23 Giugno 2007

SAN DIEGO ( California )

Saliamo a piedi verso il Balboa parc seguendo la larga strada che conduce fuori città. Ci sentiamo un po’ spaesati con tutte quelle grandi strade che lo attraversano non sembra nemmeno un parco bensì una serie di grandi spartitraffico. Torniamo quasi subito sui nostri passi, non indagando oltre circa il parco che doveva senz’altro avere angoli interessanti…ma che certo non era Versailles, né tantomeno Guell. L’idea è di spaziare al di fuori della Downtown, per vedere l’isola di Coronado e la Old town , Carolina torna in azione quindi, fin dalla tarda mattinata, quando, cartina alla mano ci facciamo strada inseguendo come fari dapprima gli alti grattacieli, poi il lungo ponte parabolico che collega all’isola fighetta di San Diego. Vanni se la cava benissimo…ed io anche, è semplice riuscire a districarsi in questa griglia di larghe strade. Percorriamo il lungo ponte, scivoliamo paralleli a belle ville piene di coccarde e bandiere USA ( probabilmente di alte cariche dell’esercito americano), percepiamo la skyline della downtown di fronte a noi, con gli alti grattacieli, ci spingiamo lungo la stretta lingua di sabbia che si spinge dentro il mare verso est, la gold beach….poi di nuovo verso gli affollati campi di golf …non male l’isoletta! Nulla è fuori posto…tutte le case sembrano nuove o appena restaurate, così come i loro giardini di pertinenza. Grossi fuoristrada procedono lentamente in questo paese dei balocchi, sempre ordinatamente, senza nessun eccesso. Mi viene in mente la bella pellicola “ American beauty” vista qualche anno fa…ma non voglio ora citarne i motivi…altrimenti trasformerei questo diario di viaggio in un volantino antiamericano. Ancora sul ponte, ma nell’opposta direzione, un cartello riporta il numero di suicidi avvenuti dalla sua sommità …sono troppi e decisamente in contrasto con ciò che abbiamo visto finora. Non ci sono barboni qui…li abbiamo visti concentrati ai margini della downtown…là dove la patina si fa sottile e mostra aspetti anch’essi veri di una società piena di contraddizioni…dove anche i barboni sembrano inseriti in un ordine…e sono ordinati, nei loro sacchi a pelo puliti , anch’essi integrati nel sistema. Ci dirigiamo ora verso la Fifth avenue, nel cuore della Downtown, che alla fine dell’’800 fu sede di bordelli e più in generale fu il quartiere dedicato al piacere. Animatissima anche ora la Fifth avenue è piena di ristoranti, bar negozi e tante persone, alcune delle quali interessate anche ai begli edifici in stile vittoriano e decò che caratterizzano i fronti strada di questo Gaslamp Quarter. Terribile invece la Old town …che sembra più un parco divertimenti per turisti americani che un brandello della città antica. Fuggiamo dopo aver girovagato in auto nei quartieri residenziali limitrofi, ancora perfettamente tenuti. I prati all’inglese si susseguono ordinati nella stretta fascia di pertinenza delle villette, qualche coccarda e bandiera qua e là, non un rifiuto per strada. Altro che Svizzera! Il Museum of Contemporary Art è piccolo ma intenso, e collocato nella parte più carina di San Diego, la Downtown. In una delle sale rivedo l’opera di Edoardo Neto che aveva tanto colpito Catia alla biennale di Venezia di qualche anno fa… che sorpresa e che deja vu…anche olfattivo!… perché dentro queste grandi mammelle di tessuto che pendono dal soffitto, ci sono grossi grumi di spezie, dal pepe, al cumino, al cilantro…per un’orgia percettiva di sensualità sfrenata…Vanni ne è conquistato. Ceniamo sempre sulla Fifth avenue al “Grey Stone steak house” consigliatoci da Laura, la cameriera Italiana conosciuta ieri al Zagarella, che per riscattarsi in qualche modo della scarsa qualità del locale dove lavora, ha voluto mandarci in quello dove lavora invece il suo fidanzato….ma senza grandi risultati. La serata sfocia anzi in una lite tra me e Vanni, quindi lascio il locale in malo modo e mi incammino dassola in hotel. Proprio non lo sopporto quando prende decisioni che riguardano anche me….senza nemmeno interpellarmi! Succede questa volta che gli arriva una telefonata da Angelo e Raffa, due suoi amici con i quali abbiamo condiviso l’argentina ed il Cile un paio di anni fa ed in seguito alla quale esperienza si era sollevato un unanime…- mai più ! – Sentendo oggi Vanni dire ad Angelo –ok…allora vi aspettiamo a San Francisco!- mi cade il mondo addosso e gli chiedo come abbia potuto invitarli alla luce dell’ esperienza passata…e senza chiedermi nulla!…ma la cosa più delirante da parte sua è dirmi – cambierai senz’altro idea…tu cambi sempre idea sulle cose!- …anche perché non si tratterebbe di condividere 15 giorni di vacanza…ma anche questa volta almeno un paio di mesi! Incazzata nera mi addormento solo verso l’alba, quando finalmente le note di Bach riescono a rilassarmi ed io smetto di pensare a come risolvere il problema che Vanni mi ha creato.

24 Giugno 2007

SAN DIEGO – FLAGSTAFF ( Arizona )

Partiamo, verso le 10. Ho dormito solo 3 ore e non sono stanca, questo rende bene l’idea dello stato dei miei nervi…continuo a non rivolgergli quasi la parola…lui invece cerca di intenerirmi con un’espressione contrita…ma non ci casco.. sono arrabbiatissima e voglio che sappia quanto! Nel silenzio quasi totale affrontiamo gli ottocento chilometri di avvicinamento a Flagstaff, con una media dei 100 km/h ed una temperatura esterna da Sahara, mentre Carolina va in ebollizione ogni volta che accendiamo l’aria condizionata…un delirio! Ma in prossimità della cittadina il paesaggio si fa interessante e le rocce rosse isolate iniziano ad apparire come una sorta di introduzione alla mitica Monument Valley che visiteremo domani. Naturalmente è un Best Western l’hotel nel quale ci fermiamo…un po’ sciatto ma a buon mercato e poi siamo così stanchi che quasi non ci accorgiamo di ciò che ci sta attorno! Consultiamo la Lonely Planet per il ristorante e ci dirigiamo, inseguiti dalla polizia, verso il Josephine’s, che vediamo sulla mappa in una strada un po’ defilata del piccolo paese. Azionano il lampeggiante ed accostiamo, la potente torcia puntata sui nostri occhi, chiedono i documenti della macchina perché insospettiti dalla targa . In cinque minuti siamo già liberi e con un – have a nice eveneng – auguratoci con un bel sorriso sulle labbra. Iniziano a piacermi questi americani…Al Josephin’s , al 503 di Humphrey’s street , Flagstaff Arizona ( tel. 928-779-3400), bevo il primo buon margarita della vacanza e non solo… gustiamo una cena a dir poco ottima, preparata dallo chef Tony Casentino. A servirci uno staff di giovani cameriere simpatiche e disponibili, in un ambiente informale ma avvolgente che dovrà essere citato nella guida web di Rebecca….dopo la guida Michelin ecco nascerle l’idea della Porcelin alla quale parteciperò con slancio. Siamo così soddisfatti della scelta che sento di voler approfondire citando i piatti assaggiati nel corso della serata….come entrata un Josephine’s crab cake, praticamente frittatine a base di granchio, accompagnate con salsina al basilico. ( La ricetta: – crab meat, corn, red bellpeppers, poblano peppers, bread crumbs, mayonnaise, eggs, salt, pepper ). Piatto forte per Vanni un bell’osso buco e per me medaglioni di manzo serviti con mele affumicate, risotto allo zenzero e salsa all’aceto balsamico. Un trionfo che si chiude con una fantastica crema brulee. L’umore migliora molto ovviamente nel corso della serata…ma non abbastanza…ed un laconico buonanotte è l’unica cosa che riesco a dire prima di addormentarmi nel mio lettone.

25 Giugno 2007

FLAGSTAFF – CAYENTA ( Momument Valley)

Ancora 270 km per raggiungere Cayenta, un piccolo paese sperduto nel mezzo del deserto dell’Arizona che certo non vale una sosta , ma che rappresenta un comodo punto d’appoggio per la visita alla mitica Monument Valley….proprio quella vista decine di volte in tv nei film western di John Wayne. Particolarmente gettonata da Hollyvood ed a ragione, stupisce per la bellezza dei suoi speroni di roccia rossa, uniche presenze totemiche nella vallata semidesertica. Il parco si trova esattamente sul confine tra Arizona e Utha, all’interno della riserva dei nativi Navajo. E di Navajo ne incontriamo all’interno del parco, a vendere “artigianato” forse prodotto da una qualche azienda cinese. Sono collanine di finto turchese, tappetini tessuti a telaio industriale, piume legate a filamenti di cuoio…si sono impigriti questi nativi, ed hanno tutte le giustificazioni del mondo per esserlo. I sopravvissuti allo sterminio perpetrato nel corso dell’ ’800, sono stati costretti a vivere nelle riserve, annegando la loro disperazione nell’alcool che ora è severamente vietato in tutto il territorio della riserva, solo vino e birra analcolici anche per noi turisti. Ci lasciamo affascinare dal parco mentre con Carolina ci avventuriamo sulle piste che si inoltrano sulla terra polverosa tra le alte mese createsi in millenni di erosione sistematica. E sembra quasi di vederlo il caw boy, spingere il suo cavallo al galoppo all’inseguimento di qualcuno o qualcosa tra questi monumentali guardiani di roccia rossa. Per due dollari anche noi potremmo farci immortalare in groppa di un destriero nero sullo sfondo pittoresco di questa torrida vallata…leggo su un cartello. Ad accrescere l’impatto surreale di questo luogo che ci riporta al tempo della nostra infanzia , due monaci tibetani, vestiti delle loro bellissime tuniche giallo ocra, che vediamo fotografarsi a vicenda sullo sfondo di una delle mese più belle… due film al prezzo di uno!

26 Giugno 2007

CAYENTA ( Momument Valley)- GRAN CANYON

Siamo ancora in Arizona ad esplorarne l’incantevole territorio, oggi partiamo presto per raggiungere l’altro fiore all’occhiello di questo stato…il Gran Canyon. Scegliamo di visitare il South Rim, il lato sud del canyon, più facilmente accessibile e con maggiori possibilità di vedute panoramiche. Entriamo dalla strada 64 all’ingresso est della Desert view drive , con la modica cifra di 25 $ siamo ammessi nel più visitato parco naturale del mondo. 4 milioni di visitatori l’anno si avventurano su questa riva sud del Colorado River per emozionarsi. Il gran canyon è profondo più di 1,5 km e largo in media 16 km, e nel suo fondovalle si snoda sinuoso il fiume, per oltre 445 km., che ha scavato il canyon nel corso degli ultimi 6 milioni di anni e portato in superficie rocce di due miliardi di anni fa, ovvero la metà del ciclo vitale della terra. Alla prima sosta lungo la strada che si snoda parallela al precipizio, la Indian view , di fronte a questo prodigio della natura, percependo la grandezza della natura stessa della sua eterna forza e bellezza, io mi commuovo. Letteralmente mi metto a piangere…sindrome di Stendhal? …non saprei dire, ma ricordo successe in un’altra occasione nel corso del viaggio in sudamerica. Il fiume si vede solo a tratti ed in modo poco chiaro vista la distanza, ma ne percepiamo il colore azzurro intenso che si interrompe qua e la per via delle numerose e pericolose rapide. Leggiamo che se in generale il livello max. di difficoltà del Rafting è V, in alcuni tratti del Colorado River è X ! Insomma qui tutto è in grandi proporzioni dimensionali …non per nulla è appellato Gran Canyon. Fermandoci nei punti panoramici scattiamo numerose foto ed immortaliamo anche il famoso corvo nero del Gran Canyon, al quale offriamo, nonostante il divieto, una tostadas messicana in cambio di qualche foto…ma poi stanchi per il calore disumano cerchiamo un hotel appena fuori dal parco. Nella hall Vanni vede un desk informativo dei voli in elicottero sul Canyon….va da se che in un istante siamo già prenotati sul tour delle 17 per un sunset indimenticabile. Dopo il Delta Okawango in africa , le Linee di Natzca in perù e Ixtapa in Messico, eccoci di nuovo in volo per godere della prospettiva zenitale del Canyon. Al ceck in delle 16.30 veniamo pesati e fatti accomodare mentre un ragazzo rivolgendosi ai vari clienti inizia a parlare in un inglese incomprensibile delle varie misure di sicurezza a bordo. Non capiamo praticamente nulla…ma siamo ottimisti ed a maggior ragione non dovrà succedere nulla! Saliamo in 6 sul panoramico elicottero rosso, praticamente un uovo di vetro, io e Vanni ci accomodiamo nei due posti di fianco al pilota…meglio di così! Baipassiamo il rumore delle pale in funzione indossando le grandi cuffie che diffondono musica alloggiate sul poggiatesta, allacciamo le cinture di sicurezza e partiamo…è la mia prima volta. Sorvoliamo per un poco il bosco di pini, e poi improvvisamente siamo sull’abisso del Canyon. Che emozione…il passaggio dalla superficie così vicina del bosco a quella così lontana del fondo del canyon , ci fa percepire il tuffo nel vuoto …quasi come un lancio con il paracadute!…pensiamo noi due. Questo è senz’altro il modo migliore per percepire la complessa articolazione del canyon, con le sue gole, e gli speroni che si diramano dal corso principale…e vediamo anche quelle che devono essere state isole migliaia di anni fa..
Un passaggio veloce in hotel e siamo di nuovo nel parco , questa volta percorriamo con Carolina la Hermit Road che si snoda verso ovest …tramonto con foschia e rientro in hotel.

27 Giugno 2007

GRAN CANYON – LAS VEGAS ( Nevada )

Percorriamo a ritroso la 40 Road verso Los Angeles, poi imbocchiamo la 93 North e saliamo verso Las Vegas inoltrandoci su quelle che sono le ultime pendici della catena delle montagne rocciose. Attraversiamo in auto anche la grande diga costruita quasi un secolo fa, ma che sembra nuova ..la imponente Hoover Dam, in prossimità della quale si sta realizzando un capolavoro di ingegneria, un lungo ponte a coprire l’ampio strapiombo del Colorado river e ad unire così l’Arizona al Nevada. Vediamo i pilastri altissimi che affondano la loro armatura nella roccia scoscesa delle due sponde…chissà che brividi percorrendolo in auto! Las Vegas quasi non si vede all’orizzonte, spalmata com’è nella vallata desertica che percorriamo…poi alcuni grattacieli iniziano a prendere forma davanti a noi, siamo arrivati nella calda città dell’effimero… fuori il termometro registra 45°C . Prima di prendere la camera al Caesars Palace decidiamo di perlustrare il cuore della città percorrendo il S. Las Vegas boulevard denso degli edifici spettacolari che si susseguono in un delirio stilistico degno di un immenso parco giochi. E così passiamo da un edificio stile antica roma…dove dormiremo, ad un altro complesso che riproduce fedelmente gli edifici più rappresentativi di Venezia, per poi passare ad una foresta tropicale con battaglia navale dal vero tra due galeoni pirateschi e tigri bianche disperse tra la vegetazione…e tanti altri altrettanto pittoreschi in stile egizio o perché no, antica Cina. Di americano l’invito al consumismo sfrenato ed il folle progetto di stupire divertendo i turisti che una volta arrivati verranno spennati ma non solo al casinò.…una bottiglia di acqua da mezzo litro costa dai tre ai quattro dollari, assistere ad uno spettacolo del Cinque du soleil 170 $, far lavare una camicia 10 $ ed occupare la Real world suite al Palms Casinò Resort costa minimo 7500 $ al giorno. La nostra camera sulla Forum tower del Caesars Palace è piuttosto confortevole ma una volta usciti c’è il rischio di non riuscire a ritornare perdendosi tra i meandri del piano Casinò, un groviglio di corridoi e saloni e ristoranti e negozi e le immancabili slot machine ad occuparne centinaia di mq. Il tutto condito in stile antica roma, in un trionfo di capitelli, colonne, marcapiani, statue, fontane , dipinti …ma i marmi ovviamente non sono veri così come i dipinti che non sono affrescati bensì stampe incollate ai soffitti…insomma una fiction ben costruita. Vanni muore dalla voglia di vedere lo spettacolo acquatico del Cirque du Soleil, quindi va e prenota i due biglietti per lo spettacolo delle 10.30. Mi sembra l’occasione giusta per indossare il mio abito lungo quindi a caduta cenare in un raffinato ristorante francese al Bellagio prima dello spettacolo. Mi trattengo a fatica dallo champagne e caviale…c’è un limite a tutto!….mentre gustiamo la nostra cena scorgiamo dalle finestre del ristorante i giochi d’acqua che intanto hanno avuto inizio nelle fontane appena fuori…che meraviglia Lo spettacolo del Cirque è bellissimo, sia per la coreografia che per la scenografia…sono proprio bravi! Vista l’ora , è passata la mezzanotte, ci concediamo due passi all’esterno delle aree refrigerate…ma il caldo è ancora fastidioso e dopo poco siamo di ritorno alla nostra confortevole 7818 , l’unico ambiente del quale possiamo decidere la temperatura.

28 Giugno 2007

LAS VEGAS

Finalmente un hotel con servizio di lavanderia…un paio di giorni fa ho rischiato di dover lavare le nostre cose nella lavanderia comune dell’hotel , piena di lavatrici, asciugatoi e dispenser e signore al lavoro. Ma il grande Caesar mi salva ed anzi, quasi a giustificare il conto salato, restituisce dopo poche ore un impeccabile pacco e le camicie di Vanni in una scatola a parte piegate ed incellofanate. Che grandi lavandai questi cinesi! Ci coccoliamo con una colazione in camera e solo verso le due del pomeriggio decidiamo di uscire per andare a vedere il museo Guggenheim al Venetian. Il caldo ci opprime ancora una volta, troviamo chiuso il museo e torniamo in fretta al fresco dell’hotel. Troviamo il coraggio di uscire solo verso le nove, quando il buio della sera mitiga la temperatura….giusto in tempo per vedere nell’ampio lago di fronte il Bellagio uno spettacolo mozzafiato di giochi d’acqua e suoni. Incredibile la bellezza di quei getti d’acqua danzanti! Ci spingiamo poi fino all’hotel Luxor per vedere la famosa piramide nera , poi stanchi rientriamo per una dormita con i fiocchi

29 Giugno 2007

LAS VEGAS – LOS ANGELES

Possiamo dire di essere diventati dei navigatori provetti se nonostante le cartine parziali a disposizione e la metropoli più grande degli stati uniti sotto le ruote di Carolina, siamo riusciti ad arrivare in hotel nel cuore di Los Angeles senza dover ricorrere all’aiuto di un taxista. Siamo a Hollywood…l’hotel best western si trova a nord della Hollywood boulevard, proprio a due passi dalla downtown del quartiere…tra gli edifici Decò e le famose stelle di Hollywood di pietra rossa inserite sul marciapiede scuro, che riportano in lettere dorate i nomi delle varie star del cinema. L’hotel sembra la copia di un carcere di massima sicurezza, le camere disposte su due piani si affacciano su ballatoi che delimitano uno stretto cortile. Le pareti sono di colore verdino sporco, le ringhiere grigie. Ma si dormirà benissimo… Depositati i bagagli usciamo per una prima ricognizione dell’ enorme città che leggiamo essere costituita da 80 cittadine compattatesi nel tempo, per un totale di 8 milioni di abitanti ed una estensione complessiva da capogiro. Carte alla mano, arriviamo con Carolina in west Hollywood, un quartiere che gode di una certa popolarità soprattutto tra i gay…e che ospita anche il MOCA Pacific Design Center, insomma un quartierino di tendenza. Ci infiliamo all’Abbey per un aperitivo. Il locale in stile vagamente messicano è affollatissimo direi soprattutto di non etero…i camerieri mozzafiato vestiti di una leggera canotta ed una vivace atmosfera fanno di questo locale una meta da non perdere e ci divertiamo infatti sorseggiando il nostro margarita ed osservando queste stupende creature che mi piacciono da morire… Ma il MOCA , il cui edificio verde pisello ci appare come una promessa…è chiuso. Ceniamo benissimo all’Osteria Angelini, sul Beverly boulevard…il cibo è più che ottimo e la cordialità pare quella di emigranti che rimpiangono un po’ casa. Finalmente ci sfoghiamo a chiacchierare anche con altri nel nostro conosciuto idioma.. Una cosa particolare qui è che ogni locale, ristorante bar o hotel che sia, ha i suoi parcheggiatori, i “valet” che con una tariffa variabile dai 4 ai 5 $ provvedono al parcheggio della tua auto…comodissimo, soprattutto in una città dove il parcheggio può rappresentare un problema. Los Angeles ci piace, nonostante le aspettative. Immaginavamo una città troppo grande, sterile ed asettica; invece ogni quartiere possiede una sua forte caratterizzazione ed anche il tessuto urbano fatto prevalentemente di villette o villone …dipende dalla zona…che si arrampicano sulle colline o si spalmano sul piatto terreno delle zone pianeggianti, non danno l’immagine della metropoli quanto piuttosto quella di una città giardino, vivibile ed ordinata….e se avessimo voglia di arrivare fino a Santa Monica …vedremmo anche il mare!

30 Giugno 2007

LOS ANGELES

Non sto più nella pelle…oggi andremo alla famosa Walt Disney Concert Hall di F.O.Ghery, il mio architetto preferito! Sono emozionata e mi tremano un po’ le mani quando scatto le prime foto di questo che ci appare come un immenso gioiello di acciaio luccicante sotto i raggi del sole intenso di mezzogiorno….ma che bellezza e che genio quell’ebreo! Entriamo per la visita dell’interno ed aggirandoci rapiti tra le volumetrie inattese ed avvolgenti ci chiediamo come un umano possa concepire forme così libere e gioiose ed estreme da un punto di vista statico…certo gli ingegneri devono essersi spremuti non poco per rendere possibile questo delirio formale concepito affinché l’occhio possa scivolare continuamente da una convessità all’altra, da un bagliore ad un’ombra profonda come una ferita…senza fermarsi mai su nulla e con la sensazione di non riuscire mai a carpirne il progetto complessivo. Se dovessi associare a qualcosa l’impatto con questo oggetto, penserei ad una danza, un balletto ininterrotto che mi ha lasciata felice e piena di energie. Certo il Guggenheim di Bilbao mi era sembrato al confronto più compiuto, perfetto…ma ogni volta che mi trovo di fronte ad una genialità così espressa, ne rimango basita. Proseguiamo oltre passeggiando fino alla cattedrale di Nostra Signora di Los Angeles…un’altra chicca architettonica concepita questa volta dall’ architetto spagnolo Moneo, il preferito di Elisa…praticamente l’opposto di Ghery! Raffinato, equilibrato un altro genio nel panorama degli architetti contemporanei…e spagnolo più che mai per la drammaticità delle scelte formali e per il calore di questa pietra rosata che ricopre l’intera volumetria della chiesa. Un altro bel viaggio questo…Trovo un dvd per Elisa…l’intera realizzazione, pietra dopo pietra…praticamente un macigno! Certo questo isolato della downtown non scherza…poco oltre entriamo in una delle sedi del MOCA, un’architettura un po’ datata di Arata Isozaki …ma siamo a Los Angeles o a Berlino?….patria dell’architettura contemporanea. Dopo una breve passeggiata a piedi tra le strade della downtown, vivamente sconsigliata da un’americana che incontriamo e che ci sconsiglia di proseguire lungo la strada in discesa che stavamo percorrendo, con un secco – non è sicuro!- veniamo a sapere che il quartiere degli affari, o meglio parte di esso, pieno di banche e grattacieli che ne definiscono una interessante skyline, non è poi così raccomandabile. Ma gli slanciati edifici giustapposti ai più datati in stile decò o in mattoni facciavista, ci incantano e le persone che incontriamo non sembrano poi così terribili.
Tornati al parcheggio decidiamo per un giro in macchina verso il quartiere giapponese del centro dove però troviamo l’altra sede del MOCA chiusa….sono già le 6 pm.

01 Luglio 2007

LOS ANGELES

E’ domenica oggi…la giornata ideale per visitare il Getty Center, la principale attrazione di Los Angeles che sorge in cima ad una collina, dalla quale si godrebbe di un favoloso panorama se non fosse per la foschia sempre presente che ne sfuma i contorni. Progettato da Richard Maier ed inaugurato nel ’97 è costato un miliardo di dollari….e se ne capisce il motivo! Gli edifici, che accolgono un centro di ricerca, un auditorium, spazi espositivi e servizi, sono quasi completamente rivestiti di travertino proveniente dall’Italia, la stessa pietra fu estratta in passato per costruire il colosseo e la fontana di trevi…100 viaggi in nave per trasportare il materiale non devono essere costati poco…oltre a tutto il resto! Rimaniamo fino al tardo pomeriggio, aggirandoci tra le mostre, il giardino e gli spazi esterni davvero piacevolmente proiettati verso la città, con una serie di viste suggerite e definite attraverso i grandi portali che ne inquadrano le prospettive. La temperatura quassù è piacevolissima ed una brezza soffia costante a raffreddare i bianchi travertini. Arriviamo a Santa Monica al tramonto, la cittadina sul mare è piacevole ed ordinata come quasi tutto qui in USA. Passeggiamo tra le strade pedonali piene di negozi e ristoranti, poi lungo il mare sul palisades park, una lingua di terreno a ridosso della scogliera, piena di palme e ricoperta di un impeccabile prato all’inglese molto gettonato dai tanti barboni che vi risiedono. Siccome sono fissata chiedo a Vanni di portarmi a vedere la famosa sede della TBWA, un’agenzia pubblicitaria progettata da Ghery sulla cui facciata spicca un enorme cannocchiale di cemento armato che ne segna l’ingresso. Un bijou! Memori dell’ottima cena all’”osteria Angelini” decidiamo di provare anche l’altro suo ristorante che troviamo sempre a West Hollywood…”La terza”. Che onore…c’è proprio lui ad accoglierci…Gino Angelici, che oltre ad offrirci i suoi piatti squisiti si concede anche in una lunga chiacchierata nel corso della quale scopriamo cose interessanti sugli USA. Per esempio che qui puoi fare molto senza rischiare di andare in galera…tranne non pagare le tasse. Addirittura i camerieri vengono tassati anche per le mance presunte del 20%…incredibile! Il redditometro in Italia ha per anni seminato lo scontento tra i professionisti…figuriamoci se fosse stato applicato anche ai camerieri. Scopriamo anche che tutte le auto che arrivano dal Messico non vengono assicurate…cioè c’è da augurarsi di non aver mai un incidente con un messicano in territorio USA. Ma anche noi siamo senza assicurazione!…e con tutte quelle auto d’epoca circolanti …non c’è di che stare tranquilli! ….provvederemo al più presto. Mi arrabbio poi con Vanni che commenta con altezzosità le portate che scelgo per la mia cena….considerando che non mangio nulla da ieri sera, non mi sembra che una caprese come antipasto seguita da un filetto alla griglia possano diventare argomento di critica da parte sua ….seguita da commenti del tipo – caspita che appetito !- mentre lui si riempie di piadina e dei salumi del suo abbondante antipasto! Ho sempre trovato di cattivo gusto guardare nel piatto degli altri….meglio un sincero – mi piaceresti un pò più magrolina!

02 Luglio 2007

LOS ANGELES

Cerchiamo subito un’agenzia per fare la polizza assicurativa…ed una banca dove poter cambiare gli euro che Vanni nasconde nella sua cintura…ma scopriamo che se non sei un cittadino USA non puoi fare né l’una né l’altra cosa…incredibile! Le banche cambiano la tua valuta straniera solo se hai un conto aperto presso di loro…e le tre agenzie polizze auto ci rispondono tutte quante che loro non sono autorizzate ad assicurare auto straniere ai non residenti. Insomma negli USA o sei statunitense o una serie di diritti ti vengono preclusi. Davvero un paese civile!
Ma aggirandoci per il centro della Downtown avvistiamo un edificio degno di essere esplorato, è il California department of transportation, meravigliosamente concepito dal gruppo di Thom Mayne e Morphosis…un altro capolavoro…questa volta di vetro, acciaio e colorate luci al neon! Scendiamo verso Long Beach…Vanni ha voglia di vedere la Queen Mary, l’antico transatlantico ora convertito nell’ Hotel più famoso della città, che solcò l’oceano atlantico per la bellezza di 1001 volte, tra il 1936 al 1967. La strada verso Long Beach è tutt’altro che panoramica…e sembra non finire mai…90 km dal rifornimento di ieri sera, e quasi tutti impiegati oggi per l’avvicinamento alla costa su questo lato, uno dei punti più a sud della città iniziano a pesarci quando finalmente, percorrendo la 710, iniziamo a vedere le indicazioni per la Queen Mary…siamo arrivati! Sfiliamo sul fianco sinistro di questo monumentale pezzo di storia ed automaticamente pensiamo a tutte le traversie che nel corso della sua vita deve aver affrontato. Ma ora che bel pensionamento…qui nella lussuosa Long Beach! Un ottimo hamburger da Mac Donald e a letto.

03 Luglio 2007

LOS ANGELES – SAN LUIS OBISPO ( 270 Km )

San Luis Obispo non è certo una ambita stazione turistica, ma da qualche parte dobbiamo pur fare una sosta prima di intraprendere il meraviglioso viaggio verso Big Sur attraverso la strada più panoramica della costa pacifica americana, la mitica 1. Dopo una sosta nell’elegante Santa Barbara ed una sbirciatina strada facendo alle belle ville di Malibù, le cui baie sono piene di surfisti in attesa delle onde che invece vediamo belle incazzate qualche chilometro oltre…optiamo per una sosta di due giorni a San Luis Obispo, che non si trova sulla costa ma ne è leggermente arretrato. Il luogo migliore pensiamo, dove trascorrere il 4 luglio, l’indipendence day, senza incappare in traffico eccessivo o il tutto esaurito negli hotel. Relax, aggiornamento del piano di viaggio e molto sesso.

05 Luglio 2007

SAN LUIS OBISPO – SAN FRANCISCO ( 420 Km )

Dopo i meravigliosi fuochi d’artificio di New York visti ieri sera in tv….e la modesta cena consumata nell’unica osteria aperta di tutto il paese…partiamo verso il tratto di costa tanto declamato dalle guide…la freeway n°1 ci condurrà da San Luis Obispo a Monterey costeggiando il tratto di costa selvaggia la cui bellezza ha suggerito il nome di Big Sur. Ma ecco, appena lasciato il paese verso la costa, un muro di nuvole basse ci proietta in un’atmosfera autunnale da pianura padana. Iella massima…proprio oggi che la buona visibilità si poneva necessaria! Invece percorriamo la Frw 1 senza vedere nulla di tutto ciò che l’ha resa famosa. Rocce, strapiombi che in altre condizioni climatiche sarebbero state motivo di stupore, oggi rappresentano per noi solo un eventuale pericolo….con questa nebbia fitta! Proseguiamo quindi abbastanza spediti fermandoci solo quando a tratti la nebbia si dirada, ma non vedendo nulla di esaltante, ci vien da pensare alla molto meno nota, ma di granlunga più bella, costa tirrenica della Corsica ! Insomma non paghi della fregatura ci spingiamo anche sul promontorio di Monterey percorrendo la 17 Grand view Dr. che però non ci esalta, certo forse per colpa di questo grigio che si riflette ovunque…o piuttosto per la noia di vedere solo campi da golf a perdita d’occhio… in qualità di non praticanti non potremmo certo apprezzarla per questo e nemmeno per quella piccola colonia di leoni di mare che vediamo stesi nella nebbia! Va da se che passiamo oltre saltando anche la sosta ipotizzata a Monterey che ci avrebbe consentito di ripercorrere la Frw 1 verso sud in condizioni climatiche migliori, forse domani. Arriviamo a San Francisco percorrendo il Bay Bridge al tramonto. Gli ampi portali di ferro che rappresentano la spina dorsale del ponte inquadrano i grattacieli della city che vediamo oltre la baia davanti a noi. Che spettacolo!…siamo in america eppure questo ponte ci appare come un deja vu , chissà quante volte percorso attraverso la telecamera di un qualche regista mentre stavamo comodamente seduti in poltrona in Italia…la magia di hollywood ! Arriviamo al “Carriage inn” sulla 7th in downtown senza sbagliare nulla, rimango in auto mentre Vanni va a prendere la camera. Una serie di barboni sfilano per la strada, alcuni trascinano il loro voluminoso fardello, altri frugano tra i rifiuti…non sembra un gran quartiere!….ma mi appare come una visione un edificio bellissimo a venti metri da qui… La camera è accogliente, il personale squisitamente disponibile…e siamo a due passi da quell’edificio che scopriamo essere di Thom Mayne! Ci sono tutti gli ingredienti per stare bene qui in hotel ed a San Francisco in generale!…Il receptionist ci consiglia un ristorante italiano a due block da qui…è tardi e non abbiamo voglia di cercare altro, quindi andiamo alla “buca da Beppo” dove senza infamia né lode mangiamo una pizza tra le fotografie dei divi di un’ Italia degli anni ’50. Rientriamo in fretta in hotel…c’è un freddo terribile!

06 Luglio 2007

SAN FRANCISCO

Ci sveglia un bel sole che entra dalla bowindow in fondo alla camera… contemporaneamente al bussare alla porta per la colazione…Vanni è sempre ottimista sui nostri orari della mattina. Però comoda la colazione in camera…così contrariamente al solito riuscirò a farla anch’io! Iniziamo la nostra passeggiata dirigendoci verso il MOMA, ma poi rimandiamo il museo a più tardi..la giornata di oggi è così bella…e San Francisco così intrigante che non ci stanchiamo di percorrerne il reticolo di strade che a tratti si arrampicano sulle numerose colline della città. Arriviamo ai piedi del Bay bridge, dove godiamo di una gran bella vista sui grattacieli del financial district, poi inseguendo un grattacielo a piramide, arriviamo a Chinatown, dove cedo alla tentazione dello shopping comprando una bella giacca ed una blusa di seta. Ci dirigiamo verso la Union Square e poi di nuovo al MOMA di Mario Botta che tutto sommato mi piace, con le sue pareti di mattoni che lo fanno assomigliare ad una fortezza inespugnabile. Entriamo e rimaniamo incantati di fronte all’installazione, nell’atrio tutto bianco e nero, dei coloratissimi pannelli di Sol Lewitt…. Poi ci tuffiamo di nuovo nella città così affascinante ed a dimensione d’uomo nonostante i grattacieli…texture diverse si giustappongono, dai mattoni dei vecchi edifici al vetro e acciaio delle nuove costruzioni…in un delirio compositivo meraviglioso! Vorrei vivere qui per un po’…c’è una tale energia! Dopo una ceretta nel salone di bellezza all’angolo, gestito da due simpatiche vietnamite, optiamo per una serata all’insegna del Jazz e prenoto con internet un tavolo al “Jazz at pearls”, sulla Columbus Ave. Il localino è piuttosto chic e vellutoso…certo avremmo voluto poterlo definire anche un po’ fumoso…stiamo bene ascoltando del buon jazz brasiliano con cantante mentre sorseggiamo tranquillamente i nostri drinks.

07 Luglio 2007

SAN FRANCISCO

L’omino oggi bussa alle 10…ho segnato io l’orario sul cartellino fuori dalla porta!…ma nessun raggio dorato entra dall’ampia finestra. Sigh! Nuvole a go go oggi…ed un vento freddo novembrino. Ci dirigiamo verso il centro nell’inutile tentativo di cambiare quegli euro che tanto stanno sul groppone di Vanni….il cambio ovviamente è così sfavorevole da farlo desistere…1,24 contro l’1,36 quotato in internet. La taxista che ci accompagnerà al De Young Museum nel golden gate park è moldava e vive qui da 5 anni. Simpatica e tenera ci conduce all’obiettivo quasi scusandosi del traffico che inevitabilmente incontriamo sulle strade affollate di questo sabato metropolitano. Ma ecco il museo, progettato dai mitici Herzog e De Meuron della Modern Tate di Londra e di tanto altro ancora. Una scatola decostruita rivestita di rame a disegni optical. Geniale! Il contenuto non è poi così interessante, ma il contenitore valeva la visita…ma una volta usciti ci aggredisce un vento freddo da polo nord ed una nera che ci intima di spegnere la sigaretta o l’infrazione ci costerà 116 dollari. In tutto il parco… che ha un’estensione di diversi ettari…non si può fumare.Assurdo! Cerchiamo un taxi, ma non se ne vedono qui nel parco, dobbiamo fare un po’ di strada per trovare un simpatico driver di colore che conduce il suo taxi come un pilota di formula 1 perché è convinto che in Italia tutti guidino come pazzi!…in un paio di circostanze avrei tanto voluto che non si calasse così tanto nella parte del taxista napoletano…ma che dire…arriviamo in un baleno tra le calde pareti della nostra camera…siamo al sicuro ora!…ma dopo aver recuperato il giusto equilibrio termico non ne abbiamo proprio voglia di uscire di nuovo…quindi Vanni si offre volontariamente di andare a prendere due pizze nella pizzeria all’angolo. Ma che meraviglia una sera ogni tanto cenare seduti sul letto con pizza, coca cola e tv accesa….dimenticavo…e fumare di nascosto una sigaretta alla finestra della camera! Sembra di essere tornati ragazzini…

08 Luglio 2007

SAN FRANCISCO

Quando apro gli occhi Vanni è già in piedi davanti al carrello della colazione…appena mi sente versa il tè nella tazza e lo appoggia sul mio comodino, accompagnando il movimento con un bel bacione di buongiorno. Oggi visto il bel sole andremo al Golden Gate bridge. Comodamente seduti sulla nostra Carolina attraversiamo il centro percorrendo la Van Nesse avenue verso nord, ma ecco verso il Pacifico fanno capolino le nuvole basse che pian piano arrivano anche attorno a noi, e poi ancora più in alto fino a coprire la sommità dei grandi portali di ferro del vecchio ponte. Fu inaugurato nel 1937…immagino lo scalpore che una costruzione del genere, così avanguardista dovette aver provocato sugli abitanti della città di allora… abituati a vedere case vittoriane fronzolose e rassicuranti…cosa devono aver pensato di fronte a questa lineare struttura di ferro…le cui lastre sono bitorzolute delle migliaia di bulloni che le uniscono…e quelle funi tese a sorreggere il piano della strada leggermente arcuato verso l’alto a renderne ancora più snello il profilo…fierezza, orgoglio…oggi sono ancora centinaia le persone che in pellegrinaggio giungono a vederlo dai View point realizzati ad ok…e credo tutti si sentano un po’ orgogliosi vedendolo, anche solo per il fatto di sentirsi appartenenti alla specie che lo ha concepito e realizzato. Ripercorriamo a piedi un tratto del ponte, fino al primo dei due grandi portali di ferro rosso. Il vento freddo soffia feroce dietro a noi, quasi a volerci spingere via…intento un gruppo di pacifisti vestiti di rosa porta verso il centro del ponte due grandi cerchi con al centro il simbolo della pace, il tutto ricoperto di fiori. La domenica proprio non sanno cosa fare qui a San Francisco! Anche il Golden Gate park dove andiamo in seguito, è pieno di piccoli gruppi di pacifici manifestanti…chi contro l’AIDS, chi a favore delle donne …ma sembra più una scusa per ritrovarsi che per affermare davvero qualcosa. Forse in una grande città come questa la solitudine è un problema per molti. Andiamo anche al Conservatory of flowers, una serra in stile tardo ottocento, alla maniera dei Kew garden di Londra, entriamo e mi perdo come Alice nel paese delle meraviglie…le orchidee mi fanno impazzire e qui ne vediamo di assolutamente inedite e meravigliose…per non parlare delle ninfee, e delle piante carnivore…non uscirei più da questo eden umidiccio e profumato di terra! Arriviamo poi dopo aver visto sfilare le belle case vittoriane di California ave, alla Lombard street di cui la guida fa un gran parlare…ma nulla di interessante. Rientriamo per una pausa in hotel…questa sera sarà la stick house Harri’s il nostro ristorante….e che scelta quella di Vanni…un filetto di manzo così buono lo avevo assaggiato in poche occasioni…ed anche il resto è perfetto, dal cibo al vino, alla piacevolezza del locale! Ottimo!

09 Luglio 2007

SAN FRANCISCO – YOSEMITE PARK ( 310 Km )

Partiamo come sempre tardino e con l’assicurazione auto della compagnia AAA fatta. Certo ci è costata 10 volte quello che avremmo speso facendola in Messico prima di entrare…ma ora possiamo sentirci liberi di rischiare su strada più di quanto è stato fino ad ora…è già quasi mezzogiorno quando lasciamo la bellissima San Francisco ripercorrendo a ritroso il Bay bridge…certo la città ora è alle nostre spalle…l’effetto visivo è inoltre ridotto dal fatto che stiamo percorrendo la corsia inferiore del ponte mentre sopra di noi le auto sfrecciano nella direzione opposta verso la bellissima skyline della downtown. Yosemite è il terzo parco più vecchio d’america…lo raggiungiamo percorrendo la 120 che lo attraversa da Ovest a Est. La strada del fondovalle accoglie le strutture di accoglienza del parco…ma è tutto full, tranne le camere senza bagno e l’hotel Ahwahnee dai prezzi improponibili…ci hanno chiesto 460$ per la camera! Quindi raggiungiamo Cove Bears dove un gentilissimo impiegato del parco ha riservato per noi una camera pensiamo ….invece si tratta di un cottage tutto nostro…con un soggiorno a grandi vetrate che si affacciano sul bosco…una favola…ed a soli 250$! Ma non siamo attrezzati per una situazione che non preveda un ristorante nei paraggi e la zona di ristorazione più vicina è ad un’ora di auto… naturalmente il sole sta già tramontando. La proprietaria ci viene incontro regalandoci un sacchetto di insalata con condimento a parte ed una confezione di noodles al pollo da cucinare al microonde. Prendiamo possesso del cottage cenando nella rustica cucina con lampadario fatto di corna d cervo intrecciate… vedendo un film in spagnolo in dvd e dormendo come angioletti nel soppalco soprastante. Stiamo benissimo…finalmente una casa, anche se con rilevatore antifumo!…con libri e cianfrusaglie compresi nel prezzo.

10 Luglio 2007

YOSEMITE PARK – SEQUOIA NATIONAL PARK ( 300 Km )

Ci svegliamo osservando le fronde verdi dei pini che sembrano voler entrare in camera….ma per fortuna nessun orso all’orizzonte. Con la nostra solita calma ci prepariamo ed usciamo…anche se al calare del sole di ieri le bellezze del parco … tanto belle non ci erano sembrate. La cascata più alta d’america ben 78 metri di caduta…era praticamente senz’acqua e il capitan, la cima granitica che sporgeva sopra la valle…già vista altrove…Non rimane che continuare a scendere verso Wawona, nei cui pressi troveremo un bosco di sequoie…e che sequoie! E’ la nostra prima volta…e lo spettacolo è elettrizzante per l’energia incredibile che questi giganti emanano tutto attorno. Siamo pietrificati…vorremmo abbracciarle, toccarle…farle nostre. Che meraviglia…sentirsi piccoli come gnomi in questo bosco in scala 3:1…Passeggiando in compagnia degli scoiattoli lungo il sentiero viviamo come in una favola che è la nostra, mentre l’energia ci travolge in un delirio di felicità. Va da se che raggiungere il “vicino” Sequoia National Park si rende quasi necessario. Percorriamo deliziose vallate gialle di fieno ed ampi tratti montagnosi ricoperti di abeti altissimi che creano improvvise zone d’ombra…poi entriamo in paradiso. I maestosi esemplari del parco sono tantissimi e ben visibili per via del colore rossiccio della corteccia…e ce ne sono due famosi per la loro immensità…sono le sequoie più alte…e più vecchie degli stati uniti. L’età stimata del General Sherman tree è di 3200 anni… ma in media questi alberi vivono 2000 anni…quante devono averne viste questi giants, come li chiamano qui. Nuovamente con i sensi rapiti percorriamo la breve passeggiata con il naso all’insù e la bocca spalancata per la meraviglia…non andrei più via per il benessere incredibile che sento qui sotto…protetta da tutti questi giganti. Intanto vediamo un anziano signore indiano mettersi letteralmente ad urlare di meraviglia davanti a questo colosso…poi una volta dato sfogo allo stupore mettersi a pregare vicino alla sua base larga ben 12 metri. Che felicità anche per noi la giornata di oggi… Raggiungiamo Visalia per la notte…Ceniamo in un ristorante di impronta franco-californiana, il “Vintage Press” , dove passiamo la serata cercando di capire il cameriere che nonostante avvisato ha continuato a parlare a raffica in un monologo sterile dal quale però siamo riusciti ad uscire satolli e soddisfatti.

11 Luglio 2007

VISALIA – SACRAMENTO ( 270 Km )

La strada 49 che percorriamo oggi si snoda sinuosa tra le colline della Gold Country, la zona occidentale della Sierra Nevada famosa per essere stata la meta della corsa all’oro iniziata intorno al 1848 e proseguita fino alla fine del secolo. Tra un vigneto un uliveto ed una piantagione di aranci ci spingiamo proprio nel cuore di questo piacevolissimo territorio fatto di morbide colline, alla ricerca delle mitiche città dei cercatori, nei cui saloon le scazzottate dovevano essere all’ordine del giorno. Intanto ci godiamo questo rilassante paesaggio assaporandone le sfumature cromatiche dai gialli del fieno ai verdi accesi della vegetazione spontanea, mentre Carolina come sempre divora i chilometri.
Il primo insediamento che incontriamo è Mokelumne Hill,un piccolo paese fatto di case di legno la cui parte storica raccoglie i pochi edifici attorno al saloon lasciati in uno stato di abbandono ma pur sempre veraci…naturalmente ciò che si è salvato era stato costruito in solida muratura di mattoni. L’atmosfera certo è diversa da Jackson e Sutter Creek che visitiamo dopo…questi ultimi si trovano in condizioni decisamente migliori, pur conservando l’atmosfera tranquilla di altri tempi. I ritocchi a fini turistici sono evidenti, ma qui ci si sente davvero calati in un contesto da far west…e aggirandoci lungo le strade, sotto i porticati di legno degli edifici, sembra di dover vedere da un momento all’altro un qualche losco figuro con le pistole in mano…Anche nella old town di Sacramento, la capitale della California, troveremo una situazione analoga, leggiamo nella guida, ma è già il tramonto quando arriviamo in questa tranquilla cittadina che proprio non ha l’aria di essere una capitale, e sarà rimandata a domani la passeggiata tra i suoi vecchi edifici. Intanto, raggiungendo il centro in macchina, vediamo le tipiche case in stile vittoriano, ancora di legno ed ornate con torrette verande ed un sacco di svolazzi formali. Ceniamo nel ristorante di un piccolo hotel ricavato all’interno di una di esse …con vetrate molate e bianche pareti di legno a doghe…un piccolo tuffo nel tempo per poi tornare al monotono anonimato dell’ennesimo hotel Best Western.

12 Luglio 2007

SACRAMENTO – EUREKA ( 500 Km )

Oggi torniamo sulla costa spingendoci a nord verso il confine con l’Oregon…ad Eureka, una cittadina anch’essa nata sulla scia della ricerca dell’oro…il cui nome direttamente attinto dal greco che significa “ l’ho trovato! “. Questa sosta nasce più da una esigenza tecnica che non dalla curiosità vera di visitare questa piccola cittadina…che sembra soltanto un altro susseguirsi di centri commerciali all’aperto nel classico stile americano. Ma visitandone la dowtown invece finirà col piacerci per via delle meravigliose case in stile vittoriano tra cui la più esagerata che ci sia mai capitato di vedere. E’ sensazionale la bellezza di questo edificio fatto edificare alla fine dell’’800 da un ricco mercante di legname. L’edificio è stato realizzato interamente in legno ed è sovrabbondante di elementi in stile Queen Ann, il più ricco di decorazioni del periodo vittoriano, con torrette tettoie, sporti, bow window ed altro ancora…Per l’uso che di questi elementi viene fatto in questo che è diventato un club privato di soli maschi, l’ edificio è diventato il simbolo delle case vittoriane americane…ed è un piacere guardarlo per l’armonia compositiva di tutti gli elementi architettonici…anche se non saprei se assimilarlo più alla casa di Psyco o a quella della fatina buona….comunque è bellissimo e anche solo vedere questo valeva la sosta.

13 Luglio 2007

EUREKA – COOS BAY ( Oregon 370 Km )

Che meraviglia oggi…inizieremo il nostro spostamento attraversando il Redwood National Park…una fascia di bosco che costeggiando il mare si spinge fino a Crescent City lungo la 101. E che bosco! Il nome del parco deriva dal fatto che la vegetazione qui è caratterizzata in prevalenza dalla sequoia sempervirens, chiamata anche Redwood appunto. Percorriamo ancora all’ombra dei giganti questo bel tratto di strada … devo dire che qui negli USA i boschi mi piacciono molto contrariamente al solito…gli alberi qui sono così verdi, così grandi e così tanti…a volte mi viene il dubbio che siano transgenici! Comunque appena usciti dal bosco scorgiamo la bella e selvaggia costa dell’Oregon…che arriva come a consolarci per la perdita delle sequoie che abbiamo subito strada facendo. Ma che bellezza…altro che la California! Qui la costa è rocciosa e frastagliata, ed alcune belle spiagge prendono posto tra le rocce vulcaniche come pietre preziose incastonate. Dal mare spuntano come presenze i tanti faraglioni di ogni forma e dimensione a rendere l’atmosfera quasi metafisica con questo loro specchiarsi nell’oceano piatto come una tavola e plumbeo per via delle nuvole che intanto sono arrivate. Insomma qui la costa è meravigliosa, peccato che la temperatura ed il cielo parzialmente coperto neghino completamente il clima estivo necessario per godersela. Nonostante la bellezza di questi luoghi, l’ultima cosa che faremmo è indossare un costume e stenderci sulla spiaggia…chissà perché si respira un clima più di fine estate…quasi autunnale, nonostante il periodo di piena estate e la latitudine sia più o meno quella della nostra costa riminese…sarà come sempre tutta colpa dell’oceano!?

14 Luglio 2007

COOS BAY – PORTLAND ( 320 Km )

Ripartiamo volentieri da questo paesino puzzolente e privo di attrattive nonostante la laguna qui di fronte…e volentieri lasciamo anche questo hotel best western infestato di Pink ladies, un gruppo numeroso di donne brutte e grasse che indossano un giubbotto di raso rosa ricamato in nero con la scritta Pink lady ben in grande sulla schiena. Non si capisce cosa condividano, a parte il colore del giubbotto…non sembrano un gruppo particolarmente impegnato se non a ballicchiare cantando brani tipo il ballo del qua qua! Gli americani sembrano generare continuamente pretesti per raggrupparsi, forse perché si identificano in qualcosa che implica la condivisione delle idee…o forse solo per non essere soli durante il weekend. Comunque spesso negli incroci di strade importanti, come la 101 che stiamo percorrendo noi, in prossimità dei centri abitati, i marciapiedi sono occupati da manifestanti che armati di cartelli sostengono la pace…o la guerra, a seconda del lato che si stia guardando. Iniziamo la giornata fiancheggiando le Oregon dunes , una fascia lunga una settantina di km di bellissime dune naturali di sabbia dorata, ma infestate di “dune buggy”, motorette rumorose che giovani e meno giovani utilizzano per arrampicarsi sulle dune…che controsenso per me che identifico le dune con il deserto e quindi con il silenzio. Ad aggravare la cosa è sabato e questo sembra essere uno degli sport più gettonati qui…Troviamo presto consolazione fermandoci al Faceta Head Lighthouse, un faro vecchio più di 100 anni ed ancora funzionante che occupa l’estrema propaggine di un promontorio che si insinua dentro il mare…ed altrettanto piacevole l’acquario di Newport che visitiamo poco dopo. Portland ci si presenta alla grande…con un intreccio di cavalcavia e ponti degni di una città portuale importante e pittoresca….adoro questi ponti dalla struttura metallica fortemente caratterizzata. E’ già quasi sera ed il BW full nonostante la posizione decentrata rispetto alla downtown…quindi seguiamo un taxi per arrivare agli hotel del centro dove inizia la nostra ricerca spasmodica di una camera libera che sembra proprio non esserci. Chi lo avrebbe mai detto…a Portland! E’ tardi , siamo stanchissimi ed ogni insuccesso nella ricerca non fa che aumentare lo stress…poi finalmente Vanni, che notoriamente è più fortunato di me, ottiene l’indicazione giusta. Ci fiondiamo lungo la 4° street verso l’ University Place dove occupiamo una delle 4 camere libere sulle 300 totali! Certo qui gli hotel vanno alla grande nei weekend! Il letto è piccolissimo…ma che importa a questo punto tutto è come un regalo. Jack, il receptionist consiglia inoltre a Vanni un ottimo ristorante per la cena…è Jake’s sulla 12° street, dove mangiamo l’ottimo Crab pescato proprio qui nei mari dell’Oregon, a 150 km da noi, e l’ottimo tonno hawaiano. Il locale tra l’altro è piuttosto bello con le boiseries di legno e le vecchie credenze piene di liquori…ed il servizio eccellente! Proseguiamo la serata da Jimmy Mak’s, un locale di lunga tradizione jazzistica sulla 10° ave, dove un numeroso gruppo di catanti di colore e musicisti si esibisce in un concerto non certo jazz, ma comunque piacevolissimo. Bella atmosfera…stiamo benissimo!

15 Luglio 2007

PORTLAND

Lasciamo la camera per una lunga passeggiata nel centro, poi a chinatown ed oldtown dove abbiamo la possibilità di vedere più da vicino quei bei ponti di ferro intravisti ieri. Oltre ai ponti vediamo anche molti barboni stesi sui marciapiedi o nei giardini…dopo la crisi del settore informatico Portland ha subito un grande tracollo occupazionale e questi sembrano esserne i nefandi risultati….A chinatown entro sola nel Classical Chinese Garden, un piccolo gioiello di architettura tradizionale cinese, in autentico stile suzhou, con tanto di tetti a pagoda, vasche d’acqua con ninfee, e la favolosa sala da tè ricavata all’interno della torre dei riflessi cosmici, dove degusto un ottimo tè al gelsomino accompagnato ad un dolce dal nome impronunciabile, anch’esso preparato secondo una ricetta della tradizione culinaria cinese. Ne esco rigenerata per la tranquillità e la bellezza di questo giardino…un oasi di pace!…ma oldtown era nota per ben altri motivi…stiamo camminando in realtà sugli shangai tunnels, una serie di gallerie sotterranee nelle quali i malvagi capitani delle navi trascinavano a forza i marinai ubriachi al fine di farli imbarcare sulle loro navi senza contratto…che storie leggiamo su questa parte di città, dove ancora circolano tipi dalle facce non proprio raccomandabili…e dove pare che il numero dei discotecari la notte, superi di poco il numero degli spacciatori. Ma a noi che importa…torniamo per la cena da Jake’s dove io bisso il crab e Vanni assaggia l’ottimo fritto che generosamente condivide. Ci complimentiamo con Robert, il giovane vice chef che Vanni fa chiamare dalla gentile cameriera argentina, ed ascoltiamo volentieri le sue delucidazioni circa la provenienza del pesce, ed i consigli sulle chicche culinarie che proprio non dobbiamo perderci visto che siamo qui. Ci parla di questo Copper River salmon, che viene pescato in Alaska solo un mese all’anno per evitarne l’estinzione. Questo salmone si nutre di gamberi molto rossi e così anche la sua carne ha la caratteristica colorazione rosso acceso. Jake’s prepara questo salmone cuocendolo su un letto di legno di cedro che ne profuma leggermente le carni….insomma come perderci un piatto tanto prezioso? Domani forse saremo ancora qui per la cena!

16 Luglio 2007

PORTLAND

La giornata inizia male, con una delle mie solite piccole crisi di coppia. Vanni mi consola come può poi esce per portare Carolina finalmente ad un bel lavaggio In & Out. Mi preparo con molta calma e nel primo pomeriggio esco anch’io….direzione Japanese Garden. Il taxi arriva in hotel dopo una decina di minuti, quindi il taxista somalo mi accompagna e mi intervista strada facendo. Non avevo mai visto giardini giapponesi prima d’ora, ….ma ingolosita dal bel giardino cinese di ieri e stanca delle solite passeggiate in centro, alla fine questa si rivela un’ottima scelta. Il giardino occupa una superficie piuttosto estesa e tutta estremamente curata e progettata. Sono così rassicuranti questi giardini che si rifanno ad antiche teorie filosofiche Taoiste e Buddiste…è come se chi li ha concepiti sapesse come entrare dentro le persone per renderle serene. Passeggiando tra le aree tematiche, tra cascatelle , piccoli ruscelli e la vegetazione dalle piccole foglie leggere che svolazzano ad ogni alito di vento, arrivo al giardino zen che però non mi fa impazzire…preferisco le piante alle pietre!..anche se collocate e disegnate a terra secondo un disegno che sembra racchiudere un piccolo mistero. Che benessere mi da passeggiare qui dentro…ma poi una volta uscita dal giapponese entro nel giardino delle rose, solo un poco più a valle. Che profumo qui…e che gioia tutti questi colori . Questo giardino, leggo in un cartello, ha vinto la medaglia d’oro come il più bel giardino di rose nel mondo. Racchiude al suo interno anche specie rarissime che lo impreziosiscono ulteriormente…passeggio immersa in un profumo da capogiro e mi diverto a scattare foto in macro delle rose che più mi piacciono…quelle bianche carnose e piene di petali sono tra le mie preferite…mi ricordano un altro fiore, forse la begonia. Quando decido di tornare mi si pone il problema di come farlo…nessun taxi all’orizzonte, in questo luogo piuttosto defilato rispetto al centro città. Chiedo con il mio inglese “maccherone” ad un signore che aspetta ad una fermata dell’autobus, il quale molto gentilmente mi spiega come fare…autobus fino allo zoo e poi treno per la downtown. Prende il mio stesso autobus e poi mi accompagna al binario del mio treno…che gentilezza questi americani! Copro a piedi il tratto di strada dalla fermata all’hotel ed è fatta…in una mezz’oretta sono in camera.. dove trovo Vanni appena rientrato dal lavaggio auto…8 ore di lavoro per riportarla ad una pulizia da camera operatoria! Lo vedo soddisfatto del lavoro e delle chiacchiere… al lavaggio parlavano spagnolo…si sarà anche divertito a fare conversazione mentre sovrintendeva i lavori! La scelta è unanime…si va ancora da Jake’s per assaggiare il famoso Copper River Salmon e l’altrettanto prelibato Alibu un merluzzo di profondità dal sapore delicato, proveniente dai freddi mari dell’Alaska. Oggi però nonostante sia lunedì l’attesa per un tavolo è lunghissima e la cucina ingolfata ci fa attendere ulteriormente una cena che però come sempre è squisita! Nel frattempo abbiamo conosciuto una famiglia di qui, Vanni dice che sono ebrei, a me sembrano solo persone molto carine e ci scambiamo gli indirizzi per eventualmente incontrarci in Italia in un futuro chissà quanto remoto.
-David e Tracy Scarborough – 675 Highline rd Hood River.
-Email : davescarborough@gorge.net oppure davescarborugh@gorge.net
-tel casa. 541.386.3404 – cell 541.490.1280.

17 Luglio 2007

PORTLAND – SEATTLE ( Washington)

Piove! ….tutta colpa di Vanni che ieri ha fatto lavare la macchina! Affrontiamo il viaggio sotto il cielo grigio dell’Oregon con direzione Seattle, la città dello stato di Washington che vanta l’appellativo di città di Smeraldo… Avevo tanto fantasticato della bellezza di questa città che al nostro arrivo quasi ne rimango delusa. Immaginavo che la sua posizione pittoresca su un istmo tra due distese d’acqua, il Puget sound a ovest ed il lago Washington a est, dovesse essere percepita arrivando da sud, invece l’unica cosa che ci appare è la city con il suo nodo di grattacieli svettanti sullo sfondo di un cielo cupo, quasi autunnale…ma dell’acqua nemmeno l’ombra. Ancora difficile la ricerca di una camera…quando ci decideremo a prenotare? Del resto siamo fatti così … ed avere dei vincoli durante questo nostro viaggio all’insegna della totale libertà sarebbe una forzatura. Quindi dopo aver chiesto in almeno 5 hotel, tutti full, troviamo una camera al Days Inn, un albergo abbastanza squallido ma in una buona posizione e con la possibilità, rara qui in USA, di poter fumare liberamente in camera. Tutto sommato il bilancio è positivo …e sale ulteriormente per la sua vicinanza al Experience Music Project…un museo della musica progettato nientemeno che fa F.O.Gehry! Questo ulteriore incontro con un’opera di Gehry è come un regalo inaspettato…e ne sono felicissima…anche Vanni devo dire inizia ad apprezzare queste cose…a forza di insistere sembra aver affinato una certa sensibilità nei confronti di queste architetture accartocciate estremamente espressive di questo straordinario architetto californiano….anche se ebreo! Usciamo quasi subito dal Days Inn per dirigerci a grandi passi verso il groviglio volumetrico dell’EMP, dalle tinte accese questa volta dei toni del rosso, azzurro, del viola cangiante e dell’ acciaio. Siamo inoltre a due passi dalla torre Space Needle, alta 180 metri e con una bella struttura alla Nervi…naturalmente saliamo per soddisfare il nostro desiderio di vedere finalmente la conformazione di questa città anche nel suo rapporto con i laghi verso i quali è protesa…saliamo come razzi mentre dalle pareti di cristallo dell’ascensore vediamo allontanarsi rapidamente tutto il parco sottostante, EMP compresa. Di nuovo Seattle non mi piace…nemmeno da questa prospettiva che ne evidenzia l’aspetto pittoresco. Dopo San Francisco sarà difficile apprezzare altro…..addirittura mi è piaciuta di più Portland, con i suoi ponti di ferro ed il suo fiume. Comunque anche Seattle non è proprio da buttare! Saliamo sulla monorotaia verso la piacevolissima City dai grattacieli un po’ datati ma animata di una vivacità inaspettata….E’ uscito il sole finalmente! Due passi al mercato che sta chiudendo, per reperire la colazione di domani e poi di nuovo in Hotel a prepararci per il concerto Jazz che inizierà tra mezz’ora da Dimitriou’s Jazzalley, a due passi dall’hotel…che fortuna! La voce di Jane Monheit accompagna la nostra cena piuttosto buona, ma il vino è decisamente orribile. Alle nove siamo già in camera, con un sacchetto di ottime ciliegie ed il Padrino III in tv.

18 Luglio 2007

SEATTLE

Piove ancora! ….tutta colpa di Vanni che l’altro ieri ha fatto lavare la macchina! Visto il clima ce la prendiamo con calma ed usciamo in macchina solo verso l’una. Percorriamo a random le strade del centro popolate di ombrelli e grattacieli, ma dall’alto nessun segno di miglioramento …mentre continua a scendere la pioggerellina incessante …fastidiosa e deprimente per Vanni che impazzisce con il maltempo…l’umore gli precipita in un abisso fatto di tristezza e fragilità. Io sto bene invece, ho saltato tre inverni…un po’ di pioggia anzi mi rende felice…anche se vissuta qui in una città così diversa dalle mie ma così simile sotto certi punti di vista…il rumore delle auto il colore del cielo, i movimenti delle persone, l’odore dell’asfalto bagnato sono internazionali. La stagione sembra perfetta per andare dal parrucchiere per un ritocchino necessario al colore e vicino all’hotel Vanni ne ha visto uno…entro a chiedere se usa i colori Paul Mitchell di cui ho i codici esatti…dopo l’esperienza di Acapulco dalla quale sono uscita con un rosso fuoco rivoltante, non ho più voglia di sbagliare. Ma la ragazza sorridente che mi accoglie dice che no…è una marca poco usata qui a Seattle ed anzi si offre di cercare in internet se in città qualche parrucchiere lo usa, la risposta ovviamente è no, così cerco nella cartella colori qualcosa di simile ed optiamo per un mix di due rossi chiari. Ne esco quasi mora con riflessi rossicci…un disastro! Visto che il tempo è migliorato usciamo per una passeggiata nella downtown, rimaniamo a lungo a passeggiare, Seattle è una bella città tutto sommato…e le strade del centro che vedono alternarsi alti edifici moderni a basse case di mattoni faccia vista alternano il sapore della novità a quello della storia in un pittoresco susseguirsi di volumetrie e materiali contrastanti. Il mercato coperto è qui particolarmente vivace, le bancarelle delle pescherie popolate di enormi king crab , di Halibu , di salmoni in tutte le tonalità del rosa e di tanto altro ancora…i mari qui sembrano regalare pesci e crostacei a volontà e di qualità sopraffina. Ordinati come gioiellerie i banchi che espongono frutta e verdura di ogni genere ed i fiori bellissimi mi fanno rimpiangere di rimanere a Seattle solo pochi giorni…comprarli ora sarebbe sprecato! Rientriamo dopo aver camminato a lungo in questa città avvolgente ed a dimensione d’uomo…mentre Vanni continua a prendermi in giro per il mio nuovo colore….dark. Per fortuna il cielo si è liberato a tratti delle nuvole e qualche brandello di azzurro si disegna sul cielo bianco…proprio questa sera saremo a cena nel ristorante Sky City, in cima alla torre Space Needle…sarebbe un peccato essere immersi nelle nuvole! Invece vediamo persino un po’ di tramonto ritagliato in una stretta fascia libera tra le nuvole fitte dell’orizzonte ed un panorama da capogiro mentre consumiamo la nostra costosissima cena. Serata meravigliosa….ci piace cenare in alta quota mentre sorvoliamo in un movimento rotatorio lentissimo la città sotto di noi…dopo Berlino Seattle era inevitabile.

19 Luglio 2007

SEATTLE

Che bel regalo il sole di oggi! Usciamo e seguendo l’idea di Vanni prendiamo il traghetto per la Bainbridge Island ad una mezz’ora di navigazione verso est, non potevamo scegliere giornata migliore per uno spostamento via mare! Incantati vediamo gli alti grattacieli del centro allontanarsi mentre sempre più chiaramente si definisce la skylane di questa bella città dello stato di Washington. Aria tiepida e sole ci accompagnano mentre con Carolina esploriamo il territorio dell’isola che piena di boschi di abeti e laghetti sembra Svizzera! A Vanni, ex alpino, questi paesaggi piacciono moltissimo, così tanto che lo vedo ad un certo punto prendere in un market un giornale di compra vendite. Allarmata indago un po’….ma è tutto sotto controllo, per questa volta non finirò col fare Haidi in una casetta di legno immersa nel bosco! Certo l’isola non offre grosse opportunità a noi che non amiamo il trecking, quindi dopo aver attraversato un ponte che ci faceva uscire dall’isola sul lato opposto rispetto a quello dell’ arrivo, torniamo sui nostri passi e riprendiamo il traghetto per Seattle. Arriviamo giusto in tempo per una sosta al mercato per comperare un po’ di ciliegie , poi usciamo di nuovo a piedi verso il centro…non voglio proprio perdermi il museo di arte moderna, il SAM che, mirabilia, ha ben due quadri di Rotzko e tra le altre cose decisamente belle, anche una installazione fatta di migliaia di placchette di acciaio dei militari americani a formare un grande abito da guerriero asiatico. Ho trovato questa installazione bella come anni fa, quando l’ avevo vista a Venezia nel padiglione coreano, esattamente la stessa bellissima opera. Anche a Vanni piace molto, tanto che la scruta da vicino per capire come sia fatta….ne faremo uno scultore! E’ sempre molto attratto dalle sculture fatte per assemblaggio di elementi di metallo, dopo il suo crocifisso fatto di decine di cunei di martello, chissà cos’altro sarà capace di elaborare…. Vedendo i musei americani mi rendo conto di quanto la Biennale di Venezia faccia tendenza nel panorama artistico mondiale…insisterò nell’andare, mi sembra un’ottima idea! Raggiungiamo poi little Italy dove mangiamo piuttosto male al “Chiosco”…ci siamo sbagliati…in realtà il ristorante segnalato a Little Italy era “Nunzio”, il portone accanto! Comunque la passeggiata di rientro in hotel ci aiuterà a smaltire il mattone che sentiamo sullo stomaco.

20/21 Luglio 2007

SEATTLE – WEST YELLOWSTONE ( Montana 1000 km)

Lasciare Seattle sotto la pioggia scrosciante è l’unico modo per non aver rimpianti…questa città che inizialmente mi aveva un po’ delusa, ha fatto breccia ed ha finito col conquistarmi. Comunque si parte, il viaggio deve proseguire…anche per evitare che Vanni davvero si innamori di una baita immersa nel bosco. Comunque seguono due giorni di marcia forzata verso est attraverso gli stati di Washington, Idaho, Montana, e Wyoming con una sola sosta a Coeur d’Alene per la notte. Arriviamo massacrati la sera del 21 a West Yellowstone in Wyoming, a pochi km dal famoso parco che vedremo domani….certo ce lo siamo guadagnato!

22 Luglio 2007

YELLOWSTONE NATIONAL PARK ( wayoming)

L’hotel best Western, interamente popolato di made in USA a parte noi, si svuota prestissimo mentre noi ce la prendiamo con una calma relativa , sono infatti da poco passate le nove quando saliamo in auto…per noi è quasi l’alba! E’ una bella giornata di sole ed è piuttosto caldo…l’ideale per una scampagnata al parco. All’ingresso la gentilissima ranger che ci ha ricoperti di mappe e giornali, sta per fregarci 5 dollari…”ma che importa, sono ragazzi” commenta Vanni. Entriamo…siamo a quota 2500 metri , e nel parco più famoso d’america, vogliamo scoprire perché!…ed è presto detto. Iniziamo l’escursione percorrendo una parte della strada ad anello che tocca tutte le aree tematiche del parco, andiamo verso sud in direzione Geyser Country , l’area che vanta i più importanti fenomeni geotermici del parco tra cui il più famoso Old Faithful che leggiamo sulla Lonely Placet lancia l’acqua bollente ad un’altezza compresa tra i 30 ed i 60 metri. Ma come spesso succede la nostra guida riporta notizie false e tendenziose per cui rimaniamo in attesa dello scoppio per oltre un’ora , seduti sotto il sole cocente per vedere un getto di appena una decina di metri…Vanni è quasi arrabbiato e inizia a mettere seriamente in discussione la bellezza del parco. Incontriamo poco dopo un gruppo di cervidi femmine, stanno brucando l’alta erba dell’ampia radura nella quale ci stiamo muovendo. Attorno a noi le montagne si alzano con pendii morbidi, sono interamente ricoperte di abeti, in alcuni casi secchi per ettari a causa di incendi che ne hanno lasciato traccia sui tronchi anneriti. Continuiamo il giro immersi nei bei colori del parco che ci regala fiori a grappolo viola accanto ad altri gialli, anche l’erba sembra raccogliere tutte le sfumature dei verdi, colori che si esaltano accanto al grigio argentato dei tronchi. Le vallate sono ampie e spesso punteggiate di laghetti e corsi d’acqua, si respira un senso di libertà e di ampio respiro che non sempre è facile avere in montagna…avvistiamo poi i bisonti dall’aria non proprio rassicurante, i cervi maschi con le loro bellissime corna, i coyote ed anche una mamma orsa con i suoi due cuccioli….naturalmente alla necessaria distanza. Certo non è difficile avvistare gli animali del parco, basta fermarsi quando si vede un ingorgo di auto ferme ai bordi della strada…non si può sbagliare! Costeggiamo poi parte del grande lago alpino dalle acque blu, caratterizzato da una serie di fumarole e geyser che ne segnano il contorno. Tutta l’area del parco è interessata da fenomeni geotermici….pare che proprio una faglia intercontinentale lo attraversi. Ciò ha fatto si che si creassero interessanti fenomeni legati alla presenza di acqua calda e ricca di minerali, come quello che troviamo a Mammoth Country, l’area geotermale più antica del nord america. Una serie di vasche poco profonde e dalle forme tondeggianti a cascata l’una sull’altra a formare disegni complessi ed accattivanti in quella che potremmo definire una fantastica fontana scultorea naturale…rimaniamo letteralmente incantati per la bellezza dei colori e delle forme di queste cascatelle di origine batterica….il bianco ed il rosso ruggine si alternano e si sommano nel labirinto di volumetrie curve sulle quali scorre l’acqua calda delle sorgenti sottostanti, il tramonto finisce con l’aggiungere come sempre qualcosa a questo già incantevole piccolo paradiso. Siamo proprio soddisfatti di questo parco, così vario nel proporsi con fenomeni che vanno dai geyser, alle cascate, al lago al canyon, alle rocce affusolate o geometriche, ed ai bellissimi animali che lo popolano….che non avevo mai visto prima! Vanni trova una sistemazione carina nell’hotel del Mammoth Country…per fortuna! Siamo spappolati. Una mezza capanna in stile coloniale tutta per noi…ma senza bagno. Dormiamo nel silenzio assordante del parco che ci regala anche una mezza luna brillantissima.

23 Luglio 2007

YELLOWSTONE – WORLAND ( 400 km)

Uscendo dal cottage Vanni ha in mano il depliant turistico sul quale ieri sera avevamo rivisto l’immagine dei quattro presidenti scolpiti nella roccia che ancora non sappiamo dove siano collocati…sembra incredibile non averlo ancora scoperto…in fondo è una delle immagini più rappresentative degli USA! Di fronte alla reception dove Vanni è sceso a riconsegnare le chiavi, un signore anziano si mostra disponibile a soddisfare la nostra curiosità….si tratta del Mount Rushmore National Monument in South Dakota…praticamente confinante ad est con il Wyoming dove ci troviamo ora…basta uno sguardo ed è deciso, si va a vederla questa immensa scultura nella roccia…questa volta dal vero! Che meraviglia viaggiare così….in estrema libertà, decidendo in un nanosecondo una deviazione di più di mille km! Partiamo quindi eccitati per il nuovo obiettivo da raggiungere, sotto il cielo azzurro che anche oggi staziona sopra di noi Carolina ripercorre verso sud la strada del parco. Avvistiamo un gruppo numeroso di bisonti ma nessun orso purtroppo….in compenso anche oltre il parco il paesaggio è incantevole e si apre in un’ampia pianura dai meravigliosi colori chiari delle rocce calcaree. Siamo così felici di essere qui, su queste strade che solcano paesaggi meravigliosi, così ampi e liberi….ed il cielo è bellissimo con le sue nuvolette bianche all’orizzonte. …che meraviglia!….ma che calor…mucho calor su questa strada in lieve discesa. dove ad un certo punto Vanni vede una distesa di aerei in un piazzale sull’altro lato della strada ..andiamo a vedere di cosa si tratta…praticamente un museo di aerei storici …ma chiuso. Ci informiamo nei pressi e riusciamo ad entrare ma solo a piedi a vedere almeno i più vicini a noi…il caldo incolla i miei sandali all’asfalto…è pazzesco! Quando arriviamo a Worland, una piccola cittadina anonima ma che può rappresentare un buon punto per fermarci ci sono 42°…ci fermiamo è deciso…sono già le 6 passate!

24 Luglio 2007

WORLAND – BUFFALO( Wyoming 230 km)

Chi lo avrebbe mai detto questa mattina, partendo sotto il sole cocente di Worland, che saremmo rimasti in panne dopo appena 180 km dei 400 che ci eravamo riproposti di percorrere?! Invece è proprio successo….Carolina è una gran macchina, ma ha i suoi begli anni, l’anno prossimo ne compirà ben 25 e per le auto vale forse la regola che di solito si applica per cani e gatti…l’età va moltiplicata per 7. Quindi Carolina ha quasi 200 dei nostri anni e gli acciacchi ad un certo punto crescono esponenzialmente… Arrampicarsi fino ad arrivare ai 3000 metri del Pouder river pass può diventare una missione impossibile. Vanni è esigente e lei si impegna, ma arrivati ad un paio di miglia dall’apice della sua fatica , con l’acqua che le bolliva già da un po’, scoppia il tubo del radiatore e tutta l’acqua ne fuoriesce. Siamo in pieno brock down, come dicono qui in USA! Seguono 5 minuti di imprecazioni da parte di Vanni, che poi mi chiede: – chi fa l’autostop?- Ferma una macchina e salgo io. Si tratta di arrivare a Buffalo, a 43 miglia di distanza, e tornare con un carroattrezzi. Il ragazzo che si è fermato è un simpatico turista austriaco che tra visitando il Canada ed il nord degli stati uniti, si mostra disponibile e inoltre parla benissimo l’inglese. Quindi andiamo io e lui verso Buffalo concedendoci una sosta per foto vicino al cartello che riporta l’altezza record in cima al passo. Una volta arrivati in paese ci fermiamo in una officina che ci fornisce il numero di telefono da fare per il servizio di emergenza stradale…avendo capito che il mio inglese è un po’ acerbo si offre di telefonare lui per spiegare la situazione e prendere accordi. Sono già le 13.15, ma la disponibilità del Tow-beck car è per le 14. Aspetto un’ora il mezzo di soccorso in ritardo, poi con il grasso autista ripercorro a ritroso quei 70 km di strada, quando ecco vedo Vanni sul ciglio della strada sfoderare un bel sorriso ed alzare il pollice in segno di ok. Avrà pensato che fossi sparita…in fondo sono stata via ben 4 ore. Arriviamo al BW di Buffalo stremati per la lunghe trattative in officina e per tutto il resto…l’incertezza del destino di Carolina poi è terribile. Qui in USA non ci sono pezzi di ricambio per questo modello diesel, solo per il modello a benzina che però è molto diverso….quindi solo domani sapremo se riusciremo a ripartire con lei…e quando. Vanni è giustamente abbattuto …a me invece queste cose scivolano addosso come acqua fresca. Magari fosse così anche per altre cose! La scorsa notte mi sono addormentata solo alle 6 della mattina per lo stress che mi ha procurato leggere nella mail di Catia e Paolo dell’arrivo certo di Angelo e Raffa a fine luglio! Ma che palle tutte queste complicazioni inutili! Mi addormento comunque solo dopo aver visto un bel programma su “animal planet” in tv…l’adrenalina è ancora in circolo.

25 Luglio 2007

BUFFALO – CUSTER ( South Dakota . 530 km)

Vanni nonostante le mie previsioni se la prende con calma ed esce per raggiungere l’officina solo verso le 9.30. Non è da lui! Rientra dopo una mezz’ora con la buona notizia che Carolina è già pronta…ma che meraviglia! Mi preparo in fretta e partiamo per raggiungere Custer, un paese vicino al Rushmore National Memorial ….le quattro faccione scolpite dei più lodevoli presidenti americani, Washington, Jefferson, Lincoln e Roosvelt. Ma nel frattempo altri bellissimi paesaggi si aprono al nostro passaggio…Questo Wayoming è proprio incantevole! Superiamo il confine con il South Dakota ed il bel paesaggio non cambia, le black hills sono meravigliose con i loro morbidi pendii ricoperti di erba e le rocce stondate che ne emergono qua e là. Arriviamo a Custer abbastanza presto per trovare una camera senza faticare troppo e per decidere di andare ad esplorare la zona. Leggo sulla guida che vicino ad Hot Springs c’è un parco archeologico dove sono stati rinvenuti gli scheletri di una trentina di Mammuth che transitando da queste parti 26000 anni fa, sono finiti annegati in una grande pozza d’acqua ….non possiamo non andare…si tratta del sito più importante di tutto il mondo! Nel bacino degli scavi numerosi paleontologi stanno lavorando tra zanne vertebre e mandibole enormi…ma quanto erano grandi questi mammuth….pare molto di più dei loro cugini elefanti! Ne usciamo un po’ più istruiti al riguardo nonostante la lingua rappresenti per noi ancora un ostacolo …ma il potere delle immagini dà buoni risultati. Già che ci siamo risalendo verso Custer entriamo nel bel Custer State park, famoso per il numero considerevole di bisonti allo stato brado che vi abitano….oltre ai cervi, daini, e delle simpaticissime talpe che vediamo sbucare dalle loro tane ai bordi dei sentieri. Ci avventuriamo con Carolina lungo le strade sterrate del parco fino ad arrivare in una radura piena di bisonti che stanno brucando. Nonostante la pericolosità dei bisonti, alcuni visitatori sono scesi dalle auto e si sono avvicinati camminando su una collinetta …vado anch’io…adoro questi animali!….ma poi, camminando tra l’erba secca pesto una pianta grassa piena di spine e due palline mi si attaccano al tallone. Dolore mostruoso! Tentando di liberarmi mi ferisco anche le dita di una mano…poi faccio cenno a Vanni che è uscito dall’auto, di raggiungermi e gli urlo di portare con sé un guanto. L’operazione è dolorosa ma efficace…percorro i pochi metri che mi separano dalla macchina zoppicando e ripartiamo per completare il giro…sono centinaia i bisonti che vediamo più o meno in lontananza. Un piccolo gruppo di quattro cammina parallela al sentiero, vicinissimo a noi. Ma che spavento ad un certo punto i due maschi scattano verso di noi, ed io ho il finestrino completamente aperto!…ma per fortuna non è con noi che ce l’hanno….il maschio più anziano per difendere le sue due femmine sta attaccando il maschio giovane che vorrebbe renderlo ancora più cornuto di così! Rientriamo in hotel a Custer solo per una doccia veloce…alle nove inizia lo spettacolo di luci e suoni al Monte Rushmore e non vorremmo perderlo. Arriviamo poco dopo le nove in questo che ci appare come un patinato luogo di culto. Lungo il percorso che dai parcheggi coperti ci porta alla tribuna di osservazione della montagna scolpita sventolano le bandiere di tutti gli stati della federazione, mentre dagli altoparlanti una voce impostata narra le imprese dei quattro presidenti scolpiti in cima alla montagna davanti a noi. Non si vede ancora nulla, i ritratti non sono ancora stati illuminati e tutti gli americani presenti sono come noi in trepidante attesa…l’aspettativa aumenta ad ogni parola scandita dallo speaker…poi ecco finalmente le migliaia di persone presenti si alzano in un boato di ovazione, lentamente una luce fioca che si fa sempre più intensa, illumina i 4 volti, scolpiti in una bella prospettiva, in lato davanti a noi. Scatta l’inno nazionale che tutti cantano, poi viene ammainata la grande bandiera americana che sventolava in fondo alla tribuna e viene poi ripiegata con applausi della folla in delirio. Siamo capitati in un covo di nazionalisti convinti! Un trionfo di flash saluta l’immagine bianca dei presidenti che immobili ci osservano come stupiti di tanto clamore. Lo spettacolo finisce qui…niente suoni né giochi di luce, solo la bellissima roccia bianca magistralmente scolpita a creare un’opera d’arte colossale conosciuta in tutto il mondo. Ci infiliamo nell’unico ristorante ancora aperto di Keyane per una cena veloce…sono già le 10 di sera, praticamente l’orario di chiusura di tutto. Gli americani non sono dei gran nottambuli abbiamo scoperto! Il proprietario che ha la faccia da mafioso ci dice con la faccia un po’ spazientita di accomodarci ad un tavolo. Questo posto è orribile…con tanto di rifiniture dorate sparse un po’ ovunque. Mangiamo il nostro filettino e scappiamo in fretta su Carolina per coprire le 22 miglia che ci separano dall’hotel. Il cielo nerissimo è rischiarato a tratti dai fulmini del temporale che da tempo incombe nella zona, il parabrezza si bagna di pioggia sottile, non c’è nessuno su questa strada di montagna che serpeggia tra le alte rocce che come mostri si profilano attorno a noi. Una serata da lupi….nel vero senso della parola…spero che Carolina faccia il suo dovere!

26 Luglio 2007

CUSTER – BELFIELD ( North Dakota . 450 km)

Ripartiamo da Custer non troppo presto, ultimamente dormo come un ghiro e quando apro gli occhi vedo spesso Vanni già vestito e con il suo trolly in mano pronto per partire. Non possiamo evitare una sosta al “Crazy Horse monument “ un’altra gigantesca scultura in fase di realizzazione, questa volta dedicata alla commemorazione della morte del grande capo sioux Cavallo Pazzo che sconfisse Custer a Little Big Horn in una battaglia che ha segnato un pezzo di storia americana. Anche questo monumento come quello del monte Rushmore è scolpito nella roccia, ma quando sarà ultimato, se mai lo sarà, sarà decisamente più grande del primo, 147 metri di lunghezza contro i 18 di altezza dei visi dei presidenti. Cavallo pazzo, di cui è stato ultimato solo il viso, è ritratto mentre cavalca il suo cavallo, in un movimento estremamente dinamico di criniere al vento, zoccoli e capelli che si allungano dietro la schiena. Ma i lavori sono decisamente indietro rispetto al bozzetto che vediamo in gesso, ed il progetto ambiziosissimo non sembra godere dell’approvazione dello stato a cui dei nativi non sembra importare così tanto da finanziare il proseguo dell’opera. Un altro passaggio al Rushmore per vederlo anche alla luce del giorno e poi via attraverso le immense praterie in direzione nord. La giornata intanto si fa sempre più serena mentre scivoliamo tra i movimenti lievi delle colline del Nord Dakota. Coltivate prevalentemente a grano, le colline sembrano immense distese dorate, proprio come dune di sabbia. Che senso di libertà attraversarle, e che bellezza anche le balle cilindriche di fieno, che disseminate sui campi ne complicano l’immagine donandole una connotazione quasi metafisica. Siamo rapiti dalla bellezza dell’erba che si muove ondeggiando, mentre vediamo qua e la mandrie di bestiame che si profilano sugli orizzonti lontanissimi. Il nord Dakota non ha null’altro da offrirci ma già questo senso di ebbrezza che ci coglie percorrendone le immense praterie ci sembra moltissimo. Ci fermiamo per la notte in un motel lungo la strada, il Trapper’s Inn, allestito come un vecchio fortino, senza infamia né lode. Prima di coricarci facciamo conoscenza con un simpatico canadese che sta seduto fuori dalla sua camera, proprio di fianco alla nostra, si chiama Alan e fa il minatore a Churchill sulla Hudson Bay. E’ in viaggio con la figlia, parliamo a lungo dei nostri rispettivi viaggi…è una bellissima persona.


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