26 Seraya Besar Island


02 ottobre 2015

LABUAN BAJO – SERAYA LODGE

Infine siamo a bordo del motoscafo con la prua puntata verso la vicina isola Seraya, una tra quelle che rendono l’Indonesia un paese da godere. La vediamo da lontano definita da una breve sequenza di collinette che ne disegnano il profilo, abbastanza piccola da essere vista tutta con un solo sguardo, poi ecco le sue brevi spiagge sono linee bianche che dividono il blu del mare dal marroncino dell’erba secca. Aggirata la punta dell’isola approdiamo in fondo al breve pontile di legno dove ci viene offerto il drink di benvenuto dal sapore dolce di arancia e vaniglia che introduce alla cortesia che immaginiamo accompagnerà il nostro soggiorno. Poi con il sollievo dei naufraghi che hanno raggiunto l’isola prodiga di tutto ciò che era mancato ci dirigiamo verso i bungalows ed appoggiati i nostri trolley leggeri come l’atmosfera che percepiamo attorno a noi facciamo scorrere lo sguardo sulle pareti chiare, e poi oltre la grande portafinestra che inquadra il mare appena increspato ed sull’orizzonte la lingua di sabbia scoperta dalla bassa marea. In poche bracciate siamo sui banchi di corallo che si spingono fino al pontile, il sole è coperto da qualche nuvola ed il mare è sabbioso per le increspature arrivate con il vento teso del pomeriggio ha increspato il mare e resa sabbiosa l’acqua eppure i colori vivaci dei coralli che intravvediamo sono la promessa dei meravigliosi snorkeling futuri, con i pesci colorati che fanno sorridere di piacere ad ogni spinnata rallentata per darmi il tempo di vedere quel paradiso tanto prezioso. E’ già sera quando Pius e Regina ci raggiungono raggianti al ristorante dove all’energia della nostra felicità si è poco dopo sommato la sorpresa delle fantasiose pietanze e l’arrivo di Maria, l’autrice del Resort colpita per i nostri viaggi visti sul sito web, infine il gelato alla vaniglia amplifica l’esplosione del piacere fino all’ultima sillaba della parola “complimenti”. Tanto che incamminandoci lungo la spiaggia inciampiamo sulle lanterne bianche appese all’unico grande albero senza quasi vederle distratti dall’idea che la curiosità di Maria la spinga a continuare a leggere la nostra storia ancora a lungo.

04 ottobre 2015

ISOLA DI SERAYA BESAR

I festeggiamenti del compleanno iniziano poco dopo l’alba, quando ancora assonnata vedo appesa sullo specchio una scultura di legno con quattro parole scolpite in bassorilievo, sono la prima romantica sorpresa di oggi, “ Auguri Ale Amore Mio” tra le più belle che potessi leggere dal water. Quindi mi tuffo sul letto ed abbraccio Vanni il cui amore ricambio con spumeggiante entusiasmo. Solo più tardi siamo pronti per la colazione di fronte al mare che tra non molto sarà mio, Vanni invece ha fatto della nuotata di ieri un caso isolato preferendo partecipare con qualche occhiata da lontano tra una pagina e l’altra del giornale, comodamente seduto all’ombra della grande tettoia accanto alla postazione di Maria. Poi lo sfavore della marea che ha scoperto i coralli già a metà mattina e la vista del piccolo atollo così vicino da poter essere raggiunto con un breve spostamento in motoscafo danno una svolta alla giornata e ci troviamo verso il mezzogiorno ad affondare i piedi nella sabbia ancora umida che si spinge nel mare disegnando una meravigliosa lingua bianca. La figlia di Maria, forse per una sorta di campanilismo aveva sottovalutato la bellezza di questi coralli, dei pesci tropicali nelle varietà più incredibili e delle sfumature di turchese del mare cristallino. Di seguito, nella escalation di eventi organizzati da Vanni c’è il tramonto dalla collinetta ora tutta nostra che inquadra l’Ovest sull’altro versante dell’isola. Rimaniamo a lungo di fronte alla superficie perlacea ed alle striature arancioni del sole che va coprendosi. Vanni ha pensato a tutto, dalle bollicine del Moet, alle perle nere di Labuan ed al piacere che si esalta con le nostre mani annodate di fronte all’infinito che va spegnendosi in infinite sfumature di viola. Infine la cena accompagnata da un grande pesce arrostito e conclusasi con il commovente Happy Birthday dell’intero staff. Compleanno indimenticabile.

05 ottobre 2015

ISOLA DI KOMODO

I timpani iniziano a vibrare alle sette e trenta di questa calda mattina in risposta all’accensione del motore della bagnarola di legno che ci porterà a Komodo Island. Da tempo Vanni ha posato gli occhi su questa isola, curioso di vedere i famosi Draghi, i grandi varani così chiamati per il loro aspetto sinistro, per la viva somiglianza all’antenato preistorico e forse anche per l’originalità del loro modo di uccidere. Con un solo morso che trasmette la mortale saliva contenente il novanta per cento dei batteri finora conosciuti, l’attesa della morte della preda non è lunga e loro non hanno fretta. A metà strada tra un lucertolone gigante ed un coccodrillo senza squame i draghi impressionano soprattutto per la fantasia di chi li ha immaginati osservandone le immagini perché qui nell’immenso parco naturale raggiunto in tre ore di navigazione da Seraya island di draghi ne vediamo inizialmente due, depressi e mezzi morti nascosti sotto l’ufficio dei ranger. Impolverati tra le macerie ed i tubi corrugati di impianti elettrici dismessi ci fanno venire una tristezza infinita. Come gli altri tre che ormai scoraggiati vediamo al termine della breve passeggiata proposta in alternativa a quella lunga quattro chilometri che il ranger ci sconsiglia di fare. Non ha voglia di camminare e sa che la fatica non sarebbe compensata da improbabili avvistamenti, quindi di fronte al cartello che traccia i possibili percorsi gli scappa un – tanto non vedremmo niente -. Ci rassegnamo a percorrere qualche centinaio di metri ed agli avvistamenti di qualche cinghiale e gazzelle che saranno presto o tardi sacrificate dai varani, infine il breve scorcio del mare azzurro che sfiora il sentiero dà una pennellata di colore al parco altrimenti solo marroncino. A questo punto il nostro accompagnatore gioca il suo asso nella manica conducendoci ad una casa dove il bucato steso ad asciugare non è propriamente consono ma dove qualche varano è visibile. Afferra un casco di insalata che lancia verso il lucertolone attirandone l’attenzione, l’animale si muove, afferra e mangia per poi raggiungere gli altri e scomparire sotto la casa. E’ bellissimo, la sua potenza evidenziata dalle zampe possenti in movimento, dalla grande coda che disegna una traccia ondulata sulla terra polverosa e dal corpo pesante contenuto in quella che sembra la cotta di ferro di un cavaliere in battaglia. A questo punto la soddisfazione di averne visto almeno uno in azione per quasi un minuto ci ha fatto sentire sollevati anche se pur sempre vittime del marketing del Komodo N.P. Poi sulla via del ritorno la bagnarola scivola attraverso le isole di questo bel mare dove l’occhio si ferma sempre su qualcosa, montagne coniche, catene di rocce che disegnano frastagliate skyline, spiagge bianche come sale e deserte ed i delfini che ci seguono per un attimo. Approdiamo al Seraya in tempo per godere dell’ultimo tramonto dall’isola che lasceremo domani e della vista del mare ricco di coralli ora invisibili.

06 ottobre 2015

ISOLA DI SERAYA – LABUAN BAJO

Felicissimi del late check-out alle tre ne approfitto per l’ultimo snorkeling ed il relax con Vanni sulle comode chaise longue in spiaggia, eppure nonostante le ore di vantaggio per diluire il trauma del congedo dall’isola e da Maria, il ritorno all’hotel di Labuan Bajo dal quale eravamo partiti è stato pesante e solo la vista di Asia immobile nel parcheggio ha reso sopportabile la salita sul pontile di legno. La sua messa in moto per verificarne lo stato di salute e la presa di possesso della camera sono stati i passi successivi terminati dopo poche ore sul bellissimo tramonto dietro il vulcano che ci ha restituito la felicità di essere ritornati in questa Indonesia che dopo l’isola ci appare diversa.La pizza made in Italy nel ristorantino alla moda in città ci ha poi fatto rimpiangere la cenetta in hotel, sulla terrazza scassata vicina al mare.


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27 Sumbawa Island


07 ottobre 2015

LABUAN BAJO – BIMA

Sveglia presto e fuga al porto, l’imbarco sul ferry di auto e camion inizierà alle sette, un’ora prima della partenza. Pius interrompe quindi la colazione subito dopo il piatto di frutta e sale sconsolato in auto, forse rimpiangendo Ragina partita ieri per Kupang più dell’omelette rimasta sul piatto. Poi siamo lungo la strada, in alto sul promontorio che porta in città dal quale le isole al largo e la costa frastagliata scandita dai vulcani sfuocano in lontananza. La vista è così bella da giustificare il crescente sviluppo della zona ed i recenti investimenti volti a sfruttarne il potenziale che renderanno anche l’isola di Flores accessibile al turismo. Arrivati nel piccolo piazzale lascio Vanni e Pius impegnati nell’acquisto dei biglietti ed all’imbarco di Asia e mi incammino lungo la strada principale della città che ho visto solo di passaggio e della quale scopro presto il fascino. Vivace e colorata sulla terraferma quanto sul mare protetto dalle piccole isole che la fronteggiano vicine, la città esprime la propria vocazione con un grande porticciolo turistico ed i velieri di legno a due alberi che sullo stile delle navi pirata sono ferme al largo in attesa di clienti. Belle e patinate sembrano appartenere ad un’altra epoca e ad altri mari che non quelli della sonnolenta Flores. Con le poppe ricurve verso l’alto e le vele raccolte sugli alberi sembrano uscite dalle bottiglie di un collezionista e poi appoggiate come suppellettili sulla superficie blu e piatta del mare. Poi seguendo l’odore sempre più intenso arrivo di fronte alle cataste di pesce secco ordinate come texture o sistemate in coni che si allargano sui lunghi banchi di muratura del mercato coperto dove i pochi venditori ed i pavimenti lavati di fresco fanno pensare che le vendite del fresco si sia già concluso …. l’energia riesploderà questa sera, quando i fuochi delle grigliate si infiammeranno accanto ai tavoli di legno ed il fumo invaderà la strada. Le inquadrature del mare e del porticciolo tra i pilastri in fondo all’edificio sono suggestive come l’esplosione di colori di frutta e verdura esposti sul marciapiede a ridosso del muro perimetrale. Sono le signore a vendere, nei loro caffettani sgargianti, sedute al centro dei loro prodotti all’ombra di piccoli ombrelli, incuranti del rigagnolo di acqua sporca e rifiuti galleggianti che scorre accanto a loro. E’ la vista di Pius a distogliermi dalle immagini del mio breve viaggio in città, l’auto è già in stiva e Vanni già in ansia non vorrebbe dover partire senza di me, sono le sette e quarantacinque ma la partenza è già ufficialmente slittata alle nove. Lo raggiungo sul ponte, meglio essere cauti in situazioni di scarsa organizzazione come questa dove l’orario di partenza viene trasmesso sottovoce dalle persone più disparate in un tam tam che si evolve continuamente. Infine dopo aver aspettato i pescatori ritardatari arrivati a singhiozzo per vendere ai commercianti già a bordo, partiamo. Sono da poco passate le dieci, Vanni è su tutte le furie ed il mare è piatto. Dove ci fermeremo per la notte sull’altra sponda è ancora una incognita dato che nessuno risponde all’ unico Hotel di Sape. Mr. Lee è un passeggero cinese che viaggia in seconda classe, coinvolto da Vanni per trovare una sistemazione ha consigliato senza esitare di non fermarci a Sape ma di proseguire fino a Bima, la città nella quale troveremo senz’altro tre letti. Sono già le cinque e un quarto quando dopo sette ore di navigazione scendiamo dal ferry ed il vantaggio di luce per coprire i quarantadue chilometri è di circa un’ora, non molto considerando la media oraria dei precedenti spostamenti. Decidiamo di affidarci al nostro passeggero che seduto accanto a Vanni fischietta ogni volta che ci troviamo in una situazione di pericolo, perdendo infine il fiato e l’uso delle labbra. L’isola Sumbawa ci piace subito, con le sue coltivazioni a gradoni dove alcuni stanno ancora lavorando chini sotto le lunghe ombre dell’imbrunire, e le case di legno a palafitta alternate ad altre semplici e colorate che si aprono a due passi dalla strada. Hanno il sapore decadente di una cultura che come loro si sta disfacendo. Davanti ai grill per forza di cose impolverati c’è il fermento della cena, il fumo delle grigliate e l’odore dell’olio fritto. Ovunque i bambini che urlano scatenati, signori trasandati che oziano, cuociono, vendono alle signore che indossano con eleganza i loro caffettani colorati ed i veli che ne nascondono in parte i capelli. Ci troviamo nella parte dell’isola dove l’islam conservatore si sta radicando con la costruzione di numerose moschee, ne vediamo molte in costruzione, così frequenti da sembrare troppe. Tutto il fermento che precede la sera si riflette sul nostro incedere che diventa lentissimo per evitare i pedoni sul bordo della strada ed i motorini che senza rispettare i sensi di marcia sfrecciano in tutte le direzioni. Infine i carretti di legno trainati da cavalli e muli che trasportano senza fretta persone e merci e gli animali da cortile che vengono lasciati liberi di muoversi ovunque li porti il loro istinto. Tutti sembrano felici. Infine arriviamo a destinazione accolti dal canto del muezzin, stanchi per lo stress della strada di montagna, per l’incessante fischiettare di Mr. Lee e per il suono del clacson usato spesso da Vanni teso ed incazzato per la responsabilità di condurci attraverso quell’inferno, inseguiti dal pericolo che ne deriva necessariamente che rappresenta una bomba ad orologeria che potrebbe scoppiare da un momento all’altro. Quando arriviamo al Marina Hotel è già buio, Mr. Lee si congeda in fretta verde di paura e noi troviamo il meritato relax.

08 ottobre 2015

BIMA

La prima cosa che vedo aprendo la finestra è un grande topastro che si muove velocemente da una parte all’altra della canaletta di scolo tra due edifici vicinissimi, sta probabilmente cercando la sua colazione tra il secchio rosso ed il vecchio canestro di plastica il cui rosa si intravede sotto la patina grigia di sporco. La camera invece nella quale mi sono appena svegliata è perfetta come questo Hotel di nuova generazione confortevole e con wifi, il migliore in città che offre a soli 30€ la delux vista topo. Vanni è uscito presto con Pius per cercare un’ agenzia disposta ad assicurare l’auto, missione già tentata senza successo e per ovvie ragioni necessaria, io invece esco in perlustrazione. Il look non è casuale, per una forma di rispetto verso le musulmane che incontrerò e per non dare nell’occhio indosserò sopra la canotta ed i pantaloni una camicia poco sotto il ginocchio, una sorta di caffettano corto e leggermente velato … pazienza per i capelli rossi ed i vestiti assolutamente bianchi. Poco dopo cammino sui marciapiedi scassati di strade ampie definite dai prospetti lineari di edifici scatolari, spiazzata dall’accoglienza calda e gentile dei cittadini di Bima così diversa dall’ostilità di Kupang che stranamente immaginavo di incontrare. Come se si fosse sparsa la voce molti si avvicinano per salutare e stringere la mano, alcuni fermano i loro motorini per chiedere curiosi la mia nazionalità, altri invece salutano gridando da lontano o sussurrando da vicino il tradizionale – hallo miss / mister – a seconda del loro grado di conoscenza della lingua inglese. In breve sono diventata la fotografa di strada, l’obiettivo sempre disponibile a fissare i loro saluti, i sorrisi e le pose ridicole dei più spiritosi. Persino un conducente di calesse pieno di persone abitualmente utilizzato per il trasporto pubblico, ferma il suo cavallo per consentirmi di fare una bella foto non mossa. Poi alle tre del pomeriggio il suggestivo canto dei muezzin richiama alla preghiera e la strada si vuota, quindi rientro in attesa del secondo round e per le notizie non confortanti di Vanni e Pius. Conquistiamo la cena salendo le ripide scale di cemento fino alla terrazza più alta di un ristorante spartano di fronte al mare. Nero come il cielo, ascoltiamo il suono della risacca che fa da sfondo al mango appena frullato e l’ottimo pesce grigliato.

09 ottobre 2015

BIMA

La cupola azzurra della moschea emerge dal profilo della città piatta come un collage di finestre e muri colorati, il passaggio dalla 315 alla 402 ha dato un significativo cambio di prospettiva ai nostri risvegli che dal cavedio si è dilatata alla città intera. Vanni e Pius sempre più disperati stanno di nuovo rimbalzando da un ufficio all’altro cercando il modo di assicurare Asia, troppo vecchia secondo i locali per poterlo essere. Dalle informazioni raccolte sembra che non si possa assicurare l’auto escludendo vita ed assistenza sanitaria e comunque la polizza non è accessibile ai cittadini stranieri, un ginepraio dal quale si può uscire solo perdenti. Esco di nuovo per godermi la città senza il filtro della macchina fotografica, piuttosto alla ricerca di quella gentilezza che ieri ha soddisfatto il mio seppur modesto narcisismo. Evitando i tombini aperti cammino costeggiando la merce esposta fuori dalle vetrine, materassi e rotoli di tessuti, abiti, e più in alto gli edifici colorati, rivestiti con piastrelle lucide o articolati in complesse geometrie di facciata. Altri ancora sono grandi scatole intonacate senza fronzoli, eventualmente arricchite da manifesti pubblicitari. Tutto questo rende la città vivace ed attraente, veloce nel passaggio da un colore all’altro, da un prodotto all’altro, dal carretto ai motorini imbizzarriti che inventano flussi casuali. Vanni e Pius mi raggiungono a metà pomeriggio, rassegnati ed in qualche modo sollevati dal non sentirsi più le palline del ping pong giocato dagli impiegati degli uffici competenti. Usciamo insieme per il tour di prassi che comprende le visite dei luoghi di interesse, ovvero il Palazzo Museo dove hanno esercitato il loro potere generazioni di sultani fino al 1962. Interessante ma avvolto dalla semioscurità delle persiane chiuse. Poi la visita della città, del mare dall’alto e la breve passeggiata lungo il piccolo molo in costruzione preceduto da un paio di banchetti dove è possibile acquistare qualche bevanda analcolica ed i comodi noodles liofilizzati che si gonfiano a contatto con l’acqua calda aggiunta nel bicchierone di carta. La birretta rimane un desiderio in questo lungomare e nella città tutta dove gli alcolici sono bevuti di nascosto e venduti sottobanco dai ristoratori cinesi che in quanto non appartenenti alla religione islamica possono violarne le leggi, soddisfare gli assetati ed anche per questo arricchirsi.

10 ottobre 2015

BIMA – DOMPU

Il nervosismo di Vanni, malcelato sotto gli occhiali scuri, i baffi e la barba segna l’inizio di questa bella giornata di sole e si gonfia con il passare delle ore per una serie di contrattempi che rallentano e poi bloccano lo spostamento di oggi fino a Dompu. Volendo elencarli iniziamo dal ritardo di 45 minuti di IMAHM, un ragazzo gentile conosciuto in uno degli uffici di assicurazione che vuole assolutamente farci strada fino fuori città. A seguire le due soste ai bancomat senza possibilità di prelievo di contanti. Fatto gravissimo dato che solo alcuni hotels offrono la possibilità di pagare con la carta di credito e poi ancora IMAHM che perde altro tempo fermandosi per un rifornimento di benzina, infine la ciliegina sulla torta che merita il racconto dettagliato. Una decina di chilometri fuori città Vanni che ha la vista di un falco adocchia l’insegna della Banca BRI in corrispondenza di un grande distributore di carburante. Accostiamo per il rifornimento poi Vanni si eclissa dietro la porta vetrata dell’angusto spazio che contiene la macchina infernale, la slot machine dalla quale Vanni non riesce a staccarsi. Quando entro per verificare cosa sia successo, sulla mensolina del bancomat ci sono quattro mazzette di banconote da un milione di Rupie l’una, che mi dice di raccogliere e di mettere nella borsetta. Ma il gioco non è ancora finito. Al settimo prelievo la macchina vince e Vanni perde la Visa. Tragedia. Uscire sconfitto da un bancomat non è da lui e non regge lo scotto. La prima frase che gli esce suona come una minaccia, – torneremo in Italia con il primo traghetto disponibile, non voglio più stare in questo paese di merda -. Interviene Pius che traduce smorzando i toni l’accaduto ai benzinai che rispondono con un numero di telefono. L’addetto arriverà alle quattro del pomeriggio, ovvero tra quattro ore. Propongo l’alternativa di bloccare la carta e di proseguire il viaggio ma dopo aver parlato con un operatore inglese VISA ed avere aspettato in segreteria telefonica almeno dieci minuti, desisto. Si aspetta. Dompu è quasi al tramonto quando ci incamminiamo per due passi in città, è così raro il piacere di passeggiare con Vanni da fare di questo un momento speciale, come l’atmosfera che si respira qui a Dompu che si sta preparando per la cena in strada. Le poche luci illuminano appena le bancarelle di frutta ed il fumo si alza dai grill rettangolari e stretti, con il phon acceso su un lato a tenere vive le braci. Intanto il muezzin ha intonato la sua omelia sparata a tutto volume dalle decine di amplificatori fissati attorno ai minareti della moschea che sfoggia una bella cupola a cipolla dai riflessi bronzei. Sull’altro lato della strada un commerciante lungimirante ne ha in vendita una decina di piccole e colorate fissate in bilico sulla tettoia di lamiere. Lungo la strada principale alcuni edifici costruiti di recente sfoggiano colori e geometrie De Stijl che risaltano sugli altri scatolari e neutri. Ci muoviamo zigzagando tra i grandi tombini aperti su canali di scolo senz’acqua pieni di spazzatura, ed ancora oltre c’è una coppia di poveri vecchietti curvi tra la sporcizia per raccogliere cartoni e plastica, per due soldi e per la sopravvivenza. Dopo un fantastico succo di mango appena frullato rientriamo al Samada per recuperare Pius in lettura. Questo hotel non è probabilmente il luogo migliore dove trascorrere una notte in città ma non avendo avuto modo di raccogliere informazioni ci siamo limitati a seguire il ragazzo in moto al quale abbiamo chiesto e che ha scelto per noi. Il parcheggio protetto e la piacevolezza dell’edificio orizzontale ben curato all’esterno hanno fatto il resto, facendo passare come accettabili anche le camere che di curato hanno solo le serrature. Non asciugamani in dotazione, il materasso che avremmo fatto meglio a non guardare ed il bagno così minimal da non avere nemmeno l’acqua corrente se non dopo la rimessa in funzione della pompa che ogni qualche ora si inceppa. Del tutto analogo il bagno a quelli utilizzati sui ferry, dove l’odore dell’urina era giustificato dall’uso da parte di una moltitudine di persone. Eppure, l’unica cosa che mi ha dato veramente fastidio è stato appoggiare sulla pelle la coperta senza lenzuolo, sporca e dal nauseante odore dolciastro. Il piacere del ricordo di alcuni dei viaggi più avventurosi arriva ogni tanto anche attraverso dettagli disgustosi che solo per questo diventano accettabili.

11 ottobre 2015

DOMPU – HU’U e PANTAI LAKEY

Il ripasso della passeggiata di ieri sera inizia a metà mattina con Pius e si arena al mercato che si snoda lungo una breve strada secondaria del centro compressa dai prodotti stesi a terra. I colori blu e arancio dei parasole si stemperano su tutto ciò che coprono, anche sulle venditrici che hanno disposto le loro merci su vassoi, teli o basse bancarelle di legno e bambù creando involontariamente un meraviglioso caleidoscopio di colori e forme. Sono vanitose queste signore, trasandate ma con stile nei loro vestiti sciupati. Anziane o di mezza età, magre o rubiconde, ma tutte con una gran voglia di divertirsi, ridere e distrarsi dal loro mercanteggiare. Fotografarne una per scelta ha significato doverle immortalare tutte assecondando il loro gioco del quale sono diventata la reporter. Spinta da una all’altra, il mercato diventa una catena di sorrisi, spiritosaggini e corpi in posa, sono un mondo intero queste signore, con le loro scopette che agitano per allontanare le mosche, con i pesci che volteggiano nelle loro mani e che avvicinano al viso come per incorniciarlo. Alcune si piacciono, riconoscendosi nel display, tutte si ridono addosso. E’ già mezzogiorno e Vanni è incazzato per il nostro ritardo quindi ci prepariamo in fretta e ci avviamo verso le onde del mare di Hu’u tra le più potenti e perfette del mondo, quelle che si chiudono solo dopo essere state cavalcate a lungo dai surfisti più virtuosi, noi invece crolliamo di fronte al piccolo portale del resort che inquadra la sabbia grigiastra e le onde lontane.

12 ottobre 2015

HU’U – SUMBAWA BESAR

Sulle note dei brani rock dei Police si consuma la nostra fuga dall’Hotel Anam Gati di Hu’u. Viaggiamo veloci e felici sotto il cielo azzurro di questa mattina iniziata con grinta. Contribuisce al piacere del nostro procedere la bella strada litoranea che inquadra bellissimi scorci di mare azzurro dall’alto della costa scoscesa accanto alla spiaggia. Vanni va così veloce che Pius dal sedile posteriore grida – Ferrari! -. Poi saliamo per valicare un promontorio e ridiamo dei babbuini seduti sul guard rail ed altri che scappano nella foresta… infine arriviamo al Kencana Hotel, 15 km oltre Sumbawa Besar. Isolato su una breve spiaggia privata a Sud della citta, occupiamo il bungalow immerso nella rigogliosa vegetazione tropicale. Venticello meraviglioso e cena ottima. Senza perdere tempo Vanni ha nel frattempo organizzato i nostri prossimi giorni sull’Isola Palau Moyo, trampolino per la visita alla particolarissima Satonda Island.


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28 Palau Moyo


13 ottobre 2015

SUMBAWA BESAR – LABU AGI

Una sedia affondata nella sabbia sostituisce la classica scaletta nell’originale barca del capitano Hatta a bordo della quale navighiamo ipnotizzati dallo scoppiettio del motore, che scandisce le tre ore di navigazione. Scivoliamo sul mare piatto attraverso un paradiso di isolette ed i delfini che ci seguono in gruppi fino ad Labu Agi, il piccolo villaggio sulla costa del Palau Moyo cresciuto a ridosso della breve spiaggia flessa a creare un arco profondo. I pochi abitanti si dedicano alla pesca, ma non il Sig. Syukur che con lungimiranza ha costruito l’unica seppur semplice casa in muratura in fondo al breve pontile di legno, scegliendo la posizione più favorevole per la sua guest house verde brillante e per la terrazza che si affaccia sul mare. Nessun cocktail di benvenuto in fondo alla ripida scala di cemento, solo il triste custode zoppo che ci accompagna oltre il pontile e poi nella camera con i due bagnetti tipici da condividere, con la turca e la vasca d’acqua piccola ma profonda dalla quale pescare l’acqua per lo scarico con un mestolone di plastica. Sono solo le 14 quando accettata la proposta del custode e di un balordo di paese ci incamminiamo verso la cascata Mata Gitu che dista sette chilometri di passeggiata sotto il sole cocente dal paese, decisamente diversa da quella comoda e all’ombra della foresta, promessa dai nostri accompagnatori. Vanni che ha la mania di voler arrivare primo ci distacca in compagnia del custode zoppo, io arranco per la salita, impegnata a respingere il balordo che mi affianca a distanza più che ravvicinata. La cascata infine ci appare meravigliosa, il più bel salto di acqua in foresta che ci sia mai capitato di incontrare. Appena illuminato dai raggi di sole che attraversano la vegetazione lussureggiante, la cascata non più alta di otto metri affonda in una pozza di acqua cristallina dal perimetro irregolare che scende in una serie di balze concatenate. Fantastica! Vanni si cala nell’acqua gelida della pozza, io lo seguirei volentieri anche solo per godere appieno di questa meraviglia, ma i due musulmani non sembrano abbastanza emancipati da reggere un nudo integrale. Conservo quindi il viso paonazzo per il sole e la fatica, scoraggio con una occhiataccia il balordo che sta per sfilare il portafogli dai pantaloni di Vanni e mi blocco di fronte al sottile serpente verde che stringe in bocca la sua preda. Rientriamo in tempo per il tramonto che incendia le facciate delle case a palafitta di legno e bambù e poi ceniamo nella veranda rischiarata dalla luce fioca di una lampadina a basso consumo, siamo gli unici ospiti raccolti attorno al tavolo per gustare la cena indonesiana a base di riso e pesce in umido.

14 ottobre 2015

LABU AGI – SATONDA ISLAND

Partiamo alle sei in favore di mare, la barca di legno potrebbe arrancare sulle onde troppo alte ed il nostro capitano è prudente. Stranamente la sveglia all’alba non ci è pesata qui nel sonnacchioso villaggio dove la sera non si può fare altro che osservare le stelle ed i ritmi si adattano in fretta a quelli della natura, scanditi da albe e tramonti accompagnati dal silenzio totale. Aver raggiunto l’isola alle 8.30 ha significato proiettarci in una lunga giornata nella quale impiegare più tempo del necessario per la visita è diventato una necessità. Non è stato così invece per la salita al belvedere del lago ripida e complicata che abbiamo percorso velocemente e senza soste. Andando a ritroso nel tempo, all’origine di questa fatica c’è il desiderio di raggiungere il punto esatto dal quale è stata scattata la foto dell’isola vista casualmente sul web per ritrovarne la bellezza. Ed ora lo vediamo il famoso lago di acqua salata con il suo particolare tono di blu che rende incantevole la superficie perfettamente piatta, definito dall’articolata cornice verde di bassi rilievi che formano la piccola Palau Satonda il cui maggiore diametro è di soli 1500 metri. Pochi sanno che c’è un resort poco dopo il moletto di approdo.

15 ottobre 2015

ATOLLO DI LABU AGI

Un paio di chilometri al largo di Labu Agi c’è un piccolo atollo di coralli particolarmente attraenti per i banchi di piccoli pesci azzurri che risaltano sul blu intenso del mare là dove si inabissa. Proprio vicino ad un banco di coralli verde acceso abita un serpente d’acqua che vedo all’improvviso fortunatamente a distanza di sicurezza ammesso che esista anche solo una possibilità di sfuggirgli. E’ bellissimo nelle sue righe bicolori in due tonalità di grigio. E’ salito in superficie per respirare poi il suo corpo inizialmente in posizione verticale, si è flesso con eleganza per entrare nel buio di un anfratto tra i coralli. Per fortuna non ero sola ed il serpente è così bello da allontanare qualsiasi paura peraltro legittima ho pensato quando poi la sera cercando con curiosità sul web l’ho riconosciuto come il più velenoso dei serpenti di mare.


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29 Lombok Island


18 ottobre 2015

SUMBAWA BAJO – PRAYA

Lasciamo il Kencana Hotel frastornati dalle urla dei bambini in piscina, aver deciso di rimanere un giorno in più a Sumbawa Besar dopo il rientro dal villaggio di pescatori è stato forse un errore. Il mercato tipico nel centro città non vale la sosta ed il palazzo di legno del sultano decisamente bello all’esterno non è aperto il sabato. Ci congediamo dall’isola di Sumbawa con il piacere di chi ritiene di aver visto molto e di averne goduto appieno, per contro la conquista dell’isola di Lombok che seguirà ha il sapore di un tesoro da scoprire, l’ennesimo di questa labirintica catena di isole tra le quali è un peccato dover scegliere solo alcune delle complessive 17.000. Poto Tano è ad un’ora e mezza di strada – andando veloci – come dicono i locali, e Vanni che ora è spericolato alla guida quanto loro ha spaccato il secondo rischiando di salire sul ferry senza addirittura pagare il biglietto. Il mare mosso ha messo Pius in crisi esposto alla doccia fredda delle onde a prua – così non mi piace – ha continuato a ripetere tra sè. Vanni ha trascorso la navigazione in stiva a bordo di Asia protetto dal vento, io invece sono passata da prua a poppa e poi nella sala interna solo quando il concerto live di musica indonesiana a gran volume è terminato, per la prima volta ognuno di noi ha autogestito il suo tempo proprio nel breve tratto di mare che separa Sumbawa da Lombok. Il ferry pulito ed in ottime condizioni fin anche nelle latrine ha segnato il passaggio verso la zona più sviluppata del paese che da Lombok arriva a Bali e prosegue per Jawa e Jakarta. Ed eccoci a Lombok, attraversarla nei suoi 75 km sembra un gioco in realtà nonostante le ottime condizioni della strada le cittadine che attraversiamo rallentano il nostro procedere almeno quanto la ricerca dell’introvabile Oprius Hotel a Pryus per il quale anche chi non sapeva di cosa stavamo chiedendo si è prodigato a fornire indicazioni. Vanni nervoso, Pius che non scende per chiedere indicazioni costringendoci a procedere a tentoni, l’atmosfera in auto si fa sempre più tesa e sfocia in un rimprovero a Pius al quale non ho assistito ma del quale ho visto tracce negli occhi lucidi del nostro interprete. Raggiunto il culmine dello stress Vanni inizia ad impartire ordini tassativi anche se discutibili come quello di non portare i trolley in camera una volta conquistata la reception. Pensa che il taxi che ci porterà ai villaggi tradizionali impiegherà meno tempo ad arrivare che non il prendere possesso delle camere. Bloccati sulle poltroncine dell’ingresso con l’aranciata di benvenuto in mano attendiamo l’autista per almeno dieci minuti, quindi percorrendo la strada che porta a Kita ci fermiamo per osservare da lontano l’antica moschea di terra cruda e bambù coperta dal tetto di foglie e le poche case tradizionali rimaste, costruite con gli stessi materiali e precedute da due brevi scale centrali di tre alti gradini in terra battuta, la prima per salire nella veranda dove dorme il padrone di casa, la seconda per entrare nella camera di pertinenza della donna, con angolo cottura a terra corredato da bassi sostegni di terracotta sotto i quali mettere le braci ed una serie di scodelle accatastate anche sulla mensola profonda più in alto, verso il tetto la cui struttura di legno è in evidenza così come la paglia che ne costituisce il manto. Un tramezzo di bambù intrecciato come quello delle pareti crea un angolo protetto dove depositare i tesori di famiglia. All’esterno gli altri ripari accessori sono quelli nei quali vengono rinchiusi gli animali da latte e da macello. Alla visita segue il rituale dell’acquisto di souvenir dal quale usciamo con uno strano bottino, io con il pareo indossato dal signore che ci ha accompagnato, e Vanni con nove vecchie monete il cui utilizzo rimane avvolto nel mistero. Ancora qualche chilometro a Sud ci fermiamo e subito scappiamo da un secondo villaggio così tipico da essere diventato esclusivamente un grande mercato di souvenir. Infine possiamo finalmente portare i nostri bagagli in camera e cedere alla tentazione di un massaggio.

19 ottobre 2015

PRAYA – GILI ASAHAN

Partiamo presto certi di raggiungere in fretta Gili Asahan al largo della costa Sud occidentale di Lombok. L’idea di Vanni è quella di raggiungere Lembar percorrendo la via più breve, quella indicata dalla linea sottile sulla mappa stradale che escludendo Mataran punta direttamente sulla costa Sud occidentale dell’isola, un taglio in diagonale che ci farà risparmiare tempo e chilometri. E’ sull’equivoco provocato dal colore azzurro di quella linea che si sviluppa l’originale mattinata fatta di continue inversioni di marcia e domande ai passanti le cui risposte non convincono, tutti gli interpellati si ostinano ad indicare proprio la strada che non vogliamo percorrere, quella che raggiunge la costa in prossimità di Mataran. Peccato per la signora incappucciata che disposta suo malgrado ad aiutarci in cambio di un passaggio viene per lo stesso motivo scaricata poco dopo ed in malo modo. Solo molto tempo dopo, quando all’ombra di un grande albero Vanni ci mostra la mappa ci rendiamo conto di aver trascorso le ultime quattro ore inseguendo non una strada ma un corso d’acqua ed usciti finalmente dal delirio percorriamo in meritato relax gli ultimi chilometri lungo la bella articolata litoranea che traguarda infine il piccolo centro abitato di Pelagan. Il Pearl Beach Resort si trova a pochi minuti di navigazione dalla costa, lo raggiungiamo a bordo della piccola barca a due bilancieri che si arena in breve sulla spiaggia dell’isola Asahan la cui sabbia non è bianca come il mare non è turchese ma di un color alga che vira al marroncino. Ma c’è Peter ad accoglierci con il suo bel sorriso e la cordialità che conquista, ci accompagna alla camera e ce ne illustra le performance come per convincerci di avere fatto un affare, poi a raffica ci informa degli orari e dei servizi disponibili quindi si congeda lasciandoci al nostro primo snorkeling nell’acqua torbida. Eppure osservare in lontananza la moschea oltre il mare sulle note del canto del muezzin, godere della brezza delicata mentre stesi sulla grande amaca in veranda gustiamo il vino balinese accompagnato dal frigolio del lucertolone aggrappato alla trave di legno del tetto, vedere infine la luce spegnersi sul mare le cui sfumature perlacee ne nascondono le pecche, dopo la cena rischiarata dalla luce della candela nel giandino del resort, ritrovato il giusto equilibrio ci rendiamo conto che questo luogo anche se decisamente lontano dalle nostre aspettative ci ha conquistati.

21 – 22 ottobre 2015

GILI ASAHAN – PELANGAN – MATARAN

Il ricordo dell’indimenticabile snork nel Parco Marino di Palau Moyo è rimbalzato per contrasto dopo le prime bracciate nell’acqua leggermente torbida attorno all’isolotto al largo di Gili Asahan. Sono arrivata a bordo della barca scoppiettante in compagnia di un paio di ragazzi dai quali mi sono allontanata spinta dalla curiosità che porta lontano e fa perdere le proprie tracce. Sto cercando la magia del mondo marino, quella che conquista anche se appannata come oggi da una sottile patina lattiginosa, la magia che sempre mi fa sorridere di piacere. Eccola in una cascata di coralli bianchi che scendono aprendosi in un ventaglio di piccole balze, in quelli verde acceso, i viola, ma il serpente dove sarà? L’avvistamento di qualche giorno fa mi ci fa pensare e la scarsa visibilità non incoraggia, poi mi fermo incantata di fronte ad una incomprensibile creatura che avvolge in parte un corallo a palla. I colori rosso, bianco e nero sono quelli dell’anemone Fish, ma la massa non sembra avere capo né coda. Poi intravedo un salsicciotto e fuggo … Scampato il pericolo mi aspetta la costola incrinata, schiacciata sul bordo della barca senza scaletta. E’ il già domani quando ritroviamo Pius là dove lo avevamo lasciato un paio di giorni fa al Bola Bola, l’hotel sulla spiaggia di Pelangan. Ci viene incontro con un bel sorriso, forse gli siamo mancati … mostra subito a Vanni la superficie lustra di Asia, ma ha svolto sommariamente il compito più importante e Vanni si innervosisce poco dopo aver messo piede nella reception dell’hotel. I traghetti per Bali non partono ogni ora come sostiene ma ogni novantacinque minuti e quelli che trasportano automezzi arrivano a Padangbay, un piccolo centro abitato lontano dall’obiettivo che ci eravamo proposti di raggiungere domani. Il programma viene così di nuovo cambiato e abbandonata l’idea di una visitina alla famosa nonché estremamente sfruttata dal turismo Gili Air, ripieghiamo per consolazione sulla snobbata Mataran per una visita in giornata ai due templi Hinduista e Buddhista che fanno di questa una città attraente. Comodamente seduti sul sedile posteriore dell’auto del boss del Bola Bola godiamo delle inquadrature sulla costa sinuosa, sulle colorate canoe a due bilancieri adagiate nella spiaggia, sulle isole ed i particolari capanni da pesca di bambù posizionati nelle acque basse della baia come piccole piattaforme ecosostenibili. Infine eccoci a Mataran, nei pressi dei suoi due bei templi e delle tre strepitose pagode che diffondendo una bella energia riscattano la città dal profilo altrimenti anonimo e distraggono dal caos oltre il muro di cinta che delimita il cortile. Le pagode sono ancora allestite con rasi bianchi e gialli, ombrellini e paramenti, le tracce di un rituale condiviso del quale rimangono le offerte in parte raccolte nei vasi di vetro ed in ciotole di alluminio. Riso, scopette di erba verde ed acqua sacra nella quale Pius immerge la mano in omaggio ad un Dio che non è il suo. Il piacere culmina in uscita dal grande centro monumentale, al termine della breve passeggiata accanto alla vasca d’acqua del Palazzo del Sultano, più precisamente di fronte alla bancarella dove ci fermiamo per l’assaggio del Cendol, la squisita bevanda indonesiana preparata con diversi ingredienti mixati con precisione dalla signora che la sta componendo, sono il latte di cocco fresco, cubetti di gelatina di frutta, frutti della palma simili ai Lychees e fettine di polpa di cocco. Beviamo direttamente dal sacchetto di plastica trasparente nel quale l’intruglio è stato preparato, e poi a “casa”.


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30 Bali Island


23 ottobre 2015

PELANGAN – LEMBAR ( Isola Lombok ) – PADANGBAY

La fortuna ci assiste anche in questo trasferimento tra le due isole di Lombok e Bali. Prima di tutto perché partiamo al volo evitando la tediosa attesa nel piazzale del porto, ma soprattutto perché il traghetto sul quale ora stiamo navigando resiste sotto i colpi dei marosi nelle acque agitate tra le due isole, tutti i locali presenti a bordo sanno che in passato una nave si è inabissata dopo cinque ore di rollio da capogiro e le loro facce sono tiratissime. Le ruote di Asia toccano il suolo balinese nella deliziosa cittadina di Padangbay, così piccola da far sembrare il suo porto un tremendo fuori scala e le navi che vi approdano grandi transatlantiici. Ma il lungomare dov’è? Lo troviamo dopo aver chiesto indicazioni per raggiungere il Padangbay Beach Resort ed aver zigzagato contromano tra strette strade secondarie che ci hanno infine indirizzati sulla breve strada che corre parallela al mare, accanto alla breve spiaggia sulla quale spiccano le coloratissime barche di legno a due bilancieri che si stagliano sul mare blu. Il seguito è dolore, quello alla costola che peggiora dopo il massaggio balinese al quale non ho resistito e così, preferendo rimanere a riposo perdo anche la folkloristica e verace processione indù che Vanni e Pius incrociano per caso.

24 ottobre 2015

PADANGBAY – SANUR

E’ mattina presto quando ancora acciaccata esco per due passi sul breve lungomare, intendo raggiungere il luogo nel quale dovrebbe iniziare alle otto una celebrazione religiosa indù, almeno a dare retta a Vanni e Pius che ormai introdotti sanno che il sabato è il giorno sacro dell’induismo. In effetti ai lati della strada i tempietti di bambù sono abbelliti con offerte fresche ed anche a terra sono appoggiate disordinatamente piccole composizioni di fiori raccolte in cestini di foglie intrecciate. La strada è un trionfo di colori che spiccano sugli abiti rigorosamente bianchi dei partecipanti al corteo. Si muovono in silenzio camminando verso il tempio sul promontorio che si apre al mare, li seguo defilata come un paparazzo che cerca di scomparire e immersa nel silenzio della mattina presto ascolto la pace e l’armonia che sembra muoversi con loro. Che meraviglia… Poi lasciando l’hotel percorriamo a ritroso la strada irriconoscibile allestita a festa con decine di alte pertiche flesse in alto a formare una specie di trasparente galleria di bambù, dalle cime penzolano addobbi vegetali che sembrano fiori e spigolose lanterne decostruite. I tempietti sono lungo le strade in prossimità dei portoni delle case o attaccati alle ringhiere che ne delimitano i giardini, altri sono appesi ai pali della luce, tutti ripropongono gli stessi allestimenti complicati da ananas e frutta fresca e ancora le piccole sculture intrecciate con qualche colore che spicca sul giallo pallido delle lunghe foglie intrecciate. Di tessuto a grandi scacchi bianchi e neri sono i parei di mitologici leoni di pietra che precedono gli ingressi ai templi animati dall’andirivieni dei fedeli in bianco latte. I festeggiamenti sono così partecipati e rigogliosi da aver creato un intasamento sulla strada che stiamo percorrendo, un vero e proprio posto di blocco in prossimità di un grande tempio dove una intera corsia è stata occupata dalle offerte accatastate sull’asfalto. E’ la città in festa che lasciamo per raggiungere l’aeroporto e lasciare Pius in vista del suo rientro a Kupang. Il nostro caro compagno di viaggio, il più svampito interprete salito a bordo di Asia. Generoso, fragile ed innamorato di Regina. Poi imboccato il lungo viadotto che si allontana virando a Nord raggiungiamo il Puri Santrian di Sanur, la sede del nostro breve soggiorno a Bali, immerso nel verde rigoglioso di alberi, cespugli e siepi, il mare di un bel colore azzurro è proprio qui accanto, separato solo da una stretta lingua di sabbia chiara. Gli scoiattoli corrono sui rami ed i fiori bianchi della Tiara cadono ancora carnosi sui sentieri che distribuiscono le camere del resort. Oltre il portale di ingresso invece, ai lati della strada che fa molto Rimini una fila di signore imbonitrici invitano ad acquistare ed i camerieri piantonano gli ingressi dei bar e ristoranti. La cittadina verace è solo dietro l’angolo, oltre le porte spalancate dei piani terra dove le sartine cuciono sulle loro intramontabili Singer ed i bambini camminano soli per strada, sereni e liberi dalla mano del genitore… e allora viene una grande tristezza pensando che i nostri bambini occidentali siano stati costretti a diventare invisibili.


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31 Java Island


28 ottobre 2015

SEMARANG

Siamo arrivati ieri con un breve volo da Denpasar ma non l’abbiamo ancora vista questa grande città dell’isola di Jawa se non dalla parete vetrata della nostra camera all’undicesimo piano dell’hotel tanto confortevole quanto patinato. Osservandola semi nascosta dalla foschia abbiamo tergiversato, Vanni alle news ed io a fare prove di nuoto senz’acqua per capire se tra due giorni potrò godermi il mare del Karimunjawa National Park oppure soffrire ad ogni bracciata per via della costola che non riesce a guarire. Oggi invece nonostante la cappa di fumo causato dall’esteso incendio sull’isola ci siamo dedicati a lei e lei ci ha conquistati. Vanni che ha letto tutto il leggibile sa come muoversi in città, ovvero con autista ed auto climatizzata, il caldo è anche oggi insopportabile. Iniziamo la visita muovendoci tra le strette strade di Chinatown, là dove vennero perpetrate le stragi durante la dittatura di Suharto, quando le tracce del comunismo al quale la nazione era votata dovevano essere cancellate. La comunità cinese locale si è in seguito riscattata e non ha badato a spese nel mantenimento del suggestivo tempio buddista avvolto dal profumo degli incensi dove anche noi partecipiamo curiosi ad un complicato rituale. Prevede l’offerta di tre bastoncini per ogni altare che accoglie una delle tante immagini di Buddha, ne offriamo quindi molti spingendoli dentro la cenere dei grandi bracieri dai quali si alzano suggestive spirali di fumo. La sequenza degli altari è segnata dalla luce delle lanterne ad olio e dalle offerte di frutta ed acqua, poi il silenzio si rompe improvvisamente nel cortile interno dove l’anziana signora lava le scodelle di un pasto appena consumato. Usciti dal bozzolo del tempio entriamo là dove la vita si gioca duramente, nel quartiere fatiscente delimitato da un canale senz’acqua ma pieno di rifiuti, un pezzo di città dal quale si sprigiona non si sa come un certo fascino. C’è sapore nei piccoli chioschi che vendono cibo e nel mercato quasi terminato dove il fermento va affievolendosi sui visi stanchi di chi sta spingendo via i carretti con l’invenduto. E’ una strada stretta questa che stiamo percorrendo seduti sul risciò a pedale sospinto da un anziano signore cinese sdentato. La luce filtra a macchie tra i tendoni e le tettoie, alcune merci sono ancora esposte a terra dentro ceste di paglia… ed altro si intravvede dalle porte aperte dei negozi di tessuti dove le centinaia di rotoli multicolore fanno pensare che qui si confezionino gli indumenti per la città intera. Sulla via del ritorno un paio di brevi salite mettono in crisi il nostro portantino, l’anziano signore che scende dal sellino per spingere a mano, vorrei scendere ma poi qualcuno lo aiuta e lui ride felice per aver superato anche questa difficoltà tra le tante della sua lunga vita e perché no, di aver per questo guadagnato una lauta mancia che Vanni lo costringe ad accettare. Dall’altra parte della barricata c’è la città coloniale olandese con qualche bell’edificio sopravvissuto ed un meraviglioso organo a canne che conquista Vanni. Il Hopara Seafood & Thai Kitchen si trova al primo piano del centro commerciale Ciputra Lantai ora animato dal concerto che accompagna la nostra cena fino al secondo piatto di gamberi ed ananas, squisito come la cortesia dei camerieri che come orsetti lavatori si occupano del ristorante già perfetto creando quel movimento che compensa e distrae dalla ingiusta assenza di clienti. Ottimo.


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32 Karimunjawa National Park


29 ottobre 2015

SEMARANG – KARIMUNJAWA N.P.

Ad un’ora di distanza da una delle più belle isole indonesiane, qui nell’aeroporto di Semarang entriamo nella perfetta macchina organizzativa del Kura Kura Resort dove siamo diretti. Sono le 11.30 del mattino e noi siamo dentro, di seguito dentro al Diplomatic Lounge, dentro il Cesna 8 posti, dentro al bungalow vista mare, scivolati da una situazione all’altra grazie alla cortese efficienza degli operatori che ci hanno presi per mano e senza sfiorarci ci hanno condotti all’obiettivo. Il Resort è un mondo a parte, una specie di repubblica indipendente all’interno del già isolato arcipelago Karimunjawa, poche casette tra le palme della piccolissima isola Menyawakan dove gli orologi indicano a dispetto del fuso orario l’ora più comoda per gli ospiti che arrivano da Bali. Abituati all’autogestione tutto sembra fin dalle prime battute eccessivamente organizzato seppure ad hoc, tanto che accogliamo il planning perfetto propostoci da Aureliana con iniziale diffidenza. Certo le escursioni alle isole del parco intercalate ai possibili massaggi in elenco rappresentano una bella prospettiva e considerati i pochi giorni a disposizione prima della chiusura del Resort ci proiettano verso una conclusione di viaggio breve ma intensa ed all’insegna del benessere. E’ così che poco dopo siamo stesi sui tessuti Batik che coprono i lettini della SPA, attorno a noi le pareti di legno scuro della piccola casetta, e di fronte ai nostri visi le belle composizioni di fiori freschi appoggiate a terra, sta per iniziare il nostro primo massaggio. Poi sono i piedi scalzi sulla sabbia chiara, fresca e soffice, i Margarita bevuti sulla breve palizzata di legno, e l’esiguo numero di ospiti a fare di questo il nostro quasi esclusivo paradiso.

30 ottobre 2015

KARIMUNJAWA N.P.

L’isola di Robinson, così come è chiamata dai ragazzi della locale repubblica Kura Kura si trova a poche miglia di distanza, ne vediamo subito dopo l’uscita dal porticciolo il ciuffo di palme sopra quella che sembra una zattera di sabbia bianca. Senza mai perderla di vista arriviamo in breve a bordo della barca di legno vicinissimi alla lingua di sabbia che sfuma verso la barriera corallina oltre la quale il fondo si inabissa ed il mare si colora di blu, la situazione è perfetta. Pronti per il tuffo, ingolositi dalla promessa di una barriera ricca di coralli ci blocchiamo con le pinne ancora in mano di fronte a quello che sembra l’ineluttabile nefasto destino dell’escursione di oggi. Con due parole i marinai liquidano ogni possibilità di immergerci, – Jelly fish – esclamano dispiaciuti. Eppure raggiungiamo quasi indenni la spiaggia dell’isola che da qui sembra ancora più piccola e ne percorriamo a piedi la costa che si esaurisce in un attimo, la sabbia ancora umida dalla marea, le piccole conchiglie, il sole forte, qualche foglia arenatasi qui, il contesto è talmente bello da rendere sopportabile il banco di meduse che poi finalmente diradatesi lasciano spazio ai coralli blu elettrico, meravigliosi ed abbastanza vicini da essere raggiunti senza problemi …

31 ottobre 2015

KARIMUNJAWA N.P.

Oggi vado con Pierre. Vanni non ama particolarmente il mare ed approfittando di questa sua sonnolenza residua e del conseguente desiderio di relax assoluto si defila a cuor leggero subito dopo il caffè sapendomi in compagnia. Pierre è simpatico, discreto ed ama indossare la muta perché lo fa sembrare più snello mentre il motoscafo sfreccia sul mare piattissimo sfiorando altre piccole isole tutte ugualmente belle, quelle dove sarebbe forse bello naufragare. Ancoriamo invece dopo la lunga navigazione sulla costa dell’Isola Benkoang in corrispondenza del rif di Lobster Bay dove i coralli sono vari e belli ma l’acqua non è limpida ed il cielo velato forse ancora per le ceneri che arrivano da Sud e da Nord dai due devastanti incendi rispettivamente di Jawa e di Borneo dei quali non sappiamo più nulla. La repubblica Kura Kura è TV e WiFi free. Tra gli avvistamenti interessanti di questa nuotata ci sono i due calamari che per la prima volta vedo da vivi, bellissimi per le loro sfumature colorate e le membrane laterali che muovono ad onda per spostarsi, in seconda battuta uno strano bellissimo pesce dal corpo piccolo ma con pinne così ampie da quadruplicarne la superficie. Il motoscafo sembra entrare nel mare mentre raggiungiamo l’Isola Krakal e la velocità fa sollevare due muri d’acqua che ricadono sui lati poco prima di annegarci, ci fermiamo infine poco prima del rif che circonda l’isoletta perché la marea è troppo bassa per poter andare oltre. Percorriamo a piedi la meravigliosa laguna che colora di avorio il mare per poi sfumare all’azzurro in corrispondenza dell’anello di coralli che la cinge in un ampio ovale, poi anziché al nuoto ci dedichiamo con gusto al pranzo al sacco ed al grande albero che con le sue alte radici sembra un enorme grottesco ragno a cento zampe. La serata è uno spasso, organizzata da Aureliana e Borja per noi pochissimi ospiti diventati quasi amici ed ora in cucina, tutti a preparare la propria specialità, la più veloce del personalissimo patrimonio di ricette in memoria. La cuoca più scatenata è Soledad, la meravigliosa mamma di Borja, artista e gallerista di Toledo nonché creativa cuoca allineata alla tradizione culinaria del Sud della Spagna. A seguire il nostro Pierre che dopo lunga riflessione ha preparato una veloce ma gustosa specialità napoletana mentre cantava a squarciagola l’altrettanto tipica “O sole mio” con la sua potente voce da tenore. Infine io arrivata in ritardo con una mousse al cioccolato fuori programma e Vanni che sapendola lunga ha pensato al vino, l’ingrediente necessario per una cena in compagnia. La cucina è in subbuglio, aperta in via eccezionale a noi sei ospiti rimasti al lavoro mentre i cuochi osservano attenti e divertiti o partecipano per porgere un mestolo o reperire materia prima ed a prendere nota. Tutti filmano e fotografano per immortalare la performance che termina nella composizione classica della foto di gruppo su tre file, la complicità goliardica ritrovata rende tutti noi consapevoli che la leggerezza e la disponibilità al gioco non è prerogativa della sola adolescenza e che quella al divertimento è l’attitudine che ci accompagna per tutta la vita. L’energia esplosa in cucina si sedimenta poi attorno al tavolo con la verifica bonaria delle specialità di ognuno, tutte eccellenti a partire dalle tortillas con verdure di Soledad, gli spaghetti alla puttanesca di Pierre, gli straccetti di Luca, la mia mousse al cioccolato ed il fantastico Sauvignon australiano di Vanni. La conversazione vira quindi al viaggio, quello che tutti noi stiamo condividendo qui ed ora, e Vanni si impone costringendo il suo pubblico ad aprire le orecchie ed a rimanere a bocca aperta.

01 novembre 2015

KARIMUNJAWA N.P.

La partenza di Pierre è la prima nota stonata di questa mattina, la seconda è l’aver deciso di non andare con Aureliana, Borja e Soledad al loro tour fuori programma verso il gruppo di isole dell’arcipelago più lontano dalla nostra, quelle che solo alcuni marinai conoscono e possono quindi condurtici. La partenza alle nove dopo la serata di gozzoviglie e la nostra pigrizia ci hanno scoraggiati facendoci piuttosto opzionare il tour delle undici solo nostro a Menjangan Island e di seguito a Ujung Gelam. I piccoli pesci bianchi a strisce bianche e gialle se stimolati si azzuffano pur di conquistare il loro pezzetto di pane, terminato il quale iniziano a mordere cosce e braccia costringendo alla fuga veloce dai loro dentini aguzzi visibili oltre le labbra rosa, fortunatamente non abbastanza grandi da lacerare. Raggiungiamo in fretta i coralli che offrono belle composizioni di forme e colori come mazzi di fiori ben confezionati. Gli occhi si perdono ad osservare la perfezione dei dettagli e degli abbinamenti tra i colori dei coralli ed i pesci che li hanno scelti. Rigidi o flessuosi, a canna d’organo, a vassoio o a ventaglio, con texture geometriche o arzigogolate.. bianchi, gialli, blu, verdi.. le varietà sono centinaia ed anche le poche che vediamo fanno parte di un mondo di biodiversità paragonabile solo a quello delle foreste tropicali. Tramonto aperitivo e cena si susseguono con lo stesso piacevole ritmo dei giorni scorsi e le crocchette di Soledad consolano in parte dal non aver partecipato al bagno nelle acque turchesi del Blu Lagoon, l’atollo di sabbia affiorante che con l’alta marea diventa mare a 360 gradi. I racconti si susseguono ed il piacere di essere insieme fa della promessa di rivederci un appuntamento da non perdere .. chissà dove e quando. Certo è che per chi viaggia lo spazio non ha un nome ed il tempo è irrilevante. Parigi, Toledo, Granada? Lo scambio di email è già un buon inizio.

02 novembre 2015

KARIMUNJAWA N.P. – SEMARANG

Ci congediamo dalla repubblica di Kura Kura dopo abbracci, baci ed una simpatica hola che vediamo allontanandoci in motoscafo, Aureliana, Borja e Soledad rimarranno con noi ancora a lungo, forse fino al nostro prossimo incontro. Intanto gli orologi si sono adeguati al fuso orario convenzionale ed il traghetto veloce ci ha riportati sulla terraferma di Jawa. Domani saremo a Bali e poi sarà l’Europa.


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33 Bali Island


03 novembre 2015

SEMARANG – BALI

Alle ore 14.30, poco prima del nostro atterraggio a Bali esplode a nostra insaputa il vulcano Rajani sulla vicina Isola di Lombok. Ancora non sappiamo cosa ne sarà del nostro volo di domani, ma non avendo precedenti esperienze in questo senso siamo ottimisti.

04 novembre 2015

BALI

L’allestimento squisitamente orientale della reception del resort Puri Sangrian di Bali, abbellito con composizioni di fiori carnosi e delicate orchidee bianche è diventato il purgatorio degli ospiti in partenza, tutti seduti come noi sui comodi sofà in attesa di buone notizie da parte dell’impiegato che ad ogni richiesta controlla sul web lo stato di operatività delle rispettive compagnie aeree. La risposta definitiva arriva direttamente dal tabellone delle partenze nell’atrio dell’aeroporto Denpasar che abbiamo nel frattempo raggiunto. Tutti i voli sono stati cancellati per via della nube di cenere generata dall’esplosione del vulcano della vicina isola di Lombok e la nostra compagnia Singapor Airways ci offre la sistemazione per la notte all’hotel Paradise Beach di Sanur in vista del possibile volo di domani. Bellissima la passeggiata sul lungomare.

05 novembre 2015

BALI – SINGAPORE

L’aeroporto sarà operativo solo a partire da domani mattina, leggiamo nella lavagnetta collocata per l’occasione nell’atrio dell’hotel attorno alla quale c’è ora una gran ressa di viaggiatori delusi, ma già alle 14.30 arriva la notizia della riapertura. E’ così che Vanni riesce ad intrufolarsi nel primo volo disponibile per Singapore dove infine ci areniamo a causa del ritardo del volo Lufthansa per Francoforte che partirà solo alle 10.05 di domani mattina. Dormiamo nell’hotel ad ore all’interno dell’aeroporto.

06-07 novembre 2015

SINGAPORE – FRANCOFORTE

Il volo Lufthansa parte in ritardo ed arriva a Francoforte alle 17.30. Cancellato a causa dello sciopero il nostro volo in coincidenza per Bologna finiamo in coda alla lunga fila di passeggeri in attesa di ricollocamento sui pochi voli disponibili. Infine dopo l’ennesimo volo annullato decidiamo di tornare in treno a Bologna che raggiungiamo solo la sera del 07 novembre con due giorni di ritardo dopo aver attraversato gli incantevoli territori della Baviera tedesca, i bellissimi paesaggi lacustri e le ordinate cittadine che profumano di birra … e i bagagli?

07 settembre 2016

BALI

La densa nuvola nera di fumo ed il rombo del motore spinto al massimo si diffondono dietro il muro di confine del convento delle suore Canossiane di Bali seminando lo scompiglio nel luogo prima sospeso nel silenzio della preghiera al crepuscolo. In due minuti le due signore basse, scure e vestite di bianco uscite dall’edificio salutano cordialmente, contente di liberarsi dell’ingombrante auto che ha occupato per dieci mesi la loro tettoia, seppur dietro la dovuta offerta di compenso. Asia ha il sapore dolce di un ritorno a casa, la sacca e le guide abbandonate sul sedile posteriore conservano l’odore intenso del viaggio, del collegamento al mondo che dà dipendenza come l’essere on line. Pius è l’Indonesia condivisa, il nostro amico, interprete e compagno di viaggio arrivato in aeroporto da Kupang in coincidenza con il nostro atterraggio da Bangkok, il sincronismo perfetto sembra la promessa di un viaggio senza intoppi che si snoderà fino all’ambizioso obiettivo di Medan dopo aver attraversato le isole di Jawa e Sumatra. Ora invece c’è Bali e lo stordimento del viaggio che ha creato il vuoto da riempire, la pagina bianca sulla quale iniziare a scrivere … la prima notizia di cronaca di questo diario è che è iniziata oggi la settimana di festa religiosa hindù di Galungan ed ogni famiglia questa mattina ha ucciso un maiale.

08 settembre 2016

GIANYAR – DOMPU

La Green Papaya home stay, isolata nella campagna limitrofa alla più nota cittadina di Dompu è la sistemazione di benvenuto che Pius ha organizzato per noi. Quattro camere pulite che si affacciano sul giardino interno dove qualche fiore di Frangipane, caduto ancora fresco dagli alberi, emana il suo intenso profumo. Inutile ogni tentativo di Vanni e Pius per trovare un lavaggio auto aperto, questo è il secondo dei dieci giorni di festa, sacrosanta per molti balinesi e le auto dei locali sono già state tirate a lucido per ricevere sulla targa anteriore la ghirlanda votiva che vi sarà fissata. Bali in festa è un bel regalo, tutte le strade sono decorate con i caratteristici Penjor, le elaborate composizioni fatte con le parti più sottili e fresche delle foglie di palma intrecciate a formare dei lunghi pendagli che scendono dalla cima delle canne di bambù ricurve verso il centro delle strade. Esposti alla brezza e complicati dai colori di qualche fiore sono un bel prodotto dell’artigianato locale nonché simbolo di fertilità, per questo motivo ogni famiglia espone il suo Penjor di fronte alla propria casa nello stile particolarissimo del quartiere di appartenenza. Il fermento dei fedeli è dentro e fuori i templi, vestiti con i parei batik a disegni scuri e la rigorosa camicia bianca. I templi più piccoli interrompono i fronti compatti dei piani terra, li intravediamo oltre i piccoli portali di mattoni a vista arricchiti da volute quasi barocche e dalle due sculture di pietra grigia posizionate sui due lati dell’ingresso, figure mitologiche di animali immaginari. Oltre la soglia il muro dotato del piccolo altare impedisce la vista dal marciapiede creando un alone di mistero sull’invisibile che è dentro al cortile e che noi per una forma di rispetto non violiamo. Le offerte di fiori, cibo e sigarette danno poi quella sferzata di colore che rende l’immagine finale irresistibile. Per allinearci alla rilassatezza della quale Bali sembra intrisa approfittiamo del servizio offertoci dalla homestay e ci dirigiamo in taxi alla vicina Dompu come in parata sotto i penjor che si muovono ad ogni alito di vento. Intanto le case ed i tempietti famigliari si susseguono con le brevi interruzioni dei verdi campi di riso fino alla città più bella d’oriente, allo stesso tempo mistica e vivace. Infine preceduta dal crepuscolo che accende i colori la cultura balinese ci fa sognare nel corso dello spettacolo delle danze tradizionali che accompagnano la rappresentazione della storia epica di Mahabrata. Svoltosi sullo sfondo di un prospetto antico all’interno del bellissimo e suggestivo Palazzo del Sultano ricco delle ridondanti decorazioni di pietra, cornici e sculture dei mitologici custodi.

09 settembre 2016

GIANYAR

Dopo la colazione in giardino, allestita sotto il frangipane che ha dispensato fiori da poco caduti anche sul tavolino, con il buonumore che dà una notte di riposo ininterrotto, partiamo con comodo per la visita dei due templi tra i più belli dell’isola. Il Tanah Lot costruito sullo scoglio che lo contiene a fatica ed isolato dall’alta marea è per la sua collocazione pittoresco quanto la costa rocciosa che battuta da onde potenti si snoda nera a perdita d’occhio. Lontano dal dualismo potente tra la natura selvaggia ed il misticismo del primo tempio, Il Pura Taman Ayun Mengwi, è ordinato e sembra galleggiare sull’acqua verdastra ed immobile dell’ampio fossato che circonda l’ampio piazzale rettangolare. La foresta spontanea fa da sfondo alle alte pagode vegetali e scure di altezze degradanti che svettano sugli edifici più bassi dedicati al culto. Non potendo accedervi percorriamo in compagnia di Pius il sentiero, scavato dai turisti più curiosi, che corre tutto attorno al muro di cinta e scattando le tante foto ci accorgiamo che grazie all’ordine rigoroso della composizione tutto è stranamente visibile in un unico colpo d’occhio. Puntiamo ora a Nord, verso le famose risaie a terrazze di impianto antichissimo, verdi e complesse nel loro degradare verso la valle sottostante, i profili sinuosi dei loro muretti di argilla risaltano sul verde acceso delle piantine mentre gli stretti passaggi larghi quanto un solo piede consentono di percorrerle durante la stagione della raccolta. Irrigate da complessi sistemi a caduta sono irresistibili da ogni angolazione le si guardi, così tanto da giustificare il pagamento del pedaggio lungo la strada di scorrimento che le rende visibili. Il breve diversivo sfuma presto nella consuetudine delle strade addobbate a festa, qui complicate da tempietti votivi che servono a scacciare la mala sorte fissati alla base delle pertiche dei Penjor. Anche i bambini si sono organizzati in gruppi e sfilano producendo suoni con i loro strumenti musicali, un paio di loro indossa il costume a forma di animale mitologico che assomiglia contemporaneamente al cavallo, lo yak ed il drago. L’incalzare dei tamburi si diffonde nelle strade ed i templi si animano di fedeli in costumi tradizionali, per noi tre non ancora avvezzi è come entrare nel set di un sogno. Ceniamo al Nomad di Ubud, il ristorante con terrazza già adocchiato ieri per il bel sapore sospeso tra la tradizione ed il fashion, ci era sembrato una promessa fin dal primo sguardo, promessa mantenuta anche dal menu di specialità balinesi e indonesiane squisite. All’ingresso, illuminato da un fascio di luce, dà il benvenuto il busto di legno del signor Nomad che ha al collo una ghirlanda di sgargianti garofani arancioni e sferici. Gli stessi visti nel pomeriggio in vendita nel mercato dei fiori lungo la strada, rigorosamente senza stelo, erano contenuti in grandi sacchi bianchi appoggiati sul marciapiedi, come i petali di bouganville di tutti i colori… è strano per noi vedere in vendita i soli petali, eppure ne siamo rimasti incantati quando li abbiamo visti galleggiare in vasche d’acqua o composti in piccoli cestini vegetali.

10 settembre 2016

GIANYAR

Evocato probabilmente da quello terapeutico di ieri al piede che ancora non guarisce, mi sono svegliata con il desidero un bel massaggio full body. Era stato il gentile proprietario della nostra homestay a consigliarmi e poi ad accompagnarmi da un signore che manipola gli arti doloranti dei clienti all’interno della sua casa tempio. Seduto a gambe incrociate sulla piattaforma-altare, senza proferire parola e con lo sguardo fisso di fronte a sé mi aveva afferrato il piede lo aveva magistralmente valutato, toccato, ruotato, tirato fino a farlo scricchiolare. Il Bokashirub oil frizionato un paio di volte al giorno farà il resto aveva detto prima di congedarci. Ora invece, siccome al Green Papaya ogni desiderio è un ordine soddisfatto con estrema cortesia, l’insostituibile padrone di casa ci ha recapitato una signora abitualmente impegnata alla spa di Ubud per un bel massaggio balinese, full body come da progetto. Sull’onda del relax Vanni ha poi deciso di rimanere a casa per avere il tempo di fare un check ad Asia e raccogliere qualche informazione circa il percorso migliore per raggiungere il porto di Gilimanuk dal quale tra qualche giorno salperemo per raggiungere l’isola di Jawa. Io e Pius invece andiamo in missione esplorativa del non visto in zona, ed eccoci in breve al Sacred Monkey Forest Sanctuary a Padangtegal, il complesso di tre templi sommersi dalla foresta popolato dei makaki ai quali è dedicato e se non fosse invaso dai turisti potrebbe sembrare il set di uno dei film avventurosi di Indiana Jones. Sono una moltitudine questi spassosi animaletti che si collocano tra le decorazioni dei templi trovandosi faccia a faccia con le sculture ed i bassorilievi che ne riproducono le sembianze. Situazioni quasi alienanti per loro quanto lo è l’affollamento per noi, che snatura questo incredibile luogo sacro a loro dedicato, verde, pittoresco e selvaggio. A questo punto torniamo a Dompu che ci attrae come una calamita, e con la scusa di visitare il suo tempio Pura Taman Saraswati preceduto da due grandi e suggestive vasche piene di ninfee ci ritroviamo a passeggiare lungo il corso principale in cerca di qualcosa di interessante da vedere e così dopo aver saccheggiato il negozio Polo per il Vanni a corto di magliette, troviamo alla Nacivet Arts Gallery dei mappamondi di legno di irresistibile bellezza. I globi di teak presentano le irregolarità del legno ma i continenti sono scolpiti perfettamente in bassorilievo sugli oceani colorati di nero o di bianco. Stupidamente resisto all’acquisto già sapendo che me ne pentirò per sempre. www.nacivet.com – contact@nacivet.com.
Torniamo per cena al Nomad, con i suoi tovaglioli di Batick, il busto di legno con ghirlanda ed una serie di appetizer balinesi spettacolari. Mentre degustiamo le pietanze il discorso vira sulla partenza di domaniche Vanni vorrebbe anticipare alle 8.30 … impensabile.

11 settembre 2016

GIANYAR – LOVINA

Prima della partenza vengo di nuovo accompagnata dal fisioterapista tradizionale che abita nella casa tradizionale costruita come un tempio, tanto che l’altro ieri ne rimasi così impressionata da considerare quel bravo manipolatore non più di un guaritore al quale ci si rivolge per ottenere un miracolo piuttosto che un aiuto concreto. La casa è dispersiva ed in controtendenza con l’attuale pianificazione che vede una maggiore densità nei centri abitati occupa un lotto troppo grande. Gli edifici grandi e piccoli, tutti in mattoni rossi posati senza fughe sono arricchiti con arzigogolati decori di pietra e si collocano con agio all’interno dell’ampio cortile. Oggi però sotto l’alta pedana coperta dal tetto a pagoda il posto accanto al teppetino di plastica a fiori è vuoto, il fisioterapista che immaginavo statico come la casa è invece uscito in missione. Salta così la mia seconda seduta di manipolazione alla cui utilità credo ora ciecamente. Partiamo alle 11.00 in direzione Nord, per raggiungere come prima tappa il Tempio ai piedi della montagna, il pura Luhur Batukau la cui bellezza è piuttosto nelle delicate melodie prodotte da un numeroso gruppo di percussionisti che si diffondono ovunque per accompagnare la cerimonia che si sta svolgendo ora oltre il portale per noi giustamente invalicabile. Del tempio intravvediamo però alcuni degli accessori legati al culto come gli slanciati ombrelli bianchi e gialli che spuntano oltre il muro di cinta. Non resta che osservare chi arriva, come le signore che camminando mollemente senza fretta portano in equilibrio sulla testa le scatole di rafia piene di offerte. Indossano le camicie bianche ed i parei scuri che anche noi abbiamo legato in vita per poter accedere anche solo alle aree più marginali del tempio. E’ camminando lungo uno dei sentieri che scendono dalla sua sommità che vediamo i profili in ombra di un paio di fedeli con copricapo e pareo stagliarsi neri sul lago incastonato nella foresta. L’immagine mi rimanda immediatamente al gioco delle ombre di quando ero piccola inserito qui in un pittoresco contesto naturalistico che per la sua grande bellezza merita di essere ricordato attraverso lo scatto di fotografie a raffica ed anche Pius diventato nel tempo vanitosissimo dedica allo sfondo una serie di selfie. Di nuovo in auto percorriamo la strada sinuosa che serpeggia sui rilievi dei vulcani conici ed osserviamo altre risaie a gradoni perdersi nella debole foschia di oggi, sono più recenti ma per noi sempre di grande fascino. Pura Ulun Dalu Bratan chiude la lunga serie di templi visitati a Bali e lo fa con stile, costruito su quella che sembra una zattera di pietre dalla quale parte l’alta pagoda è abbastanza contenuto da poter essere considerato come un gioiellino che galleggia nei pressi della riva dell’ampio lago dove sembra essere naufragato, le montagne fanno da cornice. La cittadina di Lovina, che raggiungiamo nel tardo pomeriggio, si trova nella parte Nord dell’isola di Bali lungo la strada costiera che sfiora il mare. Abbiamo prenotato due camere in una guesthouse del “Centro” come è chiamata la breve strada dove si trovano le attività turistiche del paese, che partendo dalla litoranea porta alla spiaggia di sabbia nera e quindi al mare. Riusciamo ad entrare nella strada chiusa al traffico dal posto di blocco dell’esercito, un attimo prima dell’arrivo della parata in costume che sembra riassumere l’intero caleidoscopico patrimonio estetico della tradizione balinese. Siamo casualmente arrivati nel momento dell’apertura del Festival che si protrarrà per un paio di giorni, una sorta di benvenuto in maschera che la cittadina di Lovina ha voluto regalarci, con musiche, danze e costumi di incredibile bellezza completi di alti copricapi colmi di frutti o fiori e altro. Ceniamo in un localino lungo il Centro ora svuotato della folla di visitatori e della colorata vivacità di poche ore fa.

12 settembre 2016

LOVINA

Nemmeno il festival riesce a dare grinta alla piccola località balneare ancora sopita, eppure c’è un gran fermento questa mattina attorno alle decine di barche snelle a due bilancieri che avevamo viste ormeggiate a due passi dalla riva. Vogliono tutti vedere i delfini che hanno reso Lovina una delle mete da non perdere durante il soggiorno a Bali, tutti tranne Vanni che alle 5.30, subito dopo il suono della sveglia decide di non partecipare alla caccia al delfino. Pius invece è puntuale alla reception, curioso di vedere e di fare viaggiare anche Regina con le foto che scatta e gli immancabili selfie che le invia. Siamo sempre insieme, tanto che ieri sera, durante l’aperitivo in un locale sul lungomare la coppia di francesi residenti come noi all’Hotel My Lovina, non avendo mai visto Vanni, devono aver pensato che Pius fosse il mio toy boy e provocato con il saluto negato e l’espressione di disappunto il nostro grande imbarazzo. Ora però siamo in mare, seduti sulle traversine di legno della barca a cinque posti larga poco più di noi tenuta in equilibrio dai due snelli bilancieri bianchi che risaltano sui colori accesi della carena. Il mare ed il cielo sono ancora dello stesso colore perlaceo nei toni slavati dell’azzurro e del rosa delle celebri ninfee di Manet. Lo spettacolo esplode quando le decine di barche spingendo al massimo la potenza dei motori iniziano a muoversi tutti nella stessa direzione per poi cambiarla bruscamente come banchi di sardine. Stimolati dal rumore in movimento i delfini sono poi arrivati in gruppi a mostrare i loro dorsi inarcati nel movimento che continua a sorprendere ad ogni avvistamento. I boati di entusiasmo del pubblico si susseguono per tutta la durata della corrida con virate a rischio di collisioni e di probabili agganciamenti dei bilancieri che si sfiorano in questa che sembra una gara tra riders. Solo ogni tanto ci distraiamo dall’azione per osservare invece la bellezza della scena, e dell’illusione che danno i bianchi legni curvati a sostenere i bilancieri che fanno sembrare le barche degli insetti fantastici galleggianti sulla superficie ora nera del mare e sullo sfondo verde delle basse montagne. Alle otto invece rimane una giornata da inventare e senza la compagnia di Pius che è andato con Vanni per la messa a punto del condizionatore di Asia. Che fare? Il massaggio balinese non ha riempito la giornata ma ne ha piacevolmente impegnata un’oretta, il resto lo ha fatto la curiosità a tutti i costi e la macchina fotografica che invitando ad osservare aiuta a trovare la bellezza anche nelle cose meno attraenti.

13 settembre 2016

LOVINA – PEMUTERANG

Ieri pomeriggio, dopo la conclusione dell’operazione aria condizionata andata a buon fine, abbiamo lasciato la triste Lovina ed abbiamo raggiunto Pemuterang, un nome sulla carta geografica cui corrisponde sul web un lungo elenco di Hotel e Resort. Arrivando avevamo trovato esagerato l’alto numero di strutture turistiche per la sola vicinanza al Palau Menjangan eppure non poteva rappresentare una tentazione per i turisti la spiaggia scura che abbiamo percorso in parte verso sera. Oggi invece sono le 8.30, un orario accettabile per svegliarsi e Vanni deve aver maturato un debole senso di colpa per via della rinuncia di ieri ai delfini, è quindi lui ad accompagnarmi all’isola mentre Pius deve tornare in missione a Lovina per acquistare una bombola di quel gas introvabile per l’aria condizionata di Asia. Partiamo in sei. Sulla barca che è quasi un motoscafo ci sono le bombole per le due ragazze che faranno diving, i nostri cestini per il pranzo e le mute che potremmo indossare. Siamo fortunati pensiamo, sono tutti molto educati e discreti ed abbiamo una gran voglia di nuotare sui coralli che però sono tutti morti ed anche i pesci fanno quello che possono. Ma nuotare dà energia ed il sole ci dà gioia, fino a quando qualcosa con una sola frase si rompe ed il rapporto con Vanni si interrompe forse per sempre, come un tessuto sfibrato cui viene strappato anche l’ultimo filo che lo tiene unito. E’ come se una bomba fosse esplosa accanto a noi ed avesse amputato una parte del mio corpo, eppure questa separazione è ciò che entrambi desideriamo ora sopra ogni cosa, è la nostra urgenza. Per qualche minuto l’unico a soffrirne sembra essere Pius che rimane basito senza sapere se restare o tornare a casa da Regina, poi la dimensione della tragedia prende forma e, partiti Vanni e Pius verso la loro meta a me sconosciuta, la solitudine inizia a fare il suo dovere tormentandomi per ore fino a quando circondata dai Kleenex decido di ripiegare sul massaggio Jawa Spa e di cenare poi al Warung Sekar Sari, il ristorantino vicino al Van Karning Bungalow dove ho la camera, tipico in tutto dal menu alla modalità del servizio. Poi prima di dormire si attiva il necessario serrato scambio di sms con Pius dai quali traspare la disperazione di noi tutti… ma ormai il dado è tratto.

14 settembre 2016

PEMUTERANG

Questa mattina la porta della mia camera è l’unica ad aprirsi sull’ampio giardino alberato, partiti Vanni e Pius rimango l’unica ospite del Van Karning Bungalow. Abbandonata alla mia sorte vengo per di più snobbata dal personale che non ritira il vassoio della colazione dal tavolino in veranda e per contro controllata dal giardiniere che tra una potatura e l’altra guarda nella mia direzione, temerà, vista la situazione, un gesto disperato da parte mia? Considerato ad alto rischio di disperazione il mio immediato rientro in Italia, anche se affranta, inizio ad elaborare il proseguimento del mio viaggio valutando i possibili obiettivi. Il visto mi consente di rimanere in Indonesia altri due mesi e potrei approfittarne per raggiungere l’incantevole arcipelago Raja Ampat che non interessava a Vanni ma il cui potenziale mi intriga molto. Posizionate a Nord della Papua Nuova Guinea le isole non sono facilmente raggiungibili e richiedono una serie di tappe durante il viaggio con soste di almeno un giorno. Visitare Mianmar è da qualche tempo il mio sogno e rappresenta quindi la seconda possibilità, lo scoglio potrebbe essere l’ottenimento del visto di ingresso per l’ottenimento del quale telefono all’Ambasciata in Jakarta per informarmi circa le modalità di presentazione della richiesta. Il numero di telefono che compare sul sito però non risponde così come quello che la segretaria dell’Ambasciata Italiana a Jakarta mi ha gentilmente dato. Rimanendo Raja Ampat l’unica opzione possibile controllo la disponibilità dei voli per Sorong e per avvicinarmi all’aeroporto di Bali prenoto l’hotel a Kuta dal quale potrò acquistare i voli potendone stampare il biglietti. Aver compiuto i primi passi nell’organizzazione del mio prossimo futuro da single mi ha fatto abbastanza bene da farmi sentire meno triste e così all’ora di pranzo esco per due passi lungo le strade sterrate e strette del piccolo villaggio e per trovare entusiasmo nel farlo mi dedico allo scatto di qualche foto ai tempietti avvolti nei tessuti gialli e bianchi ed omaggiati di offerte accanto alle case semplici che si accendono dei colori vivaci delle bouganville. A metà pomeriggio non sapendo cosa fare vado alla spiaggia più vicina che raggiungo attraversando il lussuoso Taman Sari resort. Speravo di trovare qui una situazione più godereccia con la possibilità di un aperitivo consumato a piedi scalzi sulla sabbia chiara di riporto, in fondo siamo a Bali ed in genere questi resort si prodigano nel compiacere gli ospiti. Non potendo fare altro mi dedico alla contemplazione dell’ampia baia dominata dalle montagne in declivio, la tipica immagine da cartolina che mi regala un profondo respiro di sollievo. In conclusione è stato sufficiente percorrere 200 metri per trovare il conforto della natura, e 90 minuti di un Java Spa massage praticato dalle mani esperte di Komang per ritrovare il sorriso, meno efficace la squisita cena dalle ragazze dell’adiacente Warung Sekar Sari solo perché mi rende triste vedere le due sedie vuote, il resto lo ha fatto in chiusura il provvidenziale ansiolitico.

15 settembre 2016

PEMUTERANG – KUTA

Il combattimento dei galli non è una bella cosa, soprattutto nell’ambito della cultura induista che evidentemente per ignoranza ho sempre considerata peace and love a tutto tondo. Eppure sono diversi i gruppi di uomini seduti attorno ai due galli dei quali vedo solo qualche piuma oltre il finestrino del taxi che mi sta portando a Kuta. Alla guida c’è il proprietario nonché factotum del Van Karning quello che mi fissava mentre tagliava il prato, il chiacchierone che non contento di aver informato tutto il circondario della mia separazione da Vanni, continua a farlo anche durante questo trasferimento durante le diverse soste di relax che si prende, durante le sue lunghe conversazioni con le persone che incontra e che poi mi guardano con un sorrisino di compiaciuto compatimento. Che imbarazzo viaggiare con l’aspirante paparazzo. Fuori dall’emporio dove si ferma per acquistare dei dolcetti tipici due fioraie ridono mentre confezionano i loro magnifici cestini con petali di fiori che espongono come fossero arance su panchetti di legno, ma poi sembrano molto più interessate al mio braccialetto che al pettegolezzo e l’incontro finisce con il sorriso complice immortalato in una serie di fotografie. Vado a Kuta non solo per la comoda vicinanza all’aeroporto, voglio verificare se è vero tutto ciò che si dice di lei. E’ la località di mare che più si è trasformata per far fronte al crescente afflusso di turisti, lei che tutti additano come l’esempio più eclatante di contaminazione da parte dei modelli non solo occidentali in contrasto con la cultura che quell’afflusso ha generato. La traditrice. La spiaggia che più ha fatto sognare, che ha ispirato, che ha reso felici e che probabilmente continua a farlo in modo meno discreto, più sgarbato, per un turismo di massa che del peace and love non sa che farsene. Eccoci ora incolonnati sulla strada a quattro corsie che attraversa l’area artigianale, dove le vetrine sono la strada ed i prodotti riempiono gli occhi, ne riconosco alcuni in vendita in Italia ed i tronchi di legno fossile stesi anche nel nostro salotto che mi fanno sobbalzare. Infine raggiungiamo il lungomare e l’Hotel Alam Kul Kul.

16 settembre 2016

KUTA

La villa che mi è stata gentilmente offerta ieri dalla receptionist è immersa nel verde ed impreziosita dallo scoiattolo che ogni tanto si intrufola e corre rapido tra le travi lignee del tetto vegetale. Invogliata dalla bella mattina soleggiata e calda mi incammino sulla strada del lungomare che corre tra il fronte degli alti edifici e la spiaggia protetta dal muro che la nasconde completamente alla vista. E’ forse più bello il muro, penso, decadente, sgretolato e decorato in alto con un paio di cornici grigie come i portali che rendono l’accesso piuttosto originale. Entro dal primo accesso distante una ventina di metri dall’hotel e salito anche l’ultimo scalino i piedi affondano finalmente nella sabbia chiara della famosa spiaggia di Kuta, ampia e flessa in un ampio arco è allestita con poche file di ombrelloni ma i chioschi che noleggiano i surf si sprecano ed un andirivieni di tavole in bilico sulle spalle di giovani turisti fanno pensare che le onde arriveranno. Indecisa se stendermi su un lettino o andare oltre vengo imbonita da un noleggiatore di surf in vena di prendere per il culo e dopo uno sguardo a 180 gradi decido che il mare lo vedrò da un’altra prospettiva. Poco più tardi dalla terrazza di uno degli alti edifici sul lungomare contemplo con immenso piacere l’azzurro contenuto nell’ampia baia e la spiaggia alla quale l’altezza rende finalmente giustizia, poi un profondo respiro di sollievo mi libera dalla tristezza che sta coprendo con un velo opaco tutto ciò che di bello osservo in questo difficile momento, il mojito ghiacciato e lo spuntino di sushi hanno senz’altro contribuito. Mi oriento ora altrove inseguendo la suggestione di quelle strade percorse ieri in taxi così piene di tutto da non concedere riposo agli occhi, il centro commerciale che si sviluppa sul bordo dei marciapiedi per chilometri a perdita d’occhio. I prodotti sono dozzinali ma piaceranno senz’altro agli acquirenti che questo marcato lo hanno coltivato assecondandolo, qualche imbonitore mi invita ad entrare per un massaggio in qualcuna delle numerose Spa, vedo qualche galleria d’arte e gli immancabili negozi di tattoo .. per i surfisti. Le quinte commerciali si interrompono ogni tanto in corrispondenza delle stradine che si spingono all’interno dei quartieri dove qualche residenza deve pur esserci e qualche penjor decorativo è stato messo. Poi è caldissimo e devo rientrare prima di svenire … forse lo scoiattolo mi sta aspettando.


34 Papua Nuova Guinea


17 settembre 2016

KUTA – SORONG

Lascio Kuta, le sue contraddizioni ed il suo sviluppo insostenibile, lascio la città che generosamente ha voluto accogliere le migliaia di turisti che ogni anno vi si recano e che devono pur dormire, nutrirsi, ballare e sballare … perché non dare loro le strutture che in quanto necessarie devono essere pur considerante diversamente sostenibili? Sono queste le considerazioni che si attorcigliano alle altre mentre seduta su una poltroncina del gate aspetto che il lungo viaggio abbia inizio. I due voli che hanno Makassar come unico scalo hanno una durata complessiva di sole quattro ore e trenta ma l’intero viaggio mi impegnerà per dodici ore e trenta a causa del lungo scalo notturno di otto ore a Makassar che sarà straziante. Domani mattina arriverò a Sorong, il capoluogo della regione indonesiana incastonata nella punta Nord occidentale dell’isola di Papua nonché trampolino di lancio per il paradisiaco arcipelago di Raja Ampat.

18 settembre 2016

SORONG

L’aeroporto di Makassar era già desolato nel tardo pomeriggio, quando alle 18.30 sono arrivata nella grande sala che contiene tra gli altri anche il mio gate di partenza, in breve ho capito che il lungo scalo sarebbe stato un calvario, anche perché ero piena di energia e molto lontana dall’aver bisogno di stendermi su una fila di sedili di plastica per uno scomodo pisolino. Le luci basse, i negozi già tutti chiusi ed il rumore dei lavori in corso hanno fatto il resto. Mi sono addormentata solo alle 8.00 di questa mattina su una comoda poltroncina dell’Hotel Swiss di Sorong aspettando l’ora del check-in che di norma è a mezzogiorno, poi forse solo per decoro, per evitare che i clienti potessero vedermi stravaccata a ronfare a pochi metri dalla reception già alle 9.15 l’impiegata ha una camera da offrirmi ed io mi lancio sul letto dove rimango inutilmente per tutta la mattinata. Mi incammino poi per cercare l’immagine vista questa mattina dal taxi accompagnata dalla musica house sparata a tutto volume dal giovane autista e trovo tutto, il ponte, il piccolo fiume e le case aggrappate ai bordi del suo alveo. E’ uno spaccato della città che rende l’idea della sua povertà, qui dove l’acqua che non si muove sembra trattenuta dall’immondizia.

19 settembre 2016

SORONG

John arriva puntuale al Swiss alle 15.30 e gentilmente non replica quando ancora a pranzo contesto per errore il suo anticipo di un’ora. Amico di Damianus, il fratello di Pius, ha sessantacinque anni, una valanga di travolgente energia e parla inglese. Capisce al volo la mia necessità di vedere i luoghi più veraci di Sorong che troviamo in un paio di mercati, accanto al fiume ed in riva al mare dove arriviamo quasi al tramonto, ovunque l’atmosfera è carica di miseria ma i sorrisi non mancano, soprattutto nei bambini che ora per attirare la mia attenzione fanno scivolare una palla nella mia direzione sono le foto che vogliono, per andare altrove anche solo virtualmente. A due passi c’è il fiume, quello che avevo cercato e trovato ieri pomeriggio, con le case compresse a definirne l’alveo ed un paio di piroghe che traghettano i locali da una riva all’altra. Il mercato è vicino, lo troviamo seguendo il flusso di persone e di tuk tuk che poi si cristallizzano in sacche immobili, dentro ci sono tutti i prodotti locali tra i quali inaspettatamente masse di lunghi capelli neri e castani appese in vendita ed una casacca confezionata con fibre vegetali color nocciola che viene indossata in occasione delle feste rituali tipiche di questo angolo dell’isola di Papua. La luce sta spegnendosi in bel tramonto quando raggiungiamo la spiaggia ed il suo mercato del pesce dove venditori e pesci diventano sagome nere sullo sfondo del cielo infuocato. I gatti affondano nella spazzatura ed i bambini così magri da sembrare denutriti si divertono nonostante tutto muovendosi di corsa come pesciolini e poi sorridono di fronte alla cenetta inaspettata che consumiamo tutti insieme accanto al carretto dove si vendono polpettine in poco brodo infilate in sacchettini di plastica ed arricchite con una salsa che assomiglia alla panna acida. Serata indimenticabile.


Menù delle città

Percorso della tappa

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Cambia Tappa

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35 Raja Ampat


20 settembre 2016

SORONG – GAM island

In vista del mio trasferimento al porto il gentilissimo Damianus probabilmente pressato da Pius è arrivato a prendermi in hotel con largo anticipo e la lunga attesa della partenza finisce col fare sembrare le due ore di navigazione un tempo infinito a bordo del ferry che si sposta come una fredda discoteca galleggiante. Le aspettative però sono alte e l’attracco nel porto di Waisai ha il sapore della soddisfazione di un sogno, così potente da fare sembrare la tassa di 100 USD per l’ingresso al Parco Marino di Raja Ampat una cifra quasi irrilevante. Poi la prospettiva cambia mentre procediamo in impennata tra le isole rompendo il silenzio e la superficie piatta del mare che ha il colore indefinito dei sogni. Sono in compagnia di Marco, il cinquantenne belloccio che risiede da 60 giorni nella homestay dove siamo diretti e che sta cercando di capire come fare a non andare più via. Non poteva esserci migliore introduzione al Kordiris, il secondo molo del mio ingresso nel paradiso annunciato che appare in tutta la sua bellezza poco prima che lo scafo si spinga con forza sulla sabbia chiarissima, ora capisco perché Marco abbia scelto questo esilio. La spiaggia è breve e delimitata sui lati dai due moletti di legno con capanne a palafitta, alle spalle c’è la vegetazione rigogliosa e di fronte, a 50 metri dalla riva c’è un isolotto che protegge Kordiris dal mare aperto, la location sembra perfetta e tutti gli elementi che la compongono sono in armonia tra loro. La risacca e la luce sempre più debole introducono la cena semplice come la mia capanna che è fin troppo spartana, di una povertà quasi ostentata con il solo materasso a terra ed il panchetto primitivo in stile Flinston. Non c’è nemmeno una sedia in veranda dove l’amaca smontata non rappresenta per il momento una tentazione ma che potrebbe diventare perfino un lusso tra qualche giorno.

21 settembre 2016

GAM island

Lo snorkeling che ha impegnato tutta la mia giornata si è svolto a tappe sulla mappatura precisa dei luoghi di interesse attorno all’isola di Gam comodamente raggiungibili dalla homestay Kordiris. Molti i coralli morti ma interessanti le formazioni vegetali a canne d’organo o in altre meravigliose formazioni.

22 settembre 2016

GAM island – KRI island

La home stay nella quale mi sono appena trasferita possiede molti dei requisiti che ne fanno un luogo primordiale da non perdere, l’ampia laguna di acqua cristallina nella quale sconfinano le sue poche rudimentali capanne a palafitta ne sono gli elementi più caratteristici. Il legno reso grigio dal sole, l’ampia ombreggiata piattaforma che affonda i suoi pali nella sabbia bianchissima, le tre amache che si muovono seguendo la brezza di questo pomeriggio.. Collocata sulla punta dell’isola di Kri e protetta alle spalle dalla foresta, la home stay di Mangkur Kodon offre l’orizzonte aperto che fa dilatare i polmoni in un ampio respiro, e l’opportunità di percorrere camminando l’intero lato lungo dell’isola, ma solo con la bassa marea. Simpatico ed estremamente disponibile Criss è il capo della famiglia cui appartiene senza titoli questa parte di isola .. come per tutti qui il possesso della terra è giustificato dalla storia degli antenati che avendo marcato il territorio piantando qualche palma e costruendo una capanna hanno di fatto sancito un vincolo, una vera e propria usucapione che ha costituito uno stato di diritto. Certo non stiamo parlando di qualcosa di inequivocabile, le palme possono appartenere a chiunque e le capanne di legno non hanno storia, come queste che sembrano vecchie anche se probabilmente non lo sono, costruite con legni arenatisi qui ed assi incurvati dalle intemperie. E’ da poco passato il mezzogiorno e non ho ancora visto nessuno se non il marinaio che mi ha accompagnata in barca, Reimond ( +62 08243351 ) arriverà verso sera, è lui che incassa e gestisce ma con la discrezione di chi ha scelto l’autogestione come politica della sua home stay. Chi arriva al Mangkur Kodon deve aver studiato, deve sapere dove vuole andare e chiedere, ma anche così non è detto che poi riesca ad organizzare lo spostamento, come quello per Piay Nemo che vorrei assolutamente vedere. Si tratta di un gruppo di isolette acuminate che creano un luogo estremamente pittoresco, la brutta copia di quello che ha reso famoso Raja Ampat attraverso le sue immagini sui google, ma l’unico comodamente raggiungibile all’interno del parco marino. Questo fazzoletto di sabbia dell’isola di Kri mi piace in ogni suo angolo e la quasi totale assenza di ospiti offre come valore aggiunto l’emozione del naufragio, oltre a me infatti ci sono solo due ragazzi svizzeri meno che trentenni arrivati un mese fa e la famiglia di indigeni che vive all’ombra dei primi alberi. Oltre a Reimond l’unica persona con la quale potrebbe esserci un contatto è sua moglie che prepara le squisitezze che poi lascia sul tavolone accanto ai termos pieni di acqua calda… ma non l’ho mai sentita dire una parola. Nonostante questo da quando sono arrivata a Raja Ampat non mi sento sola e non ho altri desideri se non quelli che soddisfo ogni giorno per ore dopo aver indossato le mie pinne, la maschera e la mezza muta.

24 settembre 2016

KRI island

Domani lascerò Raja Ampat senza averne visto le magnifiche formazioni, i mini atolli coperti da vegetazione che la rendono irresistibile ai potenziali visitatori, quelli della lontana Wayag per i quali sono arrivata fin qui immaginando di poterli vedere senza problemi. In fondo le immagini che si trovano sul web si riferiscono tutte a quell’angolo di paradiso seppur remoto ma non è da queste home stay che li si può raggiungere perché non hanno i mezzi necessari per coprire la lunga distanza che le separa né per affrontare i marosi del mare aperto, eppure essendo improbabile la loro inaccessibilità immagino che per vederle sia necessario fare riferimento a tour operator di Jakarta. Per ironia della sorte non vedrò nemmeno Piay Nemo, il gruppo di isolette rocciose a sperone che rappresenta una meta interessante anche se consolatoria rispetto alla prima. Sono raggiungibili in un’ora di motoscafo ma non potendo condividere l’escursione con altri e non avendo i 6.000.000 di rupie in contanti necessari per andare sola devo purtroppo rinunciare anche a questo. A questo punto penso che se non si ha la possibilità di accedere a Wayag non vale la pena scegliere queste anziché altre isole indonesiane dove trascorrere qualche giorno. Sono senz’altro selvagge ed ancora non troppo sfruttate perché scomode da raggiungere e per lo standard delle sistemazioni più che spartane come unica alternativa ai due resort più esclusivi. Inoltre anche se il mondo del diving considera questo il paradiso dei coralli per eccellenza ed i più noti biologi marini affermino che questo luogo possiede la più grande biodiversità del mondo sommerso, il 50% dei coralli delle barriere che ho visto sono morti ed i divers hanno confermato che anche a 10/15 metri di profondità lo stato di salute dei coralli non migliora, l’acqua caldissima che avevo tanto apprezzato ad ogni mio tuffo deve aver seriamente compromesso il triangolo d’oro dei coralli. Lo snorkeling di questi giorni è stato però pieno di soddisfazioni per la varietà dei coralli ancora vivi e della meravigliosa vegetazione marina così come per gli avvistamenti più emozionanti tra cui la Eagle ray con i pois gialli sul dorso, le tartarughe sopra le quali ho nuotato e lo squalo pinna nera che mi è gentilmente venuto incontro mantenendosi rispettosamente alla distanza di un paio di metri. Ora che li sto vedendo per l’ultima volta penso che non dimenticherò mai questa spiaggia ed il mare che stenta a tingersi di azzurro, la capanna che vi si protende semplice e perfetta ed in generale Mangkur Kodon, sistemazione ecosostenibile e senza doccia, dove anche i due grandi ragni appesi ai bambù della zona giorno non disturbano perché allineati allo spirito del luogo.


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