Unesco come le gemelle togolesi. Stiamo per arrivare al villaggio di Boukoumbé per visitare le altre due varianti delle Tata, quando Vanni entra in allarme per le luci del cruscotto che tutte accese…..ci fermiamo, la diagnosi arriva immediata….le tre cinghie sono rotte. Ci fermiamo nei pressi del paese all’ombra di un enorme mango, poi Joseph parte in missione a cercare un meccanico. Noi invece siamo immediatamente al centro dell’attenzione dei bambini appena usciti dalla scuola, simpatici e curiosi. Osservano Gazelle, e le cose che contiene, alla ricerca di qualcosa da desiderare…ma sono educati e non chiedono nulla, se non sottovoce e con gli occhi bassi. Il meccanico che arriva in moto con Joseph osserva le cinghie da sostituire ma non garantisce di poterle trovare, quindi scatta la telefonata al meccanico di Natitingou che arriverà con le tre cinghie da sostituire….ammesso che le trovi tutte. Alla fine è tutto un provare cinghie di varie dimensioni, ma poi il meccanico di Joseph riesce ad aver ragione del guasto montandone una nuova e due provvisorie da sostituire una volta rientrati in paese….il compenso di 45.000 cfa ci lascia però di stucco. Sono già le cinque quando ripartiamo dopo quattro ore di sosta….dopo aver rivoluzionato ancora una volta i nostri programmi ci avviamo a visitare la terza tipologia abitativa che si trova in un’area vicina. L’approccio con i suoi abitanti però non è semplice….tutti chiedono una mancia superiore ai 2.000 cfa che Joseph è disposto a pagare. Bussiamo a tre Tata prima di trovare quella i cui abitanti si mostrano più accondiscendenti, ma alla fine la spuntiamo ed eccoci di fronte ad una tata più piccola delle altre visitate e con un volume a pianta ovale che ne segna l’ingresso. Questo volume sale oltre il tetto piano a formare una camera da letto ed è coperta da un tetto piano sul quale vengono appoggiati i cereali da essiccare….e le foglie di tabacco che una signora, seduta all’ombra di un albero davanti a casa, fuma nella sua pipa. Tra tutte le donne incontrate oggi lei è l’unica ad avere un grande pearcing sotto il labbro inferiore e due grossi orecchini conficcati nei lobi. Ma torniamo alla nostra Tata….i granai sono più bassi qui e si inseriscono nel muretto di contenimento della terrazza alla quale si accede dalla cucina e da un altro piccolo terrazzino più basso. Altra novità è l’interfono tra la terrazza e la stanza-stalla sottostante….un foro largo una decina di cm è stato praticato nel solaio di copertura e serve a tenere in contatto le persone all’interno della casa con quelle che soggiornano sul terrazzo. Accompagnati dalla luce del tramonto rientriamo al confortevole hotel di Natitingou rimandando a domani il raggiungimento del parco nazionale.

10 Gennaio 2009

NATITINGOU – PARC NATIONAL DE LA PENDJARI

Partiamo con l’obiettivo di raggiungere l’area geografica vicina a Tanguieta dove vedremo la quarta ed ultima variante tipologica delle Tata Somba beninesi….le famose case fortezza. La strada è tutta asfaltata fino al villaggio, poi deviamo verso Tayakou attraverso un’ampia sterrata immergendoci nella brousse con pochi alberi che contiene i nostri gioiellini. Ci fermiamo dove la nostra guida ci indica, nei pressi di un baobab isolato lungo la strada, e poco oltre vediamo delinearsi il profilo della piccola fortezza che questa volta riusciamo a visitare senza troppe storie patteggiando un compenso di 2.000 cfa. Essendo quest’area povera di alberi con i quali costruire solai e pilastri, la casa fortezza è necessariamente di dimensioni più piccole….compresa l’altezza del solaio che ci costringe, una volta entrati, a procedere chini….i pilastri di legno terminanti con la classica forma a v sono alti appena 150 cm. La stanza-stalla al piano terra è di dimensioni piuttosto ridotte, non più di 20 mq compresi i piccoli ambienti attigui che occupano le basi delle torrette circolari, nei quali gli animali entrano attraverso le piccole aperture quadrate al centro della parete. Da questo ambiente non c’è nessun modo di salire al tetto piano se non uscendo e salendo la ripida scaletta esterna ricavata dal tronco appena sbozzato. Non ci sono tetti di paglia qui, né granai né camere, tutto lo spazio del terrazzo è riservato all’essiccatura delle granaglie…..ma le torrette non mancano ad articolare il muro perimetrale in ondulazioni che si inseguono su tutto il volume. Le Tata Somba di oggi sembrano piuttosto citazioni di una tradizione costruttiva che presto sparirà….Le capanne abitate da questa famiglia sono sparse attorno ad essa. Di forma cilindrica e poste una accanto all’altra, non hanno però il carattere degli incredibili castelli di fango. Torniamo sui nostri passi ed a bordo di Gazelle raggiungiamo di nuovo il centro di Tanguieta dove ci fermiamo per una visita all’ospedale italiano Fatebenefratelli ed un saluto a Padre Fiorenzo ( fiorenzo.tgta@yahoo.it tel. +229 90663398, +229 23830036 ) che fondò l’ospedale e che ora ci accoglie con un bel sorriso ed una poderosa stretta di mano. Essendone il fondatore, inizia a raccontare la storia della crescita dell’ospedale, da piccolo nucleo a grande centro annesso alla missione…e della sua vita, strettamente legata alla medicina, che lo vede diviso tra il Benin ed il Camerun dove ha avviato un centro di ortopedia. Vanni è sempre molto commosso di fronte a questi personaggi di grande fede e generosità, quindi gli lascia una generosa offerta e ripartiamo, diretti alle cascate di Tanougou che vediamo prima di arrivare all’entrata del Parco. Aiutati da un paio di ragazzi dell’associazione che si occupa della gestione della cascata, ci arrampichiamo sui piani inclinati delle rocce fino a raggiungere la seconda più alta cascata d’acqua. Il percorso per raggiungerla sembra una grande scultura ricavata nella roccia scura e caratterizzata da lisce superfici inclinate dove l’acqua scendendo crea tanti piccoli salti. La pozza, che raccoglie il getto concentrato di acqua in caduta, ci ricorda molto quella vista nei pressi di Kpalimé, anche se qui la vegetazione più rarefatta consente al cielo azzurro di oggi di specchiarsi sulla superficie del laghetto. Mentre siamo seduti in contemplazione, il portavoce delle giovani guide seduto accanto a noi, si lamenta del poco guadagno legato all’attività della cascata…..diamo qualche consiglio e suggeriamo un paio di idee per poter sfruttare le potenzialità del luogo….come ad esempio investire un micro-credito nell’acquisto di una piccola piroga per portare i turisti vicino al getto d’acqua, o ripopolare di farfalle per aggiungere attrazioni a questo luogo….ormai non ne possiamo più di lamentele! Ripartiamo ancora verso Nord sulla sterrata che prosegue fino all’ingresso di Baria del Parco de la Pendjari, poi dopo l’acquisto dei biglietti di ingresso ( 10.000 cfa a persona + 3.000 per Gazelle ), sempre guidati da Joseph, ci dirigiamo verso il cuore del parco, nell’acquitrino melmoso di Bali. Sviluppatosi nel cuore della savana è pieno di coccodrilli e c’è anche qualche ippopotamo che sonnecchia quasi completamente immerso. E’ un posticino incantevole questo acquitrino, sul quale si affaccia qualche grande albero pieno di nidi….circondato da vegetazione valliva e popolato anche da numerosi uccelli. Rimaniamo incantati ad osservare ascoltando gli splendidi suoni della savana….è meravigliosa anche la luce, che a quest’ora si tinge delle tonalità calde del tardo pomeriggio. Ci avviamo poi sul sentiero che conduce all’hotel de la Pendjari, sorto nel cuore di questo grande parco che spingendosi verso Nord sconfina in Burkina Faso….il fiume che ne traccia il confine naturale scorre a pochi chilometri dalla nostra confortevole camera con aria condizionata. Sono davvero pochi gli avvistamenti che riusciamo a fare prima del crepuscolo, quando decidiamo di rientrare definitivamente in hotel…..qualche antilope, babbuini, ma nessun felino e nemmeno gli elefanti dei quali però non mancano le tracce. Pare che siano ghiotti dei cuori di palma e non si contano le palme abbattute e smangiucchiate così come le inconfondibili impronte nel fango ormai secco che li aveva visti passare nella stagione delle piogge. Ad attenderci per la cena, la piacevole compagnia di una coppia di italiani nostri coetanei, che condividono con noi la passione per i viaggi e l’avventura. L’ incontro casuale di Umberto Brusasca ( umbertobrusasca@yahoo.it – tel 335 5298305 ) e di sua moglie Graziella Gregorio, oggi nel parco, si è trasformato in una bellissima serata insieme riccamente condita di racconti nostri e loro relativi ai viaggi più recenti……naturalmente anche loro collezionano vecchie Toyota Land Cruiser…..che bel sodalizio quello di questa sera e che complicità! Non sentirsi soli in questo girovagare in paesi al limite dei requisiti minimi di sicurezza personale, aiuta a sentirsi più forti! Ceniamo inaspettatamente bene sotto l’enorme makuti dell’hotel…..la costoletta di maiale è il pezzo di carne più tenero che io abbia mangiato da mesi.

11 Gennaio 2009

PARCO NAZIONALE DE LA PENDJARI

L’appuntamento delle 6.30 con Joseph è decisamente troppo presto viste le ore piccole fatte ieri sera in piacevole compagnia. Partiamo con il cielo ancora buio ed una meravigliosa luna piena alta sull’orizzonte, ma di animali non c’è traccia…..solo dopo un’oretta avvistiamo un gruppo di piccoli elefanti che attraversano in fila indiana la pista. Il paesaggio è un incanto…..soprattutto alle prime luci dell’aurora che precede l’alba. Gli acquitrini di cui il parco è ricco sono quelli che ci affascinano di più….per la perfetta riflessione della vegetazione sulla superficie immobile e densa dell’acqua. Questi sono anche gli unici punti in cui è consentita una sosta per sgranchire un pò le gambe… Percorriamo circa 150 km prima di rientrare in hotel verso l’ora del pranzo, delusi per la penuria di animali avvistati nella mattinata…anche Umberto e Gabriella, incontrati per caso su una pista, avevano lamentato la stessa considerazione. Dato che il Parco non ci da soddisfazione, prendiamo la nostra rivincita nell’intimità silenziosa del nostro letto a baldacchino protetto da una zanzariera azzurra….siamo così spossati che poi rimandiamo l’appuntamento delle 16 con Joseph a data da destinarsi, prendendoci tutto il nostro tempo per recuperare la spossatezza di oggi. Alla fine rimaniamo in hotel….tanto di animali qui ce ne sono davvero pochi…e mentre gustiamo l’ ottimo crème caramel che arriva inaspettato dalla cucina, commentiamo la richiesta di finanziamento da parte di Joseph, ….ha chiesto a Vanni 7 milioni di cfa per finanziare il suo progetto nell’ambito del turismo.

12 Gennaio 2009

PARCO DE LA PENDJARI – MALANVILLE

Seguendo il consiglio della nostra guida, alle 7 siamo già a bordo di Gazelle nella vana speranza di avvistare qualche animale prima delle ore più calde….Joseph ( yokossi.joseph@yahoo.fr ) potrebbe avere ragione se di animali però ce ne fossero! Poiché la pista che dovremo percorrere oggi verso Banikoara sarà impegnativa perché in pessime condizioni, ed il tempo non è mai abbastanza quando si devono affrontare 120 km di questo tipo….ci avviamo senza indugi in quella direzione. I 75 km all’interno del parco sono disseminati dei buchi lasciati dagli elefanti e dagli ippopotami negli invasi argillosi durante la stagione delle piogge. Sobbalziamo in continuazione con l’aggravante di non vederne nemmeno uno…..solo qualche antilope e facoceri rappresentano il magro bottino della mattinata. Una volta usciti dall’area protetta, la nostra guida si ferma a prendere informazioni….dal 2003 non ha percorso la pista che prosegue fuori dal parco, e deve avere le idee un pò confuse. Alla fine, per non sbagliare, devo mostrargli il nostro gps che lo convince a deviare verso est al bivio per Banfora che raggiungiamo dopo una serie di scossoni che mi fanno rompere la spallina del reggiseno. Solo alle 15.00, dopo 8 ore di pista a tratti estremamente impegnativa, raggiungiamo il primo obiettivo di oggi, la cittadina di Banfora, nella quale accettiamo di fare una sosta. Joseph è affamato e così ne approfittiamo per unirci al pranzetto che consumiamo in un modesto ristorante popolare che ha alcuni tavoli nel cortile di una casa. Le verdure abbinate al riso che assaggiamo sono buone anche se molto piccanti….ma la cosa sorprendente è il costo del pranzo. 1.700 cfa per i tre piatti che mangiamo e la coca cola da un litro…meno di tre euro totali. Dopo il pranzo ci muoviamo in direzione Kandi, la cui strada è con nostra sorpresa perfettamente asfaltata….un lavoro probabilmente recente. Ci congediamo da Joseph scaricandolo sulla strada principale del paese, lo paghiamo del compenso stabilito di 10.000 cfa al giorno più le spese per il rientro a Natitingou in taxi-brousse. Con una certa fierezza mi siedo al mio posto di copilota ed ecco che il paesaggio riappare in tutta la sua interezza. Posso così ammirare i miei alberi preferiti, i flamboiant dai fiori rossi e carnosi e senza foglie che discretamente colorano il cielo azzurro sopra la brousse gialla di erba secca. Atterriamo all’hotel Sota di Malanville, mezzi morti, verso le 18. Dopo 11 ore di viaggio…..ma l’hotel per fortuna è confortevole anche se l’acqua calda è solo un sogno, ed il climatizzatore, che fa un gran baccano, aumenta il nostro mal di testa. Costo di 22.000 Cfa. Ceniamo benissimo qui al Sota. Il cuoco ci propone un ottimo bollito servito con il suo brodo e le verdure….ed ottimi dessert.


Menù delle città

Percorso della tappa

Fotografie
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Cambia Tappa

10 Benin

Africa

11 Niger

Africa

12 Nigeria

Africa

13 Camerun

Africa

14 Camerun

Africa

15 Gabon

Africa

16 Congo

Africa

17 Rep. Dem. Congo

Africa

18 Angola

Africa

11 Niger


13 Gennaio 2009

MALANVILLE – NIAMEY

Il confine è ad una decina di chilometri dall’hotel, quindi lo raggiungiamo presto e senza problemi superiamo anche la frontiera con il Niger dove ancora nessuno si accorge del nostro carnet de passage scaduto…..o noi siamo molto fortunati oppure loro non sono dei grandi burocrati! Dopo pochi chilometri ci fermiamo ad un posto di blocco per un altro controllo documenti e, pochi metri dopo, un ubriaco ci minaccia dicendo che è pericoloso circolare soli da queste parti….. un modo davvero originale di chiedere un passaggio! Dopo la cittadina di Gaya inizia un percorso molto accidentato che ci fa sobbalzare per almeno 50 km, poi finalmente l’asfalto si fa buono consentendoci di proseguire comodi fino a Dosso e poi a Niamey. Fin dall’ingresso nel sahel, dove i grandi alberi frondosi lasciano il posto alle spinose acacie, il terreno da coltivato si fa sempre più sabbioso e adatto piuttosto al pascolo. Sui lati della strada, ma piuttosto arretrati da essa, i villaggi cambiano aspetto….le capanne diventano circolari con tetto di paglia, ed i granai dei piccoli capolavori di argilla….panciuti e con numerosi appoggi al suolo, come tanti piedini di argilla. Coperti in alto da un ampio tetto di paglia sono davvero particolari rispetto a quelli visti finora. Al terreno arido e sabbioso segue la ricomparsa dei dromedari, che vediamo brucare nei bassi rami delle acacie…..e dei tuareg con i loro bei copricapi di tessuto arrotolato, vestiti dei boubou leggeri, che, rigorosamente in tinta unita, ricadono morbidi sui loro corpi. Siamo appena entrati nel paese più povero del mondo, dove il 90% della popolazione abbraccia la religione islamica e non sorride, e dove persino i pullman si fermano nelle ore canoniche per consentire ai passeggeri di pregare….la sensazione è quella di essere entrati in Mauritania, ma siamo in Niger e Niamey ci accoglie come una grande madre. Ordinata e migliore di altre capitali africane, ha il vantaggio di affacciarsi sul meraviglioso fiume Niger che come un serpente d’acqua unisce gli estremi della grande città. Ancora sul fiume si affaccia la finestra della nostra 328 al Gaweye Hotel, che abbiamo ottenuto con uno sconto di 10.000 cfa alla bella cifra di 65.000 cfa al giorno. Come quasi tutte le camere di hotel di stampo internazionale, ha la moquette, carta da parati, un ampio letto ed il bagno rivestito di marmo chiaro…..ciò che la rende speciale è la vista meravigliosa sull’ampio fiume che ormai amiamo. Sono piuttosto stanca quando arriviamo al Gaweye verso le due del pomeriggio e tutto ciò che desidero è rilassarmi in compagnia di una coca cola all’ombra di un ombrellone sul lungofiume….ma Vanni mi coinvolge, mio malgrado, in una sortita in città alla ricerca di una banca dove prelevare in automatico e di tabacco per me che ormai l’ho finito. Non è semplice trovare la strada giusta con il solo aiuto di una mappa mignon trovata su una pagina della nostra Lonely Planet….e nemmeno destreggiarsi nel traffico intenso nei pressi del mercato. Finisce che il bancomat della Banque Atlantique non accetta carte Visa ed anche la ricerca del tabacco si fa lunga ed inutile…. Se avessi gratificato il mio desiderio di starmene in relax all’ombra di un riparo di paglia sul lungofiume, sarebbe stato decisamente meglio! Finalmente al tramonto atterriamo al famoso ombrellone dove ci concediamo un sano relax accompagnato da Rum e Coca che finiscono con l’annebbiare le nostre idee. Ora le nostre attenzioni sono tutte puntate sulla cena che non abbiamo voglia di consumare qui…Abbiamo letto di un ristorante libanese del quale questa sera siamo in vena….quelle salse sono così buone! Il nostro taxista Amadou ci accompagna e ci attende. Quando dopo poco più di un’ora usciamo dal Byblos, siamo ancora più brilli per via dell’ottimo Bordeau che ha accompagnato le ottime pietanze. Quanto ci piace la salsa di melanzane…per non parlare di quella di ceci e di tutti quei panzerotti ripieni di carne speziata…..una squisitezza!

14 Gennaio 2009

NIAMEY

Il buffet dell’hotel ci accoglie con un buongiorno a base di colori e profumi…..se riuscissi a mangiare la mattina avrei fatto una scorpacciata di formaggi, ma mi limito ad una macedonia con croissant. Poco dopo usciamo in missione alla ricerca delle ambasciate per ottenere i visti necessari al proseguimento del nostro viaggio verso il Camerun. Vanni telefona prima di tutto al nostro Console Onorario a Niamey, il signor Paolo Gigli che però rientrerà in Niger solo dopo il 20 gennaio…..deve trattarsi del marito dell’omonimo Console di Ouagadougou, anch’essa assente quando abbiamo cercato di contattarla in Burkina…..Vanni è sempre più convinto, e ritengo abbia ragione, che buttiamo via i nostri soldi di contribuenti italiani. Scegliamo di andare in prima battuta all’ambasciata del Chad …..perché l’ipotesi di attraversare qualche centinaio di chilometri di deserto prima di entrare in Camerun, ci piace molto, nonostante siano stati già in molti a sconsigliarcelo….tra gli altri, Patrick a Lomé e Pierangelo a Ouaga ce ne avevano parlato come di una nazione pericolosamente in guerra in ogni suo angolo. E’ Issa Brahim (00227 96706392 ), il responsabile dell’ambasciata del Chad, a dissuaderci definitivamente dal mettere piede nella sua nazione….e lo fa esprimendosi nell’ italiano perfetto che ha imparato durante i suoi sette anni di studi a Firenze, dal 1976 al 1982. Ci ripete che il Chad non è sicuro, non solo in Darfur, ma anche nella fascia di confine con Libia e Niger. Non avete idea di cosa potrebbe succedervi….ci dice…e questo ci convince a cambiare il nostro programma preferendo al Chad la pur sempre poco tranquilla NIgeria, dove non più tardi di un mese fa sono morte 350 persone nel corso delle guerre intestine tra etnie diverse. Ma Issa non ha dubbi….questa scelta sarà senz’altro migliore della prima se non viaggeremo dopo il tramonto, cosa che peraltro abbiamo sempre evitato di fare nei nostri viaggi. L’ambasciata della Nigeria che raggiungiamo poco dopo accompagnati dal nostro taxista Amadou, rilascia visti solo due giorni la settimana….il mercoledì ed il venerdì, per cui dovremo aspettare fino a domani mattina alle 10, l’orario di apertura. Sempre a bordo del taxi di Amadou ci dedichiamo alla ricerca vana di tabacco per me….passiamo accanto al colorato petit-marché che è tutto un brulicare di persone e mercanzie tra cui tutta la frutta e la verdura immaginabile caricata su carriole…..Osservando l’abbondanza di questo mercato sembra impossibile che molti in Niger muoiano di fame per via delle carestie e più in generale della povertà. Percorrendo le strade di questa bella capitale, bella se paragonata ad altre capitali viste di recente, come Bamako, Ouagadougou, Nouakchott e Lomé, la vediamo affollata di begli edifici in stile anni ’70, servita da ampi viali alberati e piuttosto pulita…..e poi ha questo bel fiume Niger che amiamo e che, leggiamo sulla guida, si prosciugò completamente nel 1989 in seguito ad un lungo periodo di siccità. Rientriamo in hotel verso mezzogiorno e lamentandoci per il costo eccessivo del taxi licenziamo Amadou dopo avergli dato i 10.000 cfa che chiedeva. Quando dopo un’oretta di internet lo vedo venirmi incontro nella hall dell’hotel intuisco che voglia patteggiare una tregua ed infatti….. introducendo la sua proposta con un – io sono musulmano e non amo essere in cattivi rapporti con le persone -, si offre di accompagnarci gratuitamente al ristorante che sceglieremo questa sera. Accetto volentieri la sua proposta stringendogli la mano che più di una volta mi porge…..anch’io, pur non essendo musulmana, preferisco essere in buoni rapporti con gli altri….e la sua colpa è del tutto perdonabile. Alle 15.30 in punto siamo all’ingresso del Museo Nazionale che si trova comodamente di fronte all’hotel. E’ articolato in diversi padiglioni che illustrano la storia del Niger attraverso oggetti e fotografie….dalla preistoria alle tradizioni più recenti che a noi sembrano comunque appartenere ad epoche lontane….come gli abiti tuareg, beduini e fula completi di accessori e gioielli. Strumenti di caccia o per il lavoro nei campi, pugnali contenuti in vetrinette impolverate. Del resto la polvere è ovunque e sembra già un miracolo che da qualche giorno l’Harmattan abbia smesso di offuscare il cielo finalmente azzurro. Un piccolo insediamento Hausa è stato ricostruito con capanne di banco dai tetti conici, ma la cosa più interessante del museo sono gli scheletri dei dinosauri trovati tra la roccia di arenaria dell’Air, a nord di Agades. C’è persino un coccodrillo, il Sarcosuchus Imperator risalente a 100 milioni di anni fa….alto due metri e lungo quindici…..davvero spaventoso! Quando rientriamo la hall dell’hotel è invasa da un gruppo di nuovi arrivati, molti dei quali vestiti in abiti tradizionali, con lo cheche o con il classico copricapo palestinese all’Arafat….alcuni hanno l’aria un pò equivoca….nel senso che li troviamo poco rassicuranti con quei visi ossuti più o meno scuri e gli occhi da cattivoni. Alcuni sembrano mediorientali, ma chi potrebbe mai dirlo…vista la varietà di etnie presente qui in Niger. Quando la sera saliamo sul taxi di Amadou per andare al ristorante “Le Pilier”, il nostro taxista ci spiega che in hotel c’è una riunione politica….forse per parlare dei ribelli tuareg che hanno costretto Vittorio, il proprietario del ristorante, a chiudere i due ristoranti di Agades ed Iferouane a causa della totale assenza di turisti? Lo incontriamo dopo aver gustato l’ottima pizza nella taverna del suo articolato ristorante. Le finiture e gli arredi sono di tale pregio da costituire quasi una eccezione qui in Niger…Vittorio è qui da quarant’anni, ha sposato una signora tuareg dell’Air dalla quale ha avuto quattro figli ed ora due nipoti sono arrivati a rallegrare la sua esistenza. Conversiamo con lui a lungo, seduti nel chiostro del ristorante….dice che a differenza degli abitanti del Burkina, grandi lavoratori, i nigerini sono così orgogliosi e così legati alle tradizioni che rappresentano l’unico patrimonio storico, che stentano più di altri popoli a svilupparsi. Non è semplice farli lavorare, ma lui deve esserci riuscito se ha potuto realizzare un ristorante come questo. Ci congediamo dandoci appuntamento per domani…quando anziché la rustica “Taverna” proveremo il raffinato “Caravaggio”.

15 Gennaio 2009

NIAMEY

L’ambasciata nigeriana  non ci accoglie certo con un benvenuto vista l’ ora di ritardo dell’impiegata addetta ai visti. Quando finalmente abbiamo il piacere di incontrarla, vediamo una signora in abiti tradizionali  e dal viso bellissimo incorniciato in un foulard che le raccoglie i capelli.  Nel suo ufficio c’è anche suo figlio di non più di quattro anni  intento a giocare con la tata. Pesanti tendaggi oscurano le finestre e l’aria condizionata al massimo è da brividi. Con il viso assolutamente inespressivo e con un filo di voce ci rivolge qualche incomprensibile  domanda in inglese. Siamo già stati in Nigeria? Abbiamo intenzione di ritornarvi dopo questo primo soggiorno? Ci informa che il visto costa 65.000 cfa a testa poi incolla i visti adesivi sulle pagine dei nostri passaporti, li contempla e ci congeda. Dalle poche informazioni prese nell’ora abbondante di attesa, pare che il Nord della Nigeria non presenti problemi di sicurezza per chi viaggia, ed anche la regione di Kano, dove vige la Sharia, non rappresenterà un problema per noi ed io non dovrò coprirmi la testa con un velo. Che noia oggi….non abbiamo voglia di fare nulla, nemmeno un giro in piroga sul fiume che in questo tratto non sembra particolarmente interessante. Cerchiamo tra le notizie di internet, quelle più recenti sui ribelli tuareg e leggiamo che due giorni fa, nel corso di un attacco militare ad est di Kidal,  sono morti alcuni ribelli  ed otto sono stati catturati. Ancora a Kidal, l’incontro del 5 gennaio voluto da Gheddafi, è stato disertato dai rappresentanti dello stato e dell’esercito maliano. Nell’Adrar des Inforhas visitato un mese fa, la situazione non è dunque ancora stabile e gli aiuti economici elargiti ai tuareg da parte dello stato non sembrano aver soddisfatto questo popolo che più che libero, come si definisce, sembra scellerato. Dopo un pò di coccole è già l’ora del tramonto sul fiume, velato dalla foschia. Al “Pilier” assaggiamo le buone tagliatelle al ragù e la delicatissima parmigiana di melanzane, poi ci fermiamo di nuovo in compagnia di Vittorio per due chiacchiere sempre piacevoli.

16 Gennaio 2009

NIAMEY – BIRNI NKONNI

Ancora una colazione abbondante in hotel e partiamo congedandoci dal confortevole Gaweye. Il sole leggermente velato dalla foschia lascia presto il posto ad un cielo azzurro meraviglioso….l’ideale per una sosta alla vicina Kouré dove vedere le giraffe sembra quasi obbligatorio. Una corda tesa sulla strada in corrispondenza della biglietteria della piccola riserva è decisamente più che un invito a farlo. Siccome era nei nostri programmi rifarci della delusione del parco de la Pendjarie con la certezza dell’avvistamento delle giraffe, deviamo volentieri assecondando la barriera e con 13.500 cfa abbiamo anche una guida a nostra disposizione. Per avvicinarci al luogo degli avvistamenti percorriamo verso Sud ancora 15 km di strada asfaltata e poi deviamo verso Est in una pista che sfiora qualche villaggio di capanne….poi la nostra guida abbassa il finestrino e sedendosi sullo sportello inizia a scrutare la brousse, poi da a Vanni una direzione da seguire. attraversiamo qualche campo di miglio già raccolto e ci fermiamo….tre belle giraffe sono intente a mangiare le foglie di un paio di acacie. Sono belle, slanciate ed eleganti nell’incedere, il loro colore particolarmente chiaro le rende ancora più interessanti. Scendiamo e ci avviciniamo a piedi….non sono aggressive, ci rassicura la guida, sono abituate alle visite dei turisti. Quindi ci avviciniamo fermandoci solo ad una decina di metri da loro dove rimaniamo fermi, incantati ad osservarle. Non contenti seguiamo ancora un pò la pista e ci fermiamo nei pressi di un gruppo di una decina di giraffe che però presto ci voltano le spalle andandosene a mangiare altrove…..che bell’inizio di giornata questa sosta! Entusiasti degli avvistamenti andiamo ancora a Sud fino a raggiungere Dosso dove ci fermiamo in emergenza a sostituire ancora una cinghia rotta….. Da lì proseguiamo ad Est, verso Dogondoutchi che raggiungiamo troppo presto per fermarci….sono appena le 15 e la cittadina non sembra particolarmente attraente a parte l’affollatissimo mercato che vediamo passando dalla strada. Siamo vicini al confine con la Nigeria ed un poliziotto che ci ferma ad un posto di blocco inizia a parlarci in inglese…..per ostentare la sua erudizione? Andiamo ancora avanti verso Birni Nkonni a 143 km da qui, ma l’asfalto si fa estremamente accidentato fino a scomparire a tratti divorato dalla terra sottostante. Per fortuna poi migliora, poi ancora buchi….è davvero stancante questo tratto di strada che affrontiamo con la carica dell’avvistamento delle giraffe e con un fantastico sottofondo musicale….sulle note del mitico Salif Keita di cui abbiamo trovato, come un inaspettato regalo, una cassetta dimenticata dall’anno scorso nel portaoggetti. Tra i salti osserviamo le variazioni del paesaggio attorno a noi che diventa sempre più sabbioso punteggiato da qualche oasi verdissima. Qua e la speroni di rocce rossastre sembrano altari ancestrali cresciuti dal suolo polveroso. Formano rarefatte concatenazioni che scompaiono oltre la linea dell’orizzonte in morbide curvature. Arriviamo a Birni Nkonni poco dopo le 17, stanchi ed un pò nervosi per via della richiesta di un souvenir da parte di un poliziotto che ci aveva fermati in prossimità di un villaggio. Eppure stiamo entrando nell’area più islamizzata del Niger, con punte di integralismo che dovrebbero scoraggiare atteggiamenti di questo tipo. I mendicanti sono sempre più numerosi….storpi, ciechi… chiedono l’elemosina ai bordi della strada in corrispondenza dei centri abitati, fenomeno legato ai precetti dell’islam che impongono di aiutare con un obolo anche minimo i più bisognosi. All’ingresso della cittadina un paio di individui cercano di fermare la nostra auto con facce poco rassicuranti…..non capiamo cosa vogliono….venderci qualcosa? Infine raggiungiamo il consigliato “ Le Motel “ che la guida dice essere il migliore perché nuovo….ma la camera che ci viene offerta per 27.500 cfa è decisamente sottotono e manca l’asse del water…..tanto per cambiare! Il cuoco invece è in gamba ed incredibilmente mangiamo la bistecca di bue più tenera di tutte quelle che l’hanno preceduta. Siamo così distrutti che subito dopo crolliamo stanchi sul letto.

17 Gennaio 2009

BIRNI NKONNI – MARADI

Lasciata la camera spartana ci avviamo senza indugio verso Maradi, la città più integralista del Niger che potremmo raggiungere in un paio d’ore se non fosse per le condizioni pietose della strada che ci impegna per un tempo decisamente più lungo. Ci circonda il paesaggio polveroso e semi desertico del sahel interrotto qua e la dalle oasi verdeggianti e da promontori rocciosi che formano brevi falesie in lontananza. La cosa più bella che vediamo oggi sono i numerosi villaggi costruiti di fango nei colori della terra…..gli edifici scatolari contrastano con i meravigliosi granai dalle forme panciute….come enormi teiere bombate verso l’alto. Coperti da un cappellino di paglia a cono sono gli elementi caratteristici della tradizione costruttiva della zona. Sono raggruppati lungo la strada ed annunciano il villaggio che si sviluppa verso l’interno. Attraversiamo letti di fiumi disseccati il cui fondo di sabbia chiara, trasportata da chissà dove, contrasta con il colore rossiccio del terreno circostante. Le signore sono sempre più coperte da veli, gli uomini sempre con le loro tuniche lunghe e lo chèche arrotolato sul capo. I bambini attratti dal passaggio delle auto, si agitano nel vederci passare, agitano le mani, vogliono venderci sacchettini di frutti non identificati, oppure fanno finta di riparare la strada gettando una badilata di terra sulle buche mentre passiamo. Incrociamo anche un paio di mercati del bestiame…..assembramenti di uomini che contrattano animatamente accanto ai dromedari in vendita. Sono già le 13,30 quando arriviamo a Maradi …..quattro ore di viaggio per coprire poco più di 200 km di strada! Considerando che per raggiungere Zinder ne servono almeno altre quattro, decidiamo di fermarci qui, nella piacevole e spaziosa camera n°9 dell’hotel Guest House. Il lettone è coperto da un baldacchino di ferro battuto, i paralumi delle abadjour sono decorati con perline gialle….sembra un miraggio eppure esiste realmente ed al prezzo equo di 35.000 cfa….un’inezia rispetto a quanto pagato per la topaia di ieri sera. Vanni esce immediatamente alla ricerca di altre cinghie per Gazelle… so che in realtà desidera stare solo….in auto abbiamo almeno sei cinghie nuove! Io sono nervosetta…forse perché mi sento sempre in pericolo qui in Niger…non per la vita certo, ma mi scoccerebbe molto dover lasciare ad estranei i nostri consistenti bagagli sotto la minaccia di un kalashnikov. E tra qualche giorno entreremo in Nigeria, proprio a Kano dove Pierangelo ci sconsigliava vivamente di passare per via della sharia. Così agitata tutto mi da ai nervi compreso il modo di guidare di Vanni che rischia troppo ed osserva più il paesaggio che la strada, ma che mai al mondo mi cederebbe il volante. Quando rientra usciamo insieme a perlustrare la cittadina, molto animata nei pressi del mercato. Non c’è molto da vedere qui….solo qualche edificio nuovo di gusto discutibile con tetti a spiovente e colonne scanalate a definire il portico di ingresso, qualche moschea recente e poi la casa del capo della città in stile hausa, alla quale rinunciamo per non passare attraverso la folla che occupa tutta la strada nei pressi della moschea grande….dev’essere l’ora della preghiera. Prima di cena incontriamo in hotel un mercante di artigianato. Imponente nel suo boubou azzurro, è strabico e simpatico. Facciamo due chiacchiere con lui informandoci sulle condizioni della strada da percorrere domani e poi quelle verso la Nigeria. Finisce col metterci in guardia dai banditi nigeriani che, dice, ne infestano le strade soprattutto dopo il tramonto. Acquistiamo un bellissimo contenitore di legno bipartito ….sembra autentico, speriamo che i doganieri non ci facciano troppe storie!

18 Gennaio 2009

MARADI – ZINDER

La strada per Zinder è perfetta e desolata, così come ci aveva preannunciato il nostro simpatico mercante ieri sera. La domenica gli spostamenti devono essere ridotti al minimo e così nelle tre ore di viaggio incrociamo solo qualche taxi brousse, un paio di camion, moto ed i soliti carretti trainati da muli in prossimità dei villaggi e delle cittadine che attraversiamo. Il paesaggio è semi nascosto dalla polvere, ne intravediamo la scarsa vegetazione di acacie e la piattezza sempre più marcata avvicinandoci a Zinder. I villaggi sono ancora belli, muri di fango senza finestre segnati solo da piccole porticine, costeggiano la strada alla necessaria distanza di sicurezza mentre i fienili tornano ad essere fatti di paglia…..dev’essere cambiata l’etnia che abita questi luoghi, si potrebbe quasi dire…. – granaio che vedi, cultura che trovi – considerando quanto questo elemento architettonico sia caratterizzante degli insediamenti. L’”Auberge Mourna” di Zinder non è certo il massimo, ma è ciò che di meglio la città offre. Pulito ma con una impronta decisamente cinese negli accessori….la cosa più bella è il mobiletto pensile del bagno con orologio incorporato. La cosa davvero sorprendente è il prezzo del quale ci informiamo solo dopo aver preso possesso della camera….30.000 cfa sono un furto considerando anche che sulla guida leggiamo per questo hotel un prezzo di 18.500. Quando Vanni chiede di vedere il listino prezzi, il ragazzo ci dice che qui i prezzi si dicono a voce…..uno scandalo, ma nonostante questo si offre come guida per la visita della famosa città vecchia, e noi accettiamo. Quando verso le 14 usciamo, siamo diretti al Palazzo del Sultano di Damagaram che si insediò a Zinder nel XVIII secolo, come capo politico della popolazione Hausa. Fuggivano verso Sud per evitare le guerre con i bellicosi Tuareg ed i Fulani e resero famosa Zinder grazie all’importazione delle loro tradizioni architettoniche i cui esempi sono visibili nel quartiere Birni, il più antico insediamento sorto accanto al Palazzo del Sultano. Il vestibolo nel quale entriamo è custodito da un signore ossuto ed annoiato, armato di arco e frecce….attendiamo qui che ci venga dato il permesso di entrare. Vanni desiste immediatamente e torna accanto a Gazelle, parcheggiata nei pressi all’ombra dell’unico albero cresciuto sulla strada polverosa. Dopo una decina di minuti arriva in bicicletta un signore vestito in abiti tradizionali che si presenta come la guida autorizzata ad accedere al palazzo. Conosce tutto del suo sultano, l’ultimo della dinastia Damagaram, e delle abitudini del palazzo, quelle attuali e le più eclatanti appartenenti al passato. La prima corte nella quale entriamo, dopo aver superato la bella facciata dipinta a disegni colorati in leggero rilievo, è lo spazio nel quale si svolgono alcune cerimonie tra cui la corrida. Le mogli del sultano possono osservare le cerimonie, nascoste dietro le persiane chiuse del primo piano che scandiscono gli alti muri perimetrali rigorosamente intonacati con uno strato di banco nel quale si notano i disegni ad onda lasciati dalle dita che lo hanno distribuito…..le signore non possono lasciare il palazzo….mai. Le piccole porte che si aprono al piano terra sono quelle delle sei prigioni tuttora usate dal sultano. I suoi poteri anche quelli giudiziari ed esecutivi sopravvivono ancora oggi, così come quelli di tutta la gerarchia dei dignitari che lo stato del Niger in qualche modo foraggia. Solo dopo 24 ore il sultano deve cedere il prigioniero alla polizia. La prima cella è quella famosa per gli scorpioni che venivano introdotti per uccidere il prigioniero il quale naturalmente non aveva la possibilità di difendersi né dagli scorpioni, né dalle decisioni arbitrarie del Sultano. Dentro una delle celle, abbandonata a terra, c’è una vecchia targa automobilistica del sultanato…mi viene mostrata, quindi andiamo oltre entrando negli ambienti del palazzo dove la cosa che colpisce è lo spessore dei muri portanti larghi in media più di un metro e mezzo. Arriviamo infine alle stanze delle 31 mogli che si aprono su un ampio cortile. Lo stato di abbandono e di estrema indigenza di questo luogo mi stringe il cuore….nemmeno le mogli del sultano sembrano vivere dignitosamente qui! Fino al 1848 il sultano poteva vendere come schiavi i suoi sudditi ….ma ancora oggi le sue mogli sono di fatto delle schiave, acquisite senza il loro consenso e recluse all’interno del palazzo. Se almeno le facessero vivere nel lusso sfrenato….invece le loro camere sembrano più che altro delle stalle. La visita prosegue all’esterno del palazzo tra gli stretti vicoli del vecchio quartiere tutto costruito in banco. Ora ho tre guide al seguito…. Le case colorate a disegni geometrici che spiccano nel tessuto del quartiere, sono quelle dei ministri del Sultano. I disegni sono la geometrizzazione di elementi naturali attinenti alla funzione del ministro….sono belle e gioiose….spuntano all’improvviso come piccoli gioielli nel tessuto urbano monocromo. Terminata la visita raggiungiamo Vanni che è furioso per la lunga sosta forzata in compagnia dei bambini molesti che sono riusciti a rubargli tre tappini dai pneumatici…..me lo immagino ad inseguirli! Pago le due guide dando loro 3.000 cfa l’uno ….altre 5.000 le avevo lasciate come obolo obbligatorio per la manutenzione del palazzo….e ci avviamo di nuovo verso l’hotel con il nostro portinaio che ha fatto il broncio perché non ha ancora ricevuto nessun compenso dato che non ha fatto nulla se non seguire come un turista la visita accanto a me. Rientro un pò nauseata per l’eccesso di ruberie nei nostri confronti….pensando tra me e me che non ne posso già più di questi nigerini. Nel cortile dell’hotel ci sono un paio di persone che aspettano Vanni….hanno portato per lui due gommini che servono a fissare il cofano …..rubati da altri terribili bambini quando, dal meccanico, il cofano era aperto. Chiedono 15.000 cfa, ovvero 23 €, per due pezzetti di gomma che in Italia costano al massimo 1 euro la coppia! Proprio non ce la possiamo fare…e la voglia di fuggire dall’Africa si fa sempre più forte. Nel frattempo il portiere che forse a questo punto ci considera degli spilorci, ci presenta la fattura per la camera….ma fino a domani mattina non vedrà un soldo! Sono davvero seccata…e questo va ad inquinare la bella visita al quartiere storico di Zinder e la generale impressione positiva legata alla città fin dalla sua periferia, quando percorrendo la strada di ingresso fummo colpiti dagli enormi massi di pietra arrotondata che sembravano i giochi abbandonati di un gigante. La gestione recupera qualche punto con la cena….Vanni sceglie uno squisito spaghetto alla bolognese ed io un fantastico filetto di capitaine saltato accompagnato da patate fritte. Niente dolci qui a Zinder, come amaro dessert arriva la richiesta del cuoco, che si era improvvisato come nostro accompagnatore oggi pomeriggio, di un compenso per il servizio che comunque ci ha dato accompagnandoci…..mi stanno proprio esaurendo questi nigerini!


Menù delle città

Percorso della tappa

Fotografie
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Cambia Tappa

10 Benin

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11 Niger

Africa

12 Nigeria

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13 Camerun

Africa

14 Camerun

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15 Gabon

Africa

16 Congo

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17 Rep. Dem. Congo

Africa

18 Angola

Africa

12 Nigeria


19 Gennaio 2009

ZINDER – TAKIETA – KANO

Lasciamo con piacere Zinder per immergerci nel sempre più offuscato paesaggio saheliano del quale oggi vediamo solo la strada che stiamo percorrendo. A Takieta deviamo verso sud e dopo aver superato la cittadina di Matameye raggiungiamo in breve tempo la frontiera nigerina. Per fortuna la strada è perfetta anche in territorio nigeriano e così, dopo aver sbrigato le prolisse procedure burocratiche in ingresso, dove tra le altre cose ci hanno persino chiesto la vaccinazione per la febbre gialla, scendiamo spediti verso la città di Kano. Mentre lungo la strada ripensiamo alla inattesa gentilezza degli impiegati della dogana, rimaniamo stupiti per il look dei vigili urbani che vediamo a regolare il traffico negli incroci delle cittadine che incrociamo….. notiamo le loro divise impeccabili ed i guanti bianchi. Le strade larghe e dal manto perfettamente tenuto sono presidiate da molti posti di blocco della polizia e da un corpo speciale per la sicurezza, tutti riconoscibili per le diverse uniformi che indossano….altro che il Niger….nella tormentata Nigeria finiamo col sentirci più al sicuro che altrove e lusingati dalla cortesia delle forze dell’ordine che in un paio di occasioni ci fermano per controllare se abbiamo il triangolo, simbolo di civiltà, ma che poi si accontentano di vedere l’estintore….più a portata di mano. Finalmente poi sulle strade circola qualche auto e così non ci sentiamo mai troppo soli ad affrontare il polverone che anche qui offusca il paesaggio. Avvicinandoci alla città di Kano il numero di distributori aumenta sensibilmente così come il traffico automobilistico che ci inghiotte all’ingresso in città. L’hotel che abbiamo scelto è dalla parte opposta della città caoticissima…..vediamo anche un brutto incidente in diretta davanti a noi…..quindi chiediamo indicazioni ad un vigile urbano che, per aiutarci nella missione impossibile di raggiungerlo, ferma un moto taxi e dandogli indicazioni in lingua araba ci affida a lui., scrivendo su un foglietto il compenso che dovremo dargli per il servizio….150 Naira, ovvero meno di un euro. Essendo capitati in una regione islamica integralista la cui popolazione si è formata nelle scuole coraniche, quasi nessuno conosce altra lingua che non l’arabo….ed anche noi non siamo poi così padroni della lingua inglese….per fortuna i vigili urbani riescono a fare da trait d’union tra noi ed i locali. Seguiamo il moto taxi tra il traffico selvaggio della città, immersi nello smog che ci cola amaro in gola ogni volta che deglutiamo. La cosa sconvolgente che salta subito agli occhi è l’uso dei bastoni di legno che fanno i vigili urbani mentre regolano il traffico negli incroci….. prendono a randellate i motociclisti che non si fermano alla loro alzata di braccio che precede il segnale di stop, con una violenza da farli rotolare a terra! Dopo diversi chilometri il nostro moto taxi si ferma ad un comando di polizia…..chiede informazioni perché non sa come proseguire per raggiungere l’hotel Prince. Un poliziotto si avvicina e ci spiega in inglese che ora saranno due per noi le moto da seguire. Quando finalmente arriviamo al Prince Hotel il ragazzo dinoccolato di servizio alla reception mi dice che non ci sono camere disponibili…..vorrei morire! L’idea di tornare nel caos cittadino ci fa rabbrividire ed il ragazzo maltese, fermo in attesa delle sue chiavi, ci consiglia di insistere perché in città non ci sono alternative valide. Quando Vanni mi raggiunge ecco che spunta l’unica camera libera….la suite presidenziale, ad un costo di 60.000 Naira, ovvero 300 € a notte. Una follia che però Vanni accetta senza esitare….deve essere rimasto particolarmente colpito dal caos cittadino! La suite comprende, oltre all’ampia camera con bagno, un salone con divani di pelle nera, un tinello con annessa cucina ed un bagno di servizio. Occupa il piano terra di una palazzina immersa in un giardino….ma l’accesso dal soggiorno alla tettoia ombreggiata è impedito dal blocco delle porte finestre. Tutto sommato l’arredo è dozzinale, ma almeno non staremo stretti! Crolliamo sui divani per una sigaretta in relax poi andiamo alla reception per cambiare qualche euro al cambio sfavorevolissimo dell’hotel….accettiamo anche questa….siamo così stanchi! Dopo un’oretta usciamo alla scoperta della città. Tranquillamente seduti sul taxi dell’hotel raggiungiamo un paio di musei che ci incuriosiscono più che per il loro contenuto, per gli edifici in stile Hausa che li ospitano. Il Gidan Dan Hausa che unisce gli stili architettonici arabo ed hausa, ed il Gidan Makama Museum in parte ricostruito sull’antico palazzo di un emiro, sempre in stile tradizionale hausa. Si tratta di due edifici notevoli, ma preferivo i colori accesi delle decorazioni hausa su fondo bianco di Zinder, decisamente più veraci ed inserite nel bel contesto del centro storico tutto realizzato in banco. All’interno del museo, in una sorta di piazzetta adibita agli spettacoli, è in atto una danza tradizionale che vediamo accompagnata dalla musica di tre strumenti….due tamburi ed uno strumento costituito da piastre di legno circolari, di dimensioni decrescenti, inserite in un bastone di legno che agitato le fa “suonare”. Dopo la danza un paio di attori si esibiscono in alcune scenette di varietà. Ceniamo in hotel, nel ristorante che, a giudicare dalla carta dei vini, rappresenta un porto franco per chi voglia fuggire dall’integralismo cittadino. Insomma una sharia dalle maglie larghe questa di Kano, almeno per gli ospiti stranieri in visita dei quali si è disposti a tollerare le personali abitudini. Certo il manganello sulla schiena di chi non rispetta le regole stradali è decisamente forte, ma questa Nigeria sembra il luogo delle contraddizioni….prima fra tutte quella che vedeva il Biafra alla fame da un lato ed i milioni di dollari nei conti svizzeri dei suoi governanti dall’altro.

20 Gennaio 2009

KANO – MAIDUGURI

Lasciamo il Prince Hotel e conquistiamo a fatica la strada che spingendosi verso Est ci avvicinerà al confine del Camerun….. il nostro obiettivo finale di questo secondo viaggio in Africa. Non prendiamo un taxi per non spendere le 1.500 Naira che l’autista ci chiedeva….circa 8 €…..che non è una gran cifra, ma sono fin troppi per noi che ormai soffriamo ormai della sindrome dei rapinati. Dopo l’ennesimo cambio sfavorevole in hotel nel quale perdiamo un 10% sul cambio ufficiale,  i 300 € per la camera ed i 50 € della cena, va da sé che oggi siamo un pò incattiviti……dimenticavo la commissione del 6% che l’hotel aveva chiesto a Vanni per l’uso della carta di credito su un importo in dollari già di per sé sfavorevole! Insomma partiamo e nel perderci azzecchiamo la strada giusta…..ma nella direzione sbagliata come scopriamo gesticolando e mostrando la mappa ad un distributore. Sale con noi un ragazzo che non dice una parola in inglese, ma che conosce la strada, ci rassicura il gestore della pompa senza carburante. Il ragazzino ha evidentemente voglia di farsi un giretto in auto perché non solo ci conduce fuori città, ma rimane con noi fino a Wudil, a 30 km da Kano. Alla fine ci fa capire che 500 Naria non gli bastano per il ritorno e così ne sganciamo 1.000, risparmiando ben 3 € sul taxi dell’hotel che non abbiamo preso per tirchieria. Riconquisto finalmente il mio posto in prima fila e andiamo sulla strada che il nostro Gps non ha in mappa…..sembra nuova, ed in effetti dopo qualche decina di chilometri vediamo il cantiere sulla carreggiata parallela alla nostra. Piccoli villaggi, cittadine, asfalto più o meno in buone condizioni, taxi brousse che sfrecciano carichi di corpi lungo la strada. Un paio di posti di blocco nei quali siamo costretti a fermarci per un controllo documenti…..il viaggio procede senza particolari intoppi fino ad una quarantina di chilometri da Damaturu, quando sentiamo Gazelle emettere un rumore sinistro. Andiamo ancora avanti fino a raggiungere la cittadina dove ci fermiamo in prossimità di una tettoia di bastoni di legno che sembra ospitare un meccanico.  E’ li che conosciamo Rahmi, un ragazzo libanese che parla inglese e che gestisce qualche giovane nigeriano dell’officina a cielo aperto. Mentre Vanni estrae dal sedile posteriore un mazzo considerevole di cinghie, Rahmi dà qualche ordine e poi si ferma a fare due chiacchiere con me e separatamente con Vanni che controlla assiduamente i lavori. Tanto per cambiare Rahmi si lamenta della sua vita di emigrante….è qui da cinque anni per lavorare perché deve mantenere la sua famiglia, ovvero sei sorelle, madre e padre disoccupati. E’ tutta colpa degli israeliani….dice… che hanno quasi raso al suolo il suo villaggio anni fa. Dice che Hitler ha fatto bene a sterminare gli ebrei, ma poi hanno fatto male gli europei a decidere di mandare i sopravvissuti in Israele….cioè a casa loro. Si chiede anche come facciano gli europei cattolici a difendere i responsabili della crocifissione di Gesù Cristo. Dopo aver subito la filippica a denti stretti finalmente Vanni sale a bordo dopo aver ringraziato Rahmi per il lavoro per il quale non ha voluto compensi…..io mi chiedo invece se ho la faccia dell’assistente sociale!…..perché tutti quelli con i quali ho avuto occasione di parlare si sono prima o poi lamentati di qualcosa. proseguendo verso l’obiettivo, ancora a 160 km di distanza, ecco che ci ferma ancora la polizia stradale e questa volta abbiamo il nostro battesimo….nel senso che è nota la corruzione delle forze dell’ordine nigeriane, ma nessuno finora ci aveva mai fatto richiesta di nulla. Quest’ultimo gruppetto invece, dopo aver controllato i documenti, con un bel sorriso sulle labbra, in modo simpatico chiedono se abbiamo un regalino per loro…..Vanni allunga 500 Naira, l’equivalente di tre euro, e loro ringraziano felici. Il viaggio di oggi, che sembra infinito, termina alle 17 con il nostro arrivo all’hotel Lake Chad di Maiduguri, dopo quasi nove ore di viaggio. Siamo così stremati che quasi non escono le parole per la richiesta della camera…..per di più in inglese.  Mohamed, il ragazzo della reception mi accompagna al primo piano dove sono più che mai evidenti i lavori di ristrutturazione ancora in corso. La manager, una simpatica ed energica signora in abiti tradizionali, mi mostra un paio di camere ancora da pulire, e mi garantisce che in 15 minuti avremo la nostra 409 pronta. Aspettiamo nella hall che il miraggio di una doccia diventi realtà poi dopo una mezz’ora Mohamed ci accompagna a vedere una dependance lussuosissima che ci viene offerta per la stessa modica cifra di 11.500 Naira …..anche questa notte dormiremo nella bella suite dell’hotel, siamo fortunati! La stessa signora Bello, la manager, cucina per noi, nella cucina ancora solo abbozzata dell’hotel in divenire. La cenetta è un pò scarsa ma condita con una salsa alla cipolla della quale andiamo matti e che la signora Bello mi spiega come fare…..come una vera massaia orgogliosa dei propri manicaretti.

Salsa di cipolle:

cipolle

brodo di carne

cornflakes polverizzati

salsa di pomodoro

olio, timo, curry e sale

saltare la cipolla tagliata a fettine, aggiungere la salsa di pomodoro, i kornflakes, il brodo e gli aromi. Cuocere 15 minuti prima di servire calda.


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