01 Tasmania


27 dicembre 2014

HOBART

La luce ancora bassa illumina le valigie aperte che tingono di colori la camera altrimenti neutra ed anonima del Travelodge Airport di Hobart, l’hotel è nuovo e senza sapore ma è la sistemazione più comoda per questa sosta di riavvicinamento ad Asia. Ora è già domani e noi stiamo passeggiando nell’area attorno alla darsena, quindi nel vicino mercato del sabato affollato di turisti australiani. E’ una giornata meravigliosa, il sole limpido riflette sulle barche del porticciolo turistico e della piccola darsena dove il mare è increspato per il vento freddo che scompiglia i tessuti degli abiti in vendita e di quelli indossati. I profumi emanano dagli hot dog e dai manicaretti meno scontati e più local. Il vuoto invece è poco distante, al primo piano dell’edificio in linea che fa da sfondo al mercato. La galleria d’arte non interessa che a pochissimi e le opere esposte non convincono, eppure dopo un’altra rampa di scale un’ artista di Hobart, Annette Macgown ( annette.macgown@bigpond.com ) ha dipinto quello che della Tasmania non si vede, il sommerso delle papeline, i cavi tesi di elettrodotti sui fondi arancio di astratti tramonti infuocati. Poco dopo raggiungiamo Devenport ed il traghetto che ci riporterà a Melbourne ed al continente… È presto quando prendiamo posto nel piazzale del porto, come se la Tasmania, alla quale avevamo dedicato qualche settimana lo scorso marzo, non avesse più nulla da mostrarci, impazienti di vedere altro, di ritrovare il fascino dell’outback, la sua terra rossa, i canguri e quell’orizzonte assolutamente piatto che ci aveva conquistati.


Percorso della tappa

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Oceania

02 Victoria

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Oceania

08 Timor Est

Oceania

02 Victoria


28 dicembre 2014

MELBOURNE

Arriviamo in città alle 7.00 assiderati dal gelo di una notte in mare e la mattina completamente da inventare prima del check-in delle 14.00 sembra lunghissima. La città sta ancora dormendo nonostante il sole ne disegni la fisionomia e camminare lungo le strade desolate eppure già piene di energia ci dà il privilegio di osservare indisturbati, di misurare gli spazi, di vedere nascere la vita che prende forma attraverso il movimento in crescita esponenziale che costruisce il quotidiano, i riti che riproducono le situazioni, il lavoro che genera rumori, odori, forme. È così che vediamo crescere attorno a noi il Queen Victoria Market, scatoloni che si aprono, verdure che vengono lavate ed accatastate, tubolari montati a castello che stanno diventando tavoli per esporre o strutture per appendere, le luci si accendono sulle carni monocromatiche composte in impeccabili composizioni, su varietà di pesci, formaggi, e spezie. Micropiantine grasse e cose mai viste…. Poi gli acquirenti crescono fino a riempire i passaggi. La vita si è ormai affermata e noi ora la stiamo condividendo. Entriamo al Citadines Hotel con la famigliarità di chi ha già appoggiato il passaporto sulla superficie di quella reception, per noi è come casa, riconosciamo gli impiegati, la disposizione dei mobili nella camera, la vista dall’alto sulla città e su quella copertura a cono che avevo fotografato la scorsa primavera. Poi c’è Melbourne, il complesso sovrapporsi della sua storia con i bassi edifici in mattoni dei suoi esordi, snaturati dalle tinte accese di scelte recenti ed i grattacieli che sembrano già visti altrove, lontani dai fuoriclasse cresciuti in città più ambiziose. Melbourne e’ bella in questo suo non voler piacere a tutti i costi come invece fan tutte.

30 dicembre 2014

SYDNEY

Dopo i recenti disastri aerei di Air Asia e Malesia Airlines scegliere un volo della compagnia Tiger è poco meno di un tentativo di suicidio e l’atterraggio del velivolo che deve essere uscito dagli hangar prima del mio debutto nel mondo ci ha fatto tremare almeno quanto la sua carlinga che pensavamo si sarebbe sfasciata prima dell’arresto definitivo, arriviamo infine a bordo del taxi nella città che avevamo amato pronti per partecipare all’ evento tanto atteso, il capodanno all’ Opera House di Sydney. L’Ibis di Pitt Street è il punto di partenza di una lunga passeggiata di ricognizione per le strade del centro, accompagnata da una serie di – ti ricordi? – che fanno sentire quasi a casa e si conclude con un aperitivo nel giardinetto trasandato di un locale fuori tempo accanto ad un aborigeno e due suoi compari ubriachi. Siamo arrivati a Sydney.

31 dicembre 2014

SYDNEY

Le centinaia di metri di transenne che dividono in corsie i percorsi che raggiungono l’Opera House evidenzano la grandeur dell’evento di questa sera e l’articolata gestione degli spazi che ospiteranno gli eventi. Ciò che appare evidente è che di quella preziosa superficie non andrà perso nemmeno un centimetro quadrato. Che fare? Questa mattina l’aria è frizzante ed il mio abito è poco più di un bozzolo di seta, non adatto alla mezzanotte nella terrazza sud dell’opera House dove assisteremo allo spettacolo dei fuochi d’artificio. Quindi devo trovare un collant 50 denari ed una panciera ovvero il confort più invisibile che mi sia venuto in mente. I sorrisini delle commesse alle quali chiedo mi fanno però desistere almeno quanto la vista delle fasce da riscaldare al microonde, quindi soffrirò in silenzio, di rinunciare al vestitino non se ne parla! Taxi o non taxi? Tutti hanno consigliato di andare a piedi dato che buona parte del centro sarà chiusa al traffico, ma Vanni non ci pensa proprio di percorrere quei due chilometri in smoking bianco e scarpa di vernice. Infine siamo in taxi, io in un lungo abito di taffetà di seta verde e sandalo con tacco scomodo senza nemmeno il collant ma con una pesante sciarpa di vetro al collo acquistata in una galleria di Glebe e tornata per l’occasione qui a Sydney, Vanni in borghese con porta abiti e zainetto. La sua vestizione occupa un tempo che mi sembra infinito ma quando esce dallo spogliatoio il mio James è bellissimo. Sono le 5.30 p.m. Poi gli sguardi di otto persone ci sfiorano mentre ci accomodiamo in ritardo al grande tavolo rotondo allestito nel foyer nord della Concert Hall, le quattro coppie hanno avuto il tempo di socializzare con interesse, il vantaggio dell’antipasto del Pre Performace Dinner appena iniziato e parlano tutti la stessa lingua. Le portate si succedono e gli ospiti più anziani di noi continuano le loro conversazioni, io rido di cuore con Christine, la simpatica signora seduta accanto a me, Vanni osserva con interesse i gemelli dei concorrenti senza però apprezzarne nessuno…. a giudicare dalla chiassosa ilarità esplosa negli altri tavoli noi occupiamo quello più formale e noioso, ma è capodanno ed è solo nostro. Gli eventi si succedono a ritmo serrato, alle 8.00 p.m. ci trasferiamo nell’imponente Concert Hall per il Gala Concert che si interrompe alle 9.30 p.m. per consentirci di vedere il primo spettacolo pirotecnico, riprende poco dopo per terminare alle 10.30 con una suggestiva cascata di coriandoli color oro e palloncini rossi sui bravissimi cantanti lirici, l’orchestra e noi. Inizia quindi il party nel foyer rosso adiacente, composizioni di rose rosse e tante bollicine. Un grande 2014 di ghiaccio inizia a sciogliersi mentre in un angolo un gruppo di musicisti intona brani jazz, l’atmosfera si scalda, sta per iniziare il nuovo anno. Ci baciamo, balliamo, ridiamo, osserviamo. Inizia il grande spettacolo, i fuochi d’artificio tra i più belli del mondo, meravigliosi anche per noi che li stiamo osservando dalle vetrate del foyer. Per 15 minuti il cielo fa da sfondo a schegge di fuoco che si espandono, si sovrappongono, si sommano, alte, basse, grandi, più grandi, sbriciolate, disintegrate in pioggia, l’emozione è al massimo. La festa continua sulle note del gruppo che ora intona brani popolari di musica dal mondo ed il pubblico internazionale diventa protagonista. È notte quando lasciamo l’opera House, Rientriamo a piedi nella città quasi deserta, qualcuno sta male, altri schiamazzano ancora eccitati, non ci sono taxi, l’asfalto è freddo e ruvido ma non importa.

04 gennaio 2015

GEELONG – THE TWELVE APOSTLES

Bellissimi nella loro solitudine condivisa di naufraghi che stanno andando alla deriva gli otto speroni di arenaria sono i più famosi del continente e danno lustro alla lunghissima suggestiva falesia color ocra che segue la costa stagliandosi su tutte le sfumature di blu del mare. Osserviamo i dodici Apostoli chiedendoci se Deng Xiao Ping immaginava lo sfacelo che avrebbero portato i suoi compatrioti nel mondo rendendo la Cina uno stato relativamente democratico e aperto al mondo. Le orde di turisti cinesi sgomitanti e vocianti nei toni più striduli dell’umano parlare hanno finito con l’inquinare una situazione altrimenti magica nella quale sarebbe stato bello poter condividere il silenzio di quei giganti di pietra osservandoli dal mare. Rientriamo percorrendo la strada che attraversa il parco naturale con il carburante agli sgoccioli ed i distributori introvabili. Come altre volte è accaduto anche oggi Vanni ha cercato di fare una valutazione empirica della capienza del serbatoio in base ai chilometri percorsi. Che pazienza!

05 gennaio 2015

GEELONG – LITTLE DESERT NATURAL PARK

Lasciare la camera dell’Hotel Sphinx e’ un po’ come uscire da un luna park per via della sua grande copertura a sfinge, bizzarro punto di riferimento per chi come noi cercava di raggiungere l’unico letto disponibile nella cittadina piccola e provinciale di Geelong che abbiamo solo intravisto avendola considerata solo il punto di partenza per l’esplorazione della Grat Ocean Coast. Il sole già alto e la temperatura la promessa di un pomeriggio infuocato, è così che ci avviamo verso Adelaide a 700 km da qui, la strada è quasi deserta se non in prossimità dei pochi centri abitati che attraversiamo. Più volte durante i nostri spostamenti recenti e passati, percorrendo migliaia di chilometri nelle aree più o meno popolate, lungo la fascia costiera o nell’outback ci siamo chiesti perché gli australiani siano così invisibili sulle strade rispetto ai paesi nei quali abbiamo viaggiato .. le strade sono perfette comprese quelle secondarie ed il carburante ha un costo accettabile, le distanze sono lunghe e gli aeroporti sono presenti solo nelle città più popolate. È anche vero che il rischio di rimanere intrappolati in un incendio esiste qui più che altrove così come gli allagamenti di vaste aree. Non lo avremmo mai pensato qualche mese fa, mentre percorrevamo le torride strade dell’interno nella zona compresa tra Roma, Saint George, Bourke e Broken Hill Quandoù ci eravamo chiesti a cosa potessero servire quei paletti ai bordi della strada con tacche graduate fino ai due metri di altezza in quella che sembrava essere una infinita pianura, arida e polverosa. Erano stati Maureen e Paul a darcene la risposta. Coppia di collezionisti di auto d’epoca di Roma, cittadina del Queensland del sud, avevamo voluto incontrarli per mostrare orgogliosi la nostra Land Cruiser di 28 anni, ed avere eventualmente la medaglietta che Vanni voleva a tutti i costi. Dopo un giro a bordo della loro auto degli anni ’30 ci avevano ospitati per un drink nella loro casa di legno a palafitta come tutte quelle viste in quella vasta zona… Piove raramente ma quando succede anche gli avvallamenti più lievi diventano come grandi laghi, come tre anni fa ci ha raccontato Maureen. Ora invece ci stiamo dirigendo verso Adelaide, attorno a noi ondulati campi di grano già raccolto, si alternano ad aree verdi, gialli i primi come lievi dune del deserto sono disseminati di cataste di balle di fieno. Sulla scia di quella suggestione decidiamo di fermarci nel lodge all’ingresso del Little Desert Natural Park, è già il tardo pomeriggio e stiamo viaggiando da cinque ore, il parco si trova proprio nel posto giusto! Curato e confortevole, lo raggiungiamo deviando dalla A8, attraverso la strada stretta e dritta, deserta come il Lodge dove oltre a noi ci sono solo due famiglie. Poco dopo è l’ora dei canguri, li vediamo dal ballatoio sul quale si affaccia la nostra camera brucare l’erba fresca nell’area verde ombreggiata da qualche albero… Che meravigliosa famigliola, ad ogni minimo rumore si fermano, alzano la testa e drizzano le orecchie per ascoltare meglio, figuriamoci che fatica con Vanni nei paraggi che si diverte come un bambino. La passeggiata al tramonto tra la vegetazione del parco ci dà il piacere di essere nella natura, di attraversarla, osservarla, riscoprirla e goderla … aggiungiamo a questo l’aver visto a pochi passi da noi un timido istrice ed una femmina di canguro con il piccolo nel marsupio per fare di questo un momento speciale nel quale anche l’insalatina consumata sul tavolino di fronte ai canguri che stanno brucando ha un sapore diverso. Che meraviglia!


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07 gennaio 2015

ADELAIDE

Il lungofiume, l’acqua verde scuro trattenuta da una chiusa sulla quale galleggiano i cigni neri, gli edifici di recente riqualificazione, i ciclisti si muovono sulla pista che corre lungo gli argini, vegetazione, cielo plumbeo, il caldo è spossante, un ponte pedonale flesso ad arco si illumina sullo sfondo di questa skyline potenziale dove gli edifici dalle volumetrie complesse ci appaiono insignificanti come il tessuto urbano di questa città che non decolla. La Toyota, l’appartamento al Majestic Old Lyon dalle grandi finestre protette dalle foglie di verdi aiuole, privacy. Vecchi appunti ritrovati nelle poche pagine bianche di una guida, sono i suggerimenti raccolti in uno scambio di parole che conducono alla MACLAREN VALE, la zona vinicola poco più a Sud che dà lustro alla città, quella che fa probabilmente dire agli australiani che Adelaide è una bella città. PARRI ESTATE, SAMUEL’S GORGE, PENNY’S HILL sono le vinery in elenco. Degustiamo accanto ai filari di vigne coperte da una rete molle e candida, un velo che nasconde senza coprire i vitigni e che ricade ampia a terra come sui mobili di una casa non più abitata. L’appunto termina con una chicca che riscatta le giornate trascorse in città, PORT WILLUNGA e le sue ampie spiagge dai colori sfumati nelle tonalità dei rosa e dei gialli come l’alta falesia che le contiene spingendole verso il mare piatto. Sulla sua sommità il ristorante “Star of Greece” e’ una scatola di lamiera blu in bilico sul mare la cui veranda bianca inquadra i colori ed il movimento della collina sullo sfondo ed il cielo azzurro che tocca il mare. La luce naturale che entra riempie il bianco ed esalta I colori degli abiti che spiccano sul fondo creando una sorta di sofisticata pala, irreale come un dipinto iperrealista.

10 gennaio 2015

FLINDERS RANGES NATIONAL PARK

Piove. Fin dalla nostra partenza da ADELAIDE e poi da PORT AUGUSTA, il cielo si è appesantito di nuvole bianche che rendono invisibile tutto ciò che si alza oltre i trenta metri, figuriamoci i mille delle FLINDERS RANGES! Un capolavoro, uno dei panorami più spettacolari dell’Outback australiano, la catena montuosa che si stacca dalla pianura disegnando un ampio pittoresco semi anello che chissà quando potremo vedere anche solo dal basso. Intanto ci alleniamo facendo qualche ora di trekking lungo i sentieri che partendo dal Wilpena Lodge terminano in punti panoramici …. tutti i giorni in vista del momento in cui le nuvole si alzeranno, e prima o poi lo faranno. E’ un piacere passeggiare tra questi boschi di eucalipto le cui sfumature verdi virano all’azzurro così come i tronchi grigiastri degli alberi le cui cortecce si sfogliano in strati colorati dagli avorio ai ruggine come fogli umidi di cartelloni strappati disordinatamente mentre il loro profumo delicato si sprigiona vaporizzato nell’aria ad ogni alito di vento. Canguri, pappagallini bianchi o azzurro flash, conigli e capre. Nel tempo libero occupiamo con piacere la nostra tenda safari isolata nel parco. E’ a pianta quadrata con alti teli perimetrali color beige apribili in ampie zanzariere che inquadrano la vegetazione sui tre lati. Calda e rilassante è il luogo più comodo dal quale osservare il bosco ed ascoltare la piccola cascata spuntata all’improvviso dopo il temporale sulla roccia più alta del rilievo di fronte a noi. Eravamo da poco rientrati al lodge, appena in tempo dal rimanere impantanati con l’auto sul Geological trail, la pista sinuosa a tratti già al limite della percorribilità che si snoda tra le propaggini più basse della catena delle Flinders offrendo scorci panoramici per i quali valeva la pena rischiare. Ampie prospettive sulle dorsali che vanno sfuocando all’orizzonte, in primo piano la vegetazione che trova spazio sulle alture rocciose e la pista chiara che ne asseconda il movimento. Domani si parte essendo la prospettiva del bel tempo sempre più remota.

14 gennaio 2015

KIMBA – CEDUNA

Charlie è un simpatico signore di Port Lincoln, capelli bianchi, sovrappeso e un bel sorriso. Lo incontriamo nel ristorante dell’unico motel-hotel di KIMBA accanto al Post Office, caro e insapore come il cibo consumato in quello che sembra piuttosto un locale dove bere una birra al banco prima di andare al casinò adiacente. Interpellato da Vanni per sapere se la lunga Eyre Highway che percorreremo nei prossimi giorni è ben servita da stazioni di servizio, si ferma volentieri a fare due chiacchiere con l’entusiasmo di chi pur non avendo risposte da dare ha voglia di raccontare la sua fetta di continente, soprattutto quelle stranezze che essendo prerogativa di un paese enorme e vario è sicuro che ci stupiranno. Ci racconta per esempio che il confine Sud del Queensland e del North Australia è delimitato da una rete alta tre metri per evitare che i cani selvatici tra cui i bellissimi Dingo invadano i loro territori, con grande dispendio di denaro anche solo per la manutenzione….. Oppure l’estremo rimedio messo in atto dal Western Australia per difendersi dalla migrazione dei piccoli uccelli che arrivano dal South Australia e che nutrendosi di frutta possono comprometterne il raccolto? … fucili puntati verso il cielo per sterminarli e posto di blocco con sequestro di frutta e verdure miele ed altro sul confine per scongiurare l’ingresso di insetti o di larve…. E che dire degli indiani? Bravi commercianti e disonesti come i cinesi, il fatto è che parlando loro l’inglese possono più facilmente degli altri ritagliarsi una bella fetta di mercato. KIMBA è un piccolo paese ordinato e orgoglioso del suo museo di antichità recenti, una scacchiera di quattro strade dove troviamo le poche cose che ci servono nel piccolo supermercato, al distributore, nelle due ferramenta ed infine dal demolitore. Lo lasciamo nella tarda mattinata per proseguire sulla Eyre Highway, 2038 km di numeri civici che arrivano oggi al 45000 come a voler sottolineare la grandezza del continente anche nei dettagli e l’originalità dei suoi abitanti per la realizzazione delle bizzarre buche delle lettere sulle quali sono scritti realizzate con l’impiego di materiale di recupero. Dai semplici bidoni alle sculture complesse che riproducono per esempio figure umane o animali per finire con gli originalissimi frigoriferi talvolta dipinti, sicuri contro la pioggia, il vento ed i serpenti. Poi le immense distese di grano già tagliato in superfici flesse come le onde lunghe di un grande mare dai confini invisibili che ci seguono per centinaia di chilometri colorate nelle tonalità dei gialli a seconda del tempo passato dalla mietitura. Ogni tanto la vista inciampa negli alti granai bianchi e nei tipici mulini a vento a fitte pale metalliche o negli autotreni la cui lunghezza, fino ai cinquanta metri, sembra proporzionale a quella dell’ Highway. Procediamo cauti per abbassare il rischio di travolgere i canguri che potrebbero uscire saltando dai cespugli di eucalipto e dai bassi alberi che creano profondi bordi strada, i cadaveri che ogni tanto vediamo spalmati sull’asfalto rappresentano un efficace monito … e soprattutto, senza fretta, ci abbandoniamo alla bellezza ed al senso di libertà che questi cieli azzurri e gli spazi infiniti danno, il termine inglese “Huge” rende bene l’idea. CEDUNA è l’ultimo centro abitato prima di NORSEMAN a 1248 km di distanza, arriviamo al Foreshore Hotel nel tardo pomeriggio, entriamo nel parcheggio blindato, lasciamo i bagagli in camera ed usciamo per due passi sul lungomare e sul lungo pontile. In giro solo gruppi di aborigeni ubriachi e schiamazzanti, i bianchi invece sono tutti al bar- bistro- ristorante del nostro grandissimo hotel che in pratica si sovrappone al centro abitato, una sorta di oasi che si “difende”.

15 gennaio 2015

CEDUNA – NULLARBOR hotel- motel

Incontriamo Janette e John a FOWLERS BAY, il luogo perfetto per un Jump sulle bianche dune di sabbia del parco che si trovano a ridosso del mare, poco dopo il lago salato ormai prosciugatosi e la distesa di erica fiorita. Sono così alte da essere viste a venti chilometri di distanza dalla Eyre highway. Arrivati da Melbourne per una breve vacanza hanno subito accettato di accompagnarci con la loro aggressivissima Nissan. John è un pilota esemplare, abbiamo condiviso l’avventura di perderci nel labirinto di piste sabbiose, ritagliate fra i rovi di una bassa vegetazione senz’acqua e di raggiungere la spiaggia nella scogliera dove stravaccate otarie stese in fila prendevano il sole o allattavano i baby, tutte a disposizione del grosso nero maschio dominante. Ci salutiamo scambiandoci due baci, due indirizzi mail e l’unica bottiglia di buon vino acquistato nella Maclaren valley di Adelaide. Andando oltre ci fermiamo per osservare la suggestiva e ventosa HEAD OF BIGHT, la lunga alta e frastagliata scogliera del GREAT AUSTRALIAN BIGHT MARINE NATIONAL PARK, il secondo inaspettato bel regalo di oggi. Il NULLARBOR hotel motel è il nostro punto di arrivo, la nostra prima tappa dopo 380 dei 1248 km totali, non un centro abitato ma solo un punto servizi articolato in due bassi e trasandati edifici color sabbia spalmati su una piccola superficie di questo deserto senza alberi, chiamarla oasi sarebbe una ingiusta forzatura dato che il suo fascino risiede proprio nella sua polverosa desolazione, piuttosto una zattera alla deriva in un mare di bassi cespugli riarsi dal sole e dal caldo torrido di questa estate piena. Tra i pochi colori un cartello giallo indica i tre animali che si potrebbero incontrare da queste parti, i dromedari che furono importati nell’’800 dal Pakistan come animali da soma per il trasporto di materiale sterminati di recente per ridurne il numero da 10.000 a 3.000, gli immancabili canguri il cui numero sembra superare quello degli australiani che sono invece sterminati in modo casuale dalle automobili seppur rare che circolano lungo le strade e poi i piccoli possum che saranno decimati dai loro antagonisti della catena alimentare. Un lungo tir carico di enormi pneumatici spicca nel piazzale oltre il distributore ed il rumore del suo motore acceso riempie l’aria, le due ragazze che si occupano del bar, ristorante, emporio e reception compensano il vuoto con i loro cortesi sinceri sorrisi, poi altri tir si fermano e ripartono, una coppia di coraggiosi ciclisti ed altri viaggiatori come noi si fermano invece per la notte, quando il vento forte scompiglia gli abiti ed arriva la fredda sera stellata. Non si vedono aborigeni qui, ma il tratto di strada che attraversa la vicina riserva YALATA ABORIGINAL LAND è pieno dei rifiuti lanciati dagli automobilisti in corsa, non li sopportano proprio.


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18 gennaio 2015

ESPERANCE

Lasciamo il Cocklebiddy Motel con il sollievo di chi si lascia alle spalle un’aquila rinchiusa nella voliera e tanta durezza, è il luogo più desolante nel quale ci sia capitato nostro malgrado di soggiornare, nient’altro che una stazione di servizio sulla Eyre Highway al termine degli 845 km percorsi da CEDUNA nel NULLARBOR PLAIN, il deserto senza alberi. Ancora 403 km e siamo a NORSEMAN per una breve sosta tecnica nel piccolo centro abitato nonché importante crocevia tra il mare e l’Outback. Poi finalmente dopo i complessivi 1248 km percorsi puntiamo verso l’Oceano Indiano che si trova 185 km più a Sud. Entriamo ad ESPERANCE attraversando l’abbagliante lago salato in secca che precede la periferia, interessante per Vanni che spingendo piano il pedale dell’acceleratore riesce a mettere già a fuoco sui fronti i potenziali obiettivi dei prossimi giorni, viaggiare con Asia, fuoristrada con una lunga storia, gli permette di creare i necessari personalissimi diversivi al soggiorno in città. Raggiungiamo la nostra 55 al Comfort Inn sulla Esplanade ed esploriamo i dintorni stupendoci delle piccole dimensioni della cittadina rispetto alla sua grande fama. Il lungomare ordinato e ben disegnato con aiuole, alberi ad alto fusto e prato all’inglese si sviluppa su un percorso sinuoso adiacente alla stretta lingua di sabbia bianca, la spiaggia meno frequentata del litorale, ne capiremo solo dopo il motivo. La prima cosa che abbiamo pensato è stata invece che tanta bellezza avrebbe potuto essere più apprezzata, più partecipata ma le modalità australiane sono diverse per cultura, dimensioni e possibilità e così questo piacevole strutturato lungo percorso dai colori pieni come quello del mare sulla sabbia bianca non ha un pubblico. Dove saranno andati tutti quanti? …. certo il vento forte di oggi non aiuta ma non scoraggia la signora intenta a cucinare sul barbecue anch’esso ben collocato nel contesto. Il pic-nic si conferma al primo posto nella graduatoria delle abitudini culinarie della nazione.

19 gennaio 2015

ESPERANCE

Il meraviglioso CAPE LE GRAND NATIONAL PARK termina sul mare con una sequenza di quattro spiagge bianche divise da rocce granitiche a panettone…. Così belle da sembrare un lungo depliant aperto. A cinquanta chilometri dalla cittadina, lo raggiungiamo deviando dalla Merivale Road lungo la strada secondaria che attraversando distese di campi a pascolo arriva alle prime formazioni rocciose tondeggianti che sempre più basse raggiungono ed affondano nel mare. La Grand Beach è perfetta, lunga, selvaggia e color ghiaccio la scegliamo come sfondo sul quale non sarà difficile inquadrare solo Vanni in posa attorno ad Asia, oltre a noi ci sono solo le tracce di un fuoristrada sulla sabbia resa compatta dalle maree. Particolarmente esposta al vento preferiamo trascorrere qualche ora nella successiva Hellfire Bay, meno estesa ma sempre al meglio. L’acqua turchese e fredda dell’oceano ed un gruppo di giovanissimi surfisti sul mare quasi piatto. Nonostante sia evidente quanto gli australiani amino il barbecue la lunga piastra rettangolare che precede la spiaggia del parco naturale sembra eccessiva, eppure eccola già in uso a metà pomeriggio, accanto all’ombra della tettoia dove sarà allestita la cena, frigoriferini da pic- nic ed un paio di famigliole in attesa, teli da mare sulle spalle di bambini annoiati. Rimaniamo stesi sulla sabbia abbastanza a lungo da vederli partire e con loro un gruppo di adolescenti arrivati solo per un lungo bagno. La famigliola di aborigeni arriva tardi, quando la luce già bassa del sole colora la sabbia di rosa ed il momento diventa quello migliore per la lunga passeggiata che facciamo godendoci il vento fresco ed il mare che arriva con una debole risacca sulle nostre caviglie.

20 gennaio 2015

ESPERANCE

LUKY BAY è incantevole, racchiusa tra due vicini promontori di roccia granitica levigata in morbide curve è abbastanza estesa da consentire una bella passeggiata ma così flessa da risultare raccolta. La raggiungiamo percorrendo in discesa la liscia superficie di roccia rossastra che la contiene su uno dei lati, in basso un rigagnolo di acqua sulfurea scorre sulla sabbia perdendosi tra alcuni massi isolati al limite della spiaggia verso il mare. Siamo pochissimi, alcuni arrivano ma non si fermano, infine rimaniamo soli, di nuovo a passeggio ma lontani sul bagnasciuga compatto di sabbia fine e chiarissima. Quando mi giro Vanni sta scavando nella sabbia, mi avvicino, ha trovato un osso di balena e vuole liberarlo completamente per valutare l’entità della scoperta…se solo avessi comperato la vanga per il viaggio nel deserto sarebbe stato tutto più facile…. mi dice continuando a faticare. Impolverati di sabbia ed esausti per aver lavorato a lungo ci sediamo su quello che sembra un trono appoggiato su una grande pinna chiara, è una parte dello scheletro della testa di una grande balena lungo circa due metri e mezzo! Chissà dov’è finito tutto il resto.. Felici e stanchi ci abbandoniamo a terra soddisfatti del ritrovamento del piccolo tesoro. Servizio fotografico e si riparte verso la famigliola di canguri che attraversano a balzi la strada del parco abbastanza lontani da permetterci di rallentare, è sempre una gioia vederli. Percorriamo quindi a velocità ridotta la lunga strada bordata dalla vegetazione che raggiunge la città, contenti di questa magnifica e particolare giornata al parco. Serata al cafe’-bistrot da Pierre l’unico locale aperto dove bere un drink dopo le 20.

22 gennaio 2015

HYDEN – wave rock

HYDEN e’ un centro abitato di poche case che si trova 380 km a Nord di Esperance famoso per la particolare isolata formazione granitica che vi si trova. Essendo questa l’unica attrattiva del luogo arriviamo con comodo nel tardo pomeriggio subito pronti per la visita. Non molto estesa ed alta una decina di metri la roccia è stata modellata dagli agenti atmosferici in superfici curvilinee ed in un suo tratto l’erosione ha creato una superficie verticale scavata come una pittoresca grande onda, da qui il suo nome “WAVE ROCK”. Sono le quattro p.m. e la roccia arroventata dal sole irradia il suo calore anche su di noi che avventurandoci fuori percorso sulla sua sommità finiamo col non trovare la via d’uscita, tutto previsto a giudicare dal basso muretto che delimita in alto la superficie sicura dal rischio di caduta non esistendo confini ma solo curvilinei invisibili precipizi. Il “Wave rock hotel motel” è la seconda attrazione di Hyden, si tratta di un basso edificio a patio degli anni ’70 costruito in rossicci mattoni a vista che conserva in alcuni dettagli il sapore di quel periodo. La camera piccola ma curata si apre sul giardino interno con un’ampia vetrata ombreggiata dalla tettoia, basso sulla parete di fronte c’è il condizionatore originale del periodo, un piccolo capolavoro lustro e perfettamente funzionante, così come il phon ed il ferro da stiro. Ayu Fajar Muftidhati (ayufajarm@hotmail.com) gestisce la struttura con tutta la grazia e la gentilezza di una giovane signora balinese che offre l’impeccabile e sincera accoglienza oltre ad una serie di pietanze speziate fra quelle disponibili al self-service. Per soddisfare la predilezione degli australiani per il barbecue Ayu ha fatto collocare in una parte del bistrò una grande piastra nella quale i clienti possono cucinare la carne esposta in vetrina, nessuno disposto però a farlo per Vanni che rimane a bocca asciutta…

23 gennaio 2015

ALBANY

Dove siamo finiti? L’avevamo immaginata simile ad Esperance con il mare visibile poco dopo la periferia e l’hotel sul lungomare ordinato ed accattivante. Ciò che vediamo invece è un ampio centro abitato steso sulla collina, il mare invisibile, la sciatta periferia ed infine l’hotel Comfort Inn poco confortevole collocato sulla Albany Highway l’arteria più trafficata e rumorosa del centro. Impavidi ne cerchiamo poco dopo le tracce della sua storia ed il mare che troviamo in fondo a York St., visibile ma inaccessibile se non dal pontile adiacente al nuovo spigoloso edificio che accoglie l’Entertainment Centre. Il cielo è scuro di nuvole ed il vento soffia freddo e veloce e noi siamo stanchi ma ottimisti, la città avrà modo di esprimere la sua natura ed il suo interesse nei prossimi giorni, qualcosa dovrà pur essere piaciuta a chi ci ha consigliato di trascorrere qui qualche giorno.

29 gennaio 2015

NANNUP

Le migliaia di chilometri percorsi nell’Outback australiano senza ombre ne’ ostacoli a interromperne la monotonia hanno reso questi ultimi 220 tra ALBANY e NANNUP diversamente rilassanti. La strada costeggia un tratto del NORNALUP NATIONAL PARK che racchiude una delle più belle foreste di eucalipti ad alto fusto del WA ed attraversarle è come muoversi all’interno di un tunnel verde mentre la sequenza serrata di ombra e luce proiettata dalle cime degli alberi sul parabrezza in movimento restituisce un ipnotico effetto stroboscopico …. insomma più che rilassati arriviamo a NANNUP strafatti e forse per questo fatichiamo a trovare la Holberry House, il simpatico B&B nascosto tra la boscaglia di una collinetta animata da sculture. Infine, percorsa la ripida stradina entriamo accolti con sincera cortesia da David, il padrone di casa, e poi nella camera dove la brocca con catino di grossa ceramica beige con grandi fiori rosa appoggiata sul comodino di Vanni è significativa del lezioso Old stile che vedremo fino allo spegnimento della lampada a petrolio, prima che faccia notte. La tranquilla pacatezza del centro abitato è nell’aria, la si respira camminando lungo l’unica strada che lo attraversa impreziosita da alcuni vecchi edifici di legno semplici ma dignitosi come l’Hotel Nannup che ne è l’esempio più significativo oppure in stile decò rivisitato come l’edificio verde del fornaio. Perfino i movimenti degli anziani signori in bianco sono rilassati mentre giocano la loro competizione regionale di bocce sull’immacolato campo verde recintato dallo steccato. È un quadretto indimenticabile, una sorta di versione con bocce di una colazione sull’erba. Facciamo altri due passi per poi accomodarci nel giardino accanto al bar, ombreggiato dai pergolati e dai bassi alberi a ombrello, un luogo delizioso dove bere una birra ghiacciata rigorosamente al ginger dato che in paese il divieto di consumare bevande alcoliche sul suolo pubblico viene rispettato alla lettera. Persino la proprietaria dell’ottimo ristorante “Nannut Bridge” dissuade imbarazzata Vanni che vuole accompagnare la sigaretta ad un buon bicchier di vino sotto la tettoia adiacente alla strada. La signora cerca poi di distrarlo con un piccolo regalo, l’avvistamento del Bandicot appena uscito dai cespugli del selvaggio giardino dove stiamo cenando… un timido topone marsupiale con il musetto a punta che si mostra per un attimo e poi si dilegua veloce.

30 gennaio 2015

MARGARET RIVER

Non tutti i fari possono vantare la posizione strategica di quello che si alza su Cape Leeuwin ad Augusta, le onde di due oceani che si incrociano spumeggiando su uno scoglio proprio nel suo raggio d’azione avviene solo qui e solo per lui. Idian Ocean e Southern Ocean, le cui onde oggi sembrano però arrivare tutte dalla stessa direzione, in sostanza sta vincendo l’Indian Ocean aiutato dal vento fortissimo che ci travolge qui sulla terrazza circolare che circonda la lanterna. La nostra visita quindi termina presto, lo vediamo allontanarsi alle nostre spalle fieramente saldo sulla punta di roccia che si spinge nel mare in burrasca, sempre più sfuocato dall’aria satura di salsedine vaporizzata. Snobbando per il momento le winery per le quali la zona di MARGARET RIVER è famosa non perdiamo il contatto con il mare e spostandoci sulla Caves Rd. deviamo verso PREVELLY … la spiaggia dei surfisti che si rivela essere la scelta migliore. Nel parcheggio solo Land Cruiser di ogni età, qualcuno fuma spinelli perseguendo un modello ormai fuori moda, c’è chi ha l’aria distrutta di chi ha dato tanto altri invece scendono gli scalini verso la breve spiaggia con i loro Windsurf e Kitesurf sotto il braccio o la vela già aperta appoggiata sulla testa. Sono belli, muscolosi e fieri come cavalieri prima della battaglia. Il sole dietro di loro mostra le sagome che si muovono sullo sfondo di uno scintillante bianco e nero, cercano l’ onda al largo, la’ dove il mare monta e rompe in alte pieghe di schiuma bianca. La forza li fa scivolare sulle creste che nebulizzano sotto il vento fortissimo, si inabissano per poi risalire ancora incollati alle tavole, cavalcano di nuovo la successiva, e poi ancora in infiniti e potenti corpo a corpo, altri planano veloci sulle onde appesi ai loro aquiloni, infine lo spettacolo ci entusiasma così tanto da chiarirci le idee circa il mito del surf australiano. La passeggiata lungo il corso di Margaret River diventa banale, ma doverosa essendo l’epicentro di tanta bellezza…. Raggiungiamo infine “The Grove”, distillery, accomodation, cafe. Prenotato a caro prezzo qualche ora fa presso il centro visitatori di Augusta eravamo convinti di trovare il nostro bungalow all’interno di una winery così come richiesto, ma con sorpresa il nostro nido di cento metri quadrati si trova isolato in mezzo al bosco nei pressi di un paio di chalet disabitati. Della winery nemmeno l’ombra, c’è solo un edificio vetrato accanto a due meravigliosi laghetti ai margini di un ampio vigneto, è chiuso e dai diversi cartelli visti lungo la sterrata che attraversa la proprietà’ vi si vende pizza a 18 $. Sono le 18.45 e non abbiamo nulla da mangiare, Margaret River è lontana e Cowaramup, il centro abitato più vicino che raggiungiamo in emergenza è deserto, non rimangono che la scatoletta di piselli e mais mixata con quella di tonno, le razioni di sopravvivenza che portiamo sempre con noi.

31 gennaio 2015

MARGARET RIVER

La mattina è mia abitudine tergiversare, figuriamoci se la vetrata di fronte al letto inquadra il bosco e la candela alla vaniglia accesa ieri sera emana ancora il suo profumo. Partiamo con agio imboccando la Caves Rd. e dopo una breve deviazione verso il mare siamo fermi ad osservare dall’alto di un dosso una tra le più belle spiagge viste finora nel Western Australia, la REDGATE BEACH. Stranamente poco frequentata la vediamo frammentata da gruppi di basse rocce che inabissandosi nel mare proteggono la spiaggia dalle onde più alte, l’acqua è turchese ed è un peccato lasciarla. Le winery però non attendono ed un paio di degustazioni prima di ripartire dovremo pur farle essendo questo l’obiettivo della nostra deviazione nella regione vinicola di Margaret River. Aperte fin dalla mattina presto chiudono tutte alle 5.00 p.m. uno strazio per noi mediterranei abituati a chiusure non prima delle 19.. inizia quindi la corsa tra le strade secondarie per raggiungere in tempo almeno le due che dalle immagini ci erano sembrate le più attraenti. La BURCH FAMILY WINES al 543 di Miamup Rd. a Cowaramup è ospitata in un bell’edificio high tek circondato da laghetti e prati verdissimi nel cuore di un vigneto del quale non si vedono i confini ma che attraversiamo percorrendo il lungo ordinato sentiero sterrato. Un paio di calici vengono appoggiati sul lungo banco di legno flesso in una morbida curva da una professionale ragazza in nero che versa non più di un goccio del vino richiesto per la degustazione ed il non bevuto di quel poco deve essere versato in un contenitore a imbuto alle nostre spalle così come indicatoci, il rito si ripete finché soddisfatto il palato si decide di acquistarne la bottiglia, Un Sangiovese la scelta di Vanni, un paio di Chardonnay la mia, usciamo con una bella confezione in cartoncino sobri e soddisfatti, contenti anche di avere visto la cantina dove centinaia di botti di media dimensione sono distribuite in strutture a castello. Avrei trascorso qui un pomeriggio intero. Di tutt’altro genere la LENTON BRAE WINES che raggiungiamo percorrendo una lunga sterrata che attraversa un vigneto di cento ettari. Ospitata in un edificio che vuol sembrare un castello ci accoglie una signora svogliata ma gentilissima che per non perdere tempo ne’ vino annuncia il costo della bottiglia prima dell’assaggio poi ci accompagna gentilmente nell’ordinatissima cantina e ci spiega la provenienza delle botti ed il significato delle scritte a gesso sul loro fondo visibile. Ne usciamo alle 5.30 ed è già tutto chiuso compresa la degustazione di formaggi che vediamo indicata lungo la Bussell highway. Non più negozi ne’ ristoranti aperti, i locali non sono dei tira tardi. Per chiudere in bellezza Vanni si dedica alla cottura della sua T bon nel barbecue in veranda adeguandosi perfettamente al modello australiano di chi preferisce la piastra ardente al fornello di casa… well done!

1 febbraio 2015

FREMANTLE

Fin dal nostro ingresso in città l’atmosfera della piccola Fremantle ci è parsa così come l’abbiamo immaginata ascoltando chi l’ha descritta come contenuta ma vivace, satellite acquisito dalla vicina capitale Perth, ma cresciuta mantenendo il proprio particolare sapore di città bohémienne. La cosa certa è che i locali lungo la South Terrace Rd. che stiamo percorrendo in auto questa domenica pomeriggio sono affollati di persone e piacevoli edifici in stile neoclassico rivisitato accanto ad altri Australian Stile bordano le strade del centro. L’Esplanade Hotel è ospitato in un bell’edificio bianchissimo di metà ottocento dal sapore coloniale con un doppio ordine di sottili colonne a creare un profondo chiaroscuro ed una balaustra neoclassica in alto che contiene tra gli altri anche il terrazzino della nostra 410, la cui vista che si estende dagli alberi in primo piano a quelli delle barche a vela, contribuirà senz’altro alla piacevolezza del nostro soggiorno in città. È quasi sera quando dopo l’aperitivo optiamo per il Capri, il primo ristorante carino che vediamo con chiusura alle 9.30 p.m. Ha un vago sapore di casa eppure qualcosa di tipicamente locale c’è, non vengono serviti alcolici ci dice la cameriera rispondendo con un sorriso al nostro stupore e la bottiglia di vino la si deve portare in borsetta! bizzarro ma già sperimentato in alcune cittadine della East Coast. In questo grande paese l’alcolismo è un grave problema non solo tra la popolazione aborigena.

2 febbraio 2015

FREMANTLE

Arrivo alla spiaggia per caso mentre sto camminando oltre il parco dell’Esplanade in cerca della famosa statua di bronzo a grandezza naturale di Bon Scott, il cantante degli AC.DC. Sono qui sul prato della piazzetta non per vero interesse ma in onore dell’unico vinile del gruppo australiano heavy metal che ascoltavo da adolescente a cercare di riconoscere quel viso a pochi centimetri dal microfono quando invece vedo in lontananza un ragazzo in costume. Seguo la direzione ed eccola, breve e poco profonda, semi nascosta da una banchina più alta e dagli edifici di ristoranti e bar che ne seguono il profilo. Nulla farebbe pensare alla sua esistenza se non l’attenta osservazione della mappa della cittadina sulla quale si legge Bathers beach accanto ai caratteri più grandi di Challenger e Fremantle Harbour che sottolineano la vocazione portuale di questo tratto di costa. Il mare è turchese, la scarsa affluenza inspiegabile, ci sono 37 gradi ed io non ho il costume quindi opto per la visita del vicino e fresco Western Australian Museum Shipwreck Galleries, la Galleria dei Relitti che ospita una interessante raccolta di archeologia navale nel ben allestito magazzino di metà ‘800. Rientro percorrendo la bella High St. con i suoi variopinti edifici neoclassici tra i quali spicca un tendenzioso grigio-blu, più lontane invece, oltre i profili dei tetti, si intravedono le gru del porto. Questa sera ceniamo all’Istanbul, un ristorante turco che non merita le quattro palline attribuitegli da TripAdvisor.

4 febbraio 2015

FREMANTLE

La Moores Building Contemporary Art Gallery (www.fremantle.wa.gov.au) è un ampio spazio espositivo abbastanza trasandato da fare moda con la struttura di legno scuro a vista e la superficie irregolare delle pareti dipinte di bianco. Aperta su Henry St. è collegata lateralmente ad un bar ristorante stretto e profondo che ha lo stesso sapore della galleria e di Richie Kuhaupt che ne è il manager e coordinatore. Lo incontriamo fuori dal locale per raccogliere qualche informazione che ci fornisce poco convinto, le mostre fotografiche non sono molto ambite dai galleristi ma vedremo. La passeggiata che segue è sulla South Terrace Rd, una delle strade più interessanti della città che si spinge in periferia, l’aria è rovente e l’obiettivo sempre più lontano ad ogni indicazione che ci viene data, stiamo raggiungendo un grande murale dal titolo HOME GARDEN LIFESTYLE del Gruppo EAST WEST DESIGN, lungo circa settanta metri ed alto sette. Il soggetto è un fronte strada a due piani di edifici in stile eclettico con prospettive di gradinate che sfumano su vicoli interni, al piano terra le vetrine di negozi contengono oggetti di modernariato, vasi di fiori, un mappamondo mentre altri oggetti sono esposti all’esterno di ampi portoni coperti in alto da tendaggi orientali che inquadrano interni in penombra e non mancano le colonne ed i rispettivi capitelli a decorare brevi facciate neoclassiche. La ridondanza dei particolari comprende un grande orologio a parete, tappeti, finestre aperte, mongolfiere lontane, cataste di ceste di vimini, vasi, tamburi, oggetti africani, lanterne cinesi, intonaci scrostati, cascami di edere e rampicanti fioriti, una piscina lontana bordata di palme, un ampio portone che si apre sulla savana africana, con zebre e giraffe sullo sfondo. Divertente e molto ben fatto. Poco dopo siamo in un nuovo locale sulla spiaggia, seduti di fronte al mare a fare progetti sul proseguimento del nostro viaggio. Sul tavolo c’è la nostra carta stradale aperta, la osserviamo soddisfatti guardando la lunga linea evidenziata che segna tutta la parte sud del continente, poi calcoliamo approssimativamente i chilometri ancora da percorrere fino a Darwin e stanchi anche solo per averli contati, ben 6.000, ordiniamo un’altra birra. Se i luoghi di interesse seguissero un itinerario lineare sarebbe relativamente facile raggiungerli tutti, ma intere aree desertiche dell’Outback sono inaccessibili ed il tracciato che unisce gli obiettivi ha la forma di una stella grande quanto l’Australia.

06 febbraio 2015

PERTH

La Zecca di Stato è il motivo del mordi e fuggi di questa mattina a Perth. Il comodo pendolarismo ci ha visti viaggiare nei giorni scorsi dalla stazione di Fermantle alla stazione centrale della capitale in venti minuti di comoda metropolitana parzialmente costiera. Perché da Fermantle? Perché la nostra cara Asia di nuovo in manutenzione sarà dimessa dall’officina solo oggi nel tardo pomeriggio …. francamente tutte queste inutili lunghe soste per l’auto sembrano da parte di Vanni piuttosto dei pretesti per un po’ di solitudine se non il sintomo di una patologia psichica borderline. Ma torniamo a noi, Eravamo già stati alla Zecca ieri per assistere al rito della fusione dell’oro, ma era stato il vedere l’enorme moneta da 60 libbre il vero spettacolo, così come osservare la seconda pepita d’oro più grande del mondo. Tutto di origine australiana naturalmente così come la numero uno che si trova esposta in uno dei casinò di Las Vegas. Essendo i primi al mondo in una grande quantità di cose ci sta venendo il dubbio che gli australiani tendano ad esagerare le loro effettive performance, ma essendo semmai un loro problema godiamo in silenzio di quei preziosissimi oggetti che risplendono sul fondo di velluti neri ed è sull’onda di quella infatuazione che siamo di nuovo qui oggi, alla Zecca per un acquisto poco impegnativo ma carino e tutto nostro. In questi due giorni di andirivieni qualcosa abbiamo visto di questa tranquilla e non particolarmente grintosa capitale senza storia, nulla che sia però rimasto impresso nella nostra memoria, né le interminabili vetrine di negozi e grandi magazzini ai piani terra né in verticale negli alti edifici svettanti sugli altri. È già buio quando finalmente facciamo il nostro definitivo ingresso in città a bordo di Asia per la quale abbiamo perso ulteriore tempo a Fermantle cercando la seconda introvabile ruota di scorta. Che pazienza! …. ma non è tutto. Il parcheggio del Citadines Hotel non supera i 2.10 metri di altezza libera come la maggior parte di quelli al coperto di tutte le città australiane, se a questo si abbina l’assenza di parcheggi custoditi all’aperto scatta il problema perché Asia non è solo alta 2.20 metri e piena delle nostre cose, è anche la nostra inseparabile compagna di viaggio e va custodita come si deve. La gestione dell’inevitabile isteria di Vanni è il conseguente mio secondo problema ma l’aggressione verbale della receptionist, da parte sua per fortuna in lingua italiana, sortisce in questo caso il suo effetto e così la gentile signora ci accompagna in un lontano parcheggio all’aperto, buio e custodito dalla sola sbarra. Non è la situazione ottimale ma è l’unica possibile per il momento. A seguire ceniamo in un bistrot con musica live dove dimentico ma poi ritrovo la borsetta…. stupisce che io soffra sporadicamente di aritmie cardiache?

07 febbraio 2015

PERTH

Sembra incredibile ma quando mi sveglio Vanni ha già trovato il parcheggio perfetto a due passi dall’Hotel, il posto handicap in ingresso che precede la barriera dei 2.10 m. Avrà senz’altro sfoderato tutta la sua abilità di manipolatore perché gli venisse concesso il privilegio dalla signora alla guardiola e per fortuna perché quando raggiungiamo Asia vediamo che una serratura è stata forzata ed alcune cose sono state rubate dal cruscotto, il danno è minimo ma se l’avessimo lasciata anche questa notte l’avremmo probabilmente trovata vuota. Superato il problema godiamo di questa bella giornata di sole passeggiando lungo le strade alberate a nord della stazione e poi verso la fresca Art Gallery del Western Australia della quale apprezziamo soprattutto l’arte aborigena che è in definitiva la migliore espressione artistica del continente. I dipinti sono a disegni geometrici o figurativi stilizzati eseguiti imprimendo sulla tela punti di colore con la punta delle dita o con bastoncini imbevuti, le tonalità sono quelle che si trovano in natura, soprattutto le terre, i Verdi ed i bianchi. Una figura di donna mi colpisce particolarmente, in bronzo nero abbraccia il suo bambino, trattenendolo con il viso contratto in un urlo disperato. Immagino si riferisca al lungo periodo buio nella storia socio culturale australiana del quale riporto un articolo: “La generazione rubata, o in inglese STOLEN GENERATION, è il nome con cui vengono generalmente indicati quei bambini australiani aborigeni e isolani dello stretto di Torres che furono allontanati per sempre dalle loro famiglie da parte dei governi federali australiani e dalle missioni religiose ai sensi di alcune norme parlamentari vigenti nei singoli Stati. Partendo dal 1869, gli allontanamenti forzati continuarono fino al 1969, anche se in alcuni luoghi proseguirono sino agli anni ’70”. Scegliamo di trascorrere la sera in un Jazz Club, l’Ellington in Beaufort St. dove sul nero totale spiccano la cantante brasiliana, e le note della bossa nova. Piccolo e stipato di gente seppur a numero chiuso, vi si respira una bella atmosfera calda e vivace. Siamo felici.

08 febbraio 2015

CERVANTES

È domenica mattina ed il sole già intenso proietta sulle strade ancora vuote del centro le ombre spigolose degli alti edifici. Lasciamo l’hotel Citadines e Perth che si abbassa e si distende negli ampi spazi verdi lungo lo Swan River fino a scomparire alle nostre spalle mentre ci avviamo lungo la litoranea che seguiamo fino a Cervantes, 200 km più a Nord. Il cielo è una campitura uniforme di colore azzurro ed il mare seppur vicino è reso invisibile dalla vegetazione che ne lascia scorgere solo a tratti sottili fasce orizzontali. Nei pressi di LANCELIN, ad un centinaio di chilometri da Perth il paesaggio si complica flettendosi in leggeri pendii sabbiosi coperti da un tappeto di bassi cespugli dai quali si alzano alte dune di sabbia bianca. Il contrasto di colori è esasperato dalla nitidezza dell’aria mentre le sfumature delicate dei bianchi sono impercettibili nel bagliore della sabbia candida sotto il sole già alto, scopriamo poi che queste spettacolari dune in movimento si spostano di dodici chilometri ogni anno sollecitate dal vento dominante che soffia da Sud Ovest. Pochi chilometri prima di Cervantes deviamo per raggiunge il NAMBUNG NATIONAL PARK e con lui il PINNACLE DESERT dove centinaia pinnacoli di arenaria di varie altezze sono distribuiti sulla sabbia compatta di un deserto piccolo e surreale, così magico da incantare. Sono le tre del pomeriggio e la luce ancora intensa sbiadisce i colori della sabbia e della roccia modellata dall’erosione in snelle colonne o in masse acuminate come grandi acuminati termitai. Ci addentriamo trovando uno dei possibili percorsi di quel virtuale labirinto, osservando le forme sempre diverse, ammirando le composizioni e l’effetto d’insieme di quel caos di pinnacoli. Non contenti torniamo al tramonto quando la luce più calda ha impastato i colori e definito i contorni di quei piccoli totem color ocra. Non è difficile a quest’ora trovare una prospettiva solo nostra e sentire il piacere del deserto mentre la luce va spegnendosi e l’atmosfera diventava immobile fino a spegnersi. Che bella emozione, e quanto tempo è passato dal nostro ultimo deserto. Dormiamo al Cervantes Pinnacles Motel che apprezziamo per l’ottima pizza.

9 febbraio 2015

NORTHAM

Arriviamo in città verso le tre del pomeriggio dopo aver verificato presso quattro demolitori di Midland e di Northam l’impossibilità di trovare un pneumatico con cerchione o solo il pneumatico o solo il cerchione di scorta per Asia, troppo vecchiotta persino per un demolitore di qui, poverina… Avremmo dovuto cercare a Margaret River dove quel modello HJ60 della stessa età rappresenta il più chic fuoristrada dei surfisti… dicono tutti a Vanni per infierire. In realtà Asia ha già una ruota di scorta, ma per attraversare l’outback sulla Great Central Road è consigliato averne due … oppure una sola ed una buona dose di fortuna. Ci sono 42 gradi oltre la porta della camera dello Shamrock hotel, ma una passeggiata lungo la Fitzgerald St. è necessaria anche se inutile se finalizzata al piacere dello stare e del vedere. Esco poco dopo le cinque mentre Vanni e’ dal quinto demolitore della giornata, i negozi sono già chiusi e non c’è nessuno, quindi opto per una rigenerante passeggiata al Woolworth dove vedere persone e fare shopping. Una confezione di tè, una candela profumata ed una limetta per unghie, poi l’inevitabile…. uscire dal supermercato è come muoversi verso un grande phon acceso, quindi raggiungo in fretta l’ Hotel. È il più vecchio di Northam, costruito nel 1986 meriterebbe una gestione più attenta ed un bel restauro, la camera infatti è spoglia, senza l’ armadio né l’ asciugacapelli ed il bagno maleodorante, ma i cuscini hanno un buon odore e le lenzuola prima dell’accensione del condizionatore sono calde come appena stirate, un effetto speciale per il quale siamo disposti a chiudere un occhio.

11 febbraio 2015

KALGOORLIE

Finalmente dopo 164 km percorsi e la strenua ricerca in località MERREDIN abbiamo la seconda ruota di scorta che anche se non conforme può sostituire una delle due posteriori… Vuoi essere così sfortunato da forare entrambe le anteriori? …. dice il gommista a Vanni per convincerlo a desistere dal cercare ancora, e ci riesce. Trascorsa la notte al Merredin Motel e percorsi ancora 340 km lungo la strada che corre parallela alla ferrovia ed al lungo acquedotto, entriamo a Kalgoorlie, la città mineraria più intrisa di oro di tutto il W.A. Sorta alla fine dell’800 attorno alla piccola miniera allestita da un avventuriero arrivato in mezzo al deserto in cerca di fortuna, viene definita la Las Vegas dell’Outback australiano essendo l’oro e quindi il denaro l’unica ragione della sua esistenza all’interno di un territorio adatto a poche forme di vita. La ricchezza non è visibile nella recente espansione dei quartieri operai, bensì negli edifici costruiti nell’ormai lontano passato lungo Hannan Street, agli albori dello sfruttamento, quando chi trovava il suo filone costruiva la città. I 40 gradi rendono questo primo pomeriggio caldissimo, così tanto che in strada ci sono solo gruppetti di aborigeni incuranti della canicola perché abituati da secoli a vivere il deserto. E’ quasi sera quando decidiamo di fare due passi lungo la strada che da’ lustro alla città, l’unica ad avere i semafori e le vetrine che impolverate o vuote mostrano la decadenza della città che vive in funzione della sua grande miniera. Tutti concentrati in un tratto di strada relativamente breve gli edifici dei primi del ‘900 rendono bene l’atmosfera dei bei tempi della corsa all’oro ed i quattro edifici d’angolo all’incrocio con Maritana Street ne sono gli esempi più rappresentativi. Tutti con un doppio ordine di sottili colonne di legno o ferro con porticato al piano terra ed ampia e profonda terrazza coperta al primo piano, l’Exchange Hotel ed il Palace Hotel sono i più accattivanti ed ospitano i due migliori ristoranti del centro. Decidiamo per la terrazza del Palace la cui cucina è una delizia, il filetto di Vanni ed il mio barramundi, il pesce di acqua dolce più proposto dai ristoranti, sono così squisiti da distrarre dal rumoroso vocio dei clienti e dall’auto che passa a cadenza regolare diffondendo musica assordante. La chicca è il meraviglioso Chardonnay di Nannut, la cittadina che abbiamo amato per la sua avvolgente e tranquilla atmosfera ma non per il suo vino della cui esistenza allora non vi era traccia. La sorpresa ci aspetta giù in fondo alle scale, al Gold Bar dove rimaniamo sbalorditi di fronte alla specialissima interpretazione del servizio da parte delle due strepitose cameriere vestite del solo intimo super sexy coordinato a reggicalze e tacchi a spillo che servono birre e fanno scivolare via il reggiseno solo se i clienti pagano l’extra … come se non bastasse l’esibizione della loro bellezza per avere un extra. Per quanto estremamente originale per noi, non c’è nulla di strano in questo qui a Kalgoorlie, dove la tradizione è rimasta immutata da oltre un secolo e le signore al banco sono da sempre impegnate a risollevare gli animi dei minatori dopo il duro lavoro anche mostrando loro le curve. Vanni si ferma ed io vado nell’adiacente più sobrio locale dove le signore giocano a biliardo.

12 febbraio 2015

KALGOORLIE

Il Super Pit è l’epicentro della città, il suo elemento generante, il Big Ben di Kalgoorlie. Ci rechiamo in pellegrinaggio verso il mezzogiorno come da indicazione di Len che aveva date per certe a quell’ora le esplosioni di sbancamento in miniera… avrebbero senz’altro dato un sapore diverso al nostro sopralluogo, ma la loro assenza non ha tolto nulla al nostro compiaciuto stupore di fronte alla straordinaria bellezza di questo immenso strutturato cratere nella roccia. Non proprio un credere ma un complesso enorme sbancamento di forma poligonale articolato in terrazzamenti digradanti verso il basso che si inabissano fino a raggiungere una piccola superficie orizzontale. Le sue dimensioni 3.5 km di lunghezza, 1.5 km di larghezza ed una profondità di 570 metri sono in continuo aumento, Rendono l’idea della grande scala gli enormi megadampers pieni o vuoti di pietrisco a seconda che salgano o scendano le ripide rampe da o verso l’area di estrazione, quella fatta esplodere senza di noi, chissà quando… Un pneumatico di quegli enormi mezzi ha un diametro di circa 2.5 metri, la sua altezza finale è di circa sette metri ed una doppia rampa di scale pieghevoli consente all’autista di salire. Dall’alto del lookout sembrano di modeste dimensioni, ma il pick-up in avvicinamento sulla stessa rampa sembra un microbo di fianco alla loro mole. Spettacolare. Pomeriggio di laundry e serata al ristorante dell’Excelsior Hotel, decisamente più scarso del dirimpettaio Palace.

13 febbraio 2015

KALGOORLIE – LAVERDON

Fa piacere ammettere di aver sbagliato opinione quando ciò che si rivede appare più bello di quanto lo era stato, e la passeggiata di questa mattina sulla Hannan Street di Kalgoorlie è stata in questo senso illuminante. C’è una bella energia in città, e soprattutto c’è gente che si muove, che sosta nei tavolini di UN bar per lo spuntino, c’è chi parcheggia, chi entra in negozio, chi si allontana ma soprattutto ci sono i bellissimi edifici del primo insediamento di inizio ‘900 uniti in due compatti prospetti dai profili irregolari lunghi qualche centinaia di metri. Si fronteggiano abbastanza lontani da poter accogliere un tempo le carovane di cammelli in transito o per diventare salotto, punto di arrivo, di scambio e di mercato. Sono rimasti come sono sempre stati, con i sottili pilastri di ferro a dare un ritmo all’intera vecchia città …. ed i porticati a dare l’ombra necessaria. Del pioniere è rimasta la statua di bronzo nell’angolo di due marciapiedi che lo ritrae con i poveri abiti da minatore e la sua borsa dalla quale ora sporge un rubinetto di acciaio … forse a simboleggiare che l’acqua qui è importante quanto l’oro? Dalla statua di Paddy Hannan ricomincia il lungo viaggio verso il cuore del continente, verso Ayers Rock lontana 1600 km, ma la nostra prima sosta è a Laverton, la porta del deserto come lo è Zagora del Sahara. Quando usciamo dall’auto alla stazione di servizio della Shell a Leonora i 47 gradi che ci cadono addosso sono così potenti da farci scoppiare a ridere e poi risalire in fretta per gli ultimi 124 chilometri dei 360 di oggi, accanto alle montagne di materiale di scavo delle miniere che continuano a succedersi numerose. A Laverdon non ci sono che pochissime case, forse cinque compreso il modesto Desert Inn Hotel dove abbiamo prenotato una camera ed il Laverton Motel poco più avanti sull’altro lato della strada che scegliamo per il posto auto di fronte alla camera, i pochi aborigeni in circolazione sono troppo malandati per dormire sonni tranquilli lontani da Asia. L’office in penombra del Laverdon è scassato al limite della decenza e quasi mi pento di essere qui a chiedere una camera a Sam la cui accoglienza genuina e cortese per contro mi spiazza e mi fa tendere la mano per afferrare la chiave. La camera è in realtà un appartamento di 120 mq e mi piace, anzi mi affascina per la sua piacevole decadenza, per la sua teatralità, per i suoi colori, per la sua storia, per la vernice consunta della sua porta d’ingresso e le incrostazioni sulla ceramica consumata del lavandino e della vasca, per la ribaltina sul fornello e per il rivestimento viola delle due poltrone in salotto, per il quadretto con la tigre nel divisorio di legno della cucina e quel lettino addossato alla parete, per la stufetta elettrica ed il linoleum grigio, per la scopa azzurra appoggiata alla vecchia caldaia in lavanderia e la sedia gialla che ne tiene aperta la porta, per le pareti che non toccano il soffitto e per la luce indiretta che illumina il bagno ed il lungo, stretto corridoio in fondo al quale una porta verde chiaro si apre su un cortile informe nel quale c’è un feroce cane da guardia, dice Sam. È nata insieme a me questa casa e forse per questo la scelgo per scattare molte foto, non essendo io Wim Wenders e non potendo usarla come set per un Paris Texas.

14 febbraio 2015

LAVERDON – WARBURTON

Vanni ha una perla in mano che mi porge mentre sto aprendo gli occhi… è il mio regalo di San Valentino, prezioso solo per la sua storia della quale conosco la più recente ….. Vanni stava raccogliendo un tappo da terra vicino al distributore di benzina quando alzandosi vede un aborigeno a pochi metri da lui che si avvicina ed aprendo la mano gli mostra la mia perla. Come una bambina la ripongo nella piccola busta trasparente accanto al lingottino acquistato pochi giorni fa alla Zecca di Perth chiedendomi quale sia il bene più prezioso, l’oro o l’acqua? … l’oro o questa perla che ha una storia? La sterrata inizia una decina di chilometri dopo Laverton, ed è in ottime condizioni tanto che l’idea di percorrere i 1200 km in quattro giorni sostando in ognuna delle Roadhouse lungo il tragitto viene subito abbandonata. Sono le 6.30 del mattino, il sole è ancora basso e sulla superficie scura della strada immacolata vediamo le prime inconfondibili orme dei canguri, rosse come la terra sabbiosa oltre i bordi. Non tardiamo molto a vederli mentre attraversano a balzi la strada a qualche decina di metri da noi, un adulto ed un cucciolo poi un gruppo di cinque, è sempre un piacere vederli e riuscire a farlo in tempo per non travolgerli e andare fuori strada. Il manto stradale che segue ha le fastidiose ondine in sequenza sulle quali bisogna procedere a velocità sostenuta per non saltare come su un setaccio, quindi lanciamo Asia a briglia sciolta e voliamo sulla GEAT CENTRAL ROAD, la più lunga scorciatoia del continente che collega Perth a Cairns. Attorno a noi il paesaggio è reso verde dai bassi cespugli tappezzanti e solo dopo molti chilometri vediamo un gruppo di dromedari che si abbevera oltre la strada, qualche gatto selvatico e gruppi di piccoli pappagalli Bianchi e rossi, un toro solitario vicino ad un mezzo bidone che fa da abbeveratoio e due auto, questo il totale degli avvistamenti lungo i 548 chilometri di perfetta strada non asfaltata fino alla Roadhouse di WARBURTON dove ci fermiamo chiedendoci se gli autori delle più note guide di viaggio, i numerosi australiani cui abbiamo chiesto, nonché i gommisti ai quali ci siamo rivolti che l’hanno descritta ad alto rischio abbiano mai percorso questa strada …. Di fronte all’ingresso della Roadhouse le tre pompe di rifornimento sono blindate all’interno di gabbie metalliche, due per il diesel ed una per l’Opal, il carburante che sostituisce la benzina perché non esala i vapori che gli aborigeni amano inspirare per sballare e per lo stesso motivo anche le bevande alcoliche sono vietate per legge su tutto il territorio… non per salvare loro la vita, ma per rendere meno problematica quella di tutti gli altri. Alla grassa signora che ci accoglie con la scopa in mano chiedo se non le è difficile vivere in un posto così isolato e con questo caldo torrido, in fondo è come vivere in una prigione…. la signora prima ciondolante si rianima finalmente e con un sorriso mi risponde che si ferma per lavorare solo un anno e poi torna a vivere a Bali per altri due, ma mentre ci incamminiamo alle camere tra le quali dovrò scegliere mi parla della piacevolezza del vivere qui nell’Outback dove le primavere sono tiepide e fiorite, gli autunni miti e gli inverni gelidi, il caldo insopportabile invece non dura più di tre settimane. Dopo aver visto le tre opzioni scelgo una delle due nuove casette prefabbricate costosissima come lo è tutto in queste Roadhouse dove anche il gasolio costa circa il doppio del normale prezzo. Quando entriamo le pareti interne sono caldissime e l’acqua sgorga fredda solo dopo qualche minuto, ma tutto questo ci diverte… perché l’aria condizionata è al massimo e perché là fuori sopra di noi ci sono non cinque ma milioni di stelle, come leggiamo sul depliant illustrativo della Great Central Road. Ho letto un breve scritto che parla dell’anima di questo immenso territorio, ed è questo: NON C’È TERMINE NELLA NOSTRA LINGUA CHE POSSA DEFINIRE COS’È L’OUTBACK, LETTERALMENTE SIGNIFICHEREBBE “FUORI L’OLTRE”, “OLTRE L’OLTRE”, PER INDICARE UN POSTO CHE STA PROPRIO IN FONDO, CHE È OLTRE QUALSIASI POSTO.


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01 Tasmania

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05 Northern Territory

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07 Northern Territory

Oceania

08 Timor Est

Oceania

05 Northern Territory


16 febbraio 2015

WARAKURNA – AYERS ROCK

L’avvicinamento ai Monti Olgas ha resettato la fatica degli ultimi 220 km di strada piuttosto scomoda che hanno segnato l’ingresso nei Northern Territory. Belli e suggestivi quanto il loro nome in lingua aborigena, KATA TJUTA, li abbiamo visti spuntare da lontano come una sfuocata nuvola scura e li abbiamo infine raggiunti dopo averne assaporato la sequenza di slide in avvicinamento. “È il luogo per il quale vale la pena visitare l’Australia” ho pensato, ed in effetti conquistano le 28 cupole di granito rosso addossate e premute che si ergono dalla piatta cespugliosa distesa di sabbia dello stesso colore. Ci fermiamo per osservarle da vicino, per fissare il perfetto groviglio di rocce levigate diventate l’inconsapevole obiettivo del lungo viaggio sulla Great Central Road, il capolavoro che si sovrappone al più popolare AYERS ROCK fino a farlo scivolare fuori dalle nostre priorità. Ed anzi lo osserviamo perplessi come un deja vu che confonde quando dopo 50 km lo sfioriamo per raggiungere il Sails in the Desert Hotel la cui 182 ci incanta. E’ appartata e silenziosa, la parete vetrata sul fondo si apre su un giardinetto di sassi arrotondati ed il design minimale dell’interno è ammorbidito con decise colorate connotazioni di arte aborigena. Sulla moquette color panna per esempio un disegno percorre tutta la stanza come una saetta, i pigmenti sono quelli delle terre e la figura è la rappresentazione bidimensionale del terreno visto dal cielo. Appesa alla parete c’è la riproduzione di un dipinto di Pamela Tukurla nel quale i punti e le linee disegnano la vegetazione del deserto, i cerchi concentrici collegati da linee rappresentano invece le pozze, i corsi d’acqua ed i viaggi degli antenati durante la creazione. Questa stanza introduce alla cultura aborigena Anangu ed al grande monolite che abitavano e che ora vediamo ammirandone senza riserve la complessità della superficie e la sua intrinseca magia.

17 febbraio 2015

AYERS ROCK

La passeggiata al tramonto attorno ad ULURU, il grande monolite, ce ne ha fatto scoprire la complessa morfologia evidenziata ora da un articolato chiaroscuro, ci sono onde, solchi profondi come ferite, catene di polle che scendono digradando scavate dall’acqua che scende in cascatelle durante le abbondanti piogge monsoniche, una pozza d’acqua rettangolare, scalfitture a macchia che creano grandi disegni, in realtà Ayers Rock è un libro pieno di immagini. I luoghi sacri agli aborigeni sono semplici ma potenti, senza immagini evidenti, ma appena accennate a rilievo sulla superficie curva di grandi onde di pietra scavate naturalmente nella roccia e sembrano essere sempre esistite, modellate dalla natura piuttosto che dall’uomo… Due di queste mi hanno particolarmente emozionata forse perché essendo sola ho potuto sentire tutta l’energia e la complicità di quei due corpi che ho immaginato femminili. Il primo emerge chiaro dalla roccia grigia con sfumature azzurre, i suoi volumi in rilievo sono così delicati da risultare impercettibili, immaginati piuttosto che reali. Il secondo invece è collocato in posizione centrale dentro una nicchia meno ampia, il suo corpo è imponente e poco definito, quasi un sarcofago in posizione verticale, le colature bianche che partono dalla testa sembrano di caolino, un liquido che viene utilizzato anche in alcuni paesi del Nord Africa dai feticheur durante i riti religiosi. L’empatia era fortissima, avrei voluto rimanere a lungo e condividere quell’energia al femminile con chi quelle immagini le ha sentite con la stessa intensità…. per esempio una donna aborigena. Sono tante le leggende legate ad Ayers Rock, una di queste è che raccogliere e portare con se’ anche solo una piccola scheggia della sua roccia porti una grande sfortuna, tanto che chi lo ha fatto l’ha poi spedita indietro. Questo pensiero ha accompagnato ogni mio scatto sapendo che non avrei mai potuto cancellare quelle immagini.. e mi si sono drizzati i capelli quando ho visto Vanni uscire dal percorso segnato e addirittura fare pile con le pietre di questi luoghi sacri la’ dove non avrebbe dovuto nemmeno appoggiare un piede… Certo è che l’obiettivo impazzito che si è allungato all’esterno in un profondo zoom subito dopo aver oltrepassato il cartello del divieto di fotografare fa pensare….

18 febbraio 2015

KINGS CANYON

Lasciare Uluru e Kata Tjuta senza averli visti dall’alto avrebbe significato perdere una parte della loro magia, quindi dedichiamo ancora un po’ di tempo al volo in elicottero che ci mostra questa volta il miracolo della loro esistenza nel piatto desolato deserto dal quale emergono solitari ed imponenti sulla sabbia rossa che li accoglierà definitivamente tra qualche milione di anni. È già il primo pomeriggio quando deviando sulla Lasseter Hwy per raggiungere il Kings Canyon vediamo il profilo sfuocato del MONTE CONNER, un’ ampia bellissima mesa solitaria meno nota non perché meno interessante …. a questo punto manca solo il KINGS CANYON per chiudere il cerchio delle più belle formazioni rocciose del Northern Territory, quindi andiamo. Luritja Road corre parallela alla spettacolare catena montuosa George Gill Range, le cui falangi terminano come artigli che affossano nella terra del Watarrka National Park. La percorriamo facendo qualche sosta per ammirarne il profilo piatto come un basso tavolato mosso dalle propaggini che degradano verso la rigogliosa vegetazione sottostante … Poi arriviamo alla 232 del Kings Canyon Resort che essendo l’unico in zona si propone a prezzi folli … ma in camera ci sono una bottiglia di bianco frizzante ed una vasca idromassaggio con parete vetrata che valgono la spesa. Bollicine da tutte le parti accompagnano quindi il tramonto e la notte stellata. Meraviglioso!

19 febbraio 2015

ALICE SPRINGS

Gli elementi più suggestivi del Canyon sono le due pareti rocciose che si fronteggiano lisce e perfettamente verticali ed i toni caldi della roccia in luce che brilla sotto il sole di questa mattina. Avventurarcisi non è facile perché l’unica pista accessibile non si spinge a sufficienza dentro il canyon e le due più impegnative chiudono alle 9.00 del mattino per il caldo eccessivo, quindi alle 9.30 siamo già sulla Stuart Hwy in viaggio verso Alice Springs. Ne conosciamo ogni sfumatura da mesi, sappiamo quando, perché è stata realizzata ed il motivo della sua fama, e’ l’unica strada che collegando Adelaide nel Sud alla lontana Darwin nel Nord, costituisce la spina dorsale del continente ed i suoi 2.834 chilometri di asfalto ininterrotto rappresentano la via di comunicazione vitale per molti piccoli centri che si trovano lungo il suo percorso. L’avevamo immaginata larga e trafficata ma è una normale strada a due corsie, poco trafficata come quasi tutte le altre, ma l’Australia è bella anche per questo …. non smette mai di sorprendere. Il Chifley resort è oltre il fiume, così in secca da poterlo attraversare a piedi ed Alice Springs è dall’altra parte del ponte, silenziosa in questo tardo pomeriggio ancora caldo. Circondata da una catena montuosa Alice Springs sembra piccola perché non è complessivamente misurabile, la sua skyline bassa e piatta e la vegetazione alta dei viali e dei parchi la rendono pressoché invisibile. Per vederla quindi bisogna passeggiare tra i bassi edifici che non superano mai il primo piano, compresi quelli del piccolo centro città che attraverso per raggiungere il Rose Hair & Beauty Salon dove mi aspettano alle 19 per un piccolo restiling. È così che la vedo, semplice e rilassata come i gruppi di aborigeni che riposano stesi sull’erba del piccolo parco vicino al fiume sotto l’ombra fresca degli eucalipti …. perché no? lo hanno sempre fatto. Sono molti, circa un terzo dell’intera popolazione e sembrano esserci solo loro adesso a camminare per le strade un po’ spaesati ed insicuri del loro futuro. Abbassano lo sguardo o lo rivolgono altrove per la paura immagino di leggere il disappunto quando non il disprezzo in quello degli altri. Li hanno decimati massacrandoli fin dalla fine dell’ ‘800 ed hanno cercato con ogni mezzo di cancellare la loro antichissima cultura, dal 1933 al 1963 hanno rubato i loro figli di sangue misto per allevarli in orfanotrofi o all’interno di famiglie bianche e continuano a detestarli. Mi fanno una grande tenerezza.

20 febbraio 2015

ALICE SPRINGS

La stazione del telegrafo è l’edificio più antico, la prima pietra della città nonché la ragione della sua esistenza, l’oro invece fu quella della sua crescita, quindi ci rechiamo in pellegrinaggio. Non sembrava irraggiungibile a giudicare dalla mappa approssimativa della L.P, invece l’obiettivo sembra sempre più distante, ed il sole delle 13 sempre più cocente fa cedere Vanni che abbandona la missione, io invece bevo una coca cola gelata da Burgy e prendo il taxi. Le casette di pietra molto patinate sorgono su un bel prato alberato in cima ad un’ altura adiacente alla città, a circa quindici minuti in auto dal centro. Gli arredi sono quelli essenziali che arrivarono da Augusta a dorso d’ asino e la piccola stanza del telegrafo espone gli strumenti che utilizzati fin dal 1872 dimostrano tutto il loro tempo…. Li osservo con tutto il rispetto che si deve al Big Bang di Alice Springs. Rientrando attraverso il Todd Mall, la tranquilla via pedonale del centro, ombreggiata dagli alberi con pochi bar e molte gallerie d’arte che espongono opere realizzate esclusivamente da artisti aborigeni. È in una di queste, la Papunya Tula Artists Gallery, che mi innamoro di un 61×55 di Yakari Napaltjarri, un’anziana signora che dipinge utilizzando un linguaggio piuttosto maschile, mi dice la gentilissima giovane gallerista che la conosce e la adora. La tecnica e quella tradizionale dei punti di colore, il soggetto una serie di cerchi concentrici Rossi su campo bianco uniti da barrette dello stesso colore.. Nell’ancestrale tradizione aborigena rappresentano le pozze d’acqua collegate dai corsi d’acqua e dai percorsi creati dagli antenati, il soggetto è classico ma la realizzazione degna di una brava pittrice.

21 febbraio 2015

TENNANT CREEK

Lasciamo Alice Springs per inseguire il nostro prossimo obiettivo, la lontana Broome sulla costa nord occidentale, molti ne parlano come di una delle spiagge più belle del Western Australia, anzi la più bella e sarebbe imperdonabile non andare a verificare. Scartata l’ipotesi di percorrere la scorciatoia che da Alice raggiunge Halls Creek passando per Timouth, Yuendumu e Billiluna, scelta che avrebbe significato percorrere su un totale di 1.050, 900 km di strada non asfaltata e sabbiosa a partire da Timouth, per poi proseguire verso la costa sulla Great Northern Victoria Hwy per altri 685 km fino a Broome …. scegliendo dunque la comodità puntiamo per il momento a Nord verso Katherine, 1.213 km per poi deviare una volta raggiuntala sulla Great Northern Victoria Hwy fino a Broome percorrendone altri 1.576 … indipendentemente quindi dall’itinerario raggiungere quella bella spiaggia è piuttosto impegnativo ed è forse questo che fa di lei la più bella. Duemilasettecentoottantanove chilometri non sono molti rispetto ai circa diecimila già coperti nel continente, tantomeno se facendolo si attraversano territori che per la loro bellezza non annoiano, o che se anche non particolarmente belli incuriosiscono. Il Tropico del Capricorno è il primo caposaldo ad essere raggiunto e superato a Nord di Alice Springs. AILERON arriva poco dopo per un rifornimento di gasolio ed un sandwich toasted. È poco più di una stazione di servizio, ma è un attivo centro d’arte aborigena che si presenta con le due altissime sculture di metallo brunito visibili dalla strada, la figura femminile protegge un bambino difendendolo con un bastone da un varano mentre la figura maschile con lancia è in cima ad una massicciata di pietre rosse accanto al nome del paese scritto in bianco a grandi lettere. Di fronte al piazzale un anziano signore aborigeno con i capelli bianchi ha fermato la sua auto e senza chiudere lo sportello si è seduto sul prato all’ombra di un eucalipto… se non fosse per la paura che ho dei serpenti in questo paese che ospita gli animali più pericolosi del mondo proverei volentieri anch’io. Sulla strada alcuni Train Road lunghi 55 metri con tre semirimorchi sfrecciano accanto a noi mentre barre graduate sui cigli indicano nelle floodway l’altezza massima dell’acqua in caso di inondazioni durante le lunghe piogge monsoniche rendendo bene l’idea dell’immensità degli spazi e della potenza della natura. A Wycliff Well si avvistano UFO fin dalla II guerra mondiale, per questo la sua stazione di servizio che scegliamo spinti più dalla curiosità che dal bisogno è completamente coperta di murales e di sculture a tema. Il tutto crea una certa confusione, soprattutto quando entrando per pagare il rifornimento ti scappa un “vorrei due biglietti per il luna park”. Poi un pick-up bianco arriva a gran velocità e inchioda accanto ad un gruppetto di signore e bambini aborigeni, dall’interno esce la voce roca dell’uomo bianco che seduto al volante urla loro qualcosa, destreggiando l’auto come se fosse un cavallo imbizzarrito e rivolgendosi loro come fossero buoi da ricondurre al recinto … o meglio in riserva…. Il lungo viaggio di oggi verso TENNANT CREEK ci riserva un’altra sorpresa, i Devil Marbles, che dopo 390 km diventano l’ interessante pretesto per una passeggiata tra i giganteschi massi granitici tondeggianti in precario equilibrio l’uno sull’altro che svettano sulla piana circostante. Secondo la mitologia aborigena sono le uova del serpente arcobaleno, a me sembrano uova sode con patate… forse è il caso di fermarci a mangiare qualcosa! Arriviamo dopo 505 km al Goldfields Motel di Tennant, l’office è nella birreria comunicante che sta proponendo musica rock sparatissima ed i pochi clienti tutti belli rubicondi stanno fissando il monitor come ipnotizzati. In camera ci sono un paio di bellissime cavallette, fuori invece sono a centinaia… una delle sette piaghe d’Egitto sembra essersi riproposta qui a Tennant Creek. La strada principale della cittadina nata come stazione del telegrafo e poi cresciuta sull’onda della corsa all’oro è come molte altre, delimitata da bassi anonimi edifici ad un solo piano interrotti da un giardinetto con due panchine e poca vegetazione, i marciapiedi sporchi e niente che attragga l’attenzione tranne in questo caso la nuovissima stazione di polizia che per come appare potrebbe ospitare un piccolo museo di arte contemporanea. Altrettanto stravagante vista la tendenza proibizionista dello Stato è l’elevato numero di locali nei quali si vende alcol oltre ai due Bottle Shop piantonati da guardie armate che trascrivono i nomi degli aborigeni entrati a fare acquisti. Cena asiatica al Wok’s Up di fronte al motel.

22 febbraio 2015

DALY WATERS

La GoldXXX piccola e ghiacciata bevuta nel pub di DALY WATERS ha un sapore diverso, per questo dopo la chiusura della stazione del telegrafo tanti anni fa è rimasto solo il pub a Daly Waters e le quaranta persone che gli ruotano attorno. Per tenerlo in vita ne hanno fatto un luogo stravagante e con una bouganville color fucsia accanto alla tettoia che fa molto oasi con il caldo che fa e la polvere del piazzale. Chi passa lascia qualcosa, per questo l’interno e’ saturo di reggiseni appesi, mutande e banconote tra le quali ora c’è anche la nostra, graffettata sopra ad una mazzetta già impolverata, accanto al viso di Mao Tse Tung. Nonostante il kitch ed il caldo torrido ci abbandoniamo alla tranquilla rilassatezza di Daly che dopo la birretta sarebbe una violenza lasciare, quindi prendiamo possesso della nostra casetta prefabbricata con steccato cresciuta sull’erba del parco di fronte. Quando dopo il diluvio torniamo il pub è già pieno di gente arrivata chissà da dove.. Il tempo di mangiare un burger di Barramundi e una T-Bon accompagnati da un paio di GoldXXX e siamo di nuovo soli. Che strano e piacevole posto questo Daly Waters.

23 febbraio 2015

KATHERINE

L’ingresso nella fascia tropicale ha portato alcune novità visibili anche da noi che monitoriamo il territorio dalla strada, tra queste i fallici termitai di terra rossa che spuntano dall’erba alta e verdissima all’ombra di alberi a basso fusto oppure dal bordo strada appena oltre l’asfalto, costruiti dalle termiti più temerarie. Fanno compagnia ed incuriosiscono per l’originalità delle composizioni del modello base che consiste in una torretta appuntita di altezza variabile da più di un metro a pochi centimetri, molto simili per forma a quelle che facevamo facendo colare dalla punta delle dita la sabbia resa liquida dall’acqua del mare. Alcune composizioni sembrano castelli, altre le canne d’organo, le solitarie invece dei falli. Altra novità, le mucche hanno sostituito i canguri nei cartelli gialli che segnalano la possibilità di attraversamento, le vediamo anche a due passi dalla strada lontane dai recinti nei quali saranno radunate e caricate dopo essere state fatte passare tra le sbarre strette dei trampolini a mezz’aria…. Katherine segna l’importante crocevia tra la Stuart e la Victoria Hwy, e rappresenta la porta di accesso all’Oceano Indiano di Broome per tutta l’Australia del Nord. Arriviamo in città ancora in forma dopo soli 276 km da Daly Water e seguendo le indicazioni del navigatore anche se non necessario per districarsi tra queste quattro strade… in pochi minuti siamo al Beagle Motor Inn Motel che ha riservato per noi la camera 10. A Katherine inizia e termina il mio delirio “In Sequenza Al Femminile” scatenato dal ritrovamento da parte di Vanni di un paio di sandali dorati usurati e rotti. Il primo è stato gettato sul prato di una aiuola ed il secondo oltre la rete di un giardino a pochi metri di distanza. Finalmente ho trovato un altro soggetto per la prossima mostra fotografica. Inizio a scattare saltando da un sandalo all’altro, con la luce del pomeriggio e poi in missione anche la sera lungo la strada larga e deserta illuminata dai lampioni che non proiettano abbastanza luce. Flash si, flash no, esposimetro e diaframma completamente aperti, iso 1600′ poi 3200, bilanciamento del bianco… metto a frutto tutto il mio sapere per cercare di avere qualche foto che funzioni e porto in camera l’unico sandalo prendibile perché non mi venga sottratto. La mattina torniamo per avere una luce più favorevole, ricostruisco la scena ricollocando il soggetto e fotografo, questa volta addirittura pensando che quella coppia di sandali possano diventare l’unico soggetto di una mostra completamente dedicata… Una sorta di giallo del sandalo gettato e della donna che li indossava prima di lanciarli o che qualcuno li lanciasse…insomma un delirio al quale Vanni ha assistito con pazienza e con qualche risata.

24 febbraio 2015

TIMBER CREEK

Eccoci finalmente in viaggio lungo la Victoria Hwy che attraversa nel primo tratto uno dei più incantevoli paesaggi visti di recente, quello del JUDBARRA /GREGORY N.P. Il terreno corrugato in ondulati movimenti si raccorda in morbide vallate o forma colline coniche il tutto rivestito da un omogeneo tappeto verde brillante punteggiato da piccoli alberi più scuri. Le variazioni cromatiche sono determinate solo dalle macchie di luci ed ombre del cielo parzialmente nuvoloso. Una meraviglia alla quale segue quella della prospettiva sul Victoria River, il grande fiume color salmone le cui acque dovrebbero pullulare di coccodrilli.. Anche i termitai sembrano più belli nel loro nuovo look costituito da sfere di terra addossate le une alle altre a formare delle montagnole. Arriviamo infine a TIMBER CREEK dove occupiamo in due una camerata per quattro persone nel Victoria River Roadhouse. Siamo in un piccolo parco accanto ad un corso d’acqua in piena che rende la passeggiata per l’avvistamento di innocui coccodrilli impraticabile. Osserviamo invece il succedersi di un paio di temporali tipici seduti sotto la tettoia davanti alla camera in compagnia di un gruppo di rospi, l’umidità ora è alle stelle. Non c’è molto da fare qui a Timber Creek i cui pochi edifici ruotano attorno all’ hotel ed alla Roadhouse, ma c’è un pub dove qualcuno sta giocando a carambola su un vecchio biliardo e seleziona brani musicali a pagamento su un jukebox di nuova generazione. Entra un camionista, un signore acquista una birra e se ne va.


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25 febbraio 2015

KUNUNURRA

Il confine è a 135 km da Timber Creek, lo varchiamo per la terza volta con le stesse modalità, il cambio del fuso orario che recede di – 1.30, h e la quarantena. Il controllo dell’auto è minuzioso e quasi imbarazzante dato che l’oggetto del contendere è molto lontano da noi per cultura … Così mentre avevamo trovato legittima negli Stati Uniti ed in Colombia la ricerca della droga ed in Chiapas quella delle armi, la ricerca di frutta, verdura, miele, animali, cartoni che hanno contenuto frutta e lana fresca di tosatura sembra una stravaganza. La perquisizione è stata accurata, sono stati spostati ed aperti alcuni bagagli e l’abitacolo è stato controllato in ogni sua parte, anche sotto i sedili. La ragione di tanto rigore è la salvaguardia delle migliaia di ettari di frutteti che circondano la bella cittadina di Kununurra dagli insetti della frutta che potrebbero devastare le piantagioni e comprometterne i raccolti. Dopo 37 km, ancor prima di entrare in città Vanni devia senza nemmeno avvisare verso l’aeroporto per cercare una compagnia aerea che organizzi voli sul PURNULULU – BUNGLE BUNGLE NATIONAL PARK. Classificato nel 2003 Patrimonio Mondiale dell’Umanita’ per le sue particolari conformazioni rocciose di arenaria e conglomerato di rara bellezza il parco è il motivo principale del nostro arrivo a Kununurra, ed essendo inaccessibile attraverso la pista resa fangosa dalle forti piogge di questa stagione monsonica, il solo modo per vederle è dall’alto. Damiano della SHOAL AIR ci propone il percorso base che sorvolando il grande lago Argyle e la vicina miniera di rari diamanti color champagne, raggiungerà le Bungle Bungle prima di rientrare. Non occorre mai molto tempo per convincerci a volare, quindi in pochi minuti fissiamo l’appuntamento, domani mattina alle 5.30 ci preleveranno al Kimberley Grande Hotel. Per il momento percorriamo le strade di Kununurra, bella e vivace cittadina, non per vedere ed apprezzarne il meglio ma per raggiungere la zona artigianale dove tra un demolitore, un grossista di ricambi auto ed un idraulico Vanni spera di trovare l’introvabile tubo del filtro dell’olio per Asia che ne perde da mesi solo una piccola gocciolina. Non lo troviamo ed anche questi ultimi foglietti che riportano numeri di telefono scritti in fretta e nomi di aziende o persone finiscono nel portaoggetti con tutti quelli già raccolti in altre città… e in fondo pur mostrandosi dispiaciuto Vanni si è costruito la possibilità di continuare a giocare con Asia anche nei prossimi giorni. Infine raggiungiamo l’hotel di fronte al fiume e appoggiamo con piacere i nostri trolley oltre l’ingresso della 68, già bella dopo la prima occhiata, adatta al relax e perfetta per un’oretta di IPad fin quasi al tramonto che vogliamo vedere dalla Pumphouse in Lakeview drive. Quando fin troppo rilassati ci accorgiamo di dover uscire è già l’imbrunire e poco dopo a bordo di Asia che procede nel buio superiamo il ponte inseguendo la strada sbagliata disorientati dall’acquazzone tropicale. Finalmente imbocchiamo la stretta strada arcuata che porta alla Pumphouse, costeggiata sui due lati dall’acqua del lago e dell’acquitrino, forse la vecchia diga, poi sempre più vicina davanti a noi la luce fioca del locale diventa il nostro faro, siamo arrivati. Tutti gli strumenti in disuso della ex sala macchine sono racchiuse in un alto capannone di lamiera ondulata, e accanto alle tre pompe colorate di verde brillante qualche scalino porta al soppalco. L’atmosfera è soft ed il metallo non disturba per la luce molto soffusa che non lo evidenzia, tutti i tavoli sono occupati da gente e di cibo e non ci sono bambini all’orizzonte. È perfetto… e mangiamo così bene da voler tornare, domani sera, questa volta al tramonto.

26 febbraio 2015

KUNUNURRA

Le 5.30 sono arrivate così in fretta da farci sperare in un temporale che annulli il volo turistico. Dopo mezz’ora invece siamo sulla bilancia dell’aeroporto io imbarazzata e con la borsetta a tracolla che comunque non giustifica il peso eccessivo. È una bellissima mattina e anche le poche nuvole sono sparite quando il piccolo Cesna decolla pilotato dalla giovanissima ragazza che ci ha recuperati in hotel, senz’altro più brava alla cloche che al volante. Il primo pensiero va stranamente alla nostra incolumità dato che nonostante le numerose precedenti esperienze non siamo mai saliti prima su un aereo così scassato, nemmeno quello anni ’60 che ci portò alle San Blas atterrando in pista con un freno a mano tirato energicamente dall’alto verso il basso dal pilota. Poi la bellezza del paesaggio fa dimenticare i sedili sfrangiati e per due ore catalizza tutta la nostra l’attenzione. La camera relax ci aspetta per due coccole ed un pisolino poi a metà pomeriggio siamo di nuovo in missione, questa volta al Zebra Rock Gallery. La strada è rossa ed asfaltata eppure un sassolino schizzato a tutta velocità sul parabrezza nuovo di Asia fa un doppio buco a stella proprio di fronte ai miei occhi… orrore! La sorpresa che segue compensa il fastidio. Nei pressi di Kununurra, che non cessa di stupire, c’è una cava di roccia, una antica barriera corallina, le cui profonde striature sono molto simili a quelle del manto della zebra. Ne hanno ricavato oggetti di ogni genere che però non convincono e non tutti hanno un bel disegno a zebra quindi abbiamo prenotato una piccola lastra il cui taglio potrebbe avere un disegno interessante. Il tramonto alla Pumphouse è reso ancor più suggestivo dalla scia lasciata sul lago da un instancabile sciatore d’acqua e da due Margarita ben fatti. Da non perdere!

27 febbraio 2015

HALLS CREEK

Si trova a 376 chilometri da Kununurra ed è alle porte del Tanami Desert la cittadina di Halls Creek nata per l’oro che vi fu trovato è diventata famosa per il suo China Wall. L’abbiamo raggiunta attraversando la bassa catena montuosa del DURACK RANGES, con le sue rocce rosse in contrasto con le colline coperte da un manto uniforme di vegetazione verde acido. I baobab sono sempre più panciuti ed anche i termitai hanno cambiato look prendendo la forma di tozze montagnole bitorzolute formate da sacche di terra mista a saliva che sembrano scivolate le une sulle altre. Anche Halls Creek si trova nella selvaggia ed impenetrabile regione che dà il nome tra gli altri al nostro scassato Kimberley Motel la cui camera costa molto di più della super lusso di Kannanurra. È il primo pomeriggio e prima di separarci per dedicarci alle rispettive competenze, ovvero la ricerca di un demolitore auto e la passeggiata per la cittadina ancora rovente, andiamo insieme al China Wall segnalato anche nelle carte stradali come luogo di interesse. Si trova a pochi chilometri dalla cittadina, all’inizio della comoda sterrata Duncan Hwy che attraversa per una ventina di chilometri le belle colline rocciose della parte Sud del Purnululu N.P. , la seguiamo per un breve tratto, trascinati dalla bellezza del paesaggio più che dal raggiungimento dell’obiettivo superato da diversi chilometri. Quando ritornando verso il centro abitato raggiungiamo il cartello del China Wall troviamo la sterrata chiusa da un cancello senza lucchetto, come se stessimo entrando all’interno di una proprietà privata o ci stessimo avvicinando ad un piccolo tesoro, invece dopo aver parcheggiato in uno spiazzo e percorso a piedi il breve sentiero tra la vegetazione ci troviamo di fronte alla fascia di quarzite bianca larga circa 50 cm. e sporgente di altri 50 che segue il piano inclinato delle falde rocciose che la contengono, la parte visibile dal punto di osservazione nel quale siamo non è più lunga di qualche metro… la guardiamo delusi chiedendoci quali pressioni devono aver fatto i cinesi di HALLS CREEK per avere quel puntino nero evidenziato sulle carte stradali australiane. La breve passeggiata lungo le poche strade assolate non è stata entusiasmante, non avendo visto spiccare qualcosa sulla monotona sequenza dei bassi anonimi edifici, la strada principale semi deserta per il caldo, il giardino pubblico invece popolato da gruppi di abitanti originali in relax. Questa sera c’è gran fermento nel pub del nostro motel aperto sul giardino e adiacente alla piccola discoteca che diffonde musica. Da alcuni tavolini spunta l’asta con il numero dell’ordinazione che verrà consegnata dal cameriere, il vocio è incontenibile e per noi che non siamo più abituati a sentirne questa è una serata di festa. Dal tavolo osserviamo le dinamiche degli spostamenti, degli assembramenti multietnici e degli ingressi gestiti da un inflessibile buttafuori armato che seleziona i clienti in base al loro tasso alcolico. L’aspetto divertente della cosa è che per poter fare entrare un paio di ragazzini aborigeni evidentemente fuori dai parametri è andato in gran fretta un paio di volte al bar per dare loro dei bicchieri d’acqua da bere… queste cose possono succedere solo qui ad Halls Creek.

28 febbraio 2015

DERBY

558 chilometri sono tanti per raggiungere Derby e la sua mega marea di 11.5 metri tanto che arriviamo verso sera distrutti al King Sound Resort. Lontana dall’essere compresa nella top ten delle più alte del mondo così come vogliono far credere gli australiani ed in particolare gli abitanti di Derby, andiamo subito al molo per vedere la marea che ora è più bassa che alta perché non è l’orario giusto e tantomeno il giorno. Torniamo dopo cena, quando il buio rende tutto più misterioso perché meno visibile, eppure riusciamo a distinguere il livello più alto dell’acqua sui piloni del molo e la testa di un grande pesce appoggiata sul suo impiantito. C’è un pescatore a pochi passi di distanza che non vede l’ora di gratificare la nostra curiosità rivelando il perché di quel corpo lacerato del quale rimane ben poco rispetto all’oltre un metro della sua interezza … Ci dice che mentre stava recuperandolo alla lenza uno squalo se lo è mangiato a pelo d’acqua in un paio di bocconi. Incredibile! Ci allontaniamo dal luogo del delitto solo dopo aver visto un’altra scodata sull’esca dello sconsolato pescatore che ha recuperato la grossa lenza questa volta senza nemmeno una testa ma solo tranciata dallo squalo famelico. Intanto un signore che si è fermato incuriosito suggerisce il taglio di qualche filetto da ciò che è rimasto, noi invece ci allontaniamo basiti all’idea che lì a pochi metri da riva possa esserci uno squalo così grande, affamato e così pigro da voler mangiare i pesci pescati dagli altri.

01 marzo 2015

BROOME

Il Kimberley Sand resort & Spa si trova in posizione strategica vicino a Cable Beach, la spiaggia che ha reso famosa la città di Broome almeno quanto le sue perle coltivate che sostituirono attorno al 1920 quelle naturali, per questo alla città fu dato l’appellativo di “Porto delle Perle”. … La 705 si affaccia su una raccolta corte interna ombreggiata dal porticato di legno scuro che ne segue il perimetro rettangolare e dagli alberi fioriti di tiare il cui profumo si mescola a quello dei bassi cespugli di pitosforo, al centro una piccola vasca idromassaggio rettangolare a mosaico turchese crea un vivace tocco di colore nel contesto di legno scuro, la raggiungiamo percorrendo passerelle rialzate di legno a doghe che costeggiano intersecandosi i giardini, le aiuole e la piscina. La piacevolezza della camera e’ in linea con il contesto nel quale si trova ed il suo costo inferiore a quello di quasi tutte le sistemazioni anche dozzinali e scassate nelle quali abbiamo abitato fino ad ora in qualsiasi città dell’Australia, ovvero 110 AU$, circa 80 € per notte…. un piccolo regalo da parte della stagione delle piogge che fa di questo il momento di minor afflusso turistico dell’intero anno. Usciamo subito in esplorazione, prima nel centro abitato che non risalta mimetizzato com’è dalla vegetazione, poi al porto che si trova su una delle due punte della piccola penisola che comprende la città, in fondo alla Port Drive. Lasciamo il lungo molo alle spalle e continuiamo sulla Kabbarli Road poi a piedi nella bellissima spiaggia ora scoperta dalla bassa marea e frammentata in parte da agglomerati di rocce rosse erose in pinnacoli, archi o bassi pietroni che superiamo per continuare la passeggiata fra la sabbia e le rocce stratificate come millefoglie dai contorni indefiniti. Salta subito all’occhio la presenza di alcune auto ferme sulla spiaggia ora compatta e la completa assenza di persone in costume a prendere il sole. È già quasi sera quando aprendo i trolley prendiamo definitivamente possesso della camera, le rane gracidano ad alto volume e la pedana di legno attorno alla corte è piena di fiori bianchi e profumati caduti durante l’ acquazzone appena arrivato e già terminato. Ceniamo nel ristorante accanto alla piscina sperando che non ripiova dato che è completamente aperto su due lati, ottimi gli gnocchi bruciacchiati e piacevole la calda sofisticata atmosfera, siamo felici.

02 marzo 2015

BROOME

Immaginavamo 32 km di sabbia bianca, invece Cable Beach è coperta da una meravigliosa sabbia mélange rosa-giallo-grigio a seconda del colore delle pietre attorno alle quali si trova. Bella anche per i suoi confini indefiniti così lontani da diventare invisibili e dal senso di libertà che questa spiaggia apparentemente infinita, profonda e piatta ci dà ora mentre la stiamo calpestando. Il cielo è sereno ed il mare ritirandosi ha lasciato una larga fascia umida che brilla sotto la luce come uno specchio, è un incanto. Tutto è estremamente visibile mentre passeggiamo sul fondo compatto che cede appena sotto i nostri piedi, non ci sono ostacoli di fronte a noi se non qualche auto che si muove parallela al mare e qualche altra ferma accanto ai proprietari seduti su poltroncine pieghevoli o in riva al mare a controllare che i loro cani non si allontanino dalla riva, i pochissimi qui in spiaggia devono aver ceduto il piacere di immergersi e nuotare, agli squali, come quello piccolino che nell’acqua già bassa a pochi metri dalla riva si allontana scodando mentre inconsapevolmente gli passiamo accanto. La Sabbia bagnata dalle profonde maree, il mare con gli squali e l’assenza di turisti spiegano perché la nostra prospettiva sia completamente libera.

03 marzo 2015

BROOME

Che senso ha andare a vedere le perle in uno dei negozi di Chinatown? Pur essendo questa una zona di coltivazione osservarle dalla vetrina sarebbe come vederle in una qualsiasi gioielleria del mondo…. e la visita alla farme di Willie Creek dove avremmo potuto osservarne le fasi della produzione, dal nucleone inserito nell’ostrica alla tasca dell’acquirente è saltata come tutte le attività squisitamente dedicate al turismo paralizzate dalla stagione delle piogge. Quindi andiamo a passeggio sul molo in fondo a Port Drive. È di legno e corre parallelo al molo principale al quale è agganciato…. Strettissimo e pieno di pescatori non è difficile curiosare nei sacchetti vuoti di prede e nemmeno notare la gerarchia tra chi pesca verso riva dove l’acqua più bassa presuppone piccole prede, in questo caso un gruppo di signore aborigene, e chi si è guadagnato le postazioni sul fondo dove alcuni ragazzi si stanno divertendo a lanciare l’amo in una sorta di pesca alla traina da fermi. Poco prima di loro un ragazzino continua a perdere le sue esche, o meglio sta sfamando i pesci con dei bei gamberoni freschi. C’è chi usa canne da pesca e chi solo la lenza arrotolata in un largo cilindro di plastica. Poi passano quattro ragazzi sorridenti, ognuno con un grande pesce sanguinante in mano ed uno degli scatenati in fondo ne ha agganciato uno grosso che continua a dimenarsi … non riuscendo a liberarsi come invece speravo. Lascio Vanni e mentre mi incammino in fretta verso riva con un paio di lacrime in fondo agli occhi mi riprometto di diventare vegetariana fino in fondo. Quindi ceniamo in un ottimo ristorante indiano …. feta, spinaci, lenticchie e riso come se fosse quaresima.

04 marzo 2015

BROOME

Visto che chi va in spiaggia ci va in fuoristrada anche noi oggi percorriamo la bassa marea di Cable Beach su Asia che scivola silenziosa …. quanto ci piace vivere la spiaggia così, nel silenzio ed in totale solitudine, e’ come sentirsi liberi due volte …. poi ci fermiamo ad osservare il tramonto, Vanni stende un paio di teli, ci sediamo e capiamo perché tutti usano le poltroncine.

05 marzo 2015

BROOME

Dato che non volevo vedere le perle dalle vetrine di Chinatown Vanni questa mattina mi ha portata direttamente in negozio …. non avevo mai visto prima le perle gialle, né quelle bicolor gialle e bianche e nemmeno quelle bianche con un anello giallo al centro. Insomma è stata una mattinata molto istruttiva anche senza andare in farme. Terminiamo la giornata con un bellissimo tramonto, il primo senza nemmeno una nuvola a smorzarne i toni. Lo vediamo seduti sulla groppa di Ned, un bel dromedario in carovana con altri nove lungo la Cable Beach. Divertente nonostante o forse per il taglio squisitamente turistico della spedizione.

08 – 11 marzo 2015

BROOME – FITZROY CROSSING – KUNUNURRA


Menù delle città

Percorso della tappa

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Cambia Tappa

01 Tasmania

Oceania

02 Victoria

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03 South Australia

Oceania

04 Western Australia

Oceania

05 Northern Territory

Oceania

06 Western Australia

Oceania

07 Northern Territory

Oceania

08 Timor Est

Oceania

07 Northern Territory


11 marzo 2015

KATHERINE

I pittoreschi Gorges sul Katherine River sono la più interessante attrattiva che la cittadina offre, abbastanza vicini per non allontanarsene troppo ma non abbastanza pubblicizzati da farne un motivo di sosta, non rientrano insomma tra le mete da non perdere nei North Territory. Andiamo quasi sentendoci in debito con Katherine dove eravamo passati senza curiosità solo perché presente nella sequenza delle nostre tappe verso Broome scandita dalla distanza che possiamo percorrere con comodità in un giorno considerando la modesta velocità alla quale spingiamo Asia per non affaticarla troppo e per osservare fin nei dettagli il paesaggio che stiamo attraversando. Nel vastissimo territorio Australiano i centri abitati e le Roadhouse non distano tra loro mai più di un pieno di carburante ed un buon pasto e saltarne una significa percorrere dai 400 ai 500 chilometri. Usciamo quindi dalla città spingendoci verso Est di una trentina di chilometri, oltre l’ingresso nel Nitmiluk NP che precede di poco il centro visitatori del Katherine Gorge. Volo o crociera? Optiamo per la vista dal fiume considerandola la migliore per osservare le gole scavate dal Katherine River, il primo tour disponibile partirà alle due del pomeriggio. È l’ora più calda, quella che rende piacevole l’essere sull’acqua e godere di questo venticello mosso dalla moderata velocità della barca sul fiume. Ci muoviamo tra le alte pareti di arenaria rossa scolpite in piani verticali contrapposti a profili scoscesi di roccia sgretolata che scendono su piccole rive sabbiose. La vegetazione non manca, aggrappata alla poca terra o cresciuta sulla superficie risparmiata dallo scorrere dell’acqua, in alto oltre la roccia. Nonostante le piogge cadute negli ultimi mesi solo due delle tredici gole sono accessibili in barca e solo percorrendo tra una e l’altra un breve tratto a piedi per poi percorrere la seconda su una barca più piccola. Poi tornando verso l’approdo i profili si divaricano e si abbassano rigogliosi di vegetazione tropicale…

13 marzo 2015

KATHERINE – BATCHELOR

Risolto anche l’ultimo problema di Asia alla batteria lasciamo Katherine ed il Beagle Motor Inn per lanciarci alla ricerca dei Termitai magnetici. Introdotti da altre bellissime tipologie di termitai spuntati ai lati della strada dopo l’attraversamento del Tropico del Capricorno, la curiosità di vedere questi particolarissimi capolavori di bio architettura aumenta al diminuire della loro distanza e così dopo aver attraversato e superato Pine Creek, Hayes Creek ed Adelaide River lungo la Stuart Hwy deviamo verso Batchelor ed entriamo nel Litchfield National Park che li contiene. A dimostrare la diversa classe e le sorprendenti performance delle termiti del Litcfield sono anche gli imponenti Termitai Cattedrale, alti fino a sei metri e lobati come colonne gotiche… sono le città verticali di questi incredibili insetti abbastanza intelligenti da aver concepito e realizzato conglomerati di terra e saliva perfetti non solo a garantire la qualità della loro vita ma anche nella loro seppur involontaria connotazione estetica. Sono pochi e sparsi tra la vegetazione che li circonda alta. Ci avviciniamo, li tocchiamo, osserviamo le termiti entrare ed uscire dai pochi piccoli fori, valutiamo il marcato chiaroscuro delle costolonature e ne siamo conquistati. Diverso l’impatto con i Termitai Magnetici, neri, completamente piatti e crestati in alto. Più sofisticati dei primi per il loro studiato minimalismo e magici come il monolite di 2001 Odissea nello Spazio, si alzano dal fango tra ciuffi di gialla erba secca. Sono pareti di terra impastata e dura come cemento, orientati longitudinalmente sull’asse Nord-Sud in modo da ridurre al minimo la superficie a sud più esposta al sole, meno spettacolari dei primi ma più affascinanti anche per i presupposti bioclimatici in base ai quali sono stati concepiti… che meraviglia! …. e quanta palude sotto le suole per vederli mentre Vanni apre la strada. A questo punto è già il tardo pomeriggio ed è arrivato il momento di trovare una camera per la notte, quindi invertendo la rotta verso la Stuart Hwy e lasciando alle spalle anche l’eventuale cabina del Litchfield Tourist PARK ci dirigiamo verso l’unico centro abitato. È venerdì sera ed all’isolamento del Parco abbiamo preferito la casetta scassata del Batchelor Resort la cui relativa scomodità è stata ampiamente compensata dal karaoke alla Taverna, l’unico locale in paese dove poter bere, mangiare e divertirsi e dove la comunità tutta è presente.

14 marzo 2015

BATCHELOR – DARWIN

Pensiamo ai terribili coccodrilli del Top End australiano da mesi, da quando cioè abbiamo iniziato a documentarci leggendo guide ed osservando le mappe dei parchi del nord nelle quali simboli di riferimento ne indicavano anziché la presenza, l’assenza, come a dire che li avremmo trovati ovunque tranne che …. tanto che avevamo dato per scontato che avventurandoci lungo le strade di quei parchi ne avremmo senz’altro trovato uno a sbarrarci la strada, uno di quelli lunghi sei metri che con una scodata avrebbe messo ko Asia e con lei, noi. Ora invece li stiamo cercando, qui sulla riva dell’Adelaide River, sotto la tettoia di lamiera del ” Jumping Crocodile Cruises” in attesa della barca che navigando sulle sue acque ci consentirà di osservarli mentre si alzano uscendone in parte verso l’esca di carne cruda. Partiamo in pochi sulla piccola barca a motore la cui pensilina amplifica il piacere dell’aria in movimento, è un peccato che la ragazza alla guida continui a parlare illustrando nei dettagli ciò che invece noi vogliamo soltanto vedere…ma non ci si può sottrarre e così cerchiamo di concentrarci sulla superficie dell’acqua limacciosa. L’essere seduti a prua ci da il vantaggio degli avvistamenti, quell’attimo prima che la barca rallenti fino a fermarsi ed il coccodrillo si avvicini ingolosito da ciò che sa già essere suo. Ed eccolo il primo, anzi la prima, troppo pigra per raggiungere il malloppo di carne appeso in fondo al bastone che la signora in kaki agita su e giù per stimolarla allo sforzo dell’impennata. Infine cede alla golosità ma con furbizia ed approfittando di uno splash meno veloce apre la bocca ed addenta. Gli altri due invece fanno spavento e la stazza, proporzionale alla loro famelicita’ li fa uscire in slanci potenti che impressionano, le larghe fauci spalancate e lo sguardo di ghiaccio. E la lingua? Non l’ avevamo presa in considerazione eppure c’è grande e rosa come la nostra. A riva un cucciolo mimetizzato sotto il fango riceve una palla di carne senza osso lanciata con una mira eccezionale vicino al suo muso, ma non addenta sazio o diffidente. Un altro adulto invece lungo circa cinque metri e fin troppo stuzzicato si alza e senza afferrare chiude la mascella che emette un rumore pazzesco, come se avesse sbattuto le fauci sulla lamiera della barca, poi finalmente riceve il suo premio e si inabissa. Sulla via del ritorno è un falco a ricevere i pezzetti di carne, li afferra al volo con gli artigli ed in un attimo li porta al rostro che apre e chiude velocemente, ci segue muovendosi in ampie evoluzioni, bello ed elegante è un piacere vederlo dopo tanta meravigliosa pesantezza. Attracchiamo. Prima di risalire in auto ci fermiamo di nuovo sotto la tettoia questa volta per sfogliare gli articoli di giornale che raccontano di morti e feriti, di avvistamenti nei luoghi più impensabili, di paura e sofferenze… e tutto il Top End ne sembra assediato, sono proprio terribili questi coccodrilli. Darwin è ancora rovente quando nel pomeriggio raggiungiamo L’Hotel Elan nel cuore della City…. è sabato eppure la città è deserta e per nulla intrigante. È stata quasi interamente ricostruita dopo l’uragano Tracy che il giorno di Natale del 1974 l’aveva distrutta, ma il profilo della City è modesto ed il suo fascino andrà cercato nei prossimi giorni, qui come altrove. Per il momento sospendo la deprimente passeggiata di esplorazione per un consolatorio Mohjto e due olive nere al simpatico Monsoon, poi per vivacizzare la serata in coppia scegliamo un locale con musica live, il Nirvana, che con la sua magica atmosfera e l’ottimo cibo indiano rivisitato risolleva il nostro giudizio sulla città e ci fa uscire definitivamente dal limbo di questo pomeriggio.

15 marzo 2015

DARWIN

Uno dei meriti della città di Darwin è la rigogliosa vegetazione presente ovunque, dai giardini privati a quelli pubblici ed ai vasti parchi che frammentano la città non in quartieri ma in circoscritti nuclei urbani periferici. Lo avevamo notato ieri attraversandola per raggiungere la city, ed anche ora che la stiamo osservando dall’alto vediamo l’ampia fascia verde dilatarsi lungo l’articolato profilo della costa ed attorno alle piccole baie dove risaltano sul blu del mare le barche ormeggiate dei porticcioli turistici. È la City che non decolla … tantomeno oggi che è domenica. Non sono molti oltre a noi a passeggiare lungo l’Esplanade, qualcuno è steso sul prato verdissimo, altri passano in bicicletta o fanno ginnastica nonostante il caldo e l’umidità al 70%, quindi ci spostiamo e seguendo le indicazioni di un receptionist in pausa pranzo ci incamminiamo lungo il Mall e poi oltre fino a raggiungere un paio di ascensori pubblici che colmando il dislivello tra la città ed il mare introducono al Darwin Waterfront. Gli alti edifici di contorno quasi non si vedono inseguendo con lo sguardo il molo ed i pontili che delimitano lo specchio d’acqua, dove una fila di boe bianche vicina alla riva circoscrive ulteriormente la zona dove ci si può spingere nuotando in sicurezza, quella libera da squali, coccodrilli e mortifere meduse. Il prato arriva fino a riva e sulla piccola spiaggia a semi anello di sabbia riportata ci sono solo i pochi che preferiscono l’acqua salata alla più divertente piscina con effetto onde che vediamo più defilata. Passeggiamo fino a raggiungere il molo ed il gruppo di fast food che introducono alla banchina dove una grande nave da crociera ormeggiata mette a soqquadro ogni riferimento dimensionale, per cui gli alti edifici non sono più alti, la darsena diventa una bacinella d’acqua ed i rimorchiatori scomparsi sullo sfondo. Non succede molto altro oggi, Vanni che da giorni rimugina sulla spedizione di Asia a Dili prendendone in considerazione anche i risvolti più catastrofici è nervoso ed intrattabile, e già a metà pomeriggio mi chiede a che ora è meglio puntare la sveglia di domani mattina. Intanto andiamo ad East Point per godere del bel tramonto sul mare circondati dalla rigogliosa vegetazione del parco, infine è la cena a sedare gli animi e risolvere le tensioni, e quella di questa sera consumata nel tavolo d’angolo tra le due pareti vetrate del Cher è stata più che conciliante…. perfetta.

16 marzo 2015

DARWIN

È giunto il momento di preparare Asia per il trasferimento da Darwin a Dili, viaggerà a bordo della ANL Perkins Xpress che salperà il 19/02 dal porto di Darwin, quattro giorni prima della nostra partenza. Il Sig. Wilson della ANL è il nostro referente ovvero il direttore dell’agenzia di spedizioni che abbiamo contattato, incontrato e tediato con richieste di sconti su prezzi già all’osso quando eravamo a Fermantle, ci ha diligentemente seguiti passo dopo passo con email esplicative accompagnate dai documenti necessari per svolgere le operazioni che ci competono ed anche questa mattina ci ha presi virtualmente per mano con un sms arrivato puntuale alle 10 nel quale ci chiede tra quanto tempo arriveremo al deposito dove Asia sarà inserita nel suo container. Noi siamo altrettanto diligentemente già arrivati con qualche minuto di anticipo al 13 di Berrimah Road dove abbiamo chiesto come e dove avverrà lo sdoganamento, ma l’impiegato non ne sa nulla quindi telefoniamo a Wilson che ci dà indicazioni. La dogana è accanto al nostro hotel, quindi torniamo al punto di partenza ripercorrendo quei 14 km. Il nervosismo di Vanni aumenta ma poi sprofonda quando ci accorgiamo di essere gli unici presenti nella sala d’attesa della dogana e quando dopo pochi minuti abbiamo il carnet timbrato per l’uscita senza nemmeno un accenno di controllo…. non era mai successo prima. Un paio di giorni fa avevo letto un allegato di Wilson nel quale dava indicazioni sul come preparare l’auto prima di metterla nel container …. ovvero senza carburante e con le batterie scollegate, ma ora mentre lo sto dicendo Vanni replica nervoso che non sono operazioni necessarie perché non lo abbiamo mai fatto. Quindi con abilità guida Asia all’interno della scatola di metallo che la contiene appena, la chiudiamo prendendo con noi la chiave e torniamo in città. Dopo un paio d’ore scoppia la bomba. Wilson ci invita a tornare al deposito in fretta per scollegare le batterie e togliere il carburante, ma ormai è tardi, il container è stato sigillato dalla compagnia di navigazione, Wilson chiede come sia potuto succedere, io gli rispondo imbarazzata. Sarà caricata oppure no? Partirà fra due giorni o la prossima settimana? Il nostro visto scadrà il 24 e dovremo per forza uscire dall’Australia, come faremo se la partenza sarà rimandata? Chi si occuperà di scollegare e togliere il carburante? Sarà caricata come merce pericolosa? Ed in quel caso quale sarà il sovrapprezzo? Wilson chiude le comunicazioni.

17 marzo 2015

DARWIN

Per la prima volta sento Vanni ammettere di aver sbagliato, anzi di averlo fatto con arroganza. Rimaniamo in attesa tutto il giorno, quasi sempre nel nostro appartamento, Vanni con gli occhi lucidi entra ed esce in continuazione tra il soggiorno ed il terrazzo con la sigaretta in mano, controlla le email per vedere se Wilson ha scritto, controlla il telefono per vedere se per caso è arrivato un sms senza che lui lo abbia sentito. Telefona inutilmente un paio di volte a Wilson che ancora non risponde. Tragedia. Tutti gli interrogativi di ieri continuano a non avere risposta e chissà quando l’avranno… intanto diventa sempre più remota la possibilità di trascorrere qualche giorno a Canberra per non rimanere in questa città che continua a non piacerci. Non facciamo nemmeno due passi preferendo per la cena il ristorante dell’hotel. Lampeggia e poi scende uno scroscio potente di pioggia che non rinfresca, è l’unico di oggi.

18 marzo 2015

DARWIN

Finalmente Wilson riapre la comunicazione con una buona notizia, la compagnia di navigazione ha caricato il container senza sovrapprezzo, la contabile del bonifico per il pagamento dovrà arrivare entro il 20 sulla sua email, intanto cercherà una compagnia di spedizioni per lo sbarco e lo sdoganamento di Asia a Dili. Poi chiude di nuovo. Ancora tramortiti continuiamo a non fare progetti inchiodati questa volta dal bonifico che non sarà facile contabilizzare così in fretta. Telefonate, email ed ancora sigarette. Verso sera andiamo a Cullen Bay dove arriviamo troppo tardi per vederla anche solo alla luce del crepuscolo ma perfetti per la cena al Greek Tavern uno dei tre ristoranti etnici che trovano posto sul breve pontile della piccola baia. La qualità del cibo e del servizio sono al di sotto delle nostre aspettative ma gli animi si sono risollevati anche se abbiamo definitivamente abbandonata l’idea di fare progetti per il futuro non potendo definirsi un progetto rimanere a Darwin fino al 24. Sarà terribile ma il costo del biglietto aereo per Canberra non vale i tre giorni pieni in capitale dovendo perderne due per i voli di collegamento… lo scalo a Sydney infatti è inevitabile.

19 marzo 2015

DARWIN

Nel primo pomeriggio raggiungo finalmente in taxi il Museum & Art Gallery of the NT, a nord della City lungo la strada che porta ad East Point. Raccoglie una bella collezione di opere aborigene, dipinti e totemiche sculture di legno ma la cosa che attrae la mia attenzione è la sezione dedicata a Tracy, l’uragano che distrusse il 70% della città il giorno di Natale del 1974. Vi si trovano le foto di allora e parallelamente quelle della città ricostruita, gli arredi recuperati che ricostruiscono gli interni più rappresentativi di quel tempo e c’è anche un traliccio di ferro arrugginito piegato a metà dalla forza del ciclone che raggiunse i 240 km/h. Scendo alla caffetteria solo per sedere di fronte al mare, poi mi incammino lungo la pista pedonale che corre parallela alla strada sul bordo di un lungo giardino verde che sfiora a tratti lo scoglio a strapiombo sul mare e si inoltra nel parco ….. voglio raggiungere il lago Alexander intravisto in auto qualche giorno fa mentre andavamo ad East Point, una chicca che mi ero ripromessa di non perdere. La pista è larga circa due metri ed è battuta dai più sportivi che si allenano correndo a piedi o in bicicletta, ma c’è anche chi come me cammina veloce, qualche signora che spinge la carrozzina e gli aborigeni chiassosi che si muovono ad elastico in gruppo… se qualcuno di loro inizia ad urlare parole è la fine, non la smette più… Chissà cosa sta dicendo. Raggiungo il lago sudata per il caldo umido ed il relativo sforzo, e seduta guardo l’acqua scura e la cornice di alberi ed arbusti assaporando il mio relax, cinguettii e le termiti trasparenti e con l’addome verde chiaro. Poi sono i colori accesi delle canoe che si incrociano e qualcuno che si tuffa per nuotare sulla superficie circoscritta che lo rende interamente visibile da ogni prospettiva. Il sole sta scendendo ed è già l’ora di tornare, in taxi? La strada del parco è periferica e di taxi non ne vedo mentre percorro a ritroso la pista guardando la strada. Finisce che arrivo trafelata all’incrocio fra due arterie e casualmente mi fermo nello slargo di una fermata dell’autobus, ma ancora nessun taxi libero è all’orizzonte. Salvata dall’autobus della linea 4 arrivo in hotel con la stanchezza di cinque chilometri di strada percorsa di buon passo la metà dei quali con lo stress del taxi, sono quasi le sette ed è già sera.

23 marzo 2015

DARWIN

Abbiamo trascorso in città altre noiose giornate facendo cose non sempre entusiasmanti tanto per uscire dalla 1816 raggiungendo obiettivi non sempre interessanti ma perlomeno gratificanti quindi i massaggi nel piccolo Salon gestito dalla simpatica signora vietnamita, sempre sorridente ed energica, le piccole spese al Woolworth, le lunghe passeggiate al lago Alexander e la bella Cullen Bay che avevamo intuita ma non vista quando per qualche sera abbiamo cenato nei ristoranti sulla banchina. La vediamo finalmente oggi pomeriggio, sullo sfondo del cielo grigio, completamente chiusa ad anello e collegata al mare aperto tramite la chiusa larga pochi metri. Il suo isolamento ne ha fatto un ottimo rifugio per le barche che ne occupano una buona parte. È una favola, soprattutto oggi con i nuvoloni neri e la vegetazione rigogliosa sullo sfondo e le basse case di fronte alle quali ognuno ha parcheggiato la sua barca. Un regalo da parte di Darwin che tutto sommato ha qualcosa da offrire ma non abbastanza per giustificare la sosta di nove giorni, siamo così stanchi di questo soggiorno coatto e di questa enorme australia tropicale, con le sue piogge che rendono la città l’unico luogo possibile anziché i parchi che sono l’unico motivo di interesse di questo enorme territorio. Domani nella tarda mattinata arriveremo a Dili e noi che abbiamo voglia di confusione, colori e rumori stiamo già facendo il conto alla rovescia.


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24 marzo 2015

DARWIN – DILI

Lasciamo Darwin osservandola dall’alto, ne riconosciamo i parchi ed i pochi alti edifici della City, la vediamo bella ora mentre la sorvoliamo a bordo di un Air North Regional incastonata nel suo splendido contesto geografico in fondo alla penisola frastagliata di baie e circondata dal mare blu. Poi è stato sufficiente distogliere lo sguardo per essere già altrove, nel luogo che sappiamo essere completamente diverso. Timor EST, la bella isola di montagne appuntite sulla quale stiamo atterrando dopo soli 45 minuti di volo. Finalmente è il caos, una nuvola di persone in uscita e la guardia che chiama il taxi suggerendo il prezzo, 10 $ che per loro è quasi un furto, poi siamo in corsa verso il Timor Hotel il sorriso sulle labbra ed il piacere di sentirsi immersi nella vita, negli spazi troppo piccoli per quella che ora ci sembra una moltitudine di persone. Mentre procediamo sull’auto troppo usata e senza cinture nel traffico sostenuto lo sguardo si posa ovunque curioso, sui motorini incollati ai finestrini, sulla gente vivace e disordinata, dopo l’alienante vuoto di Darwin tutto qui sembra meraviglioso. Lasciate le valige nella camera del Timor andiamo con lo stesso tassista alla sede della compagnia di spedizioni TOLL, l’equivalente della ANL australiana, meno patinata ma più veloce, dove la porta si apre con il vento e la luce si stacca per il sovraccarico del condizionatore. Ruth è una giovane impiegata che sa fare il suo lavoro, ed in poche mosse ci fornisce modulo ed indirizzo della dogana che poi dopo un altro timbro ci rispedisce da lei. In pochi minuti il container arrivato qualche giorno fa viene sollevato dalla pila con una potente autogru ed appoggiato a pochi metri da noi. Il doganiere arriva e se ne va senza controllare, doveva solo assistere all’apertura dei sigilli ed alla corrispondenza del contenuto, quindi in un attimo Vanni fa uscire Asia ed io salgo accanto a lui. Tre quarti d’ora di tempo, 140 $ di spesa e siamo felicemente liberi finalmente di essere e di andare. C’è una ultima cosa da fare in realtà prima del blitz in città, dobbiamo andare a trovare suor Guglielmina presso il centro provinciale delle suore Canossiane dove lasceremo l’auto fino al nostro prossimo ritorno. Ci riceve con deferente cortesia nel salottino di uno degli edifici del complesso immerso nel parco, sa già cosa ci aspettiamo da Lei, ed è a sua volta in attesa di una richiesta formale alla quale dare risposta. Non è loquace, anzi lascia parlare noi che con la titubanza di chi non sa fin dove può spingersi nel raccontare si esprime con i freni leggermente tirati. Non è lei ad introdurre il motivo della nostra visita, è Vanni che infine arriva al dunque prima di sbagliare qualcosa, perché tutto dipende dall’approvazione di suor Guglielmina. Domani saremo suoi ospiti per il pranzo.

25 marzo 2015

DILI

Vanni ha già i biglietti in tasca quando si avvicina al mio cuscino con un sorriso e la tazza di tè appena preparato, ha deciso mentre dormivo di partire domani per Singapore. Poco dopo siamo con la torta al cioccolato e la bottiglia di vino Porto all’ingresso del refettorio delle suore Canossiane, Madre Guglielmina viene ad accoglierci e ci presenta alle altre sette sorelle che pranzeranno con noi. Sono simpaticissime e la conversazione decolla agevolata dalle tante cose che abbiamo tutti da raccontare, il vino aiuta così come la torta al cioccolato per non parlare del banchetto che hanno allestito per noi. Poi una ad una si dileguano, Guglielmina e la suora più giovane vanno in traghetto sulla vicina isola per prendere la suora malata, Vanni sta staccando le batterie …. ah ah di Asia ed anche la filippina sparisce, rimane con me solo l’anziana ma vispa sorella italiana, mi racconta con una certa nostalgia di quando era in missione sulle montagne di Timor, dei problemi legati alla gestione del centro che può accogliere fino a 140 suore, tutte presenti a Timor e del fatto che i giornali italiani non arrivano più per problemi postali e quindi non può aggiornare il diario che scriveva regolarmente per testimoniare ciò che accade nel panorama cattolico del centro nel quale lei vive e fuori da esso. Usciamo. Sono curiosa di vedere le vecchie case di Timor, quelle con il tetto che sale impennandosi dalla stretta pianta rettangolare, ma dopo un lungo giro in taxi rientriamo con un magro bottino… Solo due edifici pubblici, ma con i tetti ricostruiti di recente che non hanno il sapore di quelli originali che scopriamo essere a LOSPALOS sull’altro lato dell’isola, andremo la prossima volta… la certezza invece è che domani torneremo a Singapore, in lutto per la morte del vecchio presidente…. speriamo che non siano in lutto anche i giochi di luce nella baia del magnifico Marina Bay Resort.

26 marzo 2015

SINGAPORE

Il bilanciamento dei bagagli crea sempre qualche tensione in Vanni per l’inevitabile sovrappeso di fine viaggio…. ed ora che la reception gli ha prestato la specifica bilancia a mano che speriamo sia ben tarata i conti devono per forza tornare a costo di portare i due telefoni satellitari in tasca ed io il giubbetto di pelle gialla, legato in vita perché il caldo lo rende del tutto superfluo. Arriviamo in aeroporto a bordo del comodo taxi dell’hotel nel quale anche il lungo Didgeridoo trova la sua collocazione, poi al check-in scoppia un dissapore che non si risolverà nemmeno dopo le quattro ore di silenzio a bordo e dopo un breve passaggio al Pan Pacific Hotel di Singapore Vanni torna in aeroporto e riparte con il primo volo disponibile per l’Italia mentre io lo sto aspettando con un Singapore Sling sulle labbra accanto alla piscina. Serata in terrazza a scattare foto alla bellissima vista sulla Marina Bay.

27 marzo 2015

SINGAPORE

La mia giornata parte con calma poco dopo le undici dall’Elix Bridge, il DNA metallico che collega il quartiere dell’Hotel alla grande Piattaforma del Marina Bay Sands e con lei all’edificio scultura che ospita l’ ArtScience Museum. È bianco ma di notte questa stilizzata mano che sembra aprirsi assume il delicato colore lilla delle luci che ne illuminano la superficie opaca. La sua geometria è generata dalla rotazione di piatti spicchi di luna senza punte le cui diverse lunghezze creano un volume asimmetrico. Non ero entrata pentendomene due anni fa, vado ora spinta dalla curiosità di vedere se l”interno è coerente con i parametri estetici del contenitore. Non lo è, ma continuo sempre più rapidamente la visita della mostra che partendo dagli studi del nostro Da Vinci ne illustra l’evoluzione del potenziale nei secoli a seguire. Una volta uscita mi siedo sul bordo della vasca di ninfee e raccogliendo le idee penso ad un luogo dove andare che non sia, per quanto intrigante possa esserlo qui a Singapore, un deja-vu. Due anni fa avevo setacciato la città alla ricerca di sofisticate architetture contemporanee, ed ora i tanti cantieri qui nel centro sono la promessa di interessanti visite future, ma adesso? Essendo l’arte l’obiettivo di sempre nelle città dove tutto il resto sembra non esserci e non avendo interesse per le vetrine in fila lungo belle gallerie dedicate allo shopping estremo, torno al SAM che ospita una interessante mostra temporanea “medium at large”, poi sono di nuovo in taxi verso l’epicentro della città, Marina Bay…. ma questo pomeriggio mi riserva una sorpresa da scoop .. Passeggiando nel centro commerciale su Raffle Avenue l’occhio cade sulla vetrina di Kenko Wellness che inquadra tre vasche d’acqua rettangolari con decine di pesciolini attaccati ai piedi dei clienti …. entro. Seduta sul bordo della vasca immergo anch’io le gambe fino al polpaccio …. ed a stento mi trattengo dal non tirare fuori di scatto i piedi quando i pesci iniziano a rosicchiare tutta la pelle immersa eseguendo un perfetto Fish Pedicure. Al solletico segue un leggero fastidio e poi il piacere del micro massaggio che i pesciolini producono strisciando e mangiando con un appetito insaziabile. Una volta superato il primo step mi spostano nella vasca con i pesci più grandi e questa volta copro il viso con le mani e trattengo a stento l’urlo. Ma ci si abitua a tutto e sorseggiando il tè di rose lascio che i pesci facciano il loro dovere per un’altra mezz’ora a questo punto di puro piacere. È già sera quando mi ritrovo a passeggiare attorno alla piccola baia, osservando l’interminabile fila transennata di persone che si recano a rendere omaggio al defunto ex primo ministro nonché leader storico dello stato di Singapore, Lee Kuan Yew morto quattro giorni fa. Il tempo di attesa ha raggiunto le otto ore, alcuni hanno in mano mazzi di fiori, altri l’ombrello per ripararsi dal sole ed i militari che controllano la lunghissima fila distribuiscono bottiglie di acqua. Qualche foto ancora al “Pensatore” in bronzo di Rodin e poi di nuovo a casa per una meravigliosa cenetta sul terrazzino con mazzo di orchidee sul magnifico sfondo dei grattacieli illuminati della City, sul tavolo una pietanza indiana al curry, una crème brule’ ed un calice di Chardonnay Neozelandese.

28 marzo 2015

SINGAPORE

Il cielo nuvoloso non mi aiuta a trovare la voglia di uscire in strada e le 11 ore dedicate alla città di ieri mi salvano da possibili sensi di colpa. Inizio a lavorare a metà pomeriggio all’interno di una elegante galleria commerciale su tre piani marmorizzata e con effetti speciali, ovvero una cascata High-teck che cade da un ampio cono di vetro ed una lunga vasca di acqua con piccoli ponti che ne percorre longitudinalmente una parte. Sono a caccia di immagini per la prossima mostra dedicata al femminile. L’idea è di creare tra gli altri un grande pannello di vetrine, quelle così sofisticate da essere a tutti gli effetti opere d’arte che solo di recente ho iniziato ad osservare. Piccoli capolavori di fronte ai quali mi perdo indagandoli, cercando in quei colori, luci e forme quella parte di me stessa che sarà nell’immagine finale. Un’apnea che esclude tutto tranne che il soggetto che osservo e che dura almeno un paio d’ore. Ne esco esausta ma felice e con un bel bottino di JPG nella sim della mia Nikon. Fra poche ore si parte.

9 – 10 settembre 2015

BOLOGNA – PARIGI – ABU DHABI – SYDNEY – DARWIN

Le trentaquattro ore di volo con scali durati il tempo esatto dei rapidi spostamenti da un gate all’altro sono state l’esordio del nostro viaggio in Indonesia. In preda all’alienazione di chi vive a lungo al di fuori di una ragionevole dimensione spazio-temporale ci sembrava infine che tutto il nostro viaggio non fosse altro che volare con gli unici diversivi di avere terminato un bel libro, visti un paio di film, mangiato e dormito.
Infine, esauriti i quattro biglietti aerei a disposizione ed incapaci di raggiungere il desk di Quantas per acquistare l’eventuale quinto ed ultimo volo per Dili in Timor Leste, siamo atterrati sul comodo letto al Rydges Airport Resort di Darwin. L’avere ritrovato il riferimento temporale certo nelle due lancette dell’orologio a parete e la comoda posizione orizzontale sul materasso è stato per noi piacevole come indossare un termosifone nel gelo di una notte d’inverno e la decisione di fermarci un paio di giorni è arrivata senza avere avuto il tempo di concepirla, come un asso scivolato dalla manica e giocato a fine partita. Proprio non lo avremmo immaginato che a distanza di sei mesi avremmo rivisto la città nella quale nostro malgrado ci arenammo lasciando l’Australia. Dieci lunghi giorni di noia in attesa dell’imbarco di Asia per Dili. Ed ora siamo stranamente ancora a Darwin, divenuta a questo punto ed a tutti gli effetti la nostra città di frontiera, dove è impossibile non fermarci prima di ripartire.

11 settembre 2015

DARWIN

Il bagaglio non è arrivato e Vanni è isterico, senz’altro non per questo motivo dato il suo stile minimal. Comunque mi mangia la faccia e si allontana stizzito per il ritardo della mia traduzione dall’inglese. Vorrebbe trovare il modo di forzare la mano all’addetta ai bagagli che ci sta gentilmente esponendo il caso. Dice che non ci sono certezze circa il giorno e l’orario di arrivo delle nostre valigie e comunque se ne riparla alle due di questo pomeriggio.
Quando arrivo in Hotel trovo Vanni steso sul letto della 235 con l’espressione di chi sta per esplodere, ma non avendo voglia di discutere esco subito dalla camera, salgo sul primo taxi in attesa sotto la pensilina ed in venti minuti raggiungo il centro città. Percorro il Mall e mi spingo fino al mare, appena visibile oltre il molo che trattiene coccodrilli e squali al largo, lontani dai bagnanti. Guardando la piscina con l’effetto onde e la spiaggetta di sabbia riportata vicina al prato verde, capisco la gravità del problema e la drastica rinuncia a quella distesa di acqua blu. Darwin è una importante città portuale che si difende dalle insidie del suo mare inospitale così come si difendono dai nativi i suoi abitanti bianchi che vedo muoversi zigzagando sui marciapiedi per evitarne le questue. Hanno portato via loro la terra e con lei la dignità legata all’antica cultura aborigena, qualche dollaro potrebbero tutto sommato allungarglielo. Le strade ora sono quasi deserte e diafane per il caldo di questo mezzogiorno di fuoco, difficile immaginare un ingorgo o un assembramento di persone. L’energia che dà la vita è ora quasi impercettibile e non ci sono colori sotto la luce accecante di questo primo pomeriggio. Tutto ruota invece attorno al supermercato Woolworth dove molti si muovono attirati dall’aria condizionata e dal cibo come le api attorno all’alveare… vado anch’io, per ritrovare il battito del mio cuore di fronte alla vetrinetta freezer che contiene il mio gelato preferito, il Connaisseur da mezzo chilo. Quello australiano è uno dei migliori del mondo, ma io stoicamente resisto orientandomi piuttosto sulle creme sun block. Poi per non morire di noia salgo sul taxi fermo in Daly St. e dopo altri venti minuti vedo Vanni che con le valigie in fondo al letto abbozza un sorriso che subito svanisce. Giornataccia. E’ l’imbrunire quando raggiungiamo il ristorante Chair sull’Esplanade, il migliore opzionato lo scorso marzo. Rinunciando all’aria condizionata ci accomodiamo ad uno dei tavoli in giardino, sotto due grandi alberi dai quali non cadono foglie secche né i petali dei loro fiori bensì la cenere di un incendio lontano portata fin qui dalla brezza. Ci è servito un pò di tempo per associare ai brandelli di cenere il grande falò intravisto questa mattina vicino all’aeroporto. Nessuno però sembra notare lo strano fenomeno, tranne noi non avvezzi agli effetti della stagione secca, quando la vegetazione non può fare altro che bruciare.

11 settembre 2015

DARWIN

Il bagaglio non è arrivato e Vanni è isterico, senz’altro non per questo motivo dato il suo stile minimal. Comunque mi mangia la faccia e si allontana stizzito per il ritardo della mia traduzione dall’inglese. Vorrebbe trovare il modo di forzare la mano all’addetta ai bagagli che ci sta gentilmente esponendo il caso. Dice che non ci sono certezze circa il giorno e l’orario di arrivo delle nostre valigie e comunque se ne riparla alle due di questo pomeriggio.
Quando arrivo in Hotel trovo Vanni steso sul letto della 235 con l’espressione di chi sta per esplodere, ma non avendo voglia di discutere esco subito dalla camera, salgo sul primo taxi in attesa sotto la pensilina ed in venti minuti raggiungo il centro città. Percorro il Mall e mi spingo fino al mare, appena visibile oltre il molo che trattiene coccodrilli e squali al largo, lontani dai bagnanti. Guardando la piscina con l’effetto onde e la spiaggetta di sabbia riportata vicina al prato verde, capisco la gravità del problema e la drastica rinuncia a quella distesa di acqua blu. Darwin è una importante città portuale che si difende dalle insidie del suo mare inospitale così come si difendono dai nativi i suoi abitanti bianchi che vedo muoversi zigzagando sui marciapiedi per evitarne le questue. Hanno portato via loro la terra e con lei la dignità legata all’antica cultura aborigena, qualche dollaro potrebbero tutto sommato allungarglielo. Le strade ora sono quasi deserte e diafane per il caldo di questo mezzogiorno di fuoco, difficile immaginare un ingorgo o un assembramento di persone. L’energia che dà la vita è ora quasi impercettibile e non ci sono colori sotto la luce accecante di questo primo pomeriggio. Tutto ruota invece attorno al supermercato Woolworth dove molti si muovono attirati dall’aria condizionata e dal cibo come le api attorno all’alveare… vado anch’io, per ritrovare il battito del mio cuore di fronte alla vetrinetta freezer che contiene il mio gelato preferito, il Connaisseur da mezzo chilo. Quello australiano è uno dei migliori del mondo, ma io stoicamente resisto orientandomi piuttosto sulle creme sun block. Poi per non morire di noia salgo sul taxi fermo in Daly St. e dopo altri venti minuti vedo Vanni che con le valigie in fondo al letto abbozza un sorriso che subito svanisce. Giornataccia. E’ l’imbrunire quando raggiungiamo il ristorante Chair sull’Esplanade, il migliore opzionato lo scorso marzo. Rinunciando all’aria condizionata ci accomodiamo ad uno dei tavoli in giardino, sotto due grandi alberi dai quali non cadono foglie secche né i petali dei loro fiori bensì la cenere di un incendio lontano portata fin qui dalla brezza. Ci è servito un pò di tempo per associare ai brandelli di cenere il grande falò intravisto questa mattina vicino all’aeroporto. Nessuno però sembra notare lo strano fenomeno, tranne noi non avvezzi agli effetti della stagione secca, quando la vegetazione non può fare altro che bruciare.

13 settembre 2015

DARWIN – DILI

Un bell’abbraccio ha allontanato le tensioni e resa piacevole la serata di ieri al Nirvana, il locale eclettico nel quale siamo ritornati volentieri per la discreta musica live e l’ottima cucina indiana. Non sufficiente a risollevare il basso indice di gradimento della città di Darwin è con sollievo che ce ne stiamo allontanando, osservandola sparire dai finestrini dell’aereo di linea Airnorth diretto a Dili. Con l’energia dei nostri due sorrisi ci avviciniamo al meraviglioso caos di vita a colori della capitale di Timor Leste, l’isola che vediamo ora nell’interezza della sua forma allungata galleggiare sul blu del mare. Da questa prospettiva sembra una catena di meringhe ricoperte di vegetazione tropicale ora color ruggine. Atterriamo infine nel frastuono dei due motori turboelica accanto all’articolato piccolo edificio dell’aeroporto sul quale spiccano le tegole rosse dei tetti a pagoda, la luce accecante di questo mezzogiorno sembra infatti aver cancellato tutto il resto. L’effetto ottico si sovrappone alle distruzioni ed agli stermini avvenuti nel corso della lunga occupazione indonesiana. Sono trascorsi solo 13 anni dalla conquista dell’indipendenza eppure quando nel tardo pomeriggio passeggiando nel lungomare incontriamo chi per età quella guerra l’ha vissuta non vediamo le tracce di quella tragedia sui loro visi e la vivacità si esalta nei campetti da calcio lungo la spiaggia, nel rombo dei motorini che sfrecciano in strada, negli schiamazzi di quella generazione che sta crescendo in fretta come tutto in questa capitale sulla quale si sta investendo per ricostruire. La povertà è evidente ma discreta anche qui nel lungo giardino che si snoda parallelo alla riva, trasandato e sempre più in ombra. Seduti sulle panchine o accanto alle reti da pesca in spiaggia, raccolti ovunque in piccoli gruppi inondano lo spazio con i loro vestiti trasandati ed il vocio che accompagna gli incontri in questa domenica ormai agli sgoccioli. I venditori di pesce sono lungo i marciapiedi con l’invenduto appeso a grappoli sui due lati del bastone in equilibrio sulla spalla. Altrove la grande varietà di frutta ordinata e lucida sui banchi di assi di un mercatino. La sera scende ed i contorni si fanno deboli appena rischiarati dai pochi lampioni, dalle deboli lampadine dei chioschi che vendono cibo e dai fanali della moltitudine di motorini che sfilano anche solo per essere mostrati. Infine un meraviglioso crepuscolo viola si spegne di fronte all’hotel Timor nel quale entriamo attraversando l’ampio salone. Osservando perplessi la porta già aperta del ristorante che si affaccia su un lato ci chiediamo in quale localino verace mangeremo quel bel pesce venduto dagli ambulanti lungo la strada.

14 settembre 2015

DILI

Sono solo le otto del mattino quando Vanni dopo aver appoggiato la tazza di tè sul mio comodino inizia l’assillante azione di disturbo ripetendo come un mantra “svegliati è tardi”. E’ in fibrillazione per l’incontro di questa mattina con S. Guglielmina e la conseguente ripresa di possesso di Asia che individua non appena entrati attraverso il grande cancello del convento. In ombra sotto la tettoia accanto al breve sentiero che percorriamo per raggiungere l’edificio la osserviamo con il piacere di chi non vede l’ora di iniziare il lungo viaggio verso Jakarta attraverso l’Indonesia. Oltre la porta ognuno insegue i suoi obiettivi, Vanni alla ricerca della Provinciale Guglielmina ed io a raccogliere informazioni rivolgendomi alla giovane ragazza che ci ha accolti. Disposta a dare risposte ad una straniera curiosa in una lingua non sua ma che da brava cattolica praticante deve conoscere, le chiedo di aiutarmi ad individuare un percorso di esplorazione di Timor Est sulle tracce della guerra da poco terminata, in particolare dove posso trovare le croci nere viste in una fotografia pubblicata sul libro di Ennio Polito “ La strage infinita “. Quelle che raccolte in gruppi raccontano la fine di intere famiglie sterminate dai soldati Indonesiani, ma delle quali nemmeno lei sa nulla. S. Guglielmina mi raggiunge alle dieci, sorridente e felice di questa colazione condivisa. Parlare con lei è per me un grande piacere, accessibile e generosa nello scambio di opinioni, aperta anche a chi come me non ne condivide la fede ma ascolta con piacere i racconti di ciò che avvenne, la resistenza, le strategie di soccorso, la lunga marcia silente contro il regime, il pellegrinaggio fino alla cima della montagna più alta dell’isola per ergere una statua sacra ex voto. Finisco col sentirmi affascinata dalla forza e determinazione di questa donna, non a caso reggente di 139 suore missionarie a Timor Est. Vanni si inserisce per un momento nella colazione e poi torna rapidamente sui suoi passi continuando ad estrarre da Asia i reperti dei quali non conserviamo memoria. Lontana dalla pacata vivacità della domenica la città è oggi al massimo del suo dinamismo, attraversata da auto, dai minibus debordanti di ragazzi appesi e da centinaia di motorini trattenuti a malapena dai semafori rossi. Passeggiando lungo le brevi strade che allontanandosi dal mare si spingono all’interno verso la vicina periferia alla base della montagna incontriamo gruppi di studenti in divisa, costeggiamo canali di scolo pieni di rifiuti ed un mercato dove si vendono vestiti così impolverati da sembrare usati. Poco oltre, sul marciapiedi di terra battuta sostano alcune galline con la zampa legata ad uno stecco ed un ristorantino ad angolo si affaccia su un cortile di terra battuta. Le case qui si sviluppano ai lati di strade secondarie strette e polverose, dove la miseria sembra estrema ed i sono visi tirati.
Raggiungiamo il ristorante sulla spiaggia a bordo dell’unico taxi disponibile rintracciato telefonicamente dal portiere dell’Hotel. Sono le nove di sera e la città sta già dormendo come probabilmente il nostro autista arrivato evidentemente controvoglia ingolosito solo dai dieci dollari che siamo stati disposti a pagare per l’urgenza, il triplo della normale tariffa. I tavoli del ristorante sono disposti attorno alla cucina sotto la tettoia che dà sulla spiaggia, i piatti illustrati con immagini sono piuttosto invitanti ma escludendo il pollo preparato in tutte le possibili varianti ciò che rimane è la scelta di qualche pesce direttamente dal freezer, cucinato alla griglia ed accompagnato dal riso. E’ tardissimo quando ci viene portato il conto pronto da tempo ed alla sigaretta di Vanni le due cameriere rispondono con un leggero nervosismo e preoccupate di dover aspettare in eterno finiscono col chiederci con quale mezzo pensiamo di ritornare al Timor. Oltre la tettoia del ristorante infatti la città è deserta e nemmeno una luce rischiara il buio totale della notte, tantomeno quella dei fanali del taxi che non si è ripresentato all’appuntamento. Problema. Rientriamo gentilmente accompagnati dall’intero staff malese comprese le due cameriere ora sorridenti e sedute nel bagagliaio aperto.

15 settembre 2015

DILI – BAUCAU

Abilio è accanto a S. Guglielmina quando lo vediamo avvicinarsi lungo il vialetto che attraversa il giardino. Come d’accordo l’efficiente provinciale ha trovato la guida che ci indicherà la strada per Los Palos, il centro abitato che raccoglie i più interessanti esempi dell’architettura tradizionale di Timor Est, le Sacred Houses. Sorto nei territori di cultura animista che occupano la parte più orientale dell’isola il villaggio si trova tra l’altro vicino all’isola Il Cajo che per le informazioni raccolte dai locali sembra una promessa. Abilio ha trentatré anni che non dimostra, la pelle scura ed insegna uno strano inglese australiano. E’ timido ma non abbastanza da trattenersi dal commentare la nostra andatura, decisamente rilassata rispetto a quella frenetica dei velocissimi minibus che sfrecciano rischiando troppo. La strada che si snoda lungo la costa montuosa è stretta e disastrata. Sulla loro andatura si misurano le distanze, un’ora da Dili a Manatuto, un’ora da Manatuto a Baucau. Dodici ore da Dili a Sora, ci dice con gli occhi spalancati al pensiero di dover affrontare quel difficile spostamento del quale abbiamo chiesto solo per curiosità. Procediamo senza fretta lungo la litoranea sinuosa che si spinge per lunghi tratti all’interno, là dove la strada si inerpica allontanandosi dalle pareti verticali sul mare. Attraversiamo qualche piccolo villaggio di baracche, sfioriamo i prodotti in vendita appesi ai rami, facciamo slalom attorno alle buche ed ai cani stesi sull’asfalto, una bambina vestita di bianco tende una mano per avere qualcosa. Maiali neri attraversano la strada mentre gruppi di bufali pascolano nelle risaie ancora senz’acqua. Lontane dalla strada vediamo capanne di legno con i caratteristici tetti totemici , ma non sono ancora così appetibili da prendere in considerazione fermate a rischio e passeggiate tra stoppie acuminate quindi proseguiamo in sorpassi difficili e sfioramenti a rischio di scontro godendo in compenso del paesaggio che si apre ogni tanto in begli scorci sul mare e sulle montagne mosse in ampi calanchi. Ci accompagna il colore brunastro della vegetazione prosciugata dalla siccità della stagione secca che volge al termine. Poi, decisamente in ritardo rispetto alle due ore previste dalla tabella di marcia dei minibus per percorrere i 97 km, arriviamo a Baucau. E’ pomeriggio inoltrato quando dall’alto di un dosso scorgiamo la suggestiva distesa di lamiere che ancora riflette la luce del sole. Sono i tetti delle piccole case di legno aggrappate al terreno scosceso di questa povera periferia. Scendendo ancora la bidonville sfuma nella città dei pochi edifici pubblici, delle chiese e degli istituti religiosi che risaltano per i fuori scala e gli intonaci perfetti. Poi le strade si biforcano e noi ci perdiamo prima di arrivare dopo confuse indicazioni date dai ragazzini di strada sotto la scalinata della Posada Baucau, la più confortevole tra le poche sistemazioni disponibili in città. Dopo il tramonto, quando i pochi lampioni hanno resa ancora più invisibile la città i numerosi cani randagi hanno riempito la notte di disperati, strazianti latrati di guerra per il conteso cibo strappato ai rifiuti già poveri ….

16 settembre 2015

BAUCAU – LOS PALOS

Nonostante l’orario presupponga un comodo risveglio ci presentiamo all’appuntamento delle dieci con Abilio ancora assonnati e con l’umore che ci ha lasciato il sonno disturbato dagli inquietanti latrati di guerra dei cani randagi e presto interrotto dai rumori di lavori in corso nella Posada. Eppure la curiosità di esplorare il territorio in cerca de las Casas Sagradas ci è esplosa dentro e la partenza ha risollevato le palpebre e dato una discreta inaspettata energia. Los Palos si trova a 150 km di distanza da Baucau equivalenti a tre ore di viaggio dal parcheggio dove ci troviamo dice un signore avvicinatosi a Vanni per due chiacchiere ed un’occhiatina al motore di Asia. Percorrendo la strada devastata da buche profonde capiamo quanto il riferimento temporale sia più efficace nel rendere l’idea dell’ora di arrivo rispetto ai chilometri letti sulla mappa stradale che in questo caso ci avrebbero un po’ confuso le idee. In ogni caso abbiamo tutto il tempo che vogliamo per raggiungere Los Palos e l’isola ci offre paesaggi disseminati di indizi che raccontano la cultura e le tradizioni della regione più orientale di Timor Est. In quest’area lontana dalla capitale la vita si misura con la semplicità del forte legame con la natura e con i prodotti della terra. E’ questo che si legge osservando le poche casette di bambù con i caratteristici tetti di paglia, raccolte in piccoli gruppi a formare centri abitati quasi impercettibili. All’ombra degli alberi sulle bancarelle sono in vendita i prodotti locali, sotto altri tetti di paglia invece sui tavoli coperti da logore tovaglie di plastica alcuni offrono il cibo semplice ma gustoso preparato per il pranzo di oggi. Zuppe di pollo, verdure bollite, pesce fritto e l’immancabile riso lessato. Il blu del mare distrae dalla monotonia dei colori della vegetazione secca, mostrandosi solo in piccole baie ritagliate tra le mangrovie dove le canoe di legno dei pescatori sono ferme a pochi metri dalla riva. Sulle due fiancate dai colori scrostati i caratteristici bilancieri sono sorretti da lunghe aste di bambù, in primo piano invece centinaia di piccoli pesci sono stesi sulle reti ad essiccare. E’ già il primo pomeriggio quando i bambini in divisa tornano da scuola camminando sui bordi delle strade nei pressi dei villaggi. Alcuni schiamazzano ed agitano le mani per chiedere un passaggio, sono simpatici ed hanno dei meravigliosi sorrisi bianchi. Tra tutti gli animali che attraversano la strada i cani sono i più temerari rimanendo stesi sull’asfalto rovente fino all’ultimo momento, scheletriti per il poco cibo che sembrano trovare solo di rado. Infine vediamo alcune bellissime Casas Sagradas, sopraelevate su quattro pilastri di legno, sono i capolavori realizzati in seno alle comunità animiste legate al culto degli antenati. Le case con le gambe sono costruite con la collaborazione di tutti gli appartenenti al gruppo famigliare ed i materiali da costruzione, tutti reperiti in natura, vengono raccolti nei campi e nei boschi, tagliati, lavorati, scolpiti, dipinti e decorati con conchiglie e corna di bufalo. Diversamente da come immaginavamo sono utilizzate come case vere e proprie e non per celebrare riti animisti come pensavamo. Ne fotografo un paio tra le più belle rimandando a domani il reportage dettagliato. Nel frattempo il prof. come più semplicemente soprannominato da Vanni che non ne ricorda mai il nome, deve aver frainteso il nostro obiettivo di oggi, quindi senza saperlo andiamo oltre lasciando il bivio di Los Palos alle nostre spalle. Forse perché irresistibilmente attratto dal mare o forse semplicemente per reali problemi di comunicazione a causa del suo inglese-australiano con inflessioni portoghesi, sta di fatto che seguendo le sue indicazioni puntiamo inconsapevoli verso Capo Jaco. La bella isoletta famosa per la sabbia chiara che risalta sul mare turchese si trova sperduta sulla punta più orientale di Timor Leste, obiettivo senz’altro appetibile per il Prof. ma al momento non per noi che ci troviamo in breve lungo una pista stretta e sassosa dalla quale usciamo con una difficile inversione di rotta ed una tirata d’orecchie al prof. che non convinto ma rassegnato ci porta finalmente sulla strada giusta. Mimetizzata dalla vegetazione e povera di edifici, attraversiamo Los Palos senza quasi accorgerci di essere al suo interno. Pur sviluppandosi sulla strada l’occhio infatti non riesce a fissarsi su nulla, nemmeno sul cartello semi nascosto del Motel Roberto Carlos Los Palos che raggiungiamo accompagnati da un signore incontrato per strada, un ex militare anziano ed a corto di dollari. Immerso nel giardino che sembra un bosco il Motel è un crogiolo di professori stranieri che insegnano nelle scuole locali e di impiegati di associazioni occupate in programmi di supporto e sviluppo dei villaggi della regione. L’atmosfera è rilassata e complice, in fondo siamo tutti qui per confrontarci con una cultura che non ci appartiene. Chi come noi per la curiosità di conoscerla, altri per la necessità di aiutarla a crescere in modo sostenibile.

17 settembre 2015

LOS PALOS – BAUCAU

Partiamo dopo una bella colazione seguita al sonno piacevole e ristoratore nella cameretta dalle pareti verde acceso con piccoli decori blu elettrico dipinti a stencil. Come segugi sguinzagliati in cerca della preda percorriamo a ritroso la lunga deviazione che dalla cittadina di Los Palos si inserisce sulla strada principale, quella dove troveremo le Casas Sagradas. Ed ecco la prima, bellissima ergersi non lontana dalla strada. A palafitta su quattro robusti pilastri di legno alti circa tre metri e coronata dal bellissimo imponente tetto di paglia scura che la rende speciale, la casa è costituita da un unico vano e separata dal terreno dallo zoccolo di pietra e dalla piattaforma di legno sulla quale riposarsi all’ombra della casa soprastante. Di forma cubica la volumetria è definita da pareti alte circa due metri e mezzo costruite con struttura di legno tamponata da canne di bambù aperte e pressate fino a formare superfici piane. Vi accediamo salendo la scala a pioli fino alla botola aperta sul pavimento dell’unico vano di circa sette metri quadrati che sembra piccolo per ospitare una intera famiglia. I nostri piedi appoggiano cauti sul pavimento leggermente instabile dal quale la luce filtra tra i listelli di bambù consentendo una perfetta ventilazione naturale durante le caldissime estati. La mensola alta e profonda serve a contenere tutto ciò che serve alla famiglia che vi abita, parei tessuti a mano, vasellame e coperte. Questa però è completamente vuota. Contemplata ora con comodo dall’esterno osserviamo i dettagli della complicata struttura di legno dalla quale alcuni tronchi ed assi sporgono per mostrare i decori tradizionali scolpiti, intagliati e dipinti. Sono uccelli stilizzati, fiori, stelle, serpenti, arricciate corna di bufalo ed altri simboli del linguaggio iconografico animista che non riusciamo a decifrare. Il tetto è maestoso e si erge alto quasi quanto l’intera casa sottostante. Rastremato in alto non è semplice renderne l’idea a parole… se non attraverso l’immagine di due alte onde opposte che si uniscono assottigliandosi e poi terminano con un coronamento più scuro e decorato con conchiglie che rende in tetto ancora più slanciato. Quello che stiamo osservando è arricciato sui due lati lunghi come due corna. Andiamo ancora oltre per vedere un’altra particolarissima casa, anzi due collegate in alto da uno stretto ponte di legno ormai cadente. Il maschile ed il femminile uniti ma separati come da tradizione locale. Bellissima per questa sua caratteristica la doppia costruzione conquista così tanto Vanni da volerne immortalare l’immagine con Asia nello spazio esiguo tra le due case, inserita a costo del rischio di demolire o quella del re o quella della regina o entrambe. Rientrando vediamo un’altra bellissima casa sacra stagliarsi sullo sfondo del mare turchese, una meraviglia che ha reso indimenticabile il safari di oggi nel cuore della regione animista timorense.

18 settembre 2015

BAUCAU – DILI

Se come dice il Prof. le piume di gallo e le corna di bufalo non vengono utilizzati per celebrare i riti sacri lo sono senz’altro per decorare le tombe di appartenenti a famiglie animiste, rese tanto particolari da meritare la sosta nel cimitero oltre la strada tra la boscaglia. Il Prof. costretto da Vanni mi segue come un’ombra tra i rovi e le tombe disposte disordinatamente sul terreno scosceso. Non ho mai trovato triste o tetro camminare tra le tombe dei cimiteri ed anzi ne ho sempre percepito la quiete profonda apprezzando anche la cultura che vi si esprime sempre diversa nelle forme e negli stili propri delle aree geografiche del mondo nelle quale si trovano. Ed anche ora, sotto il sole a picco che surriscalda ed acceca mi trovo immersa nella complessa cultura di questa Timor sospesa tra animismo e cristianesimo, tra croci e corna, ossa e ceri mescolati in una strana, suggestiva scenografia. Rivestite di piastrelle lucide e colorate o semplicemente lasciate a calce ciò che più colpisce di queste tombe scatolari è ciò che sovrastandole stabilisce il grado di importanza di chi le occupa. La quantità di teschi cornuti impilati nei bastoni sopra le tombe indica infatti il livello sociale raggiunto dai defunti nell’ambito della gerarchia tribale di appartenenza e le vicine onnipresenti croci di legno sottolineano l’armonia che unisce le due religioni nel reciproco rispetto. Il mare azzurro sullo sfondo ci riporta in fretta alla dimensione dell’isola ed alla concretezza del nostro viaggio che è vita in movimento. La sosta che Vanni propone dopo un numero imprecisato di chilometri ci riporta alle radici della cultura animista delle case sacre. Interessato al processo di produzione più che al prodotto finito devia all’improvviso e spegne il motore accanto ad un ragazzo ed al fucile appoggiato all’albero vicino. Siamo entrati nel cantiere dove si sta costruendo una casa tradizionale. Intenti a scortecciare a colpi di machete i tronchi che saranno inseriti nella struttura solo abbozzata i manovali non sembrano interessati a noi, indifferenti alla nostra curiosità ad eccezione del ragazzo che imbracciando il fucile lo punta ad angolo retto rispetto a noi. Una sorta di gesto simbolico che non impressiona ma che fa capire senza ombra di dubbio che la nostra presenza non è gradita. Ma Vanni non si da per vinto e senza dare al gesto la dovuta importanza poco dopo è già in confidenza con il vice del responsabile del cantiere stranamente disponibile a spiegarci come proseguiranno i lavori. Il Prof. traduce dal portoghese al suo come sempre incomprensibile inglese. Capiamo poco o nulla ma non ci sfugge lo sforzo che a costruzione ultimata dovranno affrontare i quaranta uomini per spostare i cinquanta quintali della costruzione finita. Dato che i locali tendono ad esagerare con i dettagli immaginiamo che quella casa non si muoverà da dove si trova ora. Arriviamo a Dili a metà pomeriggio decisamente provati. Vanni per lo stress della guida ed io che per via della guida a destra mi trovo sempre al centro della strada, per aver visto la morte in faccia ad ogni sfioramento e ad ogni frontale per poco evitato. Polso destro quasi slogato per la forza con la quale stringevo la maniglia sopra lo sportello e maglietta appiccicata al busto. E’ in questo deplorevole stato che facciamo il nostro ingresso alla 2036 del Novo Turismo Hotel, dopo tre ore di viaggio e novanta chilometri percorsi.


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8 Gennaio 2008

BOLOGNA – ARLES

La sveglia suona presto ma noi ci perdiamo tra le lenzuola calde ancora troppo assonnati. La partenza può aspettare e l’aspirina di ieri sera diventa un comodo alibi per rimandare ancora un po’ restando immobili nel tepore della camera che è ancora casa.

Poi dopo un tempo imprecisabile Vanni si alza ed io lo seguo con leggero ritardo muovendomi inebetita per l’appartamento senza riuscire a finalizzare i miei gesti. Ma non rimane per fortuna molto da fare se non bere il tè, vestirsi e raccogliere le ultime cose sparse sulla superficie fredda del tavolo di vetro. Partiamo finalmente, ma il traffico di Bologna ci inghiotte e solo dopo circa un’ora entriamo in autostrada , sulla quale viaggiamo veloci tra la neve delle campagne pavesi immerse nella nebbia densa. Solo la vista di Vanni al mio fianco mi convince di non essere dentro al set cinematografico di “L’albero degli zoccoli”. La mia immobilità qui sul sedile anteriore e la nebbia là fuori mi fanno vagare con la mente sulle novità di questo viaggio di inizio d’anno. Innanzitutto il navigatore, il regalo più utile ricevuto negli ultimi mesi. Il piccolo parallelepipedo dotato di una certa intelligenza che ci toglierà completamente il pathos dell’eventuale errore… impossibile perdersi almeno in Europa, niente più retromarce o inversioni ad U, o la veloce conoscenza di passanti intervistati ad hoc….ora il dialogo si complica di termini nuovi come il ricalcalo, che propone una immediata alternativa, suggerita con un tono neutro ma comprensivo in viva voce, senza alcuna sfumatura di biasimo o altro. Le altre novità certo sono toste…primo fra tutte il nostro recente matrimonio che rende questo il nostro primo viaggio da sposati, poi l’auto sulla quale comodamente stiamo procedendo, copia esatta di Carolina, ma con un carattere tutto suo, ed il nuovo ambizioso obiettivo Africa che si intreccerà alternandosi a quello già in essere del tour delle Americhe.

Un grande inizio d’anno insomma…ricco di novità. Il nuovo giochino ci porta senza tentennamenti nei pressi di Arles dove poi interpretando male i suoi suggerimenti ad una rotonda sbagliamo l’uscita ed il ricalcalo ci fa deviare per una stradina sterrata larga giusto un paio di metri. Ci ritroviamo in piena campagna francese, tra orticelli ordinati e fienili, per poi reinserirci dopo un paio di chilometri sulla statale giusta. Centriamo l’obiettivo alle 16.30, quando entriamo nel cortile dell’hotel Aurora, naturalmente Best Western, di Mussane les Alpilles ad una ventina di chilometri da Arles. Finalmente spenderemo 24000 dei 55000 punti della Crown Card di Vanni, accumulati     spendendo cifre iperboliche negli hotel associati delle americhe. Come tutti i BW anche questo Aurora è decoroso ma un po’ triste, quindi non appena posate le valigie fuggiamo ad Arles per un tour della bellissima cittadina al tramonto. Mentre camminiamo per le fredde stradine del centro storico, delimitate dalle facciate degli edifici storici, ci imbattiamo nel famoso anfiteatro romano che saggiamente illuminato fa un gran bell’effetto con le sue pietre ancora ben collocate nonostante i secoli passati…che grande civiltà quella romana…ogni volta che ci si imbatte in un capolavoro come questo che stiamo vedendo ci si sente fieri di esserne i diretti discendenti.

La seconda sorpresa qui in Francia sono le illuminazioni natalizie ancora accese….il potere del nucleare! Torniamo a Mussane les Alpilles per la cena….anche questo paesino è incantevole e tranquillo e proprio accanto alla chiesa troviamo l’unico ristorante aperto che ci offre una cena deliziosa ma abbondante. Stremati rientriamo per affondare i nostri visi ancora congestionati dal raffreddore nei morbidi cuscini della doppia al primo piano.


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9 Gennaio 2008

MAUSSANE LES ALPILLES – CASTELLON

Al risveglio Vanni è massacrato. Mi racconta di aver trascorso una notte insonne tormentato dalla cena che non ha ancora digerito. Dopo la doccia non va meglio e nemmeno dopo il digestivo gentilmente offerto dalla receptionist. Partiamo poco dopo mezzogiorno verso Valencia, alla quale però non arriveremo….viste le condizioni di Vanni, ora dolorante anche nei muscoli delle spalle decidiamo di ripiegare all’Intur Hotel Castillon a soli 70 km. dall’obiettivo. Una sosta in farmacia e poi via al 4 stelle da poco più di 80 € con un buon rapporto qualità prezzo. Ma che comodità questo navigatore che ci guida fino all’hotel scelto tra i tanti in elenco sul piccolo monitor! Consommé in camera e poi a nanna senza coccole….Vanni cosparso di Voltaren e Lasonil crolla poco dopo la cena.

10 Gennaio 2008

CASTELLON – GRANADA

Alle 10 stiamo ancora dormendo e per puro caso sento il toc toc alla porta filtrato dagli immancabili tappi di gommapiuma alle orecchie….E’ la nostra colazione che arriva puntuale mentre dalla finestra della camera vediamo il cielo nuvoloso che scoraggia il nostro progetto di una colazione consumata nel tavolino del nostro terrazzo. Tutte quelle pomate e l’aspirina hanno rimesso Vanni a nuovo e così in poco più di un’ora dal risveglio siamo pronti per ripartire. Il nostro Garmin ci conduce fuori dall’intricato intreccio di strade del centro, sulla tangenziale e poi in autostrada dove ci sorprende un caldo sole che arroventa l’abitacolo. E’ un piacere liberarsi degli starti di lana ora inutili e godere di questo tepore mentre continuiamo a scendere sempre più a sud immersi nel paesaggio brullo e montagnoso, mentre leggo i racconti di Coloane  tra una sbirciatina e l’altra oltre il finestrino. Non so bene perché ad un certo punto chiedo a Vanni se il carburante è ok….lui mi rassicura come sempre – abbiamo ancora metà serbatoio- mi risponde….ma si riferiva alla riserva, non al serbatoio intero, e per di più ipoteticamente dimensionata sull’indicatore di Carolina ora parcheggiata in Canada. Inconsapevole di questo gli chiedo comunque di fermarci alla prima stazione di servizio per una sosta bagno …arriviamo a fatica, con la macchina che arranca singhiozzante fino alla pompa del diesel….mentre anche le ultime gocce di gasolio vengono bruciate…non ci posso credere! Vanni ultimamente non ha un gran bel rapporto con i distributori di carburante….pompa manualmente un po’ di gasolio negli iniettori e ripartiamo prendendo quota….Granada è a quasi 1000 metri di altitudine ed il Best Western Dauro II  proprio nel cuore della città.  Arriviamo percorrendo un viottolo largo poco più della macchina  che fermiamo proprio davanti all’ingresso per scaricare i nostri trolley. La camera è come sempre un po’ triste …ma che dire…finiranno anche questi benedetti punti….anzi la bella notizia è   che  non ci basteranno per le due notti di soggiorno qui…quindi per domani notte dovremo spendere ben 117 € per questa ciofeca di hotel!….ma va bene così finchè Vanni non sarà riuscito ad uscire dal tunnel BW. E’ quasi completamente buio quando usciamo a passeggio per le vie del centro sotto i bastioni illuminati dell’Alhambra che sappiamo nascondere uno dei più begli esempi di architettura in stile Andaluso. Ci arrampichiamo sulle strette stradine del quartiere arabo Albacin dal quale ogni tanto scorgiamo i volumi illuminati sulla collina dell’alhambra . C’è da perdersi tra questi viottoli labirintici della vecchia medina , ma il riferimento da seguire è sempre lassù ….ed il palazzo del sultano ci guida come un faro anche quando decidiamo di tornare sui nostri passi dirigendoci verso la bella cattedrale moresca ed il ristorante infine…il Sevilla. Trovato casualmente passeggiando lungo la calle Oficios  si è rivelato poi essere la giusta scelta tra le tante troppo turistiche viste prima. Gli sgabelli ed i tavolini dell’osteria sono occupati da spagnoli doc e diversi prosciutti serrano e salami penzolano invitanti dai ganci del soffitto. Siamo nel posto giusto… l’ottima paella e la mousse di banana unite al prezzo moderato di 40 € ce lo confermano.

11 Gennaio 2008

GRANADA

Seimila visitatori si recano ogni giorno a visitare l’Alhambra come in pellegrinaggio verso quello che può essere considerato il tempio dell’architettura arabo-andalusa in Europa. Ci muoviamo anche noi di buona mattina verso la cittadella svettante sopra la collina che domina Granada. Comodamente seduti sul minibus che ci porta in uno spazio tempo diverso, al 1100, quando si rese necessario costruire un presidio nella conquistata Spagna …naturalmente senza badare a spese. Quando arrivai qui nel lontano luglio di 12 anni fa, un caldo sole accompagnò la visita, tra i cortili circondati dai palazzi sontuosamente decorati con gli inconfondibili stucchi che sembrano eseguiti al tombolo. Mi stupii allora dei percorsi d’acqua, sempre presenti in complicate geometrie di percorsi interni ed esterni alle stanze del palazzo Nazaries…il più bello. Filtrava dalle gelosie di legno alle finestre, i cui disegni geometrici mi apparivano sfuocati dal riverbero della luce al loro interno. Quella dimensione estiva ben si confaceva agli spazi esterni ricchi di vegetazione e di giochi d’acqua,   impreziosiva   le geometrie  dei palazzi ed i “ricami” alle pareti con audaci chiaroscuri. Oggi la neve è scesa su Bagdad per la prima volta a memoria d’uomo ed anche Granada è gelata come un frigorifero….Il cielo grigio smorza gli effetti di questa architettura concepita per i miti climi del Magreb e del medioriente, ma la sua bellezza non si perde e l’armonia dei volumi unita  all’incredibile perfezione compositiva dei prospetti ne fanno comunque un luogo da visitare assolutamente. Quando ne usciamo nel primo pomeriggio, le nostre articolazioni sono rigide per il freddo, ci muoviamo goffi storditi dal clima in egual misura che dalla perfezione degli spazi e dall’equilibrio formale del palazzo che fu eletto a residenza personale anche da Carlo V. Abbandoniamo l’idea di scendere a piedi attraversando la medina vista ieri sera ed anche quella di aspettare un minibus per il ritorno in città. La doccia calda si avvicina velocemente a bordo del taxi che scende lungo la comoda strada verso il centro …ma il nostro Best Western , parsimonioso di comfort , la sera eroga solo acqua appena tiepida. Visto lo stato della nostra salute ceniamo in camera con molte coccole e poi un film mozzafiato.


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