05 Grecia


15 Giugno 2009

OHRID – THESSALONICA

Lasciamo l’hotel con le monete per la collezione dello zio e tre bustine di tè verde….con tutte le richieste dell’ultima ora non vedevano l’ora che ce ne andassimo dall’hotel ! L’idea è quella di raggiungere la Grecia dopo una sosta a Strumica nei cui pressi ci sono un paio di cose da vedere….chiese naturalmente ! mentre attraversiamo il terreno ondulato di questi Balcani che vanno scemando,osserviamo le poche strisce di neve rimaste sulle cime più alte ed i bei fiori selvatici cresciuti nei campi coltivati che occupano le ampie vallate che sfociano in una pianura appena increspata. Capendo lo sfinimento di Vanni per gli edifici sacri e consapevole dell’impegno che richiederebbe raggiungere Strumica che non compare nemmeno sulle mappe del navigatore, decido di abbandonare il progetto per continuare la corsa sull’autostrada verso Thessalonica. Entriamo in Grecia attraverso una corsia preferenziale senza controlli…..siamo tornati in Europa ! Certo sono uno spreco questi pali della luce a tre metri l’uno dall’altro per illuminare un’autostrada…..Vanni pensa immediatamente al denaro dei fondi europei con un certo disappunto. Raggiungiamo l’ Holiday Inn di Thessalonica pensando che quanto abbiamo visto finora non ci piace e gli enormi squallidi palazzoni che abbiamo visto sfilare ai bordi della strada, sono di gran lunga peggiori di quelli di regime di Skopje. Caos, sporcizia e squallore….ma è davvero Salonicco? Ci incamminiamo verso l’area pedonale che il receptionist ha evidenziato con un cerchietto sulla mappa….sembra vicina, ma il sole cocente delle 15 ce la fa sembrare irraggiungibile. Una bella chiesa sulla sinistra è la Panagia Chalkeon….chissà se è proprio quella segnalata sul libro “ Architettura Bizantina “ di Cyril Mango ? …..certo è bellissima. Per variare un pò ci dirigiamo verso la torre circolare di pietra che controllava fin dal 1500 l’area portuale della grande città greca. Un cilindro perfetto, massiccio costruito con pietre perfettamente lisce di una bella tonalità calda e coronato in alto dalla classica merlatura. Imponente nella sua essenzialità è l’unico edificio che emerge nell’ampia baia, vicinissimo al mare blu. Raggiungiamo la chiesa Agia Sofia appena in tempo per assistere al battesimo di un bambino nudo che viene completamente immerso in un bacile di acqua probabilmente fredda a giudicare dalle urla che emette. L’esterno sobrio si contrappone all’interno elaborato ed articolato in diversi ambienti separati da colonne, di questa chiesa a pianta centrale…..la sala centrale è coperta da una grande cupola mosaicata. L’ora aggiunta al nostro orologio ci fa tirare un sospiro di sollievo….la visita alla città termina qui, è l’ora dell’aperitivo che gustiamo nel tavolino più vicino al mare del baretto più affollato della zona…..” da Ernesto “ dove un drink costa quanto in Viale Ceccarini. Il cameriere al quale abbiamo chiesto un consiglio ci indirizza verso un ristorante tipico….il Minakas che si trova in Platia Arfnos, un caratteristico quartiere affollato di ristoranti tipici con tavolini che si affacciano sulle strade pedonali. A ridosso del quartiere alberato e piuttosto grazioso, svettano i soliti palazzoni squallidi che cerchiamo di non guardare. Sardine alla griglia, Tzaziki e crema di melanzane….squisiti. Rientriamo accompagnati da un taxista che si lamenta di dover fare una inversione ad U per raggiungere il nostro hotel….che palle questi greci!


Percorso della tappa

Fotografie
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Cambia Tappa

29 Lombok Island

Asia

30 Bali Island

Asia

31 Java Island

Asia

32 Karimunjawa National Park

Asia

33 Bali Island

Asia

34 Papua Nuova Guinea

Asia

35 Raja Ampat

Asia

36 Papua Nuova Guinea

Asia

37 Java Island

Asia

06 Turchia


15 Giugno 2009

THESSALONICA – EDIRNE

E’ piuttosto tardi quando lasciamo l’hotel…dopo le nostre coccole rese quanto mai necessarie dai brutti sogni di questa notte. Entrambi abbiamo sognato che ci lasciavamo ed al risveglio si è imposta la necessità di cementare la nostra unione anche fisicamente. Che meraviglia ….. perdersi nei sogni e ritrovarsi nella realtà ! Thessalonica è talmente vasta che uscirne richiede un certo tempo, ma il garmin continua a non sbagliare e baipassando i cartelli scritti nell’alfabeto greco ci porta dritti sull’autostrada E95 verso il confine. La strada offre scorci bellissimi sulla costa frastagliata e sulle piccole isole coperte di macchia mediterranea. Attraversiamo un’ampia pianura disegnata a grandi rettangoli delle diverse colture e poi ancora qualche collina fino ad arrivare alla frontiera greca nei pressi di Edirne, la città turca nella quale ci fermeremo. Quando dopo pochi chilometri arriviamo alla frontiera turca, le formalità si complicano leggermente per via della pandemia di febbre suina …quindi dopo aver compilato un questionario sul nostro stato di salute ed atteso fin troppo il timbro sul passaporto, arriva il turno del controllo documenti di Asia che con grande disappunto di Vanni viene registrata sul suo passaporto. Non capisco perché si scaldi tanto….forse voleva tornare in Italia dalla Turchia per votare al ballottaggio elettorale? Siamo stremati quando arriviamo nel centro storico ….un po’ per gli incubi che hanno reso tormentato il nostro sonno, un pò per i tanti chilometri percorsi. Siamo diretti all’hotel Kervansaray ricavato nell’antico caravanserraglio della città. Il taxista al quale chiediamo di accompagnarci non parla che il turco ma mi fa capire che l’hotel è qui dietro l’angolo, a non più di duecento metri. Siccome Vanni si arrabbia sempre quando è stanco e si trova invischiato nel traffico di una città che non conosce, se la prende con me per non aver convinto il taxista ad accompagnarci. Ma l’hotel è davvero qui a due passi, basta trovare il parcheggio giusto ed è fatta. In pochi minuti conquistiamo il parcheggio e la camera 252, al primo piano dell’antico caravanserraglio costruito attorno a due ampie corti. Il loggiato che disimpegna le camere è chiuso da grandi finestre, vi si accede tramite una scala a chiocciola un pò sgangherata e non in linea con il resto dell’edificio in pietra, sobrio ma elegante per via delle aperture ad arco al primo piano e le poche che disimpegnano quelli che erano i vecchi magazzini e le stalle del piano terra. Dopo la doccia siamo fuori, tra le vie del centro affollate di bancarelle, persone dall’aria vivace e dagli abiti colorati …..inseguiamo i minareti della moschea Selimiye, che domina la città fin dal XVI secolo. Fu l’opera più ambiziosa realizzata in pieno impero ottomano dall’architetto Sinam ed è miracolosamente accessibile e fotografabile…..certo devo coprire i capelli con un foulard, ma il piccolo sacrificio vale la bellezza del suo interno la cui cupola centrale sembra immensa ed è tutta dipinta a motivi geometrici nei toni dell’azzurro così come gli altri elementi che ne definiscono la volumetria ….archi, cupole minori, pilastri ed il mihbar, il luogo dove prega l’imam. Un gruppo di giovani ragazze è seduto sul pavimento coperto di tappeti. Facciamo una sosta all’ombra di un albero del giardino che circonda la moschea e poi andiamo ad esplorare il resto del vivace centro storico, ricco di mercatini improvvisati di frutta e frittelle, compresa l’ampia area pedonale dove i locali passeggiano o sostano nei tavolini dell’ampia London Asfalti delimitata da begli edifici antichi a due piani. Alcune fontane zampillanti sembrano abbattere la temperatura ancora alta nonostante siano già passate le 18. Come si sta bene qui ad Edirne, Beviamo la nostra limonata allietati dal suono dell’acqua in caduta e dai profili dei bassi edifici del centro, poi ci spostiamo dal calzolaio per un necessario restauro delle Church di Vanni che intanto si informa sul nome turco delle costolette d’agnello….le pirzola. Nei pressi, una moschea di pietra chiara, più piccola ma con un tocco di contemporaneità, ha visto chiudere il suo porticato esterno con una vetrata portante molto high-tech. Fuggo in hotel sfinita dalla lungaggine del calzolaio che nel frattempo ha anche dovuto interrompere il lavoro per lavare con spazzola e detersivo il pezzo di strada di fronte al suo negozio, dato che anche gli altri esercenti lo stavano facendo. Raggiungiamo il ristorante la Villa per la cena…..un bel posticino sul fiume vicino al ponte di pietra. Mangiamo bene e ci divertiamo anche ad osservare il cerimoniale del rinfresco di un matrimonio nel quale, nostro malgrado, siamo stati coinvolti. La cosa più particolare sono le medagliette d’oro che gli invitati regalano agli sposi…..sono delle spille con un fiocchetto rosso che vengono appuntate nel bavero della giacca di lui ed in un drappo di tessuto bianco che lei porta legato al polso. Ballano, si salutano, mangiano, ridono…insomma si divertono molto ed anche noi con loro, leggermente defilati in un tavolino sul fiume. Che bel ritmo ha la loro musica tradizionale….a fatica mi trattengo dall’intrufolarmi in pista. Bellissima serata.

17 Giugno 2009

EDIRNE – IZNIK

Ci svegliamo stanchi per la scomodità del letto troppo piccolo e cigolante……ma è una bella giornata di sole ed il giardino che vediamo dalla piccola finestra della camera ci dà una piena sensazione di benessere. Usciamo dalle antiche mura del caravanserraglio e dopo l’acquisto di un chilo di grosse ciliegie ci avviamo verso l’autostrada che porta a Istanbul. Uscire dalle città è sempre molto più semplice che entrarvi alla ricerca di un hotel….quindi raggiungiamo senza intoppi la periferia felici della sosta nella piacevole Edirne, comprese le nozze al cui rinfresco abbiamo nostro malgrado partecipato ieri sera. Ormai non si contano i matrimoni cui abbiamo assistito nei nostri viaggi…..tutti così diversi ! Il più divertente che ricordiamo è quello di Ouagadougou in Burkina Faso…..in occasione del quale le signore si erano impossessate di un tratto di strada nel quale si esibivano in danze lente, tutte in fila a formare una sorta di lungo trenino. Ma che buffo poi quello nell’Adrar del Mali, con la sfilata di cammelli in corsa ed i colpi di kalashnikov sparati verso il cielo….ricordando quelli, questo di Edirne è stato molto simile ai nostri a parte il rito di quelle spille d’oro. Ma torniamo al nostro obiettivo di oggi. Ci stiamo dirigendo verso il Bosforo attraverso la comoda autostrada che prosegue oltre Istanbul verso Ankara che però non raggiungeremo oggi. Attraversando il grande ponte sullo stretto dalle acque blu siamo già in Asia…..un momento simbolicamente importante per il nostro viaggio tutto dedicato a questo immenso continente….è come se solo da questo momento il nostro viaggio iniziasse davvero. Interi quartieri di alti grattacieli tutti uguali rappresentano l’espansione di questa città che conta la cifra impressionante di 15 milioni di abitanti. Una città enorme che attraversiamo senza fermarci….la delusione che seguì la visita di qualche anno fa ci è bastata….inutile insistere. In seguito alla foratura di un pneumatico poco dopo Istanbul, usciamo nell’area industriale di una cittadina senza nome e seguendo un signore al quale avevamo chiesto indicazioni raggiungiamo il gommista più vicino. Che gentilezza questi turchi che ci offrono anche un tè nell’attesa che il lavoro su Asia sia concluso ! L’autostrada continua lambendo anonime città che si affacciano sul mar di Marmara di un meraviglioso colore blu cobalto solcato da petroliere e e navi da carico….c’è davvero un bel traffico di natanti in questo mare. Raggiunta Izmit lasciamo la direttrice Istanbul-Ankara per percorrere la stretta strada costiera il cui profilo irregolare segue le rotondità delle colline che sprofondano in quel blu intenso. Ci stiamo avvicinando all’obiettivo di oggi, ovvero la cittadina di Iznik che si affaccia sull’omonimo lago e che fu importante centro politico nel IV sec. quando Costantino la elesse capitale dell’impero bizantino. Allora si chiamava Nicea ed ospitò il consiglio ecumenico della chiesa cristiana. Raggiungiamo la piacevole cittadina dopo aver percorso una scorciatoia impegnativa che ci ha intrattenuti per 40 km con tornanti e ripide salite attraverso i piccoli borghi di montagna dove le case hanno ancora gli steccati di legno ed i fienili e le signore circolano con il fazzoletto ben legato attorno alla testa. Quando ormai siamo nei pressi vediamo dall’alto il lago incastonato tra le montagne e la città che, non avendo più vissuto momenti di particolare gloria dopo il X secolo, non ha molto da offrire se non i pochi edifici storici che rimangono superstiti dei saccheggi che seguirono ad opera dei turchi selgiuchidi. Quando ci fermiamo all’hotel Berlin sono già le sette di sera e noi siamo stremati per i ritmi frenetici di questo nostro viaggio itinerante….la doccia e le coccole finiscono col distruggerci completamente ed a fatica riusciamo a fare due passi in città. A quest’ora le strade del centro sono quasi deserte, solo gruppetti di donne dall’inconfondibile fazzoletto in testa sono sedute fuori dal portone di casa a chiacchierare, spalla contro spalla. Ci osservano curiose e rispondono cortesi ad un cenno di saluto. Raggiungiamo un negozio di ceramiche, per le quali la città è famosa fina dal XV sec., accanto ad un antico hammam. Entriamo. La ragazza che le produce ci spiega che la particolarità delle ceramiche di Iznik è la loro grande resistenza dovuta al particolare impasto a base di quarzo che viene poi magistralmente decorato nel caratteristico colore azzurro, o nel più recente rosso e verde. Sugli scaffali del piccolo ed ordinato atelier troviamo un paio di piatti davvero carini oltre ad una serie di brocche e ciotole di tutte le dimensioni…..il rosso è il colore che più ci piace….forse perché di ceramiche azzurre ne abbiamo viste fin troppe nella nostra vicina Faenza. Il bel ristorante dell’hotel sembra sprecato per questa cittadina così desolata e non particolarmente votata al turismo….e noi siamo gli unici clienti di questa sera. Coccolati dai camerieri zelanti assaggiamo le ottime pietanze che avevamo scelto ancora crude dal banco frigo adiacente alla cucina…..impossibile sbagliare, è come dare una sbirciatina al frigorifero prima di mettersi a tavola…..insomma un pò come essere a casa ! Ottimo il mio spiedino di pesce così come le pirzola di Vanni. Rimarremo anche domani…..voglio convincere mio marito ad una escursione in barca a remi sul lago, anche se già so che non ho speranze.

18 Giugno 2009

IZNIK

E’ talmente raro non dover ripartire subito dopo il risveglio che questa mattina sembra speciale fin dalle sue prime battute ed un ritmo lento mi accompagna nello sbrigare alcune cose necessarie come un piccolo bucato e la scrematura delle foto scattate ieri. Vanni è già attivo….il figlio del proprietario dell’hotel gli ha portato un pneumatico campione che però costa troppo ed ha letto la e-mail di Mahri, il nostro contatto in Turkmenistan, che sollecita l’invio delle copie dei nostri passaporti ed aggiunge che il paese è in quarantena. Per scongiurare l’eventuale pandemia di “febbre suina” nessuno può entrare nel paese…..e solo il primo luglio sapremo se il drastico provvedimento sarà sospeso e se potremo raggiungerne la capitale Turkmenbashi a bordo del traghetto in partenza da Baku. Nel caso l’accesso ci fosse negato dovremo rivoluzionare tutti i nostri progetti di viaggio…..ammesso che gli altri paesi dell’Asia centrale come Uzbekistan, Kazakistan, Tagikistan e Kirghizistan non abbiano adottato le stesse misure per la sicurezza nazionale. Andiamo in città solo verso l’una con una breve passeggiata che ci consente di raggiungere i resti dell’antica chiesa bizantina di Haghia Sophia, motivo della nostra visita ad Iznik…… ma che delusione ! Della chiesa edificata nell’ XI secolo non rimane quasi nulla se non le due cappelle laterali all’abside complete delle cupole, ed i muri perimetrali fin quasi all’imposta del tetto….pochi affreschi pressoché invisibili e qualche metro quadrato della pavimentazione a marmi policromi. Ne usciamo quasi come se non avessimo visto nulla, ma Iznik è una cittadina piacevole e la porta di Istanbul, vista all’inizio della passeggiata, inserita nell’antica cinta muraria del III sec. a.c. è bellissima e ben conservata. Seguendo l’ombra degli alti alberi percorriamo il decumano dell’impianto urbanistico romano, e dando qualche sbirciatina alle vetrine dei piccoli negozi godiamo della tranquillità della cittadina e della presenza dei suoi abitanti che vi passeggiano o sostano nei tavolini dei bar giocando a carte o bevendo il chaj…..semplicemente un tè. Con una breve deviazione dall’asse principale giungiamo all’area urbana che raccoglie i due edifici più interessanti della città, ovvero il museo archeologico ricco di interessanti reperti romani ed ospitato in un bell’edificio che fu l’ Ospizio per Dervisci nel XIV secolo. L’edificio in pietra è caratterizzato in facciata da un bel porticato ed è sormontato da una serie di cupole che lo fanno sembrare galleggiante. L’esposizione dei reperti prosegue in esterno nel giardino, dove fregi, capitelli e sarcofagi tutti risalenti al periodo romano, spiccano bianchi sul verde del prato. Di fronte c’è la Moschea Verde che fu edificata contestualmente all’ospizio. Il suo volume chiaro per via delle lastre di marmo che lo ricoprono interamente evidenzia per contrasto il bellissimo minareto rivestito di un mosaico di ceramiche verde intenso…quasi turchese. L’armonia dei suoi volumi ed il cromatismo deciso della torre ne fanno un oggetto accattivante, il protagonista della grande piazza alberata che lo contiene. Poco dopo, andando alla ricerca dei siti archeologici che si trovano nei pressi di Iznik, ci ritroviamo immersi negli oliveti ed alberi da frutto che circondano la cittadina. Come in una caccia al tesoro, mentre seguiamo le indicazioni dei pochi cartelli segnaletici agli incroci delle stradine di campagna, vediamo spuntare dalle basse chiome verdastre degli ulivi disposti in file ordinate, il famoso Obelisco, stranamente a sezione triangolare. Non poteva esistere un contesto più bucolico di questo, pensiamo mentre assaggiando le ottime pesche staccate da un albero nei pressi, rimiriamo l’oggetto marmoreo consumato dai secoli. Inutile tentare di decifrare l’ iscrizione in latino che compare su una delle superfici…..i ricordi del liceo sono ormai troppo lontani. Rientrando in città percorriamo l’intero lungolago con piccole spiagge ed alti alberi a creare una fascia di verde che lo divide dalla strada e dal centro urbano. Alcune barche a remi sono ferme sul bagnasciuga, gruppi di bambini fanno il bagno in prossimità delle macchie di canne lacustri che spuntano vicine alla riva. Tornando verso il centro ci fermiamo da un gommista dove Vanni mette in atto una simpatica contrattazione, con il gestore ed i presenti che non disdegnano di assistervi, che lo impegna per un tempo che a me sembra infinito. Finisce con l’ottenere quattro pneumatici nuovi a cento euro l’uno ed un tè gentilmente offertomi mentre seduta sugli scalini del condominio di fronte, socializzo in inglese con un gruppetto di bambine di 10 anni curiose di conoscermi. Non conoscono che poche parole, ma vince la curiosità e così una di loro torna di corsa con un vocabolario turco-inglese. Sono simpatiche, intelligenti e curiose….finisce con un gelato collettivo e dei gran saluti di commiato una volta terminata l’installazione dei pneumatici nuovi. E’ già l’ora di cena quando arriviamo in hotel ….. Apo, il cameriere zelante che insiste inutilmente a voler insegnarci alcune parole turche, ci serve un’ottima cena con servizio impeccabile….che bella conclusione per questa piacevolissima giornata trascorsa ad Iznik !

19 Giugno 2009

IZNIK – ANKARA

Ci svegliamo stranamente presto ed alle 10 siamo già a bordo di Asia diretti verso Adapazari. Immersi nelle morbide colline disseminate qua e la di laghetti artificiali che ne segnano le diverse curve di livello procediamo tranquilli godendo del paesaggio sempre più brullo dove le tonalità gialle del grano maturo ed i colori caldi delle rocce e della terra chiara si sostituiscono ai verdi delle larghe foglie del mais. Una volta raggiunta la periferia di Ankara percorriamo 15 km di strada per raggiungerne il centro che peraltro non si materializza in nessun punto preciso. Distribuita sulle basse e brulle colline dell’Anatolia occidentale, sembra cresciuta in modo caotico senza episodi pregevoli che ne rendano piacevole l’esservi. E’ bastato entrare per desiderare di uscirne in tempi brevi, inghiottiti come siamo dal traffico disordinato mentre seguiamo un taxi che ci guida all’ambasciata russa. Mai vista una città più brutta di questa e…..nota dolente, il consolato russo aprirà solo lunedì prossimo. In questo momento consideriamo l’eventualità di rimanere bloccati qui qualche giorno come una tragedia….quindi rimuoviamo tale pensiero e cerchiamo un hotel nei pressi, tanto per non dover tornare nel caos delle auto sfreccianti. Per fortuna l’hotel Midi è decisamente confortevole anche se costoso, ne occupiamo un’ampia camera al secondo piano, ma poi arriva immediata l’altra nota dolente, comunicata dal ragazzo di turno alla reception….. il famoso Museo delle Civiltà Anatoliche, straordinario per l’interesse storico dei reperti esposti, chiuderà alle 17, cioè tra un’ora. Non ci rimane che raggiungere a piedi la vicina torre panoramica dall’alto della quale constatiamo che la città non appare migliore nemmeno da questa prospettiva. Quando usciamo di nuovo sono quasi le 19….ancora presto per la cena, ma non per il concerto di musica di corte ottomana che leggiamo sulla guida svolgersi ogni venerdì sera nella saletta rossa del Museo della Pittura e della Scultura. Arriviamo in tempo per ammirare l’edificio in stile neoclassico anticipato da una elegante statua equestre, e per constatare che il concerto non avrà luogo…..che fare ? Tentiamo una visita alla vicina Cittadella bizantina che però sembra il Bronx di Ankara, con ragazzotti urlanti ed edifici fatiscenti in graticcio di legno. Muoviamo qualche passo lungo il corso principale osservando i tappeti ed i souvenir esposti nei negozi poi torniamo sui nostri passi per raggiungere il casualmente vicinissimo ristorante Boyacizade Konagi consigliatoci come uno dei migliori della città. Entriamo nell’edificio di legno a più piani e salendo le varie rampe di una scaletta stretta e ripida raggiungiamo la veranda dell’ultimo piano le cui vetrate sui tre lati si spalancano sulla città infuocata dal tramonto e sulle colline brulle che la contengono. All’improvviso la città si riempie delle voci dei muezzin che rendono ancor più magico questo tramonto strepitoso. Quando mi capita di sentire i muezzin intonare il loro richiamo alla preghiera capisco la forza dell’islam, così come quella del cattolicesimo ai rintocchi delle campane la domenica mattina. E’ un amore questo ristorante arredato con sofà, tappeti e mobili antichi tradizionali…..ci godiamo il lento avanzare della notte mentre la città si accende di luci colorate così come l’ottima cena. Considerando la piacevolezza della serata direi che abbiamo recuperato la pessima impressione iniziale…..in fondo non è poi tutto da buttare qui in città !

20 Giugno 2009

ANKARA – URGUP

Lasciamo la camera principesca verso le 10 ed in taxi raggiungiamo il museo delle Civiltà Anatoliche famoso per la ricchezza del patrimonio archeologico che contiene, dalla preistoria e poi attraverso le civiltà Atti, Assira, Ittita e Frigia che si sono susseguite nei secoli in territorio anatolico, giustamente definito la culla della civiltà. Quando entriamo nella prima sala che contiene i magnifici bassorilievi ittiti e post-ittiti, ne siamo così conquistati che io inizio a scattare foto in sequenza e Vanni, che giustamente desidera capire ciò che vede, va alla ricerca di una guida che parli italiano e la trova. Sul suo biglietto da visita è scritto: Ancien professeur de francais Muammer Potur. E’ un signore effettivamente piuttosto anziano dagli occhi vispi e odora di cipolla appena tagliata. Proprio come un professore di fronte ai suoi alunni, ci spiega con puntiglio tutta la storia dell’Asia Minore, dagli albori alle varie civiltà che si sono susseguite tra questi due fiumi, il Tigri e l’Eufrate. Tutto nasce qui in Mesopotamia. Sorprende che già 9000 anni fa le signore amassero adornarsi di monili….e che successivamente, nel 2000 a.c. gli Ittiti realizzassero piccoli recipienti a forma di animali, del tutto simili a quelli prodotti dai loro coetanei sudamericani precolombiani….e che nonostante il loro dio Toro si fosse trasformato nel tempo in leone e quindi in uomo, avesse pur sempre conservato le corna come simbolo di potere. Che gli ittiti usassero i gemelli per unire due lembi di tessuto e che il vino, uscito da un vaso a forma di toro divenisse una bevanda sacra. Mentre passeggiamo tra le vetrine che espongono i preziosi reperti il nostro professore ci fa delle domande trabocchetto per verificare se abbiamo capito o se è il caso di darci una strigliatina…..proprio come un professore d’altri tempi! Certo la storia avrebbe finito col piacerci anche ai tempi del liceo se ci fosse stata spiegata in un contesto di questo tipo….ricco dei capolavori del passato che rendono sopportabili le date e le nozioni da memorizzare. Dopo qualche ora siamo di nuovo circondati dalle colline morbide colorate nelle sfumature ocra dell’erba bruciata dal sole e nelle svariate tonalità delle terre, mentre serpenti di verde rigoglioso seguono come oasi sinuose i corsi d’acqua. Una montagna lontana ha la cima ancora innevata…è il vulcano Erciyes la cui cima ancora bianca fa un certo effetto considerando il caldo che fa da queste parti nonostante i 1200 metri di altitudine sui quali stiamo viaggiando. Le particolari formazioni rocciose che caratterizzano la Cappadocia diventano visibili nel tratto di strada che percorriamo da Nevsehir verso Urgup….funghi di tufo bianco in continua erosione che assumono varie forme, più o meno allungate, a cono o a parallelepipedo, con o senza il cappello di basalto nero che ne modifica l’erosione. Le grotte di Urgup ricordano vagamente i Sassi di Matera….la città vi si cala all’interno occupandone in parte le cavità e sviluppandosi poi nella conca compresa tra due falesie di tufo. Cerchiamo Dede Pansion, le sei camere che costituiscono la pensione gestita dalla moglie del professor Muammer. In parte ricavate all’interno delle grotte naturali, le camere sono spartane ma così particolari da conquistarci…..occupiamo la n°4, meno umida di quelle interne. Un piccolo bagno e due lettini, non c’è nient’altro che questo nella stanza bianca di vernice a calce coperta da un’alta volta a botte. Andiamo subito in paese per una ricognizione tattica…. io cerco un Magnum bianco e Vanni una tavoletta scritta a caratteri cuneiformi appartenuta a qualche mercante sumero o assiro. Se ne è innamorato questa mattina al museo ed ora non avrà pace finché non ne avrà una tutta per se. La scrittura cuneiforme risale al 2000 a.c. e fu usata dai commercianti assiri per registrare le proprie transazioni e gli accordi commerciali. Gli scritti venivano incisi su piccole tavolette di argilla e quindi cotte…..per mantenere la segretezza dei contenuti venivano successivamente avvolte in un altro sottile strato di argilla e cotte di nuovo per renderle rigide….che geni questi assiri…..nasce così la posta ed il biscotto ! Erano bellissime quelle esposte nel museo….non esattamente come queste, tutte rotte e senza la preziosa busta di argilla, che ci vengono mostrate da un negoziante trovato dopo una ricerca capillare per i negozi di souvenir della cittadina. Mentre la signora Dede si prodiga in consigli circa un buon ristorante di specialità della zona, economico ma dove non vengono serviti alcolici, noi sappiamo già che opteremo per la bella terrazza nei pressi della piazza principale. Quindi dopo esserci congedati da Dede e dal piccolo terrazzo che si affaccia sulla falesia ora al tramonto…. dopo il fitto chiacchiericcio in francese di reciproca conoscenza, accompagnato da una tazza di buon tè, scendiamo verso la piazza al ristorante. Un rigoglioso pergolato al piano terra e la terrazza ricavata sull’edificio di pietra locale nelle sfumature dell’avorio e del giallo caldo. Ci accomodiamo in un tavolo con vista ed ordiniamo la specialità del luogo…uno stufato di manzo cotto all’interno di una piccola anfora di argilla sigillata sopra il lungo collo da una palla di impasto di pane. Quando il cameriere arriva con l’anforina, toglie il tappo di pane e con qualche colpo di coltello ben assestato ne spezza il collo. Il gioco è fatto ! Il profumato contenuto viene versato in un piatto di portata e servito accompagnato da una insalata di orzo leggermente speziata. Squisito. L’escursione termica a 1200 metri di altitudine si fa sentire e così aumentano i bicchieri di vino bevuti e con esso l’allegria amplificata dalla musica che arriva dal pianoforte nel cortile d’ingresso. Rientriamo poi nel nostro antro che a quest’ora è freddo come una cella frigorifera…..ma poi dormiamo sonni tranquilli nei nostri due lettini. Chissà se Vanni dovrà contendersi con un topino il suo spuntino notturno a base di dolci!

21 Giugno 2009

URGUP – KAYSERI

Prendiamo la nostra colazione sul terrazzino ora assolato. Di fronte a noi le aperture delle abitazioni ricavate nella falesia spiccano come buchi neri nel colore chiaro della roccia o dei pochi muri costruiti in aggetto dalla sua superficie piatta. Di fronte a questa magnifica quinta assaggiamo i manicaretti che la settantenne Dede ha preparato per noi sopravvalutando decisamente il nostro appetito. Si siede anche lei approfittandone per fare un’ultima chiacchierata prima di tornare alla sua solitudine. Vanni è già pronto da almeno 15 minuti quando esco finalmente dalla camera trascinando il mio trolley….due bacini a Dede e partiamo alla scoperta delle meraviglie della Cappadocia puntando verso Goreme…il centro nevralgico per concentrazione di pennacchi rocciosi in continua erosione e di insediamenti scavati nella cedevole roccia tufacea dai primi cristiani che vi abitarono. Sono decine gli edifici sacri risalenti al periodo compreso tra il I sec. e l’XI sec. d.c. presenti nel museo all’aperto di Goreme. Li visitiamo entrando nelle grotte modellate nelle tipologie tipicamente ecclesiali, con colonne, absidi, cupole ed archi che non hanno in questo caso nessuna funzione strutturale. Per la bellezza di alcune di queste chiese affrescate e per il sollievo che la frescura degli interni ci da in contrasto con la temperatura sahariana di oggi, non usciremmo più da questi luoghi sacri. Gli affreschi più antichi sono dipinti direttamente sulla roccia….. di colore rosso, rappresentano croci e disegni geometrici. Le chiese che invece furono affrescate successivamente il periodo iconoclasta illustrano attraverso le immagini i santi, il cristo ed alcuni episodi legati al culto. Quasi sempre i visi delle figure dipinte sono rovinati con incisioni che ne hanno cancellato i lineamenti….del resto siamo in territorio musulmano ed è plausibile che, in un determinato momento storico, questo scempio sia potuto accadere. Dopo la visita alle innumerevoli chiese e cappelle funerarie scavate nella roccia, ci spostiamo di qualche chilometro per vedere le formazioni rocciose dalle caratteristiche forme allungate o coniche. Le più belle sono le “fate” che troviamo a Pasabagi…..di roccia chiara, hanno sulla loro sommità cappelli di basalto a forma di cono. Quasi irreali e così belle da sembrare uscite dalla matita di un bravo fumettista ci fermiamo a rimirarle a lungo, passeggiando lungo il sentiero che corre alla loro base. Dopo l’immersione nel paesaggio bizzarro dell’area di Goreme andiamo a visitare un’altra bizzarria, questa volta assolutamente ipogea…..la città sotterranea di Kaimakli nella quale centinaia di persone abitarono nel periodo compreso tra il VI e l’XI sec. Il sito archeologico, preceduto come di consueto da un percorso pedonale organizzato in bancarelle di souvenir, ci sorprende per una serie di motivi. Per la dislocazione labirintica delle unità abitative per esempio, costituite da vani piccoli e bassi scavati senza spigoli nella roccia. Ognuno di essi è adibito alle diverse funzioni legate all’abitare ed allo stoccaggio degli alimenti…..ma poi non manca la cantina per la conservazione del vino che restituisce a questo luogo tetro una connotazione di gioia necessariamente legata alla vita. Gli angusti cunicoli che collegano le varie cellule fanno riflettere sulle dimensioni degli uomini che abitavano nell’insediamento. Pur non essendo noi dei giganti dobbiamo attraversarli con la schiena protesa in avanti, le gambe flesse sulle ginocchia e le braccia raccolte per non strisciare le spalle sui due lati dei cunicoli, spesso inclinati per collegare i diversi livelli del centro. Pozzi verticali perfettamente squadrati e con fori sui due lati che li rendono percorribili, costituiscono gli elementi del complesso sistema di ventilazione del sito che si sviluppa su cinque livelli visitabili e tre non accessibili al pubblico. Per quanto affascinante non è certo il luogo adatto a chi come noi è anche solo vagamente claustrofobico … la visita è quindi rapida e non proprio piacevole. Senza l’aiuto di una guida che ci conduca attraverso i vari ambienti, seguiamo le frecce rosse cercando di non perderci nel labirinto orizzontale e verticale di scalette e cunicoli che a fatica e molto parzialmente riusciamo a conquistare…quasi un incubo! Stremati per il caldo soffocante, la folla di visitatori e per la fatica delle visite in condizioni non sempre confortevoli, lasciamo la Cappadocia per un piccolo avvicinamento al prossimo interessante sito archeologico che ci attende sul Monte Nemrut a diverse centinaia di chilometri da qui. Per il momento ci spostiamo verso Kayseri a circa 60 km da Goreme, scivolando tra i pendii lievi dell’Anatolia centrale illuminati dalla luce calda di questo tardo pomeriggio. In lontananza di fronte a noi la cima innevata del vulcano Erciyes è il nostro faro….impossibile sbagliare, Kayseri sorge proprio nei suoi pressi. Quando verso le 19 raggiungiamo la reception dell’hotel prescelto, alla richiesta dei passaporti mi sento mancare…..la signora Dede si è dimenticata di restituirceli e noi di chiederli. Arrabbiata come una pantera ed allo stesso tempo distrutta dalla stanchezza comunico a Vanni la devastante notizia. A settant’anni è forse tempo di riposare e non pensare più al lavoro rimugino tra me mentre ritorniamo a Urgup. Trascorriamo le successive due ore in auto ma poi quando ci riproponiamo al receptionist del solito hotel veniamo accolti da un sorriso di incoraggiamento che ci consola almeno quanto la doccia e la cena in terrazza.

22 Giugno 2009

KAYSERI – MALATYA

Quando mi sveglio alle 10 la colazione è pronta sul comodino…. sempre in ritardo la mattina, mi preparo in fretta e partiamo per la seconda tappa di avvicinamento al monte Nemrut con l’obiettivo però di non stancarci troppo viaggiando a lungo pur di arrivare alla meta finale e di fermarci invece a Malatya…..una città non proprio interessante ma comodo trampolino per la visita del sito archeologico che dista dalla città solo una cinquantina di chilometri. Attorno a noi il paesaggio montuoso diventa sempre più brullo e dai bellissimi colori nelle sfumature dei grigi e dei nocciola…..attraversiamo vallate e valichiamo montagne sfiorando talvolta i 1900 metri di altitudine. Asia sempre in forma ci conduce attraverso il paesaggio lunare che ci godiamo passando, inquadrato nel rettangolo del vetro anteriore e talvolta in open air scendendo per qualche imperdibile foto. Le vallate sempre verdeggianti ci regalano talvolta l’avvistamento di gruppi di tende abitate delle popolazioni nomadi….retaggio dell’antica tradizione dei turchi-ottomani che per secoli prima di divenire stanziali si spostavano nei territori dell’Asia minore alla ricerca di animali da cacciare o di frutti da raccogliere. Il magnifico paesaggio dalle tinte chiare dell’Anatolia orientale si incupisce di colpo all’arrivo di un temporale che oscura il cielo con nuvoloni neri….in questo contesto ha quasi il sapore di un’apocalisse ! Dopo il fortunale la nostra attenzione è attirata dalle bancarelle ai bordi della strada che espongono, appese a bastoni orizzontali, strisce trasparenti che trattengono rettangoli di una misteriosa pasta arancione. Ci fermiamo. Il venditore, avvezzo alla curiosità dei turisti è molto disponibile e così ne stacca due pezzetti che ci porge da assaggiare. Il mistero viene dissipato dall’intenso sapore di albicocca che si sprigiona immediato….del resto siamo circondati dai frutteti!…ma che modo originale e pratico per gestire la marmellata! Anziché metterla dentro ai vasetti viene spalmata in spessori di pochi millimetri su pellicole trasparenti, fatta seccare ed è pronta per essere mangiata come una caramella senza dover ricorrere all’uso di cucchiaini ….c’è qualche piccolo sassolino, ma da queste parti non c’è da stupirsene. Quando arriviamo a Malatya il cielo è già completamente schiarito e la città, adagiata tra le montagne lunari, sta per spegnersi alla luce del tramonto. Occupiamo la confortevole suite dell’Hotel Anatolia…il migliore della città se non fosse per la coperta dorata e decorata con lustrini e paillettes sul nostro letto. A cena gustiamo un’ottima peperonata addizionata con qualche fettina di albicocca, il frutto della zona per il quale ogni anno a metà luglio si organizza anche un festival…..certo questa peperonata è magica !

23 Giugno 2009

MALATYA – KAHTA

Il ragazzo della reception che ieri sera aveva caldeggiato la strada breve anche se più accidentata per raggiungere il Monte Nemrut Dagi ora ritratta e senza esitare ci consiglia di seguire la strada più comoda che passando da Adiyaman e Kahta raggiunge l’obiettivo in 250 km. Indecisi sul da farsi percorriamo 5 km in direzione della scorciatoia per poi fare una inversione di marcia e scegliere la via più sicura…..anche perché della prima non c’è traccia sul nostro navigatore ed anche la carta stradale non indica chiaramente il percorso da seguire. Dopo qualche ora di auto sulla strada trafficata e con frequenti rallentamenti per lavori in corso, siamo già pentiti della scelta ed io inizio a pensare alla nostra vacanza come ad una somma di troppe giornate trascorse sulle strade….. dei quindici giorni di viaggio ne abbiamo trascorsi solo due fermi in un luogo…..a Sarayevo ed a Iznik…..per il resto abbiamo fatto visite troppo frettolose e percorso troppi chilometri in pochi giorni. Capisco che a Vanni non interessi vedere il patrimonio artistico culturale dei paesi che attraversiamo, ma è anche vero che per me il senso del viaggio è proprio questo e non mi interessa raggiungere il Kazakistan solo per dire di esserci arrivata o per aggiungere un timbro sul passaporto…. quindi scoppia una discussione che ci fa solo male e che non risolve vista la sostanziale divergenza di opinioni al riguardo. Quando dopo una salita vertiginosa arriviamo nel punto dal quale si prosegue a piedi per raggiungere il sito archeologico, siamo ancora di pessimo umore, ma il paesaggio circostante è così bello dall’alto dei duemila metri dal quale lo osserviamo, che tutto il resto non ha più importanza. La stretta strada bianca che abbiamo appena percorso è laggiù, sinuosa tra le montagne brulle dalle incantevoli sfumature giallo – arancio. Più oltre un cordone di montagne rocciose dalle tinte brune e l’Eufrate, la cui importanza storica conosciamo fin da piccoli appresa sui libri della scuola elementare….troppo presto per capire l’importanza che questo triangolo di terra ha avuto nello sviluppo della cultura anche Europea. Il grande fiume è laggiù, dilatato in forma di lago dalla grande diga voluta da Ataturk, che tra le altre cose ottenne l’unificazione della Turchia e la democrazia laica per il suo paese. Il bacino dell’Eufrate segue un profilo irregolare, incastrato nel paesaggio montuoso dell’Anatolia orientale….. lo vediamo sfumato dalla foschia densa di questa giornata variabile anche climaticamente. Iniziamo la salita a piedi seguendo il sentiero pietroso che sale fino a raggiungere l’alto tumulo conico alla cui base sono le due terrazze…..la Est e la Ovest del grande complesso celebrativo voluto da Antioco I che regnò tra il 64 ed il 38 a.c. a capo dei Commageni. Raggiungiamo con un certo sforzo la terrazza Est, dove una piattaforma di pietra grigia alta un paio di scalini si protende parzialmente a sbalzo sullo strapiombo sottostante. Sul lato opposto, alla base del grande tumulo a ogiva una serie di figure realizzate in blocchi di pietra sovrapposti sono sedute su troni come in attesa del sorgere del sole. Le loro teste sono precipitate al suolo ed ora stanno tutte in fila alla base dei corpi mutilati forse da un terremoto. Le figure rappresentano il leone, l’aquila, alcune figure della mitologia greca come Tiche, Zeus, Apollo ed Ercole ed infine Antioco, il re che concepì lo straordinario complesso. Peccato che a quest’ora del pomeriggio questo lato Est sia in ombra. Ci spostiamo camminando attorno al tumulo per raggiungere la terrazza Ovest ora in pieno sole. Le possenti figure sedute sono ancora più grandi delle altre e le loro teste sono ritte ma non allineate come le precedenti. Grandi ed espressive, giacciono in ordine sparso alla base dei troni ed offrono così stupende prospettive dai diversi punti di vista. Ci sediamo di fronte ai resti su un paio di grosse pietre che dovevano appartenere ai corpi e rimaniamo a lungo in contemplazione di tanta bellezza e dell’incredibile paesaggio circostante che da qui sembra lontanissimo. E’ come essere sulla cima del mondo, eppure 2100 metri sono pochissimi. Scendiamo in seconda la strada ripidissima….e priva di barriere di protezione a violare il paesaggio….raggiungiamo di nuovo Katha dopo circa 50 km di curve che pesano come macigni mentre la tensione a bordo si è solo attenuata. Dopo una lunga ricerca ed una serie di domande rivolte ai passanti raggiungiamo l’hotel Zeus che strada facendo capiamo essere il migliore….non è semplice ottenere informazioni qui dove nessuno parla inglese, ma per fortuna la parola hotel è ormai diventata patrimonio dell’umanità almeno quanto il bel volto di Tiche. Il Zeus non è male, ma i suoi impiegati non brillano per cortesia….soprattutto il ragazzo che mi accompagna a vedere la camera al secondo piano senza usare l’ascensore….sarà forse per non sfigurare di fronte a quei maschi visti lungo le strade che comodamente seduti sui muli lasciano le donne seguire a piedi in lento corteo. Qui dove l’islam è più integralista le più elementari forme di cortesia nei confronti del femminile anche non autoctono sono del tutto negate….ce ne eravamo accorti ieri sera al ristorante di Malatya ,dove il cameriere più anziano ha sempre servito Vanni prima di me. Alle 19 siamo affamati, così raggiungiamo il ristorante di fronte all’hotel dove i clienti ci osservano con curiosità mista a diffidenza, poi quasi scandalizzati alla nostra domanda rispondono che non servono alcol. Mangiamo bene, ma mi rifilano uno shashlik di carne di pecora spacciandomela per manzo…che stronzi….sarei contenta di averli miei ospiti per rifilargli una bella salsiccia di maiale alla traditora !

24 Giugno 2009

KAHTA – BITLIS

Il cielo azzurro di oggi fa da sfondo al nostro lungo viaggio verso il lago Van. Con la pecora ancora nello stomaco percorriamo a ritroso parte della strada di ieri fino al bivio per il monte Nemrut, quindi proseguiamo verso Feribot tra le brulle montagne di questo angolo di Anatolia, punteggiata dal poco verde a ciuffi che riesce a crescervi. Arrivati sul cocuzzolo che precede le due case sul fiume del borgo ci si apre un incantevole scenario. Il fiume Eufrate, dal colore straordinariamente blu segue un percorso sinuoso tra le alte rocce chiare che lo delimitano creando la riva opposta alla nostra. Che spettacolo….l’acqua sembra una superficie iridescente ! Dopo la doverosa sosta in alto per ammirare questo gioco particolarmente pittoresco di roccia ed acqua, scendiamo la ripida stradina che arriva all’approdo fermandoci a pochi metri dall’ombroso pergolato di un baretto sotto il quale aspettiamo l’arrivo del ferry continuando a godere di quel blu e dell’aria tiepida. Mentre poco dopo, seduta a poppa, aspetto sola che il ferry inizi a caricare i pochi mezzi che può contenere, osservo rinfrescata dall’ombra e dalla brezza alcune persone che si muovono sulla riva. Sono un paio di camionisti che indossano i particolari calzoni dal cavallo basso che arriva oltre il ginocchio. Un mix tra una gonna ed un pantalone che hanno l’aria di essere comodissimi e che conferisce a chi li indossa un’originalità che mi piace….del resto trovo molto attraenti gli uomini con le gonne, che si tratti di un pareo o di un caftano. Sulla collinetta di fronte una donna è in compagnia delle sue tre mucche al pascolo…indossa un fazzoletto bianco che le copre la testa e le avvolge il collo, una sottana lunga ed ampia ed uno spolverino che le arriva al ginocchio. E’ grassottella e molto abbronzata…chissà a cosa pensa mentre con un bastoncino spinge le vacche lontane dalla scarpata. Un signore appena salito ha un’aria piuttosto marziale nel suo completo tradizionale color verde ma poi ecco che una striscia di tessuto viola arrotolata sulla testa come un turbante gli conferisce un certo fascino. Il viso ossuto come il suo corpo, la pelle leggermente scura ed i lineamenti marcati gli conferiscono un’aria un pò truce. Partiamo finalmente, risalendo per qualche centinaio di metri le acque dell’ Eufrate contenute in questo tratto da lievi pendii. Inizia poi la corsa verso Diyarbakir nel cui centro storico, “sahir merkezi” sul cartello stradale, ci fermiamo ad osservare le antiche mura di pietra nera ed una chiesa bizantina semi distrutta. L’ultimo tratto di strada per raggiungere Bitlis è il più tosto…un po’ per il caldo intenso che l’aria condizionata di Asia non riesce a smorzare, un po’ per i numerosi cantieri sulla carreggiata che ci accompagnano fino all’Otel Mermer della città. Strada facendo ci siamo divertiti nell’osservare le infinite distese di grano cresciuto sulle morbide colline della fertile Mesopotamia….le montagne dai bei colori caldi come dipinti all’aerografo in sfumature degne di un bravo stilista…. e poi nel seguire le manovre dei due pullman iraniani che si sono esibiti in sorpassi ad alto rischio tra le curve strette della strada in rifacimento…. e poi la chicca. Gli stessi due pullman fermi per una sosta sui due bordi opposti della strada….solo donne vestite di nero e con chador scese dal pullman di sinistra, soli uomini scesi da quello di destra…..che non se ne parli nemmeno di fare pullman misti ! Che delirio queste forme di misoginia scaturite dall’ islam….e chissà quante patologie psichiche avrà generato tra i suoi adepti. L’Otel Mermer è sulla strada trafficata di fronte ad una cava di pietra che domani mattina sarà in piena attività. Pochi comfort ma pulito. Sono già le 18 quando usciamo dalla doccia…..eppure le otto ore di viaggio non sono state sufficienti per Vanni che ora lamenta di non saper cosa fare….- avrei guidato per altre due ore – mi dece mentre lo osservo basita. Il mio pilota scalpita! I curdi dei quali ora siamo circondati, sono più ombrosi dei turchi incontrati finora e decisamente più intransigenti circa il consumo di alcol che da due giorni non troviamo nei ristoranti…..poi questa mancanza di gentilezza nei confronti del femminile inizia a stancarmi….anche questa sera vengo servita qualche minuto dopo Vanni.

25 Giugno 2009

BITLIS – DOGUBEYAZIT

L’acqua del lago Van non è poi così blu come l’avevamo immaginata….rimaniamo entrambi un pò delusi quando la avvistiamo sbucando dalle montagne che circondano il lago….ma non demordiamo. Il lago Van è piuttosto esteso, sulle sue acque salate ed alcaline si affacciano montagne che raggiungono i 4500 metri di altezza…..stiamo parlando di un bacino d’acqua a 2150 metri di quota. Non demordiamo perché il nostro obiettivo vero è sulla piccola isola che si trova di fronte a Gevas……contiene, appollaiata sulle sue rocce, la splendida chiesa armena di Santa Croce risalente al X secolo che non possiamo perdere. Avremo quindi più di una possibilità di vedere il famoso blu del lago percorrendo la strada che lo costeggia a tratti nella sua parte sud ed est. Proprio nei pressi di Gevas, con il sole alle spalle ecco che il colore dell’acqua si fa interessante ed invoglia ad un piccolo bagno …. ma arrivano una serie di nuvoloni neri ad allontanare la tentazione di bagnarci ed a guastare la festa anche nella visita all’isola che raggiungiamo in 15 minuti di traghetto dal primo approdo che vediamo dalla strada nei pressi di Gevas. La chiesa a pianta centrale è coperta al centro della croce dal caratteristico tetto conico appoggiato sul tamburo cilindrico….ma ciò che la rende unica è la ricchezza figurativa dei bassorilievi scolpiti sulla pietra rossastra dei muri perimetrali. Vanni li osserva nei dettagli con il suo binocolo mentre io mi scateno con la macchina fotografica. Sono disegni semplici, ma molto espressivi di animali, che ricorrono soprattutto nelle cornici marcapiano, o scene bibliche nelle quali un cavaliere combatte un leone, o un serpente che si avvolge alla zampa del cavallo…..o pecore inseguite da fiere feroci, o la lotta tra un leone ed un toro. Non potevano mancare Adamo ed Eva accanto al famoso albero e le immagini dei santi con l’aureola perfettamente circolare a negare qualsiasi prospettiva come si addice ai rigidi criteri della rappresentazione iconografica bizantina che impone la vista frontale. L’immagine che più ci colpisce, oltre ai visi scavati e dalle orbite vuote che segnano una parte dell’imposta del tetto, è quella di una caravella sospinta dalla vela rettangolare spiegata contenente quattro marinai, uno di essi ha la testa intrappolata nelle fauci di un grosso pesce, gli altri tre lo tirano dai piedi nel tentativo di salvarlo. Che meraviglia di chiesetta! Osservandola dall’alto di un picco roccioso stagliarsi contro il blu del lago e sulla montagna innevata sullo sfondo sembra un gioiello. Infine piove ed il cielo è plumbeo…..certo non si può rimanere al lago con un tempo così….quindi ci spingiamo a Nord nella speranza di sfuggire alla perturbazione che ci ha colti proprio sul più bello. In avvicinamento al confine con la Georgia ci spingiamo ancor più in territorio curdo verso il monte Ararat che ad un certo punto si impone di fronte a noi enorme e con la cima coperta di neve. Peccato per la foschia e le nuvole che ne coprono la sommità….ma poi che evento essere arrivati ai piedi della montagna resa famosa dalla leggenda di Noè e della sua Arca…..e com’è bella nonostante le avverse condizioni climatiche ! Dopo aver visto le montagne di tutte le forme e colori e le pecore e le capre sull’erba verde nelle piccole vallate, dopo i viaggiatori a dorso di mulo ed i giovani pastori, le donne coperte ed i bambini che raccoglievano il fieno, dopo i fiori selvatici ai bordi della strada in bouquet colorati nel blu, giallo e viola, i controlli dei documenti in posti di blocco militari per via dei curdi con velleità indipendentiste e dopo anche l’Ararat, approdiamo nella cittadina di Dogubeyazit adagiata ai suoi piedi. Il cielo ancora coperto dalle nuvole non scoraggia la visita al vicino palazzo fortezza ottocentesco di Ishak Pasa Saraya. Voluto da un governatore ottomano è arroccato su una collina ad una decina di chilometri dalla città. Lo vediamo da lontano, con il suo bastione possente, il minareto a righe orizzontali e la cupola della moschea sulla quale spuntano ciuffetti d’erba. Abbiamo solo venti minuti per visitarlo…..chiuderà alle 17.30. Un portale riccamente decorato con bassorilievi di matrice armena ci introduce al primo cortile e quindi al secondo dal quale entriamo nella moschea. Interamente realizzato in blocchi di pietra dalle tonalità rossicce, è riccamente decorato con bassorilievi a motivi floreali. Incantevoli cortili interni colonnati distribuiscono le aree funzionali del complesso riassunte nell’harem, le aree riservate agli uomini e la cucina. In ogni camera un bel camino sporge a semicerchio dalla parete di fondo al centro di due finestre che inquadrano settori di paesaggio montuoso. Davvero un bel modo di concludere la giornata di oggi. Dormiamo all’hotel Golden Hill, un quattro stelle declassato a tre…..ma la città non offre nulla di meglio e noi siamo ormai abituati alla mediocrità degli hotel della Turchia orientale !

26 Giugno 2009

DOGUBEYAZIT – ARDAHAN

Circondato dal cielo azzurro l’Ararat è inquadrato nella finestra della nostra camera…. sulla cima innevata un cappello sottile bianco, una nuvola leggera come un fazzoletto appoggiato a quota 5137 metri. Illuminato dal sole il paesaggio che vediamo girovagando nell’Anatolia Orientale ci regala scorci strepitosi su montagne ricoperte di verdi prati all’inglese che ne rimarcano le forme complesse….nessun albero o cespuglio, solo variopinti fiori di campo o interi rettangoli rosa o gialli dei fiori dei cereali che vi sono coltivati. Qualche roccia nera spunta dal verde compatto dove gli animali pascolano in gruppi…..data l’assenza totale di alberi li potremmo contare uno ad uno. Dopo le mucche e le pecore ecco che anche gruppi di cavalli allo stato brado brucano i lievi pendii. Qualche tenda bianca circolare dal caratteristico tetto a cono accoglie le famiglie nomadi o funge da appoggio a chi si dedica all’apicoltura o all’agricoltura che il suolo roccioso, nascosto da quel tappetino verde acceso, consente loro. Ad ogni valico il paesaggio cambia leggermente ed ora ci troviamo immersi in un paesaggio di rocce colorate nelle sfumature del verde, giallo, rosso ……come dentro un caleidoscopio godiamo dell’insolito spettacolo creato dai minerali contenuti nel sottosuolo e non stupisce che alcuni abbiano scelto questo posto dove vivere stabilmente. Scatole di pietra coperte da lamiere appoggiate ai muri perimetrali sono le catapecchie dove alcuni locali vivono, sintomo di quanto sia diffusa la povertà in quest’angolo di Turchia. Saliamo e scendiamo in un’altalena di vallate e montagne da superare poi, nei pressi di Igdir, ci assestiamo a quota 1750 metri ….. abbiamo quasi raggiunto l’antica capitale armena di Ani ironicamente in territorio turco ma adiacente al confine con l’Armenia che si sviluppa oltre il fiume che delimita l’area archeologica. Ciò che rimane della città che fu edificata a partire dal 961 d.c. è poca cosa rispetto alla sua bellezza passata….ed il suo appellativo di “città dalle cento chiese” ne rende solo in parte l’idea….rimangono un tratto della possente cinta muraria con bastioni cilindrici che ne flettono il profilo esterno, una basilica a pianta longitudinale completamente scoperchiata e sostenuta all’esterno da puntoni di ferro, due edifici sacri a pianta circolare uno dei quali in parte crollato. I crolli consentono di leggere la tecnica costruttiva impiegata un tempo per la realizzazione degli edifici sacri… i muri perimetrali sono costituiti da due pareti parallele di blocchi di pietra la cui intercapedine è riempita di pietrisco e materiale di risulta. La superficie esterna dei blocchi rossastri veniva poi scolpita a creare elementi a bassorilievo con funzione puramente decorativa. I paramenti dei pochi edifici rimasti presentano modanature che inquadrano le finestre o articolano la facciata con archetti e colonnine circolari, secondo la modalità caratteristica dell’architettura armena costituita dalla continuità delle cornici decorative che flettono attorno agli elementi senza mai interrompersi. In ordine sparso sul prato ricco di margherite cresciute spontaneamente, i pochi edifici sopravvissuti sono belli anche se in rovina, per quei ritagli di cielo visibili dai tetti sfondati e per i fasci di luce che entrano ad illuminare un capitello dalle forme levigate dalle intemperie o i ciuffi d’erba che sostituiscono il pavimento. Più oltre le acque dense del fiume Arpa, flesso in una doppia ansa, segnano il confine naturale……inutile dire che anche il ponte è crollato. Il cielo all’improvviso si fa nero di pioggia ed io guadagno in fretta le poche centinaia di metri che mi separano da Asia e da Vanni che senza accorgermene aveva già raggiunto l’uscita….appena in tempo per essere soccorsa. Un piccolo malore dovuto al caldo ed al sole cocente nelle due ore di visita mi lascia senza forze sul sedile di Asia che raggiungo a fatica…. Vanni si attiva subito appoggiando sulla mia fronte e sui polsi delle salviette umide e sventolando un giornale per darmi un pò di sollievo….il corso di primo soccorso inizia a dare i suoi frutti ! Dopo la merenda a base di ciliegie acquistate sulla strada della vicina Ocakli, rimane solo un pò di spossatezza …si può continuare l’avvicinamento alla Georgia. Per non esagerare ci fermiamo nella cittadina di Ardahan che non ha molto da offrire se non una camera al limite della decenza dove dormire. L’hotel Buyuk Ardahan sembra un vecchio hotel di regime ormai allo sfascio ed a parte i computer alla reception, nuovi ed a schermo piatto, tutto il resto sarebbe da buttare….eppure è il migliore in zona. Quando Vanni torna dalla sua visita al barbiere sembra un bambino con i capelli impomatati e la barba corta…..è divertito mentre racconta delle usanza dei barbieri del luogo. Certo l’acqua calda non sgorga dai rubinetti ma viene scaldata in contenitori di latta sulla stufa ed il rasoio viene disinfettato immergendolo nell’alcol e poi incendiandolo con un fiammifero….ma la cosa più divertente è la depilazione delle orecchie che avviene per bruciatura con l’ausilio di un cacciavite la cui punta avvolta di garza viene incendiata. Nonostante la sofisticata tecnica qualche pelo è rimasto, ma le orecchie almeno non sono ustionate ! La barba è ben disegnata ed i capelli li vedremo quando il gel sarà rimosso dal prossimo shampoo…..ma il colore è decisamente meno grigio, forse gli hanno fatto una fiala colorata alla traditora! Al ristorante dell’hotel veniamo dirottati, come sempre qui in Turchia, al banco frigo che contiene i prodotti disponibili dentro a vaschette di acciaio. Carne cruda, verdure già pronte in insalate….scegliamo tra le poche cose ciò che stuzzica maggiormente il nostro appetito, anche se tutto, dalle bistecche ai funghi trifolati ed all’insalata russa sembra in giacenza da diversi giorni. Quando infine Vanni chiede un whisky gli viene risposto che non ce n’è, ma lui insiste dicendo che ha visto le bottiglie piene sulle mensole del bar. Non si può capire la nostra sorpresa alla risposta….le bottiglie sono state riempite di tè ! Poveri turchi. Forse che un tè uscito da una bottiglia di J&B fa un certo effetto? Lo scambio di battute ci fa tornare in mente i cortometraggi di propaganda visti ogni tanto in tv in cui c’è sempre una ragazza alle prese con un ubriaco molesto….la ragazza infastidita anche dal suo alito cerca di evitarlo con sguardo sospeso tra la pietà ed il disgusto e di convincerlo a non bere più. Al di là della condivisione della denuncia all’alcolismo troviamo che poter scegliere sia sempre una gran cosa.


Menù delle città

Percorso della tappa

Fotografie
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Cambia Tappa

29 Lombok Island

Asia

30 Bali Island

Asia

31 Java Island

Asia

32 Karimunjawa National Park

Asia

33 Bali Island

Asia

34 Papua Nuova Guinea

Asia

35 Raja Ampat

Asia

36 Papua Nuova Guinea

Asia

37 Java Island

Asia

07 Georgia


27 Giugno 2009

ARDAHAN – BATUMI

Ancora qualche lavoro in corso per l’ampliamento della carreggiata che corre verso Ovest, poi una panoramica doppia corsia ci porta tra incantevoli paesaggi di montagne verdi di prati e poi degli abeti che tanto piacciono a Vanni….ma solo dopo essere scesi dai 2660 metri del valico più alto di oggi. Ci fermiamo diverse volte a contemplare dall’alto le strette vallate e le cime innevate di una catena lontana. Siamo ancora oltre i 2000 metri quando ci troviamo tra le baite di legno di un piccolo villaggio che sembra abbandonato…..il legno reso grigio dal sole e dalle intemperie fa sembrare queste vecchie case dei fossili. Le uniche forme di vita sono rappresentate da un paio di uomini che fanno manutenzione ad un tetto di lamiera….nessun altro…. una pestilenza o un villaggio vacanze ancora vuoto? La strada stretta serpeggia in un saliscendi di curve e tornanti, precipizi ed il fiume accanto al quale ad un certo punto ci troviamo anche noi a scorrere verso valle. Arriviamo alla quota zero di Hopa, sul mar Nero, verso le 13. Il mare è grigio come il cielo che nel frattempo si è coperto di nuvole come ogni pomeriggio ormai….l’aria già caldissima è resa soffocante dall’umidità. Costeggiamo il mare fino a raggiungere la frontiera turca dove iniziano i primi problemi dovuti al caos che regna sovrano tra gli automobilisti che cercano di infilarsi nelle file di auto incolonnate creando così ingorghi indistricabili. Se aggiungiamo a questo il fatto che nessuno degli impiegati della dogana parla inglese e che i computer funzionano a singhiozzo rendendo così lunghi i tempi di verifica dei dati di Asia al terminale, è comprensibile che il passaggio alla Georgia avvenga con un certo stress. Vanni è furioso…se avessimo avuto il “Carnet de passage” come negli altri viaggi, Asia non sarebbe stata registrata sul suo passaporto ed ora noi non saremmo bloccati qui ad aspettare che il terminale torni a funzionare….Chissà se la responsabilità di tutto ciò è dell’impiegato ACI di Ravenna che, non informato sulle modalità di importazione di auto nei paesi che attraverseremo in questo nostro viaggio, aveva garantito a Vanni che l’auto sarebbe entrata senza problemi, tanto meno registrata sul passaporto…. o se invece sono i turchi a non aver informato di eventuali variazioni le ambasciate europee e di conseguenza gli uffici competenti….ed ora come faremo se anche in Kazakistan, nostra meta finale, le modalità saranno queste? Se sarà così Vanni non potrà uscire dal paese senza Asia, tanto meno salire sull’aereo per il rientro in Italia. Superata con sofferenza la barriera turca, dove l’efficienza degli impiegati è ampiamente superata da quella dei loro colleghi africani, arriviamo dopo pochi metri alla frontiera georgiana dove alla perquisizione dell’auto segue di nuovo la registrazione di Asia sul passaporto…..con grande disappunto di Vanni che già si immagina bloccato a tempo indeterminato ad Almaty in Kazakistan. Raggiungiamo la vicina Batumi alle quattro del pomeriggio. Il cielo è plumbeo e l’aria così umida da rendere appiccicosa la nostra pelle…..il mare è grigiastro e l’impatto con la città non proprio positivo. Nella periferia che attraversiamo diverse mucche brucano l’erba degli spartitraffico rendendo disagevole il procedere….poi gli enormi condomini di regime, oggi in degrado, formano una barriera visiva piuttosto sgradevole. Entriamo finalmente nel centro storico ricco di vecchi edifici neoclassici ristrutturati o in fase di recupero. Dopo aver costeggiato il parco urbano che segue parallelo la spiaggia di ciottoli, cerchiamo un varco tra le strade del centro interrotte dai lavori di manutenzione riuscendo a conquistare l’hotel prescelto…..Il Rcheuli Villa infine ci premia assegnandoci la camera bellissima al secondo piano….la migliore che potessimo trovare qui a Batumi, ( rcheuli_villa@mail.ru +995 99637662 +995 97637662 ). Ricavato all’interno di un edificio storico ristrutturato di recente, l’hotel ha poche camere e la nostra n°8 è grande e particolarissima. Il pavimento di marmo bianco e verde e mobili stile impero originali. Una lampada liberty in bronzo è appoggiata sul tavolino tondo nell’ingresso…. rappresenta una figura femminile avvolta da rami alle cui estremità sono piccoli paralumi di vetro a forma di fiore che racchiudono lampadine affusolate. Un piccolo camino d’angolo rivestito di marmo verde, molta luce e spazio….questa è il nostro nido. Dimenticavo di citare il lampadario, dove quattro uccellini variopinti sono stampati sulla calotta di vetro satinato….e la lampada sul comodino….praticamente un baciamano settecentesco di ceramica colorata che sostiene un paralume di vetro a forma di fiore. Ne siamo così conquistati che la riserviamo per due notti nonostante la cittadina per il momento non ci convinca. Dopo una doccia usciamo per un giro di ricognizione durante il quale il fascino decadente della città balneare più gettonata del Mar Nero ci appare con forza. A parte le strade in riparazione ed i marciapiedi sconnessi di questo centro storico in restauro, gli edifici sono spesso bellissimi esempi di architettura liberty, con verande di ferro battuto nelle facciate che stranamente mi ricordano la lontanissima New Orleans. Piuttosto estesi i giardini pubblici e belli gli stabilimenti balneari ….tutti di legno ed evocativi di palme e mari azzurri. Il palmeto c’è. Lo vediamo quando verso sera raggiungiamo in taxi il ristorante San Remo sulla spiaggia…..file di alte palme seguono la spiaggia verso sud….a perdita d’occhio mentre un bel tramonto rosso spunta sotto la linea delle nuvole compatte. Ceniamo bene ma senza l’agognato caviale e del beluga riusciamo a gustare solo i filetti. Un gruppo di cantanti intrattiene il pubblico….intonano i brani della tradizione musicale locale con le loro voci basse e potenti evocative di forza e di dolore, di freddo e di ampi spazi aperti. Che bella serata, balliamo anche un lento, noi due soli in pista.

28 Giugno 2009

BATUMI

Dedichiamo la mattinata all’esplorazione del centro storico, comprensiva della visita al museo d’arte della regione dove nessuna delle opere esposte ci conquista veramente. Mentre passeggiamo nel parco parallelo al lungomare, spunta tra le nuvole un pallido sole ad incoraggiare i pochi bagnanti stesi sulla spiaggia. La sensazione è quella di trovarci sulle nostre spiagge fuori stagione….a maggio per esempio, quando i gestori degli stabilimenti balneari e dei servizi connessi eseguono i necessari lavori di manutenzione e qualche irriducibile indossa il costume da bagno. Sarà agosto il mese topico ? ….quando i turisti convergeranno nella famosa località balneare dall’Ucraina, dall’Armenia e dalla Georgia naturalmente ? Oggi Batumi è tranquilla, i negozi sono aperti nonostante la domenica e per strada non c’è quasi nessuno. Le basse case in stile neoclassico o liberty, colorate nei colori pastello, racchiudono i pranzi della domenica. Intuiamo qualcosa dai profumi che arrivano fino al marciapiede dalle finestre socchiuse. Piante di vite rampicanti salgono dai piani terra aggrovigliandosi alle caratteristiche strutture di ferro battuto sporgenti dai primi piani. In una delle piazze principali, in cima ad un alto obelisco c’è la statua di bronzo della figura mitologica di Medea, all’angolo della stessa piazza un fantastico piano terra affrescato con cornici dorate e stucchi ad inquadrarne i dipinti e gli specchi, accoglie un negozio di alimentari. Le due signore che lo gestiscono, abituate a vedere entrare curiosi che non acquistano nulla, ammazzano il tempo giocando a carte sul bancone di marmo. Tutto è tranquillo qui a Batumi ed anche noi godiamo della giornata di meritato relax. Del tutto casualmente dopo qualche ora arriviamo in taxi al ristorante Host, accanto a quello chiuso che Vanni aveva scelto. Ci accomodiamo nel giardino che si affaccia su di una piccola laguna o piuttosto una grande vasca artificiale riempita d’acqua. Intanto le rane gracidano e la luce del giorno va scemando. Seduti al tavolo di vimini appoggiato sull’erba del prato, assaggiamo alcuni piatti tipici della cucina locale…come il khinkali che ci viene servito come antipasto. La sua forma è del tutto simile al raviolo cinese, ma è più grande ed è ripieno di formaggio, funghi trifolati o carne. Ne gustiamo un paio afferrandoli dalla protuberanza di pasta arricciata che chiude questa sorta di sacchettino. A seguire un’altra specialità della quale non ricordiamo il nome, costituita da pezzetti di carne grigliata accompagnati da pezzetti di cipolla e coriandolo….il tutto raccolto all’interno di una crèpe rettangolare. Mentre siamo intenti a gustare il nostro piatto forte inizia, all’improvviso ed inaspettatamente, un bellissimo spettacolo di giochi d’acqua e luci che si muovono al ritmo dei brani musicali che si susseguono nei vari generi. Inutile dire che rimaniamo colpiti dalla meravigliosa performance che, sulla scia di quella del Bellagio di Las Vegas, dà una inaspettata svolta alla nostra serata. Mai ci saremmo immaginati di vedere una cosa così sofisticata qui a Batumi e per un tempo così lungo….dopo un’ora e mezza, quando stanchi decidiamo di rientrare in hotel, lo spettacolo non accenna ancora a terminare….che bella serata!

29 Giugno 2009

BATUMI – MESTIA

Traguardiamo Zugdidi verso le 13 attraverso la strada a due sole corsie anche se indicata sulla carta come un’autostrada. Da qui, seguendo la strada secondaria che punta a Nord, ci inoltriamo nella selvaggia regione dello Svaneti, una regione antica immersa tra le alte montagne del Caucaso che sfiorano talvolta i 5000 metri di altezza. Incastrata tra le belligeranti regioni di Ossezia del Sud ed Abkhazia segna parte del confine con la Russia. La strada parte discretamente, con un manto non proprio perfetto ma percorribile alla velocità di 50 km/h….poi, addentrandoci tra le montagne, la stessa strada che corre parallela al fiume nel fondovalle diventa sempre più sconnessa fino a diventare solo una traccia disseminata di crateri, strapiombi non segnalati e senza protezione e gallerie che sembrano dover crollare da un momento all’altro per via dei torrenti d’acqua che piovono dalle fessure nelle loro volte a botte. Procediamo a velocità ridottissima tra le montagne coperte di vegetazione che svettano alte sopra di noi, nella speranza che alle pietre cadute sulla strada non debbano seguirne altre sul tettuccio della nostra Asia. Dopo un paio d’ore iniziamo a scorgere le lontane cime innevate e poi, dopo ancora due ore, entriamo nella più ampia vallata del fiume Inguri, disseminata di antichi villaggi che trovano spazio nei brevi tratti pianeggianti accanto al fiume o sui pendii non troppo ripidi per essere inaccessibili. L’ingresso nella zona abitata della regione porta qualche variazione alla desolazione che ci ha accompagnati finora….. La strada, prima deserta, si anima di persone e di mucche che vi passeggiano oltre che dei fronti delle case di pietra e legno dell’unico paesino attraversato dalla strada …..lo incontriamo poco prima di raggiungere Mestia. Iniziamo anche a vedere le caratteristiche torri, presenti solo in questa regione, che svettano sui piccoli centri abitati. Sono a base quadrata e slanciate verso l’alto, di pietra in parte grossolanamente intonacata e colorata di un colore chiaro. La piccola porta alla base consentiva fin dal IX sec. agli abitanti dei villaggi di rifugiarvisi in caso di attacco da parte di popoli invasori o di pericolo in generale. Il numero più consistente di queste antiche torri è presente proprio qui a Mestia dove arriviamo verso le 18. Prima di cercare una sistemazione per la notte, che per quanto riportato nella guida sarà presso privati, ci fermiamo a rimirarle ed a scattare qualche meritata foto. Sono proprio belle….terminano in alto con un volume leggermente aggettante e sagomato in basso con qualche archetto. Chiediamo ad un paio di signori, esprimendoci soprattutto a gesti, dove sia possibile dormire……Ci indicano un edificio nuovo proprio qui dove casualmente ci siamo fermati….è un hotel che la guida non riporta, deve essere proprio recente! …..ma è al completo e presa da compassione la giovane gestrice, l’unica che parli inglese qui, ci invita ad aspettare l’esito della sua telefonata. Dopo qualche minuto arriva Svetlana, una ragazza sorridente di circa trent’anni e che parla inglese….siamo salvi ! Sale in auto con noi e ci accompagna nella sua casa….quella vecchia che lei e suo marito stanno ampliando….Siamo fortunati, è confinante con una vecchia torre! Svetlana ci invita a fermarci in corrispondenza di un cancello verde che raggiungiamo poco dopo aver imboccato una stradina sterrata come tutto il resto….poi mi dice di seguirla alla camera che sarà la nostra e che si trova al primo piano di un edificio parzialmente di legno. Saliamo la stretta scala fatta di assi ed entriamo attraverso la prima porta chiusa da una tenda scura. La camera è grande, il pavimento scuro di assi verniciate e le pareti rivestite con una sorta di carta da parati di plastica nelle tonalità dell’azzurro. Un ampio letto di legno ancora da sistemare, un armadio scatolare, una cassettiera ed una toletta, tutti i mobili sono di legno lavorato a bassorilievo. Alla mia domanda circa l’ubicazione del bagno Svetlana mi conduce giù dalle scale, nell’edificio di fronte, dove oltre l’ampia cucina-soggiorno è stato ricavato un piccolo bagno con toelette separata. La carta igienica è ancora quella di regime….elastica, ruvida ed arrotolata in un cilindro compatto senza buco. Considerando che Svetlana è simpatica e che non abbiamo molte altre cartucce da sparare accettiamo l’ospitalità di questa simpatica famiglia composta da un paio di anziane signore, il marito di Svetlana, tre bambini ed un grosso cane lamentoso. Seduti in cortile, sulle sedie tutte diverse addossate alla parete della cucina, aspettiamo che Svetlana sistemi la nostra camera ed in seguito che la cena sia pronta…..con calma le diciamo, vedendola piuttosto in apprensione per la nostra inattesa intrusione in casa sua. Naturalmente siamo curiosi di assaggiare le specialità dello Svaneti…ma senza che lei debba disturbarsi troppo. Alle 20 uno dei figli entra in camera per comunicarci in lingua originale che la cena è pronta. Scendiamo più per la curiosità che per l’appetito e ci accomodiamo al tavolo apparecchiato solo per noi con una pulitissima tovaglia azzurra. Il profumo è strepitoso. Svetlana, aiutata da una delle anziane signore, ha preparato una serie di Khachapuri che ora taglia a fette. Sono torte salate fatte con un impasto che ricorda quello della pizza….due strati che contengono al loro interno il ripieno per uno spessore totale di un paio di centimetri. Nella prima che assaggiamo il ripieno è costituito da un impasto di formaggio leggermente sciolto ma non filante, nella seconda torta invece c’è carne tritata con cipolla e qualche spezia, molto buone entrambe ! In una tazza ci viene servito un succo di mirtilli fatto in casa ed a parte lo yogurt…..il tutto rigorosamente preparato con ingredienti biologici. Certo per un medico come Svetlana non dev’essere facile adattarsi a ciò che sta facendo per noi….e la sua difficoltà è percepibile nella stanchezza mista all’ apprensione di chi vuol fare bella figura. Gustiamo la cena scambiando qualche parola in un inglese stentato da entrambe le parti….nel corso della conversazione si propone di preparare per il nostro viaggio di domani due khachapuri che rifiutiamo e chiede se desideriamo che telefoni a sua sorella di Ushguli perché si prepari ad ospitarci domani sera….insomma un amore di ragazza ! Poco dopo la cena ci ritiriamo a fare progetti nella nostra grande camera da letto.

30 Giugno 2009

MESTIA – USHGULI

Non possiamo mancare alla visita del museo del villaggio…siamo ben riposati ed abbiamo fatto colazione poco fa, condita dei sorrisi di Svetlana che ha preparato per noi alcune fette di formaggio fatto in casa e ben stagionato che ha messo in un sacchetto. L’ospitalità dei georgiani è notoriamente squisita e la simpatica dottoressa non fa eccezione. Il museo è ospitato in un edificio nuovissimo all’interno del quale alcune signore vocianti occupano la portineria….sono in attesa della responsabile del museo dotata di chiavi di accesso che però non è ancora arrivata. Le signore che aspettano sono anch’esse impiegate del museo e non dissimulano la loro contrarietà al disguido….proprio oggi che qualche turista vorrebbe entrare per la visita ! Dieci minuti ed accediamo alle sale contenenti interessanti oggetti storici appartenenti all’area geografica della regione. Molte e preziose le icone con cornici in foglia d’oro risalenti al XI e XII sec. ed i crocifissi anch’essi in foglia d’oro incisa con figure dell’iconografia sacra ortodossa. Monili, antiche monete, strumenti musicali ed una serie di mobili tradizionali tutti scolpiti a motivi geometrici. Non poteva mancare un vecchio pentolone con becco d’uscita usato per la preparazione della vodka. La giovane ragazza che ci guida illustrandoci ciò che vediamo dev’essere religiosissima dato che all’ingresso di ogni sala contenente oggetti sacri si fa il segno della croce…. Ci racconta che all’arrivo dei Soviet nella regione pur isolata e non collaborante con l’ideologia socialista, le chiese furono vuotate degli arredi sacri che furono sistemati in un museo ora sostituito da questo nuovissimo. Ci congediamo da Mestia contenti di aver visto questo straordinario patrimonio storico, autentico e molto ben conservato, ad eccezione dell’icona ricamata a mano con filo di argento e d’oro su di un tessuto che va sgretolandosi. Subito dopo ci avviamo lungo la strada diretta ad Ushguli, ma che sarebbe più appropriato definire una pista tra le montagne e che ci consente di percorrere i 50 km di oggi in più di due ore. Seguiamo ancora il fondovalle fino al valico che ci proietta nella vallata successiva dove incontriamo altri piccoli centri abitati….la strada stretta costeggia negli ultimi chilometri il fiume impetuoso che scorre a tratti in profondi orridi scavati nella roccia….proseguiamo spesso al limite del burrone e non c’è da stare tranquilli dato che la strada tende a sgretolarsi per via dei ruscelli che scendono dalla parete rocciosa sul lato a monte, e l’ardesia policroma sbriciolandosi invade talvolta la carreggiata con le sue lame sottili e taglienti. Sono belle queste rocce, ed anche il paesaggio che si apre in piccole vallate inondate di fiori colorati ed animali al pascolo ma quasi mai di persone che solo sporadicamente vediamo lavorare con la zappa nei campi. Talvolta gli animali occupano la strada o i ponti che attraversiamo, ma come non capirli….non passa nessuno ! Solo nell’ultimo tratto incontriamo una carovana di quattro fuoristrada carichi di turisti che si muovono nella nostra stessa direzione. Quando da lontano Ushguli ci appare con le sue decine di torri ad occupare una piccola porzione di vallata, è come essere proiettati in un tempo diverso….antico, dove tutto sembra muoversi come secoli fa. Il pensiero va a San Gimignano ed a come doveva apparire ai viaggiatori che vi giungevano in groppa alle loro cavalcature, nei secoli immediatamente successivi all’anno mille….le decine di torri svettanti dovevano apparire loro da lontano, come un faro da seguire. Proprio come oggi qui ad Ushguli, giungendo a bordo di Asia alla velocità ridotta cui ci costringe la strada malmessa. La sensazione di vivere fuori dal tempo si amplifica entrando nel piccolo borgo antico e poi nella casa di Nato e suo marito Emzari ( 899 726718 ) che ci ospiteranno questa notte. L’incontro con lei è avvenuto lungo la strada….ci aveva visti arrivare lungo la strada principale mentre era sui campi a lavorare e subito è scesa in strada per condurci a casa sua. Percorriamo insieme la stretta stradina che entra tra le antiche case di pietra e le torri….mentre procediamo i pneumatici affondano nel letame degli animali che hanno scelto come stalla proprio quest’unica strada principale. Per un lungo momento ci assale il terrore di sprofondare proprio qui, non sarebbe carino dover scendere ed affondare i piedi nella melma maleodorante! Raggiungiamo la casa di pietra fortunatamente senza problemi, è su due piani ed adiacente ad una torre di proprietà….la facciata principale ha un porticato di legno che diventa una terrazza al primo piano. Nato è gentile e vivace più della sorella, mi mostra subito la nostra camera al piano terra. La prima cosa che salta all’occhio è la coperta stesa sul letto matrimoniale….è di raso rosa, disseminata di volant e cuoricini trapuntati….penso ad un regalo di nozze di gusto squisitamente arabo. Ne avevamo viste di simili e di tutti i colori in una vetrina di Iznik in Turchia ed anche allora ne eravamo rimasti colpiti. A parte la trapunta la camera è spartana ma piuttosto avvolgente per via dei mobili di legno scuro intagliati a mano….c’è anche una culla di legno piuttosto bella addossata alla parete accanto alla porta d’ingresso. Nel piccolo edificio di fronte a quello principale l’acqua gelida scorre continuamente dentro una vecchia vasca smaltata dove sono posti dei tegami contenenti i formaggi freschi e lo yogurt….una sorta di ghiacciaia fai da te. Sul retro, una baracca di lamiera è la latrina. Un assito con foro centrale separa dal pozzo nero a vista….e che vista ! E’ tutto un ribollire di feci miste ai vermi bianchi della decomposizione delle stesse….terribile per noi che non siamo abituati a simili wc. Nato non sa come soddisfare i nostri desideri che non conosce e che per noi è impossibile comunicarle dato che non conosce una parola di inglese e parla solo il dialetto della regione. Del resto non abbiamo necessità particolari e vorremmo solo riprenderci dalla stanchezza delle tre ore di pista con buche, ma isolarsi è impossibile in questi casi.Vedendo che non sa come fare per compiacerci le chiedo un tè traducendo la parola con l’aiuto del dizionario di russo…..è fatta, dopo dieci minuti sul tavolo apparecchiato del soggiorno sono pronte due tazze di tè fumante, un kachapuri al formaggio, uno con la carne al profumo di coriandolo, qualche fetta di formaggio stagionato e pane….impossibile rifiutare. Assaggiamo i manicaretti ripromettendoci di non mangiare altro fino a domani….ma come spiegarglielo senza offenderla?…..e soprattutto in quale lingua dato che da millenni in questa regione si parla solo lo Svaneti, il dialetto che nemmeno i georgiani capiscono? Dopo l’abbondante pranzo consumato alle tre del pomeriggio, Nato ci accompagna al vicinissimo museo ospitato in una delle torri medievali del villaggio….per fortuna Nato conosce un percorso alternativo al letamaio del villaggio e così lo raggiungiamo senza inzaccherarci. Sviluppato sui tre piani dell’edificio a torre, raccoglie antiche icone, monili, particolarissimi crocifissi con immagini sacre dipinte in inserti di ceramica. Le teche che contengono alcuni dei reperti sono sigillate con la ceralacca….un modo come un altro per risparmiare i lucchetti che invece vediamo dopo un’oretta, chiudere la porta di ingresso al museo. Dopo la visita, interessante soprattutto perché ci ha consentito di vedere gli ambienti interni di una delle torri, ci spingiamo passeggiando fino all’ultimo dei tre villaggi che formano il centro abitato di Ushguli. Anch’esso costituito da un pugno di case, le sue torri si stagliano sulla lontana montagna interamente coperta di neve candida. Passeggiamo accanto a cavalli, buoi, capre e maiali che popolano l’unica stradina del nucleo abitato. Che piacere vivere la storia al presente….questo medioevo dal quale possiamo uscire in poche ore di auto ! Quando torniamo al nostro villaggio vediamo Nato, dall’inconfondibile maglia a righe e fazzoletto rosso sulla testa, al lavoro sui campi poco più a monte della strada….la salutiamo con un cenno della mano e proseguiamo verso casa dove ci aspettano il figlioletto Luca di tre anni, Emzari e la sua anziana madre. Sono seduti su una panca di pietra a godersi il tepore del sole di oggi. Difficile scambiare due parole comprensibili a tutti noi….ma Emzari che mi siede accanto mi mostra i calli sulle mani ed il suo alito odora di alcol. Non dev’essere facile vivere così….a 2100 metri e senza alcun tipo di riscaldamento che non sia una stufa in cucina. Dopo un paio d’ore Nato rientra stanca dai campi, ma non si sottrae ai suoi doveri di padrona di casa preparando la cena alla quale avremmo sperato di poter rinunciare. Il menu è la fotocopia di quello del pranzo con qualche piccola variante….ancora kachapuri, yogurt ed un formaggio fresco condito con erba cipollina appena raccolta nell’orto. Poche volte abbiamo mangiato biologico come qui nello Svaneti dove tutti i prodotti sono rigorosamente preparati in casa con il latte e la carne delle loro mucche….che meraviglia! Anche dopo cena Nato non si da pace e tira fuori un piccolo album fotografico nel quale è riassunta a grandi linee tutta la sua vita. Nonostante il sole di oggi la serata si fa subito fresca già all’imbrunire…..così tanto che non so come faremo a spogliarci per andare a letto….semplice, non ci spogliamo!

01 Luglio 2009

USHGULI – KUTAISI

Al risveglio siamo già pronti per partire….tanto di lavarsi con l’acqua gelata che scorre nella vasca arrugginita, piena di tegami contenenti le provviste deperibili, non se ne parla nemmeno. E se questo rappresenta un modo come un altro per refrigerare yogurt e formaggi non è invece così efficace per l’igiene personale….come facciano a lavarsi loro rimane un mistero. Nato è nervosa. Il momento della resa dei conti può essere difficile per chi non è abituato a farlo ed a maggior ragione quando sa che la sorella di Mestia ci ha chiesto troppo poco, 40 gel ovvero meni di 20 €, per il pernottamento. Infine quando le chiedo il totale da corrisponderle mi risponde 120 gel, aggiungendo che questi sono i prezzi di Ushguli. Glieli do volentieri, anche considerando che da queste parti la vita è davvero dura e non si naviga nell’oro….certo il servizio non poteva essere peggiore di così, senza un bagno decente…e la pioggia che mi sono presa questa notte per raggiungere la latrina nel bel mezzo di un temporale. Alla partenza si raccomandano di andare piano mentre la vecchietta scuote la testa quando le confermiamo la decisione di scendere a Kutaisi attraverso la pista che passa per Lentekhi, a soli 75 km da qui. Ci regalano due kachapuri da mangiare in viaggio e ci salutano con un cenno della mano dopo essersi raccomandati di telefonare in caso di problemi. Alle 9.30 ci congediamo dalle belle torri del X ed XI sec. ed iniziamo a percorrere la difficile pista verso il passo più alto di questo viaggio nel selvaggio Svaneti, a 2635 metri. Se avevo definito pista la strada percorsa ieri, non ci sono parole per descrivere il percorso accidentato di oggi…mai visto nulla di simile, una sorta di trial per fuoristrada che mi fa venire un patema d’animo dopo l’altro. Ovviamente il burrone è costantemente presente dato che seguiamo dall’alto il corso dell’Inguri prima e dello Zkhenists poi…..presente sul mio lato naturalmente ! Le sette ore che impieghiamo per percorrere i primi 75 km di pista, sono un buon parametro per capire il tipo di spostamento di oggi. Quando arriviamo a Kutaisi alle 18 siamo disintegrati …..io come sempre più di Vanni la cui energia aumenta guidando….come se parte dell’energia prodotta dal motore entrasse nel suo corpo. Il mio pilota se l’è cavata benissimo anche in questa circostanza…a guadare un numero imprecisato di ruscelli carichi dell’acqua dei ghiacciai che imbiancano le cime 4000 metri sopra di noi. A complicare le cose, i gruppi di animali che spesso occupano la pista, i ponti ed i ruscelli comodamente stravaccati a godersi il bel sole di oggi e poco disposti a spostarsi in tempi brevi per lasciarci passare. I paesaggi sono magnifici, sempre immersi nelle montagne coperte di prati o di foreste di abeti….più in alto, le alte cime innevate del Caucaso maggiore ci accompagnano stagliandosi sopra i profili verdissimi in primo piano. Incontriamo un paio di villaggi che sembrano abbandonati, poi scendendo altri piccoli gruppi di case ed infine Lentheki che dopo un paio di giorni di eremitaggio ci appare come una metropoli. Da qui la strada migliora regalandoci qualche tratto di asfalto per poi divenire perfetta verso Kutaisi dove, una volta arrivati, intervistiamo a gesti un taxista cercando di fargli capire che vorremmo raggiungere la Guesthouse Zelimkhan in Vakhushti – Bagrationi 67. Inutile fargli leggere l’indirizzo scritto sulla guida in caratteri non cirillici….quindi provo a pronunciare il nome della strada e dopo un tempo che sembra lunghissimo capisce di cosa stiamo parlando. Acqua calda finalmente e lenzuola che non odorano di stalla….insomma un trionfo ! L’edificio che ospita la guesthouse è una palazzina su tre piani in mattoni a vita e con modanature vagamente decò. Belli i pavimenti a disegni in listelli di legno e squisita l’accoglienza da parte della giovane nipote della proprietaria che parla, a differenza di me, un inglese perfetto. I 60 gel a persona comprendono oltre la colazione anche l’ottima cena a base di verdure che consumiamo dopo una bella doccia. Dopo giorni di kachapuri una zuppa di verdure ha l’impatto di una leccornia…per non parlare degli ottimi involtini di melanzane con pasta di nocciole e prezzemolo, i fagioli stufati con coriandolo ed il pollo arrostito. Nel tavolo accanto il proprietario in compagnia di un paio di amici ci coinvolge in un brindisi al quale aderiamo volentieri….abbiamo così l’occasione di assaggiare il particolare vino georgiano che dopo la pigiatura viene messo a riposare in anfore di argilla interrate anziché in botti. Il vino acquista così un particolare profumo decisamente diverso dal nostro ma buono. Infine una sorta di nubifragio accompagna il nostro assopimento….è molto variabile il clima estivo nei paesi caucasici, questo lo sapevamo!

02 Luglio 2009

KUTAISI

Lasciamo Asia a riposo e ci concediamo la visita in taxi dei luoghi di interesse della città e dei suoi dintorni. Il nostro tassista Ghia ci accompagna dapprima al meraviglioso monastero di Gelati, arroccato sulla cima di una collina come la maggior parte degli insediamenti religiosi armeni. Fu fondato nell’XI sec. dal re Davit il costruttore, un nome che ricorrerà spesso durante le nostre visite agli edifici storici in territorio georgiano. All’interno del muro di cinta la Chiesa della Vergine si impone bella ed articolata al centro dello spiazzo del monastero. I muri perimetrali sono di pietra scolpita in rilievo a formare elementi decorativi come lesene, cornici, archetti e fregi e sono disposti a contenere la navata ed il transetto. L’incrocio dei due volumi ortogonali è sottolineato da un alto tamburo con finestre slanciate e la classica copertura a cono. Le pareti interne sono impreziosite da affreschi realizzati tra il XII ed il XVIII secolo mentre nell’abside è rappresentata a mosaico l’immagine della madonna su fondo oro. Bellissimi anche i portacandele circolari di ottone posti di fronte alle icone che rappresentano i santi e la Vergine Maria. L’ altro bellissimo monastero di Motsameta non è molto distante da qui, lo raggiungiamo percorrendo una stradina scoscesa e con buche nelle quali non è però Asia ad affondare. Quando arriviamo rimaniamo delusi per via delle impalcature che ne avvolgono l’esterno e parte dell’unica navata interna….ma la sua posizione è ancora una volta spettacolare, sul promontorio a picco sull’ansa che il fiume Tskhaltsitela forma proprio in questo punto. L’interno è rivestito di icone ed immagini varie, probabilmente degli ex voto a giudicare dai poteri magici delle reliquie che vi sono conservate. Il tempo di dare una rapida occhiata all’interno piuttosto sobrio ed un addetto mi invita ad indossare il foulard che mi porge….non importa che tu sia mezza nuda, i capelli non si debbono vedere….che ipocrisia ! Esco immediatamente inseguita dall’omino che continua a porgermi il foulard. Scendiamo ora in città per visitare la cattedrale di Bragati anch’essa costruita su una collina visibile in lontananza dalla Piazza del Teatro…..circondata da eleganti edifici neoclassici in colori pastello con al centro la statua equestre in bronzo di Davit il costruttore, raffigurato mentre tiene sul palmo della mano protesa il modellino della Chiesa della Vergine. La piazza è particolarmente piacevole per la bellezza dei prospetti degli edifici prospicienti e per le proporzioni particolarmente equilibrate tra l’ampiezza della piazza e l’altezza degli edifici. Dopo una bella passeggiata per le vie del centro alla ricerca degli edifici decò che ne impreziosiscono le prospettive, ci spostiamo in periferia per la visita al Museo Archeologico che raccoglie i reperti rinvenuti nell’antico sito di Vani. Rimaniamo letteralmente rapiti dalla bellezza dei gioielli in oro esposti, dove gli animali sembrano essere stati i soggetti preferiti dagli orafi locali di un tempo così come lo furono dei loro colleghi precolombiani sudamericani. Un meraviglioso collier di piccole tartarughe in filigrana d’oro ed un secondo costituito da piccolissime papere collegate a piccole sfere d’oro sarebbero un bel bottino da portare a casa….ma le copie esposte qui al museo sono pezzi unici e non ci sono finti tombaroli qui che si propongano di venderci copie dei fantastici monili…..peccato, adoro questo genere di gioielli ! Terminiamo il nostro tour in compagnia di Ghia alle 17 dopo sette ore di visite ininterrotte e dopo poco siamo pronti ad affrontare i manicaretti della cuoca della guesthouse che sembra una nonna e cucina benissimo. Anche questa sera le ottime verdure georgiane compaiono sul nostro tavolo sotto forma di insalate, zuppe e involtini….ma che squisitezza, sono saporitissime anche senza condimenti. Un ragazzo che pranza nel tavolo accanto e che cortesemente ci offre un bicchiere di vino dice che Vanni ha lineamenti tipicamente georgiani tant’è che si è stupito di sentirlo parlare in una lingua sconosciuta….Vanni ne è lusingato…. e grato per il fatto di avere trovato finalmente le sue lontane origini cromosomiche….il suo DNA affonda nell’antica Colchide di Giasone a proposito del quale scopriamo qui una curiosità legata alla sua figura mitologica. Grazie all’aiuto di Medea, Giasone riuscì a conquistare il “vello d’oro” la cui origine mi è sempre rimasta oscura. Leggendo qua e la scopriamo che l’elemento mitologico del “vello d’oro” deriva da un’usanza ancora oggi praticata dai cercatori d’oro che stendono le pelli di pecora nelle rive dei fiumi per cercare di catturare le pagliuzze d’oro tra i peli del manto riccioluto. Un altro improvviso acquazzone chiude la serata.

03 Luglio 2009

KUTAISI – TBILISI

Ghia arriva puntuale alle 9 nel giardinetto della guesthouse….salirà con noi fino all’incrocio fuori città dove si innesta la M27 per Tbilisi, la capitale dove arriviamo dopo una breve sosta a Gori. Nei suoi pressi infatti si trova la basilica bizantina di Atenis Sioni purtroppo resa invisibile dalle impalcature esterne ed interne allestite per il doveroso restauro….stiamo parlando di un edificio risalente al VI secolo. La città si presenta enorme…abituati ai villaggi di montagna ed a piccole cittadine riscopriamo la vertigine della metropoli mentre la attraversiamo inseguendo un taxi che ci porterà all’hotel Ambasadori….un quattro stelle decisamente kitch ma in posizione strategica, pulito e dotato di ogni comfort, compresa l’area fitness, quella business e, dulcis in fundo, Rai 1 nel primo canale della tv. Usciamo subito per un sopralluogo all’ambasciata azera, tanto per capire come fare per prendere il visto….se sarà complicato come per il Turkmenistan siamo rovinati ! Baku è per noi il trampolino di lancio verso l’Asia Centrale e non riuscire ad entrare in Azerbajian implicherebbe l’impossibilità di attraversare il mar Caspio per raggiungerla. Accompagnati da un simpatico taxista raggiungiamo l’ambasciata aperta dalle 16 alle 18 solo per il rilascio dei visti. Andiamo comunque per chiedere …..talvolta ci sono novità insperate, procedure diverse rispetto a quelle previste per esempio dal consolato dell’Azerbajian a Roma…..e infatti che sorpresa quando l’impiegato ci dice che avendo noi già ottenuto il visto del Kazakistan non è più necessario avere la lettera d’invito timbrata dal ministro dell’interno per ottenere il visto azero. Che sollievo! se non fosse stato per questa sconosciuta scorciatoia non saremmo forse mai arrivati a Baku….ora invece dobbiamo solo aspettare il prossimo lunedì mattina quando torneremo per presentare i documenti necessari. Il taxista ci aspetta….ora che ha beccato due turisti non molla la presa e così ci suggerisce di andare a vedere l’ennesima chiesa prima di portarci alla moschea che per compensare un po’ avevamo voglia di visitare. In seguito ad una piccola corsa sulle colline che delimitano il centro ci ritroviamo di fronte alla cattedrale Sameba. Di recente costruzione ed imponente, riassume nei suoi 84 metri di altezza gli elementi tipici dell’architettura sacra georgiana. Davvero bella, ma essendo stata consacrata nel 2004, mi sarei aspettata un progetto più attuale, e non l’enfatizzazione di una tipologia che si ripete senza troppe variazioni da almeno 15 secoli. Il tour continua fino alla moschea ….ma solo una volta arrivati ci rendiamo conto che non è questo ciò che volevamo vedere. Ingolositi da una bella fotografia, vista tra le poche sulla guida, che riproduce una facciata in stile arabo con mosaico di ceramiche colorate, avevamo creduto si trattasse di una moschea. Lo troviamo poco lontano questo bell’edificio e proprio grazie alle indicazioni del muezzin della moschea…. si tratta di un hammam nel quale entriamo a curiosare e la cui facciata è l’unica cosa interessante da vedere. Rientriamo in hotel con una breve passeggiata…..ma prima ci prendiamo una parentesi di relax….un moijto gustato all’ombra degli edifici prospicienti una deliziosa strada pedonale piena di locali alla moda. Sembra uno spaccato d’Europa ma con un sapore d’oriente che lo rende piacevolissimo. Alticci continuiamo la passeggiata tra antiche chiese, lontane fortezze ed una serie di bassi edifici impreziositi da loggiati di legno intagliato che come grandi pizzi irrigiditi dall’amido e stesi ad asciugare su traverse di legno conferiscono alle facciate delle case e ad alcuni angoli dei centri storici georgiani un aspetto molto romantico. Ceniamo al Tokio. E’ la prima volta che entriamo in un ristorante sushi dopo Miami e sono passati diversi mesi da allora. Il nostro giudizio sul Tokyo è senz’altro condizionato dalla voglia che avevamo di assaggiare pesce crudo e le fettine di zenzero ed il wasabi che adoriamo….l’unica cosa certa è il prezzo piuttosto caro.

04 Luglio 2009

TBILISI – KAZBEGI

Lasciamo l’assolata Tbilisi costeggiando il fiume che scorre lambendo la città vecchia, le cui case spuntano colorate sopra lo zoccolo roccioso che scende verticale nell’acqua torbida del fiume….da qui ci immergiamo poi nella periferia, resa bella qua e la da alcuni edifici di recente costruzione e di una bellezza particolare, come ad esempio quello formato da grandi parallelepipedi accatastati gli uni sugli altri…..come pezzi di legno messi ad essiccare. Raggiungiamo Mtskheta e poi viriamo seguendo il Nord sulla A301, la vecchia strada militare che raggiunge e valica l’alta catena caucasica per spingersi poi in territorio russo, sull’altro versante delle montagne innevate. Collegando la capitale alla chiesa simbolo della Georgia, la famosa Tsminda Sameba, la strada è stata ben asfaltata e rende una volta tanto comodo il nostro procedere. Siamo ancora a quota 1000 metri quando ci si propone una prima bella sorpresa…..poco dopo Zinvali, là dove una diga ha creato un grazioso lago incastonato tra le montagne, la straordinaria cittadella fortificata di Ananuri si impone ai nostri occhi bellissima. Costruita nel XIII secolo sul cocuzzolo della collina, si protende a strapiombo su quella che un tempo fu una stretta e profonda vallata ora allagata di un intenso colore azzurro…..contenuta nelle sue mura di pietra segnate da due sole torri a base quadrata costruite sul perimetro, la cittadella ha una superficie abbastanza piccola da sembrare un gioiello. Emergono dalla cinta muraria l’alto tamburo della chiesa e la torre campanaria entrambi coperti dal classico tetto a cono. La rimiriamo dallo spiazzo antistante….senza entrare, affascinati ad ogni occhiata, ad ogni scatto della macchina fotografica….Rimandiamo l’ingresso nel perimetro fortificato al nostro ritorno…il nostro obiettivo di oggi non è questo, quindi non tergiversiamo e continuiamo a salire attraverso le montagne ricoperte di prati fino a raggiungere la località sciistica di Gudairi che ricorda i nostri paesi alpini, con baite di legno e impianti di risalita. Superiamo il valico a quota 2660 metri dopo un centinaio di chilometri da Mtskhta e poche auto incrociate lungo il percorso. Subito dopo il passo, quando iniziamo la lenta discesa verso la vallata di Sioni, iniziamo a vedere delle strane gallerie addossate al pendio e con piccole feritoie ad illuminarne l’interno. Non essendo funzionali all’andamento della strada che segue parallela le gallerie, ci chiediamo a cosa debbano servire. Vanni ha la risposta pronta….si tratta di strutture militari per l’occultamento ed il ricovero dei carri armati. La tentazione di andare a vedere se troviamo qualche residuo bellico è immediatamente respinta dalla paura quegli antri bui. Solo dieci mesi fa i carri armati russi sono scesi in Georgia per appoggiare militarmente le pulsioni indipendentiste dell’Ossezia del Sud e dell’Abhazia….l’asfalto che scorre sotto i pneumatici di Asia è ancora segnato dai solchi dei cingoli che vi passarono forse proprio in quella circostanza. Nel primo pomeriggio, dopo circa tre ore di auto, raggiungiamo la vallata piatta del fiume Terek nella quale si trova l’obiettivo dell’escursione….sembra finta questa vallata troppo orizzontale, sulla quale vediamo dall’alto prendere forma il piccolo paese di Sioni. Poco dopo raggiungiamo Kazbegi, ovvero Stepan Tsminda come chiamano adesso questo insediamento vicinissimo alla frontiera russa, e con esso il nostro hotel omonimo in stile rifugio di montagna. Giù i bagagli e dopo una breve intervista all’impiegata dell’hotel veniamo a sapere con un certo sollievo che la chiesetta che vediamo lontana in cima alla collina, la famosa Tsminda Sameba, è raggiungibile in fuori strada percorrendo la pista che vi si arrampica. Per me che ora temo i precipizi non è un gran sollievo, ma alla fine vince la pigrizia. Dopo il ponte a sinistra, poi sempre dritto sulla strada dissestata del paese fino alle ultime case…poi solo abeti carichi di pigne, fiori colorati e gli atletici pellegrini che salgono a piedi nonostante i nuvoloni carichi di pioggia che ora incombono sopra di noi. La pista malmessa ed il fango che la rende scivolosa aumentano il mio stress, ma il tragitto è breve e dopo qualche chilometro di tornanti siamo sul pendio lieve ed ampio, sul prato verde pieno di mucche e pellegrini che precede la chiesa arroccata sulla cima…..in fondo alle due strisce parallele di terra scura lasciate dalle auto. Alle nostre spalle la cima del monte Kazbegi svetta a 5033 metri di quota, peccato non vederla in questa giornata nuvolosa. La volumetria semplice della piccola chiesa sembra disegnata da un bambino…. da questa distanza sembra un blocco di pietra sagomata e levigata. Avvicinandoci le forme si complicano dei disegni a rilievo scolpiti nella pietra resa rossiccia dai muschi. Cornici, esili marcapiani e le enormi croci scolpite a motivi geometrici sulle quattro facciate dell’edificio a croce greca complicano l’austero oggetto architettonico….sono così delicati quei disegni geometrici da sembrare piuttosto dei ricami dal chiaroscuro appena accennato. Alcune, poche figure a rilievo, riproducono un paio di animali che sembrano scimmiette ed un omino stilizzato con le braccia troppo lunghe accostate al corpo ed i piedi girati di fianco quasi a negare la vista frontale della figura. All’interno del piccolo ambiente il sacerdote sta celebrando la messa….è davvero microscopica, una ventina di persone presenti la rendono affollata ! Sono appena entrata ed ancora cerco di scorgere qualcosa nella penombra del lume di candela, quando l’aiutante del sacerdote guarda i miei pantaloni, li indica con il dito indice e mi fa segno di uscire. Peggio degli islamici questi ortodossi integralisti. Esco stizzita chiedendomi perché i problemi di look sono sempre del femminile e mai del maschile. Perché gli uomini dettano sempre le regole del femminile ? Perché non possono essere le donne a decidere come entrare in chiesa? I loro sederi sono più belli o più brutti dei nostri?…. i loro capelli diversi dai nostri? Che palle! Non ho mai tollerato queste discriminazioni tra i sessi. Scendiamo poco dopo sotto la pioggia che rende la pista ancor più scivolosa ….. negandoci alle richieste di un passaggio dei fedeli in fase di rientro, poi scatta un imprevisto. Una ragazza che scendeva a piedi si è fatta male alla caviglia….forse una distorsione o qualcosa di rotto, un paio di ragazzi la aiutano sostenendola. L’auto che ci precede non ha posti disponibili, quindi rompendo la nostra regola di non caricare autostoppisti, chiediamo ai tre se vogliono salire con noi. La ragazza parla francese e tra un lamento e l’altro, che seguono ogni piccolo sussulto di Asia, ci dice che è stata a lungo in Francia a studiare. Mi dispiace per la sua caviglia, ma dare loro un passaggio mi ha distratta dalla paura della discesa e così arrivo serena in hotel. Mancano ancora due ore alla cena delle 19….ne approfitto per scrivere mentre Vanni, immerso nella lettura della guida, inizia a maturare il pericoloso desiderio di visitare il Nagorno Karabakh, ovvero l’Israele del Caucaso. Si tratta di un territorio sottratto dagli armeni all’Azerbaijan. Non è facile viaggiare in compagnia di un marito sempre alla ricerca di emozioni forti….o meglio di pericolose avventure. In questi casi mi viene voglia di una bella vacanza di tre mesi ai Caraibi pur sapendo che dopo venti giorni sarei già annoiata a morte…..ma andarsele a cercare proprio no….non mi resta che comunicargli che in Nagorno andrà solo !

05 Luglio 2009

KAZBEGI – TBILISI

Il sole intenso illumina l’abside della chiesa di Kazbegi oggi affollato di signore che vi si recano con fazzoletto in testa, gonna lunga e l’aria contrita. Le vedo arrivare mentre costeggiano a passi veloci il muro di cinta di grosse pietre che definisce il giardino di pertinenza. Un paio di leoni con la catena al collo si guardano fronteggiandosi, scolpiti a rilievo sopra l’arcata del portone d’ingresso. Di fronte c’è un tempio di pietra, come un grande tabernacolo sotto il quale si apre una bella volta ad ombrello sostenuta da quattro pilastri. sarà per via delle signore che vi sono entrate, o per gli alberi che sembrano volerla nascondere, ma questa chiesa è davvero speciale. Partiamo subito dopo a bordo di Asia per raggiungere di nuovo la capitale dove ci aspetta domani la visita all’ambasciata azera per i visti. Nonostante la giornata di sole nemmeno oggi riusciamo a vedere la cima dell’altissimo monte Kazbegi, solo qualche metro più basso del famoso Ararat, nascosta da una nube grigia e densa che non accenna a spostarsi….quindi ci spostiamo noi risalendo da questi 2000 metri verso l’alto valico ricoperto di seggiovie e pecore che pascolano sui prati verdi che come un velluto ricoprono l’orografia delle montagne. Poco dopo ci fermiamo per osservare un belvedere la cui struttura, in chiaro stile sovietico, ci incuriosisce passando. Si tratta di un alto muro flesso ad arco di cerchio e terminante in basso con arcate che inquadrano la vallata sottostante Il Settore di cerchio sottratto all’ideale cilindro consente di ammirare dalla strada il rivestimento di ceramica dipinta a figure che riveste l’intera superficie interna del muro. Non essendoci nulla di così spettacolare da osservare dal belvedere, ci limitiamo ad ammirare questo bell’oggetto sospeso tra l’architettura e la scultura che sembra una gigantesca corona posta qui sul cocuzzolo ad autocelebrarsi. Proseguiamo scendendo la comoda strada che dopo nemmeno un paio d’ore ci consente di raggiungere Mtskheta e la sua imponente cattedrale. Nonostante l’indigestione di chiese maturata nel corso del viaggio, non possiamo ignorare la cattedrale di Svetitskhoveli visibile persino dall’autostrada. Circondata da un muro di cinta con merlature, ha pianta a croce latina, un alto tamburo ed il tetto a cono. All’interno una chiesetta in miniatura di pietra bianca occupa una parte della navata laterale….forse una tomba? Interrompono l’uniformità del pavimento lastre di marmo incise in caratteri cirillici ed uno stemma con due leoni che si fronteggiano ritti sulle zampe posteriori. Un cristo enorme è dipinto sull’emiciclo absidale e la cupola è altissima sopra il tamburo slanciato. I blocchi di pietra del perimetro esterno hanno qua e la animali scolpiti in bassorilievo e ricami geometrici a formare croci o a rimarcare le bucature delle finestre. Piccole sculture che rappresentano chiese in miniatura sono poste sul colmo dei tetti a due spioventi che coprono il nartece ed il transetto…..due teste di toro sporgono ai lati del portale d’ingresso nel muro di cinta…..sarebbe interessante conoscerne la simbologia, che forse fa propri i simboli delle religioni pagane dell’Asia minore. La rappresentazione di animali diversi dalla colomba e dall’agnello, tipici dell’iconografia cattolica, è molto frequente nella rappresentazione simbolica del cristianesimo ortodosso….questo ormai possiamo affermarlo con certezza. E’ solo il primo pomeriggio quando raggiungiamo Tbilisi….ormai la conosciamo abbastanza da poterla girare in auto senza l’aiuto di un taxi, così ci dirigiamo verso Rustaveli, un quartiere del centro ed iniziamo una bella passeggiata esplorativa lungo il corso principale, tra meravigliosi edifici decò e neoclassici i cui piani terra sono occupati da negozi alla moda. Il fantastico teatro dell’opera è stato realizzato in stile moresco, mentre sono in stile neoclassico i due musei più importanti della città. In alto e lontana, l’antica fortezza di Tbilisi continua a vegliare sulla città con il suo profilo flesso da torri circolari. Raggiungiamo la nostra camera all’hotel Ambasadori nel tardo pomeriggio….per un riposino che precede la cena. E’ Vanni a scegliere questa sera….raggiungiamo così la vicina strada pedonale della città vecchia, la più affollata di bar e ristoranti ad occupare i begli edifici verandati, e ci accomodiamo in un ristorante italiano poco gettonato, di fronte al divertente “KGB still watch you” Seduti ad un tavolino all’aperto godiamo della bella serata tiepida, dell’atmosfera vivace di quest’angolo della capitale e della musica jazz dal vivo le cui note ci arrivano dal locale accanto.


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Percorso della tappa

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29 Lombok Island

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30 Bali Island

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31 Java Island

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32 Karimunjawa National Park

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33 Bali Island

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34 Papua Nuova Guinea

Asia

35 Raja Ampat

Asia

36 Papua Nuova Guinea

Asia

37 Java Island

Asia

08 Armenia


06 Luglio 2007

TBILISI – LAGO SEVAN

All’ambasciata azera, che raggiungiamo in mattinata, ci comunicano che senza lettera d’invito possono concederci un visto di transito valido cinque giorni. Dobbiamo versare 20 $ a testa nella lontanissima banca specificata in bacheca e tornare con i passaporti ed il modulo compilato corredato di foto. Dopo la corsa in taxi fino alla banca e la breve attesa di venti minuti per la compilazione del visto sui passaporti, abbiamo i nostri cinque giorni di permesso per entrare in questo paese che finora definirei poco ospitale almeno quanto il Turkmenistan con il quale siamo in trattativa da mesi per ottenere la lettera d’invito rilasciata a condizione di avere un dettagliato programma di viaggio ed una guida locale al seguito. Dovremo quindi aspettare in Georgia la lettera che ci verrà spedita via e-mail presumibilmente verso il 16 luglio dall’agenzia con la quale siamo in contatto e poi precipitarci a Baku in Azerbaijan sperando di riuscire a trovare un ferry diretto a Turkmenbashi e disposto a caricarci entro i cinque giorni del permesso di transito. Può sembrare impossibile di non farcela…ma le notizie avute riguardo il servizio di ferry sul Mar Caspio non è incoraggiante. La biglietteria non è quasi mai aperta e nessuno sembra avere interesse a caricare turisti sulle navi da carico per traghettarli in Turkmenistan o in Kazakistan…..va da se che avere solo cinque giorni di tempo per raggiungere il porto di Baku dal confine georgiano e per trovare una nave disponibile, dato che non esistono orari nè giorni fissi per la partenza dei natanti, non è comodo. Mal che vada, dice Mehry ovvero il nostro contatto in Turkmenistan, pagheremo una multa per il superamento dei termini del permesso accordatoci. Dopo il timbro sul passaporto non ha più molto senso rimanere a Tbilisi…. per quanto bella, così saliamo a bordo di Asia convinti di raggiungere Telavi, capoluogo della regione vinicola della Georgia, poi decisamente certi che invece entreremo in Armenia…le acque blu del Lago Sevan ci attendono. Alla frontiera armena di Sadachlo, dopo il controllo del visto iniziano le complicazioni relative al pagamento di una tassa di ingresso per l’auto, consistenti nel tempo infinito di attesa. L’impiegato preposto ha infatti privilegiato tutti i locali anche se arrivavano dopo Vanni….dover attendere un’ora per pagare una tassa è decisamente troppo, soprattutto se si è costretti per questo, a subire un torto. Finisce che Vanni esce furioso dall’ufficio inveendo contro gli armeni in generale…..insomma non proprio un buon inizio. La prima cittadina dopo il confine è Alaverdi…..adagiata in una stretta vallata chiusa da montagne rocciose, ci colpisce per l’altissima ciminiera dalla quale esce un fumo denso che stenta a disperdersi. Gli edifici sottostanti grondano fascino da ogni vetro rotto, da ogni profilo metallico arrugginito e dai mattoni anneriti dal fumo…..che bell’esempio di archeologia industriale ancora in attività a pieno regime….sarebbe una bella immagine per la copertina di un vinile di musica underground ! In un paio d’ore raggiungiamo i 1900 metri di quota ed il lago….la strada che percorriamo è piuttosto stretta ma senza buche, ed una lunga galleria costruita di recente nei pressi di Dizilan deve avere alleggerito i nostri tempi di percorrenza. il cielo oggi regala solo nuvole scure che rendono nera l’acqua del lago e pressoché invisibili le montagne che vi si protendono sull’altra sponda…..insomma ci accoglie il solito “tempo da lago”…..dopo il lago Van che fu anch’esso armeno, il lago Sevan non smentisce quella che sembra essere ormai una regola. Raggiungiamo l’hotel più imponente che vediamo…una sorta di enorme tempio al turismo sorto a pochi metri dalle acque del lago e del quale anche il nome sembra eccessivo ….. “Harsnaoar Hotel Complex & Water World” è un mostro nelle sfumature del marrone che ci offre una camera confortevole vista lago per l’equa somma di 55.000 dram ovvero circa 110 €. L’impiegata che mi accompagna a vedere la camera e che vorrebbe senza successo, essere pagata anticipatamente in contanti, ha l’aria abbattuta di chi ultimamente ha visto troppi nuvoloni e pochi turisti. Non sembrano belli questi armeni…almeno ad una prima occhiata ! Visto il fortunale che imperversa fuori rimaniamo in hotel per la cena…..caviale rosso piuttosto buono ed una fetta di salmone dal sapore terrificante consumati in una saletta separata per via del frastuono musicale della band che si esibisce con brani di musica tradizionale nell’ampia sala del ristorante….. Vista l’insistenza di Vanni il cameriere si sbilancia in una promessa…..domani sera avremo, ci assicura, due porzioni di caviale beluga nero….mah !

07 Luglio 2009

LAGO SEVAN

La portafinestra di fronte al letto inquadra le acque del lago, le montagne di fronte e le nuvole soprastanti….non potremmo godere di una vista migliore, e senza nemmeno sollevare troppo la testa dal cuscino. Andiamo subito in paese a prelevare del contante locale e poi facciamo due passi nei larghi marciapiedi del viale principale che pullulano di mercatini improvvisati. Sono in molti a vendere frutta esposta in scatole di cartone all’ombra degli alti platani. I piani terra dei bassi edifici prospicienti sono occupati da una miriade di piccoli negozi che vendono di tutto …. il supermercato non è ancora contemplato in questo vivace paesino di montagna! Accostati al tronco di un albero un paio di vecchietti espongono qualche cacciavite, un paio di martelli e piccoli utensili per tagliare il vetro o affilare i coltelli….tutto rigorosamente usato. Un backgammon anziano quanto loro, di legno chiaro e dipinto a motivi arabeggianti è appoggiato al tronco dell’albero….bellissimo. Dopo una breve trattativa portata avanti dal vecchietto più sveglio, ci accordiamo per 7000 dram, l’equivalente di 14 €…..il backgammon è nostro! Per sedare le proteste del proprietario che ne voleva 8000, gli regaliamo un vecchio trapano non funzionante che Vanni ha portato dall’Italia ma che giustamente non soddisfa il vecchietto….ce ne andiamo poco dopo con il pezzo più bello della ormai cospicua collezione! Dopo aver percorso il viale diverse volte cercando di uscire dal centro abitato di Sevan, riusciamo a raggiungere la chiesetta di Hayravank eretta nel IX secolo su uno sperone roccioso proteso nelle acque del lago, una trentina di chilometri più a sud della cittadina. Le pietre macchiate di rosso dalle muffe presenti sulle pareti perimetrali. Il sito è interessante soprattutto per le numerose lapidi medievali scolpite in bassorilievo con croci che sembrano piuttosto ricamate. Sono disposte attorno all’edificio…sparse tra le rocce emergenti….si chiamano Khatchkar. Le troviamo anche nei pressi delle due chiese coeve sorte in cima alla penisola montuosa poco più a nord del nostro hotel. Ciò che più mi intriga qui, è però un edificio razionalista di chiara impronta sovietica inserito sulle pendici del promontorio….. un paio di parallelepipedi bianchi che sovrastano un volume a forma di mantice con vetrata curvilinea sul lago….bellissimo. Le due piccole chiese del X secolo delle quali accennavo sono belle soprattutto per la loro posizione. Le vediamo da lontano anche dalla finestra panoramica della nostra camera…..là nel punto più alto e scosceso del picco con i tetti a cono che sembrano bucare il cielo. All’acquzzone che arriva immancabile a metà pomeriggio segue uno splendido arcobaleno che parte proprio da una delle chiese e sprofonda nelle acque del lago sull’altro lato della baia. Come ci aspettavamo la cambusa dell’hotel non è stata riassortita di caviale nero, e nemmeno di dolci. Degli almeno dieci che compaiono sul menu ne sono rimasti disponibili solo due tra i quali scegliere….due meno di ieri….pare che l’hotel vada ad esaurimento delle scorte!

08 Luglio 2009

LAGO SEVAN – YEGHEGNADZOR

Lo spettacolo delle montagne che sprofondano nell’acqua del lago è ciò che vediamo quando, ancora stesi sul letto, solleviamo la mascherina……magico anche se ancora velato da un sottile velo di nuvole. Il programma di oggi è piuttosto ambizioso e consiste nell’avvicinarci a Goris nel sud dell’Armenia, visitando strada facendo i principali siti storici che presuppongono deviazioni non troppo impegnative. La prima è ad una ventina di chilometri da Sevan… in corrispondenza della quale, con una certa perplessità, puntiamo a Nord verso la centrale nucleare ex sovietica che occupa una bella porzione della vallata sottostante Tsaghkadzor…. speriamo che regga! Saliamo ancora qualche chilometro ed ecco che individuiamo i coni di copertura del centro monastico di Kecharis, emergenti dal tessuto urbano di questa località piccola ma famosa perché vi si allenavano gli atleti sovietici impegnati nelle olimpiadi invernali. Il monastero comprende tre magnifiche chiese realizzate tra l’ XI ed il XIII secolo, di dimensioni molto diverse tra loro. La cattedrale domina lo spazio circoscritto del giardino di pertinenza, ma la più piccola, la cappella di Surp Nishan, è decisamente la più accattivante, con le pietre squadrate della muratura annerite dal fumo delle candele nel suo esiguo volume interno. Elementi comuni sono la pianta a croce greca, lo slancio verso l’alto del tamburo e le sfumature nei toni del grigio e del sabbia dei blocchi di pietra che formano il paramento esterno. I pochi elementi decorativi a bassorilievo, ad eccezione delle arcatelle che corrono lungo i fianchi delle navate, sono concentrati attorno all’ingresso e nella lunetta soprastante. Il controluce dei tre edifici non favorisce certo il mio reportage fotografico, ma in fondo nessuno dei miei amici si sottopone volentieri al tormento della proiezione delle foto….quindi non avrò severi giudici a commentare. Andiamo ancora oltre fino a Yerevan, la capitale, nei pressi della quale ci sono ben due siti da visitare….il bel tempio greco di Garni per esempio, risalente al I sec. a.c.ed immerso in un paesaggio da favola, caratterizzato da canyon verdeggianti e leggere ondulazioni del terreno….e poi finalmente un oggetto architettonico che non sia una chiesa….ne siamo sollevati. Rimaniamo a rimirarlo a lungo mentre la musica classica diffusa nel sito amplifica il piacere della visita. L’antico tempio dedicato ad Elio, il dio del sole, esula leggermente dalla tipologia classica del tempio greco per via dell’assenza totale di metope e triglifi nella cornice superiore, sostituiti da ma una serie di cornici decorative in aggetto crescente verso l’alto. Com’è elegante questo tempio, e com’è leggero rispetto agli edifici sacri medievali! Dopo appena nove chilometri siamo già fermi per visitare il bellissimo complesso monastico di Geghart, costituito da una serie di chiese parzialmente scolpite nella roccia tufacea e da piccole cappelle, o forse solo le celle dei frati adorne di un piccolo altare ricavato per sottrazione scavando nella roccia. Le chiese tutte a pianta centrale, hanno quattro possenti colonne a sostenere la cupola e diverse figure scolpite a bassorilievo, a decorare le pareti….le più interessanti sono quelle zoomorfe che raffigurano i classici due felini che si fronteggiano di profilo, ma poi ecco la frutta, con melagrane ed uva a formare croci in rilievo grandi e piccole, talvolta vagamente barocche, sparse sulle pareti lisce di roccia chiara in modo apparentemente casuale. Le chiese quasi si compenetrano, scavate come sono su più livelli….da un foro creatosi accidentalmente sul pavimento di una di queste vediamo la chiesa inferiore, quella che contiene la sorgente miracolosa. L’acqua sgorga dalla pozza contenuta nell’abside e scorre, incanalata in uno stretto passaggio sul pavimento, fino a quella adiacente. I fedeli che necessitano di un miracolo raccolgono l’acqua in bottigliette di plastica che poi pagano all’uscita creando così un piccolo business per i monaci. Questo monastero è senz’altro molto pittoresco e sembra riassumere l’espressività estetica e costruttiva del cristianesimo che migrò dalla Cappadocia al Caucaso. Scendiamo ancora sfiorando il monte Ararat reso invisibile dalle nuvole e dalla foschia e poi ancora avanti fino ad entrare nella pittoresca regione montuosa di Vayot Dzor dove i vitigni si inseriscono tra le gole e le selvagge cime rocciose. E’ proprio percorrendo una di queste strette gole dalle alte pareti rocciose che arriviamo al monastero di Novarank, un capolavoro di architettura sacra inserito in uno dei contesti naturali più pittoreschi visti finora…..dove le rocce rosse esaltano i loro toni alla luce morbida del tramonto. Le due chiese sono semplicemente strepitose…la più slanciata delle due è composta da un’aula inferiore leggermente interrata ed una superiore accessibile per mezzo di due scalette di pietra. La loro particolarità è quella di essere larghe non più di quaranta centimetri, dimensione così risicata per una scala da rendere piuttosto difficile il procedere…. le due rampe sono simmetriche rispetto all’asse della facciata e salgono aderenti alla parete inquadrando la lunetta scolpita della porta dell’aula inferiore. Le aperture verticali del tamburo, coronate in alto da archetti e libere da murature creano un particolare insolito chiaroscuro….del resto questa chiesa sta purtroppo cadendo a pezzi e la cupola è crollata. Un bel bottino quello di oggi…..ci sembra di avere visto i pezzi migliori del Caucaso tutti concentrati nel raggio di un centinaio di chilometri. Abbandoniamo l’idea di raggiungere Goris ancora troppo lontana e ci fermiamo invece a Yeghegnadzor nella speranza di trovare un hotel decente in questa cittadina non particolarmente votata al turismo. Dopo un sopralluogo ad un paio di B&B che la guida caldeggiava ma che non ci hanno convinti, ripieghiamo al centralissimo Hotel Gladzdor dove Vanni è rimasto conquistato più che altro dalla simpatia delle due anziane signore che lo gestiscono come possono. Di matrice chiaramente sovietica per via dell’esaltazione della geometria e per l’imponenza del disegno complessivo, l’hotel è ora piuttosto scassato, tanto che la porta principale non si apre e dobbiamo passare dal retro. I pavimenti di legno a listelli con cornici avrebbero bisogno di una levigatura, i materassi hanno le molle in evidenza e la maggior parte delle lampade della camera non si accendono così come quelle dei lunghi corridoi attraverso i quali una delle due signore ci ha fatto strada con la torcia accesa. L’acqua però è calda…riscaldata da un piccolo scaldabagno rapido aggiunto nel bagno di recente….e l’accoglienza è stata squisita, ma non solo…..alcuni particolari sono di grande pregio, come la ringhiera di legno in stile decò che accompagna le scale. Si tratta insomma di un bell’hotel ora decaduto….che peccato….e che fastidio le molle che spingono sulle costole !


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29 Lombok Island

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09 Nagorno Karabakh


09 Luglio 2009

YEGHEGNADZOR – STEPANAKERT

Ormai è deciso, andremo in Nagorno Karabakh …..la piccola nazione riconosciuta solo dall’Armenia nella quale, leggiamo, il personale delle ambasciate straniere non può entrare e per accedere al quale è necessario ottenere un visto speciale che si richiede una volta giunti a Stepanakert, la capitale. Visto che non faremo apporre sul passaporto, pena l’impossibilità di entrare in Azerbaijan nazione con la quale il Nagorno è stato in guerra dal 1989 al 1994. Il problema nacque quando l’Armenia invase parte dei territori azeri creando lo stato indipendente del Nagorno, di fatto una estensione dello stato occupante, ma dotato di un parlamento e di un primo ministro. Perché andare in Nagorno? Mi ero opposta con vigore quando Vanni qualche giorno fa lo propose….ma poi mi ha letto la descrizione della città di Agdam, occupata e saccheggiata dopo il ’94….una città abbandonata da tutti, la cui immagine spettrale è amplificata dagli edifici cadenti e dai crateri lasciati dalle bombe sulle strade, ora grandi pozzanghere popolate di rospi…..una città dove la natura sta riappropriandosi dello spazio urbano….insomma una chicca la cui descrizione sembra tratta da un libro di fantascienza. “A parte qualche soldato ed i cacciatori di metallo da rottamazione, Agdam è una città morta come Pompei, leggiamo invece sulla Lonely Planet ! L’idea di poter vedere dal vero una città che immagino come il set del film “fuga da New York” mi conquista e mi fa cambiare idea…..certo non vedremo Iena Plinsky, ma che importa, potremo sentirci quasi come dei reporter di guerra in questa città dove la guerra non c’è più da 10 anni, ma che rimane comunque una military zone. Partiamo decisi e non ci fermeremo fino al check point in territorio Nagorno. Intanto, immersi nella bella giornata di sole, attraversiamo le pittoresche montagne della regione di Vayots Dzor e di Syunik, dalle pieghe frastagliate che si diramano dalle cime appuntite….poi osserviamo il lento degradare del terreno in vallate coltivate a vitigni ed alberi da frutto, gli unici ad emergere dal profilo piatto di questo territorio prevalentemente erboso. Superiamo un paio di valichi ed eccoci al cartello di benvenuto in Nagorno. Non ancora scolorito dal tempo ci invita a proseguire fino al posto di controllo dove un paio di giovani poliziotti ci accolgono con un sorriso e ci invitano a proseguire dopo l’unica formalità della registrazione dei passaporti. La prima cittadina che vediamo ancora segnata dalla distruzione della guerra è Shushi, nota per la sua cinta muraria medievale che non è servita a risparmiarla . Edifici crollati ed altri abitati ma in grande stato di degrado ed un carro armato posto in cima ad una ripida salita che ha tutta l’aria di essere un monumento alla guerra. Dopo nove chilometri centriamo il nostro obiettivo entrando a Stepanakert, la capitale di questo stato che non esiste. Decisamente migliore della prima, questa città sembra aver avviato da tempo i necessari restauri di edifici e strade…..ancora qualche condominio ci colpisce per via dei terrazzi i cui parapetti fai da te sono stati realizzati con lamiera ondulata legata ai montanti con filo di ferro. La povertà della popolazione che vi risiede è palpabile, ma a differenza dell’Armenia nessuno è per strada a chiedere l’elemosina. Raggiungiamo dopo qualche errore di strada, l’hotel Armenia che, nuovissimo, è quanto di più confortevole potessimo trovare in città…..realizzato senza badare a spese, si erge nei suoi quattro piani sulla larga strada che contiene il palazzo presidenziale. Sopra la vetrata d’ingresso ci sono le bandiere di Armenia, Georgia e Nagorno, quest’ultima con una leggera variazione rispetto alla prima. Prendiamo possesso della 404, l’unica libera solo per oggi per via di una serie di congressi che si stanno tenendo in hotel, poi andiamo all’ufficio del Ministero degli Affari Esteri per l’ottenimento dei visti e per l’autorizzazione a recarci nei luoghi che vogliamo visitare. Nonostante le nostre insistenze Agdam è una città militare e l’ingresso non è autorizzato….se vorremo andare comunque potremmo essere arrestati ….che peccato….sfuma il trip del reporter di guerra! Più tardi riusciamo a strappare la promessa di una cena calda alla manager del ristorante che dovendo far fronte alla cena dei 40 congressisti ci aveva inizialmente proposto un menu freddo a base di insalata e sandwich. Adoro l’ascendente che Vanni ha sulle donne…..solo in questi casi naturalmente! Finiamo con l’assaggiare tra le altre cose, il caviale nero russo…..che però non sa di nulla, ed il classico shashlik kebab di carne macinata che fanno comprimendo un pugno di carne speziata attorno allo spiedino di metallo piatto largo circa un centimetro…..gustosissimo.

10 Luglioo’ 2008

STEPANAKERT – VANK

Alle 10 la massaggiatrice entra puntuale nella nostra camera sostituendosi a Vanni che scende per la colazione. E’ una signora non più giovane, robusta e dagli occhi vispi ed azzurri. Dal tipo di massaggio sembra una sorta di fisioterapista…..mi mostra una serie di tubetti di pomate iniziate vecchie di decenni e mi chiede se sono allergica…..ma a cosa? Per non avere problemi le porgo la mia crema idratante ed inizia l’energico massaggio consigliandomi di fare anche un po’ di sport! A mezzogiorno siamo pronti per partire alla scoperta delle località di merito di questo minuscolo staterello. Torniamo quindi alla cadente Shushi per osservarne la bella cattedrale di pietra bianca, le mura ed i tanti edifici crollati o in stato di grande abbandono anche se abitati dai poveri cittadini che non capiamo di cosa vivano. Torniamo sui nostri passi diretti questa volta a Nord, al villaggio di montagna di Tsaghkashat che contiene il museo memoriale dedicato all’eroe nazionale Nikol Duman, che si distinse alla fine dell’ ‘800 nella guerra tra armeni e tatari. L’interesse del museo risiede, quasi completamente per noi, nel poter visitare una casa ottocentesca conservatasi grazie ai ripetuti restauri. Gli arredi, comprensivi dei tappeti sono originali….vi si trova anche una botticella di forma allungata e con un foro in cima. E’ appesa al soffitto con una corda che ne mantiene la posizione orizzontale e serve per la preparazione dello yogurt….che per l’uso che se ne fa può essere considerato la bevanda nazionale. Ci fermiamo sotto il pergolato a bere un gustoso tè speziato e subito dopo proseguiamo il nostro tour dirigendoci verso Vank dove rimaniamo sbalorditi più dallo stile dei due hotel che vi sono stati realizzati da un ricco benefattore del luogo, che dalla bellezza del monastero di Gandzasar costruito nel XIII sec. sulla cima di una montagna a pochi chilometri dagli hotel. Un magnate del legname nato qui ma che vive da tempo in Russia, ha deciso di aiutare la madrepatria finanziando importanti progetti di sviluppo tra cui la strada che abbiamo percorso oggi, la scuola ed i due hotel del villaggio che sembrano più di stampo hollywoodiano che non russo né tanto meno armeno! Il primo nel quale ci fermiamo, l’Eclectic, ha la forma di una nave con tanto di fiume che gli scorre accanto nella stretta gola nel quale è inserito….ma non ha camere con bagno. La giovane manager ci accompagna allora nel secondo edificio, l’hotel Moqckon, in stile eclettico. Colonne scanalate e capitelli ridondanti di foglie cespugliose….statue classiche ed altre a chiaro sfondo sessuale, una vasca di pesci…..insomma un guazzabuglio di cose. Qui la camera con bagno c’è e costa cara….30.000 Dram contro i 27.000 del bellissimo Hotel Armenia di Stepanakert…..pagamento anticipato e senza ricevuta. Ci consoliamo con la visita dello spettacolare monastero cinto da mura di pietra e dalle antiche lapidi scolpite. All’interno delle mura si impone la chiesa di San Giovanni Battista, di pietra chiara sul prato verdissimo e con tanto di sottofondo musicale diffuso nel giardino….una celestiale musica classica barocca. La tipologia della chiesa è canonica, con un primo ambiente che precede la chiesa a pianta centrale. Il tetto ad ombrello sovrasta lo slanciato tamburo impreziosito all’esterno da meravigliosi bassorilievi nei quali sono rappresentati Adamo ed Eva, un santo che sostiene con la testa il modellino della chiesa, un altro personaggio che ha la testa infilata nelle fauci di un pesce. Alternati ai setti che contengono le immagini, ve ne sono altri sono scolpiti con disegni geometrici…..l’esterno è particolarmente bello, per l’armonia dei volumi che lo articolano e per il bellissimo tamburo istoriato, l’interno invece eccede in semplicità, decisamente in contrasto con la preziosità dell’esterno. Quando torniamo in hotel il magnate russo è da poco arrivato in elicottero….ne veniamo a conoscenza parlando con il copilota, un giovane ragazzo russo, l’unico che parlando inglese può tradurre al cameriere le nostre richieste per la cena. Dal nostro tavolo all’aperto, posizionato nel chiosco di fronte all’hotel, osserviamo il trambusto legato alla presenza del proprietario e della corte che lo segue senza mollarlo un attimo. Fiumi di vodka e molti sorrisi….deve essere simpatico oltre che generoso questo signore di mezz’età. Ogni tanto qualcuno lancia a tutto volume il ruggito di un leone….difficile sbagliare l’interpretazione di una cosa così bizzarra….a giudicare anche dall’enorme muso di leone scolpito nella roccia della scarpata accanto all’hotel, il russo dev’essere nato tra il 22 luglio ed il 21 agosto! I camerieri sono così in apprensione che sfrecciano tra la cucina, i tavoli ed il leone che si sposta continuamente con il seguito di riconoscenti e di questuanti. Infine scompare a bordo di un’auto nera in compagnia delle sue guardie del corpo e delle altre auto che seguono. Ci ritiriamo nella nostra camera “lusso” cercando di addormentarci evitando le molle più sporgenti.


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Percorso della tappa

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30 Bali Island

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31 Java Island

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32 Karimunjawa National Park

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33 Bali Island

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34 Papua Nuova Guinea

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35 Raja Ampat

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36 Papua Nuova Guinea

Asia

37 Java Island

Asia

10 Armenia


11 Luglio 2009

VANK – SISIAN

Immortalo il leone di roccia e partiamo tornando sui nostri passi….non avendo voglia di avventurarci su lunghe piste al limite della percorribilità per vedere monasteri in avanzato stato di degrado e quasi sommersi dalla vegetazione, andiamo verso il confine armeno. Ad Askeran, una piccola cittadina prossima alla frontiera, la visita delle antiche mura ci impegna quanto la scelta di qualche biscotto in un piccolo negozio lungo la strada. Davanti a noi, un carro armato caricato su un rimorchio si dirige verso Agdam, sul fronte con l’Azerbaijan…unico segnale di instabilità in questo paese dove la guerra sembra davvero finita nel ’94. Raggiungiamo il confine attraverso le ripide salite e le discese con tornanti della strada a due corsie che serpeggia nel paesaggio montuoso, reso vivace dai bellissimi fiori selvatici e dai covoni di fieno sui campi gialli delle stoppie di grano. Lungo la strada non mancano le mucche e qualche bufalo al seguito dei pastori….spostarsi sull’asfalto in questo territorio non ancora completamente bonificato è certamente più sicuro anche per gli animali che diversamente rischierebbero di saltare in aria calpestando una mina. Al piccolo ufficio di frontiera consegnamo il foglio timbrato rilasciatoci dal ministero e mostriamo i passaporti….nessuna complicazione tra Nagorno ed Armenia. La visita principale di oggi riguarda tanto per cambiare un monastero….costruito in posizione strategica su un alto sperone roccioso e protetto da alte mura turrite sui due lati non a picco sullo strapiombo. Il monastero di Tatev sembra imprendibile anche a noi che lo raggiungiamo con sofferenza attraverso la strada sterrata massacrata di crateri che, dopo Goris, scende verso sud per 40 chilometri attraversando il paesaggio pittoresco ricco di gole e di speroni rocciosi nonché di montagne rigogliose di boschi. Dopo un numero considerevole di tornanti con moleste residue croste di asfalto, vediamo finalmente la sagoma del tamburo spuntare dalla cinta muraria restaurata di recente. Ce l’abbiamo fatta!
Appena entrati notiamo l’inusuale l’ampia loggia quadrata che precede la chiesa dell’ XI sec. e che contiene in alto la campana appesa all’intradosso della volta. Pochi gli elementi scultorei a rilievo, solo qualche disegno geometrico è posto a rimarcare la scansione in settori del tamburo poliedrico in armonia con il tetto ad ombrello. Nulla di straordinario da questa posizione….se solo potessimo vedere il complesso sorvolandolo, la sua collocazione lo renderebbe unico e pittoresco. Leggermente delusi ripetiamo il calvario della strada ripida e poi solo dissestata fino alla statale che percorriamo fino all’altezza di Sisian. Una deviazione di pochi chilometri che ci consentirà di raggiungere la cittadina a vocazione agricola, ci fa capire che appena si esce dall’unica strada principale che collega il paese da Nord a Sud, la manutenzione delle strade è inesistente. Fatto di bassi edifici, il profilo della città è del tutto anonimo e l’atmosfera che vi si respira di una calma esasperante. Per strada non c’è nessuno nonostante siano le cinque del pomeriggio ed anche il taxista al quale abbiamo chiesto di accompagnarci all’hotel Lalaner, ci semina presto lungo la strada lasciandoci soli a fare tentativi. Finalmente, quando ormai demoralizzati dall’aria eccessivamente dimessa della cittadina stiamo per tornare indietro per avvicinarci ancora un po’ a Yerevan, vediamo la piazza principale e con essa l’hotel prospiciente. Tutti gli edifici che vi si affacciano sono di pietra grigia e dalle volumetrie scatolari, ma poco dopo, passeggiando per le vie del piacevolmente tranquillo centro cittadino vediamo i vecchi edifici pubblici di regime che offrono interessanti prospetti oltre che falci e martello scolpite in rilievo sopra le decorate porte di accesso….L’hotel è stato ristrutturato di recente ed una camera con soggiorno è libera per noi. Il gusto dell’arredamento è in linea con quello armeno e le lenzuola ricamate sembrano piuttosto delle tende….ma l’accoglienza è squisita, la camera pulita e spaziosa e la cena, che consumiamo in una saletta provvisoria, gustosissima. Dulcis in fundo un gruppo di turisti francesi ci offre un paio di fette di torta giganti per festeggiare con noi un compleanno…..siamo proprio fortunati !

12 Luglio 2009

SISIAN – YEREVAN

Al risveglio la camera è inondata dal sole….le due finestre ad arco inquadrano la piazza silenziosa e deserta dopo i chiacchiericci del sabato sera. La tranquilla cittadina non deve avere molto da offrire alle giovani generazioni con velleità di divertimento e ieri sera molti di loro erano raccolti in piccoli gruppi sotto la nostra finestra, con le biciclette abbandonate a terra e le poche panchine tutte occupate. Lasciamo la città e con essa la selvaggia regione di Siunik, la più a Sud dell’Armenia, per dirigerci finalmente nella capitale solo sfiorata qualche giorno fa. Ed eccola spalmata sull’ampia pianura ai piedi del lontano Ararat ancora coperto dalla fitta coltre di foschia. E’ così alta la nostra aspettativa di vederlo finalmente nitido stagliarsi contro il cielo azzurro che questa notte l’ho sognato….bellissimo e ricoperto di neve, ombelico del mondo per tutti i cristiani. Alle due del pomeriggio la temperatura di Yerevan è da liquefazione….il sole allo zenit esalta il chiaroscuro di questa Piazza della Repubblica dove ci fermiamo qualche minuto….giusto il tempo di verificare un hotel e di ripartire verso il Metropol dove una grande camera con terrazzo è disponibile per noi. E’ domenica oggi…. i 35° non invitano ad uscire e Vanni è già sintonizzato su Rai1 per vedere finalmente il gran premio….. quando pochi minuti prima dell’agognata partenza lo schermo si oscura ed a nulla valgono i tentativi del tecnico interpellato con urgenza. La Rai deve aver oscurato volontariamente il primo canale per ragioni a noi ignote….nulla di personale nei confronti di Vanni che però ne è visibilmente contrariato. L’umore non migliora molto nemmeno durante la passeggiata nel corso della quale vediamo la bella cupola rivestita di ceramiche colorate nei toni del turchese della Moschea Azzurra, unico esemplare sopravvissuto qui a Yerevan. Sempre più accaldati raggiungiamo l’ampia piazza della Repubblica nella quale spicca l’edificio neoclassico del Museo Nazionale e poi il Teatro dell’Opera attraverso il corso Nord, il nuovo asse pedonale della città i cui edifici ancora in fase di completamento sono così pesanti da essere paragonabili ad alcuni dei nostri del ventennio. Bellissima invece la “cascata” ovvero la lunga scalinata di pietra bianca che conduce al monumento del “50° anniversario del Soviet”. Progettato dal gruppo Design Quadrat, si articola in una serie di grandi fontane dall’architettura vagamente metafisica alla De Chirico. Impreziosite di bassorilievi a disegni floreali ed articolate in numerosi getti d’acqua sgorganti da elementi di pietra variamente in aggetto dalle pareti di fondo e laterali, creano luoghi di grande piacevolezza e di refrigerante relax dove è quasi necessario fermarsi nel corso della lunga salita. Aiuole fiorite inserite in parallelepipedi della stessa pietra seguono i gradini della scalinata. Alla caduta del regime il progetto rimase incompiuto, ma i lavori sono ripresi con una certa lena in seguito all’acquisizione del progetto da parte di un collezionista d’arte che vi ha fatto collocare tra le altre un paio di belle sculture in bronzo di Botero. Per via del caldo eccessivo rinunciamo a raggiungere la cima, ma già dal quarto step la vista sulla città è di un certo effetto. Quando dopo le otto di sera usciamo ancora per raggiungere il ristorante, la temperatura si è piacevolmente abbassata e la città si è animata del rientro che segue il weekend. Auto sfreccianti, persone a passeggio per le vie del centro ed una miriade di insegne luminose di negozi, ristoranti e locali notturni….un’esplosione di vita che ci piace almeno quanto l’ottimo sushi gustato al ristorante Samurai, a due passi dalla Cascade.

13 Luglio 2009

YEREVAN

L’ottima fama dei pittori russi del XX secolo è confermata dalla visita di oggi all’unico museo aperto il lunedì…..ovvero il Museo Studio del pittore Martiros Sarian. Raccoglie un’ampia collezione di quadri eseguiti da Sarian tra il 1904 ed il 1970 e lo studio del pittore così come lo ha lasciato quando morì nel 1972. L’influenza del fauvismo francese è evidente nell’uso di colori sgargianti sia nei ritratti che nei paesaggi, così come è evidente l’amore per la luce intensa e per le atmosfere esotiche derivanti dai suoi viaggi in Egitto ed in Persia. Mi stuzzica l’idea che Sarian possa aver conosciuto e frequentato il mio pittore russo preferito….El Lissitzky. Avevano più o meno la stessa età e furono entrambi esponenti delle avanguardie russe nei primi decenni dello scorso secolo….anche se le modalità espressive di quest’ultimo prevalentemente grafiche e costruttiviste sono diametralmente opposte a quelle squisitamente figurative di Sarian. Grazie al piacere che ci da vedere questi bellissimi quadri la giornata inizia benissimo e prosegue su un genere ormai consolidato…..una chiesa al giorno non ce la toglie nessuno! Echmiadzin è la città santa dell’Armenia…… l’equivalente del nostro vaticano, nonché sede del Katholicos Garegin II che rappresenta la massima autorità spirituale della chiesa apostolica armena. Detto questo, la basilica di Mayr Tachar è molto bella forse anche per le contaminazioni stilistiche arabe evidenti negli elementi decorativi della loggia. Il suo volume articolato nei quattro bracci uguali della croce greca è anticipato da una loggia quadrata sormontata dalla torre campanaria. Le pareti quasi completamente senza decori della chiesa esplodono nella ricchezza scultorea della loggia dove bassorilievi che sembrano trine ricamate rappresentano motivi geometrici molto chiaroscurati misti a teste di felini e colonnine a torciglioni. Bello e coloratissimo l’intradosso della cupola che copre la loggia al piano terra….con visi femminili circondati da ali colorate a tinte forti e ghirlande di fiori. All’interno della chiesa invece le cupole e le volte affrescate senza immagini figurative hanno tinte cupe nei toni del verde, blu e bronzo. E’ una bella chiesa,almeno quanto le altre viste qui in Armenia. Nonostante il caldo soffocante, a metà pomeriggio usciamo per vedere da vicino l’enorme statua in bronzo, alta più di 20 metri, che raffigura la Madre Armenia. Sin dal nostro arrivo in città la vediamo svettare in cima alla collina che definisce la città verso Nord….armata di spada, la figura femminile dai lineamenti duri e geometrizzati tipici del nostro futurismo, guarda verso il confine turco con aria severa e minacciosa. Fa da piedistallo un edificio a pianta quadrata rivestito di pietra scura che ospita il museo militare. Sulle pareti esterne non mancano i bassorilievi di chiara matrice comunista con falci e martello o asce incrociate…..nel piazzale che gira attorno all’edificio fanno bella mostra su piedistalli missili e mezzi militari, nell’intento non proprio educativo di celebrare la guerra. Va tenuto presente che l’ultimo conflitto con l’Azerbaijan non si è ancora ufficialmente concluso e fu innescato dall’Armenia nell’intento di riappropriarsi di territori che le appartennero. Ciò innescò l’esodo dal Nagorno di migliaia di musulmani che ne furono scacciati….Va anche detto che l’Armenia mantiene rapporti diplomatici solo con due dei quattro paesi confinanti, sono infatti chiuse le frontiere con la Turchia e naturalmente con l’Azerbaijan. La lunga passeggiata termina con un aperitivo consumato in un tavolino del bar Vienna che si affaccia sulla piazza della Repubblica….siamo letteralmente distrutti, quindi ci godiamo il relax fino all’ora di cena. Il microscopico ristorante Ankyun ha cinque piccoli tavoli e si propone come ristorante italiano….il risotto di pesce e ananas così come le polpette di maiale in confettura di mele non possono dirsi di tradizione squisitamente italiana, ma ciò che assaggiamo, evitando la pizza, è squisito e l’atmosfera particolare piuttosto europea soprattutto per via degli ospiti tutti di lingua inglese.

14 Luglio 2009

YEREVAN

Per noi abituati a spostamenti quotidiani di almeno qualche decina di chilometri, questo secondo giorno dedicato a Yerevan rappresenta un’ eccezione che non sappiamo bene se si concluderà con successo. Per il momento consumiamo con calma la nostra colazione e poi raggiungiamo il primo dei tre musei in programma per oggi. Il Museo di Arte Russa sembra una promessa visto che ospita 200 opere di artisti vissuti tra il XIX ed il XX secolo…immaginiamo di trovarvi esposte le tele dei grandi artisti del ventennio come per esempio il mio adorato El Lissitzky o Malevich o Chagall…ma nessuno di questi grandi è qui rappresentato ed il genere dei quadri che vediamo esposti è lontano dai loro soggetti preferiti nonché dalle loro modalità espressive. Il museo raccoglie in realtà una collezione privata donata da un dottore armeno che prediligeva i paesaggi e le nature morte….non escludendo quelle a tinte accese. Recuperiamo ampiamente la piccola delusione entrando dopo pochi minuti al vicino Museo Yervand Kochar, un artista geniale che fu il rappresentante armeno tra le avanguardie che gravitarono a Parigi negli anni ’30. Il suo cubismo tende alla liquefazione, le sue sculture mescolano elementi umani a parti meccaniche in una simbolica rappresentazione delle implicazioni dell’essere. Ma la cosa più sorprendente sono le “lamiere dipinte ad olio” con soggetti figurativi geometricamente scomposti…le lamiere sono piegate, ritagliate, forate e ruotano attorno al loro asse centrale rappresentando così la quarta dimensione tanto ricercata ed inseguita nelle opere dell’artista. La collezione esposta è fantastica anche se contenuta e fantastico è anche l’entusiasmo della curatrice che ci ha intrattenuti illustrandoci fin nelle sfumature le opere presenti nel museo. Quando infine arriviamo alla immensa Galleria Nazionale in piazza della Repubblica non abbiamo più molte energie da spendere e l’enorme collezione che spazia dai reperti archeologici dell’antico Egitto e dell’antica Grecia all’arte moderna e contemporanea passando per gli orologi francesi del ‘700 richiederebbe un’intera giornata di visita. Mentre attraversiamo le sale osserviamo le centinaia di quadri che seguono l’evolversi delle modalità espressive dalla fine dell’‘800 ad oggi, passando dall’impressionismo all’espressionismo all’iperrealismo, degli artisti armeni nel corso del XX secolo….la contaminazione europea è evidente, tanto che osservando le opere esposte in questa prolissa galleria sembra che gli artisti locali non abbiano aggiunto molto al panorama culturale europeo, ma abbiano semmai attinto a piene mani dalle consolidate correnti artistiche europee. Solo alcuni quadri davvero speciali di Kochar, sfuggiti alla fondazione, ed una intera sala dedicata all’artista “fauve” di Yerevan, il già noto Sarian spiccano decisamente sugli altri. Raggiungiamo stravolti la nostra 310 al Metropol, poi torniamo in taxi al Samurai per bissare l’ottimo sushi. Seduti a bordo di un vecchio 124 Lada vediamo sfrecciare i suv nuovi di zecca e tutti rigorosamente neri, la ripresa economica in questi paesi ex comunisti sembra essere stata velocissima per alcuni, improbabile per tutti gli altri….non proprio un buon risultato!

15 Luglio 2009

YEREVAN – TBILISI

Dopo la visita all’ultimo monastero di Hakhpat nei pressi di Alaverdi, sulla strada diretta alla frontiera georgiana, eccoci inchiodati con le devastanti formalità sulle due frontiere….due ore perse in lungaggini da regime che ci fanno desiderare di lasciare i paesi caucasici al più presto. Alla frontiera Armena facciamo come al solito il controllo dei passaporti e dei documenti dell’auto…..poi dato che nessuno è disposto ad alzare la sbarra per lasciarci passare e senza che nessuno si degni di informarci sul protocollo da seguire, scendo e vado all’ufficio della dogana per chiedere a qualcuno il da farsi. Da lì mi accompagnano di fronte ad un ragazzo che non capisce una parola di inglese ma che mi fa capire che per uscire dal paese dobbiamo pagare la tassa per l’auto…..ma non è lui ad incassare il denaro…devo andare nello sportello bancario alla porta accanto dove, una volta raggiunto lo sportello due locali alle mie spalle mi passano davanti allungando del denaro all’impiegato seduto dall’altra parte del vetro. Furiosa torno dal bamboccio analfabeta che mi fa capire che è Vanni a doversi presentare per ottenere il foglio di uscita dell’auto ….. il tutto si svolge alla temperatura di 35°C ! Entrati in frontiera georgiana un ragazzo gentile ci sorride salutandoci con un buongiorno e ci indica il luogo nel quale dobbiamo fermarci, una cinquantina di metri più avanti. Là, una ragazza dal muso lungo, scortese per non dire maleducata dice che io devo scendere con tutti i bagagli contenuti a bordo di Asia e raggiungere con essi il controllo, mentre Vanni andrà avanti con l’auto. Tre trolley ed un valigione non sono uno scherzo se si è soli a trascinarli per almeno una trentina di metri….ma in qualche modo ce la faccio, ed a quel punto mi ritrovo imbottigliata in un corridoio in compagnia di almeno una cinquantina di locali in attesa come me che l’unico impiegato addetto svolga il suo compito. Allucinante! Se non hanno gli strumenti adatti al controllo capillare dei bagagli in transito non possono permettersi di sequestrare le persone in questo modo, costringendole a sostare in un luogo angusto, pigiate come sardine ed in compagnia di questi caucasici che si intrufolano appena possono passare davanti agli altri. Ne esco dopo una mezz’ora abbondante solo grazie all’aiuto di Vanni che parlando con un impiegato gli ha detto che mai un paese del genere potrà entrare in Europa…sarebbe incredibile ed a quel punto saremmo noi due ad uscire dall’Europa. Lo stesso impiegato ha dato la colpa ai problemi con l’Armenia….anche loro dopo Turchia ed Azerbaijan ! Furiosa mi siedo a bordo di Asia mentre Vanni per rincuorarmi mi dice che d’ora in poi le frontiere saranno sempre peggio. Quando dopo un paio d’ore arriviamo a Tbilisi, raggiungiamo senza fatica l’hotel Ambassadori dove casualmente occupiamo di nuovo la 207…..per qualche istante è come se l’Armenia non fosse mai esistita. Quando poco dopo passeggiando per le strette strade del centro storico vediamo il nostro piccolo bar, ci fermiamo per un Mohjto. Seduti nelle comode poltroncine, ormai rilassati e di buon umore vediamo passare i due giovani ragazzi ai quali avevamo dato un passaggio scendendo dal monastero di Tatev, in Armenia. Trascorriamo con loro un’oretta di piacevoli chiacchiere che definiscono meglio la reciproca conoscenza ….. Zima è armena, laureanda in sociologia e bellissima….Alfred è francese di Lyon e ricercatore dell’Unesco….insieme non raggiungono la mia età. Da tre mesi viaggiano in Armenia ed ora si sono concessi una parentesi georgiana. Sono carinissimi e, per come si guardano, ci chiediamo per quanto tempo ancora rimarranno solo amici. Il ristorante KGB è piuttosto divertente per via delle scritte sulle sedie e nella vetrina sulla strada del tipo….”KGB still working” e “Still KGB watching you”, lo scegliamo oltre che per l’originalità dell’arredamento anche per la sua posizione….è uno dei tanti locali dal look trendy che si affacciano sulla piacevole strada pedonale più gettonata del centro storico. Mangiamo bene mentre godiamo della temperatura perfetta e dell’atmosfera rilassata di questa calda serata estiva.


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11 Azerbaijan


16 Luglio 2009

TBILISI – SISIAN

Quando la mattina partiamo diretti al confine con l’Azerbaijan sappiamo già che sarà una giornata campale…..non è facile rassegnarsi alle lungaggini delle frontiere dei paesi caucasici così come ai toni spesso intimidatori degli addetti che vi lavorano. La strada che dalla capitale raggiunge la frontiera è scorrevole e veloce e le poche decine di chilometri di distanza la fanno sembrare quasi dietro l’angolo e così alle 10.30 siamo già sul “ponte rosso” della frontiera georgiana dove pochi camion ed alcune auto sono ferme in attesa sotto il sole già cocente di questa calda mattina di metà luglio. Autisti e passeggeri cercano ristoro all’ombra dei cassoni dei camion ma i visi tirati lasciano intuire che l’espediente non sia sufficiente. Circondati dal paesaggio desolato di questo posto di confine seguiamo anche noi come gli altri le bizzarre indicazioni dei poliziotti di turno che con fare autoritario e la mitragliatrice sempre penzoloni sul ventre, gesticolano ordinando di arretrare tutta la colonna di auto, poi di avanzare e di arretrare ancora in una danza delirante non giustificata da un motivo evidente….perché tutto attorno a noi è immobile. Per farla breve, anche se per noi tanto breve non è stato, rimaniamo più di un’ora in balia dei poliziotti immersi nell’aria soffocante, prima di poter accedere al gate di controllo dove due soli impiegati gestiscono il traffico si in uscita che in entrata. Poco dopo mezzogiorno eccoci fermi al vicinissimo posto di blocco della frontiera azera…in attesa davanti al cancello chiuso ma fortunatamente senza auto a precederci. Questione di pochi minuti ed accediamo al cortile terroso sul quale si affacciano i bassi edifici della dogana e dell’immigrazione….le scritte tutte in caratteri cirillici ed in un primo momento nessuno che capisca una parola del nostro stentato inglese. Entriamo in una piccola stanza dove l’impiegato osserva i nostri passaporti, quindi telefona e mi porge il suo cellulare…..dall’altra parte un signore che parla inglese ma la linea è piuttosto disturbata. Mi spiega che pur avendo noi ottenuto un permesso di transito di cinque giorni, entrando con l’auto italiana possiamo rimanere solo tre giorni….ovvero….noi possiamo rimanere cinque giorni ma l’auto solo tre. Allo scadere dei tre giorni sarà sequestrata a meno che non si provveda a lasciarla in sosta in un portofranco doganale. Quando mentre parla, cerco di fargli delle domande per cercare di capire meglio, mi ordina di stare zitta e di tenere le domande alla fine, e quando poi gli dico che non sono sicura di aver capito bene, vista la linea disturbata ed il suo accento russo nel parlare inglese, mi risponde che questo non è un suo problema, che lui mi ha spiegato quanto doveva e che non ha intenzione di replicare. Ringrazio per la cortesia e rientro nell’ufficio restituendo il cellulare all’impiegato che afferra in malo modo i nostri documenti e si rivolge a Vanni con estrema maleducazione chiedendo in modo incomprensibile la Driver licence. Ma non è finita qui….ci dice di andare in un altro ufficio imprecisato, ma sullo stesso lato del suo. Dopo 15 minuti e dopo aver cercato di chiedere a tutti quale fosse l’ufficio, Vanni conquista il secondo timbro su un documento in cambio di 15 $ che però non si sa perché, controllando il resto, sono diventati 20 $. Intanto è passata un’ora e ancora nessun timbro di ingresso è stato apposto sui nostri passaporti. Dopo altri venti minuti passati a chiedere cosa dobbiamo fare adesso, ma senza ottenere risposta alcuna, si passa al controllo di Asia. Fortunatamente i bagagli non vengono aperti ma la tenda a guscio sopra al tettuccio si….i nostri due visti adesivi del Nagorno sono nascosti tra le pagine del diario chiuso dentro al mio trolley e la guida Lonely Planet, che abbiamo letto viene sistematicamente sequestrata, è nel fondo della scatola portaoggetti sotto il freno a mano….su di essa alcune penne, biscotti ed oggetti vari che la rendono invisibile. La tragedia scoppia quando un militare vede delle carte stradali sul sedile posteriore di Asia….le afferra e le passa al doganiere che le apre e vede che in una di esse ci sono Armenia ed Azerbaijan rappresentate sullo stesso foglio….massimo affronto per loro che per via del Nagorno non sono esattamente in buoni rapporti con l’Armania……ma il problema non è solo questo. Sulla copertina della stessa carta stradale, nella mappa riassuntiva degli stati rappresentati, l’area del Nagorno è colorata di verde come l’Armenia e non in giallo come l’Azerbaijan, riconoscendo in questo modo al piccolo stato indipendente una sorta di ufficialità. Dopo una mezz’ora di attesa nella quale due poliziotti spariscono con la nostra carta stradale, vengo invitata ad entrare con i passaporti nell’ufficio dove i due mi stanno aspettando. Mi restituiscono la cartina della Georgia, ma riguardo all’altra iniziano a commentare, in perfetto inglese, che il Nagorno è azero e non armeno, che per questa occupazione loro sono in guerra con l’Armenia e che questa carta stradale afferma l’illecito. Sfinita per la paternale propongo di tagliare via dalla carta l’Armenia purché lascino integro il loro paese che dobbiamo ancora attraversare. Fanno una leggera piega a triangolo per vedere in che modo si può procedere al taglio, ma poi si soffermano a lungo a cercare ed a mostrarmi sulla carta i luoghi nei quali sono nati, come se questo potesse essere di un qualche interesse per me. Senza fretta, dopo un tempo che sembra interminabile la ripiegano e me la porgono tutta intera raccomandandosi di gettarla via non appena avremo finito di usarla. Che delirio! Segue un discorsino nel quale ribadiscono la loro legittimità sul Nagorno a proposito del quale mi chiedono più volte se siamo stati….come se fosse possibile rispondergli di si! Dopo aver ascoltato i discorsi retorici esco dall’ufficio con le carte ed i passaporti timbrati….siamo finalmente liberi di raggiungere Baku, città che dista 570 km da qui e dalla quale dovremo fuggire a bordo di un ferry entro dopo domani….non male come programma. Sono già le 15 quando usciamo dal cancello della frontiera lanciandoci in una corsa contro il tempo che ci vedrà forse arrivare a Baku entro sera….tutto dipenderà dalle condizioni della strada. Ma ecco che una serie di lavori in corso che si protraggono per i primi 350 km rendono inattuabile l’ambizioso progetto. La strada attraversa un’ampia distesa semi desertica complicata solo da lontani cordoni di basse montagne piatte e grigie come la pianura….il vento forte solleva la polvere dal terreno arido e rallenta Asia nella sua lunga corsa verso il Mar Caspio. In corrispondenza dei centri abitati che attraversiamo senza fermarci, notiamo l’estrema cura dell’arredo urbano e molti edifici nuovissimi realizzati senza badare a spese. Accanto ad essi certo coesistono le abitazioni cadenti o estremamente degradate dal tempo, ma la recente esplosione di ricchezza di questa nazione grazie all’estrazione di petrolio dal Caspio, è stata determinante per lo sviluppo delle infrastrutture del paese, ce ne rendiamo conto attraversandolo in gran fretta….il permesso di tre giorni ci pesa come una spada di Damocle sulla testa. Quando alle 21.30 raggiungiamo la cittadina di Sisian, siamo troppo stanchi per proseguire, quindi non ci resta che cercare un hotel per la notte chiedendo ai passanti. L’unico disponibile è il Kur, ospitato in un vecchio edificio di stampo sovietico, le cui camere sporche odorano di urina e l’asse del water sembra fatto di cartone plastificato…..che dire, non abbiamo alternative e quindi ci addormentiamo cercando di pensare ad altro.

17 Luglio 2009

SISIAN – BAKU

Al risveglio puzziamo esattamente come la camera….partiamo in gran fretta ed alle 9 siamo già a Baku dove raggiungiamo immediatamente la biglietteria del porto nella speranza di trovare un ferry in partenza per il Turkmenistan. Un gruppetto di giovani ragazzi inglesi è fermo fuori dalla porta dell’ufficio, accanto a loro le biciclette con le quali hanno percorso il lungo viaggio dall’Europa. Atletici e simpatici, ci forniscono qualche informazione….c’è un ferry in partenza oggi per Aktau in Kazakistan, quello per il Turkmenistan è partito ieri e non si sa quando sarà la prossima partenza. Non abbiamo scelta, considerando che non vorremmo perdere Asia per strada, acquistiamo due biglietti per il Kazakistan a 130 € l’uno, uno per Asia da 300 € e ci mettiamo con gli altri pochi passeggeri in attesa che il disbrigo delle formalità doganali abbia inizio. Siccome le persone alle quali abbiamo chiesto ci hanno detto che a bordo non c’è il ristorante, vado al negozio più vicino a afre rifornimento di scatolame e frutta, tanto per non morire di fame in mezzo al mare, poi nell’attesa socializziamo con gli inglesi e con due simpatici georgiani che hanno tradotto per noi europei l’incomprensibile idioma della cassiera addetta alla biglietteria. La simpatica signora azera infatti non capiva una sola parola di inglese e la nostra stringata conversazione svoltasi nell’ufficio adiacente bevendo un tè da lei gentilmente offertomi è avvenuta grazie all’uso del nostro vocabolario di russo! Quando verso le quattro del pomeriggio ci imbarchiamo, abbiamo la sorpresa di constatare che a bordo c’è il ristorante e che le cabine non sono poi così terribili come le aveva descritte un viaggiatore letto su internet…probabilmente abbiamo avuto la fortuna di salire su una delle poche navi cargo predisposte per il trasporto dei passeggeri. Il caldo a bordo è quasi insopportabile ed il sistema di ventilazione forzata in cabina non è funzionante….ma una bella doccia calda dopo aver disinfettato con Betadine i sanitari ci da un bel sollievo. Rimaniamo in cabina fino alla partenza delle 17, con porta ed oblò aperti per avere un pò d’aria circolante…è a questo punto che Vanni si accorge che le griglie metalliche di ventilazione poste sulle porte interne sono finte…e se ne accorge per un errore grossolano commesso dal montatore. Quest’ultimo infatti ha fissato il pannello di alluminio a lamelle orizzontali in alto sulla superficie interna della porta ed in basso su quella esterna….un tarocco non ben riuscito insomma….che si tratti di una nave cinese? Appena sentiamo il rombo dei motori usciamo per dare un’occhiata da lontano a questa Baku che non abbiamo avuto il tempo di vedere…..gli alti edifici a formare l’esteso nucleo urbano che vediamo sfuocato per il calore e la leggera foschia. Lasciamo l’inospitale Azerbaijan felici di esserne usciti ma dispiaciuti per non aver potuto vedere la cittadella araba della città né ascoltato il suo famoso Jazz. Un piacevolissimo venticello fresco solletica la nostra pelle sudata mentre il ferry cerca la sua rotta tra la selva dei pozzi di estrazione del greggio….il loro numero è così alto che da lontano sembra una vera e propria città sull’acqua. Per smaltire un pò di scatolame decidiamo di cenare in cabina, poi scendiamo al bar con aria condizionata per una vodka e due chiacchiere con il copilota ancora seduto al tavolo del ristorante. L’argomento spazia dall’Italia, al caviale del quale vogliamo sapere dove sarà possibile assaggiarlo…..non essendo ancora riusciti a trovare il famoso beluga imperial ne abbiamo una voglia matta. Ci spiega che è difficile trovarlo perché costa 2300 $ al chilo ed anche perché i paesi produttori lo esportano tutto….che peccato, ma non demorderemo così facilmente! Sarebbe un pò come essere in Alaska e rassegnarsi al fatto di non poter mangiare l’ottimo king crab! Ci addormentiamo stanchi nella cabina soffocante nonostante l’oblò aperto.


Menù delle città

Percorso della tappa

Fotografie
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Cambia Tappa

29 Lombok Island

Asia

30 Bali Island

Asia

31 Java Island

Asia

32 Karimunjawa National Park

Asia

33 Bali Island

Asia

34 Papua Nuova Guinea

Asia

35 Raja Ampat

Asia

36 Papua Nuova Guinea

Asia

37 Java Island

Asia

12 Kazakistan


18 Luglio 2009

BAIA DI AKTAY

La nave scivola sulla scura superficie piatta del mare rendendo quasi impercettibile la navigazione. Dopo aver consumato in cabina la colazione a base di fagioli in scatola, facciamo il punto sullo sviluppo del nostro viaggio…considerando che Mehry ci aspettava a Turkmenbashi, punto dal quale avremmo poi seguito l’ itinerario rigorosamente stabilito e senza possibilità di variazioni perché concordato con il ministero preposto, decidiamo di evitare il Turkmenistan. Ne abbiamo avuto a sufficienza di situazioni frustranti e di polizia intimidante …. d’ora in poi vogliamo far rientrare nei nostri progetti di viaggio solo stati che non richiedano lettere d’invito per potervi accedere. Figuriamoci che ieri sera il copilota azero ha definito matti i turkmeni…. che sottostanno ad un regime dittatoriale così rigido che non è nemmeno permesso fumare in strada! Siamo fuggiti in fretta dall’Azerbaijan, perché mai dovremmo entrare nella morsa delle rigide regole turkmene? ….e poi in quanto tempo Mehry riuscirebbe ad ottenere dal ministero l’approvazione di un cambio di itinerario? Ormai decisi, telefoniamo scusandoci per l’inconveniente e comunichiamo la nostra rinuncia all’ingresso in Turkmenistan pur rendendoci disponibili per il rimborso spese a Mehry, nel caso lo ritenesse opportuno. Verso l’una arriviamo come previsto al largo di Aktay dove alcune petroliere vuote sono ferme all’ancora….è a questo punto che la nostra Mercury 1 inizia a rallentare fino a fermarsi di fronte alla città la cui skyline è ora chiaramente definita, distante solo qualche chilometro da noi. La osserviamo stando accostati alle piccole gru del ponte superiore…unico punto d’ombra di tutta la nave, mentre ascoltiamo il rumore metallico dell’ancora che scende. Poco dopo, mentre siamo intenti a preparare il nostro trolley, sicuri di sbarcare in tempi brevi, dalla capitaneria di Aktay arrivano notizie poco incoraggianti….non essendoci banchine disponibili al momento, il nostro sbarco è previsto per domani mattina….tra le quattro e le cinque. Ma come siamo organizzati ! Noi otto europei ci ritroviamo casualmente nella saletta refrigerata del bar a leggere nelle diverse lingue le nostre guide Lonely Planet, mentre i locali sono appostati nella sala adiacente a chiacchierare ed a bere qualcosa. Visto che l’attesa a bordo sarà lunga propongo al copilota di organizzare un party musicale con vodka libera…tanto per vivacizzare la serata che inizierà tra almeno sette ore. Vanni invece sfida i presenti a backgammon. Dal ponte, che di tanto in tanto raggiungiamo per ingannare il tempo, studiamo la città di fronte a noi, stretta tra il deserto che la circonda ed il mare blu ed inquinato. Ne osserviamo i grattacieli cercando di indovinare quale di essi conterrà il nostro hotel…con l’aiuto del binocolo scrutiamo le spiagge o cerchiamo nell’acqua una increspatura che possa far sperare nell’avvistamento di uno storione. Poi sistematicamente ripieghiamo nella fresca saletta del bar per sfuggire a questa calda estate centroasiatica, mentre la noia incombe su noi viaggiatori penalizzati dalla forzata immobilità. Finiamo col fumare troppo, mangiare troppo ed entrare ed uscire un numero imprecisato di volte dalla cabina a temperatura sahariana, poi anche senza party né vodka il sonno arriva presto, accompagnato dagli schiamazzi della festa che arrivano dal ponte sotto il nostro oblò…..è pur sempre un sabato sera da festeggiare per le inservienti scatenate ed i marinai della nave !

19 Luglio 2009

AKTAY

Alle otto ci svegliamo ancora immobili in mezzo al mare, ma poco dopo i motori iniziano a rombare e la Mercury 1 a vibrare nel suo lento abbrivo verso il porto dove attracchiamo alle 9. L’inserviente ancora semi addormentata ci consegna i passaporti mentre un ispettore con un gruppo di militari al seguito ispezionano la nave e l’eventuale cibo contenuto nei nostri bagagli. E’ così che perdiamo il tonno e lo spezzatino in scatola, ma non i biscotti e le pesche. Dopo un tempo che sembra infinito scendiamo sulla banchina e da questa siamo condotti in minibus all’ufficio della dogana dove tutti i bagagli vengono vengono aperti e controllati sommariamente. Arriviamo al controllo dei passaporti seguendo una rigorosa fila indiana, un paio di timbri vengono apposti sul visto kazako così come sul foglio di registrazione che dovremo presentare entro cinque giorni all’ufficio immigrazione. Sarebbe finita qui, se non fosse che tutti i possessori di mezzi di trasporto devono rimanere in attesa della consegna del veicolo successiva al disbrigo delle formalità burocratiche che nei paesi ex URSS non sono cosa da poco. In compagnia di una signora tedesca, sole in attesa dei mariti, rimaniamo bloccate fino alle 14 sulle sedie troppo scomode della sala d’attesa deserta….Vanni mi racconta poi dell’arroganza dei militari preposti al controllo della procedura burocratica dello sdoganamento di Asia….uno di questi che lo ha fatto correre avanti e indietro perché voleva la copia di un documento, gli ha fatto capire che davanti a lui doveva stare sull’attenti….roba da matti!…il regime sembra aver plasmato le loro menti in modo irreversibile. Alle 15 raggiungiamo finalmente l’hotel Zelyonaya che senza insegne a segnalarlo si confonde dietro gli alberi sembrando piuttosto il prolungamento delle case vicine. Entro a vedere se si tratta proprio di un hotel e già che ci sono guardo un paio di camere per poter scegliere la migliore. Sono tutte suite con soggiorno adiacente, arredate in modo piuttosto dozzinale compreso il piccolo scarafaggio con il quale condividiamo il bagno. Quando dopo pochi minuti Vanni entra nella doccia ed apre il rubinetto dell’acqua, ne esce un getto di liquido nero che sembra petrolio…e che per qualche minuto non accenna a cambiare colore. Guardo l’asciugamano bianco appeso al gancio del bagno e mi chiedo come possano fare il bucato!……ma dopo cinque minuti di scorrimento l’intensità del nero va scemando ed infine vince la trasparenza. Doccia e relax poi usciamo in esplorazione per vedere com’è da vicino questa città che abbiamo contemplato a lungo dal ponte della nave. Strade perfettamente asfaltate e numerosi nuovi edifici alla moda giustapposti ai condomini del periodo sovietico, questi ultimi resi brutti dalla scarsa manutenzione e dalle superfetazioni fatte dagli inquilini, come la chiusura dei terrazzi e delle logge con mezzi di fortuna, quindi ognuno a modo suo. Non resistiamo al richiamo della spiaggia oggi affollatissima di corpi e di auto parcheggiate sulla sabbia al posto degli ombrelloni….rimaniamo ad osservare la moltitudine comodamente seduti in un bar sul mare protetto dall’afflusso dei bagnanti da balaustre metalliche che si spingono fin sulle rocce bagnate dalla marea. Da qui vediamo anche un piccolo molo di legno dal quale i bambini si tuffano ed all’orizzonte la spiaggia che continua piegandosi in una baia. Nonostante la temperatura altissima nessuno ha con sé un ombrellone, preferiscono tuffarsi nelle acque trasparenti del Caspio nonostante l’inquinamento…..dovremmo tuffarci anche noi, a caccia del pregiatissimo beluga, solo così riusciremmo ad assaggiarne le preziose uova nere. Mentre beviamo i nostri drink all’ombra di un parasole di paglia a due metri dall’acqua, vediamo un ragazzo raccogliere tra le rocce dei gamberi di mare…..un buon suggerimento per la cena di questa sera. Al ristorante Pinta, che raggiungiamo in taxi per evitare le aggressioni che la guida ritiene possibili, non c’è nessuno. Una gentilissima e belloccia cameriera dai lineamenti orientali come molti qui in Kazakistan, ci porge un menu con traduzione in inglese e si mette a disposizione scostandosi solo di poco. Caviale rosso ed una generosa scelta di piatti di pesce e carne, ma non sembra il locale giusto per una bella scorpacciata di pesce come la intendiamo noi….le foto sul menu fanno pensare piuttosto a piatti poco veraci e molto probabilmente precotti e dopo aver assaggiato capiamo che l’intuizione era corretta. L’Azerbaijan continua a perseguitarci anche qui….quando saliamo sul taxi scassato guidato da un analfabeta azero che sgomma in curva e che non ha capito dove dobbiamo andare….ci propone due hotel che non sono il nostro e poi inizia a sbraitare come se fosse colpa nostra se non sa leggere il biglietto da visita dell’hotel scritto nella sua lingua! Alla fine ci facciamo riaccompagnare al ristorante e siccome insiste nel volerci accompagnare è Vanni ora ad indicargli la strada.

20 Luglio 2009

AKTAY – Spiaggia 60 km Nord

Quando alle 10 finalmente mi sveglio, Vanni si è già accordato con Alexey, un giovane ragazzone biondo che si occupa della sicurezza dell’hotel. Si è reso disponibile ad accompagnarci in escursione nel deserto a Nord di Aktay con partenza domani mattina prestissimo….verrà anche la sua fidanzata che parlando inglese farà da trait d’union tra lui, che sarà la nostra guida, e noi. L’inaspettata presenza di lei fa pensare piuttosto ad una escursione condivisa dietro un compenso ancora da stabilire, piuttosto che di un viaggio con guida al seguito…felice dell’inusuale modalità accetto di buon grado la proposta che dovrà essere definita nel corso delle prossime ore. La sosta di oggi ad Aktay è l’ideale per sbrigare al più presto la formalità della registrazione all’ufficio immigrazione che, leggiamo sul retro del foglietto rilasciatoci in frontiera, deve essere eseguita entro cinque giorni dall’ingresso nel paese. Alexey si offre gentilmente di accompagnarci e si informa presso l’impiegato di turno che parla solo russo, nell’ufficio pieno di gente intenta a compilare moduli scelti tra i tanti esposti in una bacheca trasparente appesa al muro. La risposta dell’impiegato è che non dobbiamo registrarci….solo se supereremo i cinque giorni di permanenza qui…..allo scadere del 5° giorno. Torniamo in hotel poco convinti ed anche le impiegate alle quali facciamo leggere il foglietto confermano che le indicazioni scritte in russo parlano di una registrazione entro il quinto giorno….risaliamo sull’auto di Alexey che intanto borbotta “stupid policy” ma il risultato non cambia ed usciamo dall’ufficio ancora una volta senza registrazione dichiarando chiuso l’argomento almeno per oggi. Siamo ancora alla reception quando il giovane Alexey propone una variante al progetto dell’escursione…..gli viene l’idea di partire questa sera alle 20, quando lui e Galima avranno finito di lavorare. Campeggeremo in una spiaggia 60 chilometri a Nord di Aktay e domani mattina al risveglio proseguiremo il viaggio raggiungendo Fort Shevchenko, la bella moschea ipogea di Shakpak Ata, il Sherkala ovvero un pinnacolo di gesso alto 300 metri stranamente affiorante dalla steppa ed infine la “valle delle sfere”, disseminata di grosse pietre stranamente sferiche. – Se saremo abbastanza bravi riusciremo a tornare ad Aktay in serata – dice l’intraprendente Alexey. La proposta ci piace….non abbiamo ancora usato la tenda e condividere il campeggio con una giovane coppia del luogo potrebbe essere divertente….è deciso, partiremo tra qualche ora. Impiegheremo la pausa pranzo di Alexey per fare la spesa e per caricare la sua tenda e l’occorrente per il barbecue…..dopodiché saremo pronti. Sono io ad accompagnarlo per l’acquisto dei pezzi di maiale già preparati con cipolla ed una salsa speziata, così come l’acqua, la frutta e la legna. Seduta in auto accanto a lui mi diverto un sacco ad ascoltare la sua musica hip pop ed a seguirlo nei vari mercati e supermercati…i più adatti a seconda di ciò che dobbiamo acquistare…..ma alla falegnameria per la legna da ardere non avrei mai pensato! Dopo una breve sosta in ospedale per richiedere il certificato di malattia per Galima che domani non si presenterà al lavoro, siamo di ritorno in hotel…..ora è Vanni a seguirlo nel suo garage dove lasceranno tutti i nostri bagagli e caricheranno i loro. Alle 19, nel bel mezzo di un riposino in camera una cameriera bussa alla porta e ci comunica che i ragazzi saranno pronti tra un quarto d’ora….ci siamo quasi ! La fidanzata di Alexey ha i lineamenti orientali e si muove con una grazia da ghesha…..al contrario di lui, alto biondo e dalla pelle chiarissima, lei è di corporatura minuta ha i capelli neri e la pelle olivastra. Ci saluta con un sorriso…l’inaspettata vacanza l’ha resa visibilmente felice….con i suoi pantaloncini neri e canotta coordinata che lascia intravedere il bikini in tinta sembra una bambina che ha appena ricevuto un regalo. Saliamo tutti a bordo di Asia e partiamo attraversando la città ancora rovente dei 40° di oggi. Edifici vecchi e nuovi, strade ben tenute e monumenti commemorativi….lasciamo tutto alle nostre spalle per inoltrarci nella steppa piatta ed arida dove a pochi chilometri dalla città ci sorprende l’inaspettato spettacolo di un cimitero che sfila alla nostra destra con la sua miriade di cappelle funerarie nei vari stili che dalla strada lo fanno sembrare una città in miniatura, un monumento dell’architettura araba e zarista. Quando dopo meno di mezz’ora lasciamo la strada diretta a Fort Shevchenko, il cartello segnaletico indica che abbiamo percorso 61 km da Aktay. Seguiamo ora la pista verso il mare che ci impegna per circa 10 km. Il paesaggio brullo interrotto solo dalla presenza di due case basse e spoglie all’interno di un recinto di legno. Vi abitano due famiglie di allevatori di cammelli e di cavalli che vediamo sparpagliati nella steppa circostante. Man mano che procediamo verso il mare la piatta distesa si complica di promontori rocciosi dalla cima piatta come enormi altari attorno ai quali la pista piega con qualche tratto scosceso che percorriamo con qualche difficoltà. Infine dall’alto delle rocce scorgiamo il mare azzurro ed una bellissima spiaggia selvaggia che si piega in un lieve arco. Alle sue spalle la falesia di roccia che la difende dall’assalto dei viaggiatori non muniti di fuoristrada. Scendiamo ancora gli ultimi difficili metri di pista ed eccoci atterrare in paradiso….il sole al tramonto rende ancora visibili le rocce scure e levigate che come dorsi di ippopotami affioranti sembrano galleggiare nell’acqua trasparente del Caspio mentre le bianche conchiglie sbriciolate marcano la battigia con una linea chiara. Siamo talmente accaldati che immediatamente dopo essere scesi da Asia camminiamo verso l’acqua gelida spinti dalla voglia matta di un bel bagno…..ma non andiamo oltre il ginocchio rimandando invece a domani mattina il gelido bagnetto. Intanto Alexey ha acceso il fuoco per il barbecue e montato la loro canadese sulla spiaggia….mentre noi rimaniamo a lungo in contemplazione di questo luogo magnifico, quasi increduli che il Kazakistan possa ospitare luoghi così belli da meritare di entrare nella nostra selezionatissima top ten. Felici gustiamo il piacere dell’essere qui e poi l’ottimo kebab cucinato da Alexey secondo la tradizione kazaka, ovvero irrorando spesso gli spiedini con l’acqua in modo da ammorbidire la carne e smorzare il calore delle braci. Infine arrivano tutte le stelle a festeggiare con noi la bellezza di questa notte senza luna….continuiamo a vederle anche quando stesi dentro la nostra tenda a guscio montata sul tettuccio di Asia, pensiamo allo straordinario regalo che Alexey e Galima ci hanno fatto portandoci in questa spiaggia particolarmente magica.

21 Luglio 2009

Spiaggia 60 km Nord – Fort Shevchenko – AKTAY

Quando verso le 8 scendiamo dalla nostra tenda la nostra colazione è già pronta, appoggiata sul pareo indiano che solitamente usiamo per nascondere le valigie nel bagagliaio da sguardi indiscreti. I sederi affondati nella soffice sabbia continuiamo a contemplare la spiaggia ed il mare bellissimi sotto il sole debole di questa giornata già calda. Partiamo poco dopo senza nemmeno aver sfiorato l’acqua turchese del gelido mar Caspio e mentre ancora percorriamo la pista mi viene in mente di leggere le coordinate geografiche di questo bel posticino….tanto per poterlo rintracciare nel caso un giorno volessimo tornare da queste parti….( Lat. N 44° 08’ 40.18’’ – Long. E 50° 52’ 13.96’’). Ancora sulla pista facciamo una breve sosta presso gli allevatori per l’acquisto di una bottiglia di latte di cammello, bevanda nazionale nonché toccasana per qualsiasi malattia dice Galima, ed una bottiglia di latte di giumenta, ancor più acido del primo mi comunica Vanni che li ha assaggiati entrambi. In breve siamo sulla strada asfaltata che punta a Nord verso Fort Shevchenko dove arriviamo verso le 11. Nel frattempo gli scossoni della pista percorsa hanno rotto uno dei due supporti che fissati sul tetto di Asia sostengono la ruota di scorta…..il rumore fastidioso che ne arriva convince Vanni a smontare il tutto ed a caricare la ruota nel bagagliaio già pieno zeppo di cose compreso il barbecue. Io e Galima intanto visitiamo il museo della piccola cittadina che si affaccia sul mare circondata dalla steppa desertica e dalle leggere colline lunari che si alzano in prossimità della costa. Il museo è ordinato come il piccolo centro urbano del quale ci colpiscono le basse case scatolari tinteggiate a colori pastello e gli abitanti dai lineamenti mongoli caratteristici delle popolazioni nomadi dell’Asia centrale. La sala principale del museo è stata dimensionata attorno ad una grande yurta, la tradizionale abitazione delle popolazioni nomadi della steppa. A pianta circolare, la tenda si sostiene su di una struttura di legno a elementi radiali colorati di rosso raccordati al centro della copertura da un elemento circolare aperto…..ai listelli sono fissate le pezze di feltro di lana nelle tonalità naturali dei grigi e dell’ avorio in strati sovrapposti per aumentare l’isolamento termico dell’interno dell’ambiente abitato. Quest’ultimo esplode dei cromatismi accesi degli arredi ovvero delle stuoie, dei tappeti e delle immancabili trapunte, nient’altro a parte le belle strisce colorate tessute a mano a disegni geometrici, lunghe alcuni metri e larghe dai dieci ai venti centimetri che ornano le pareti disposte in diagonale sulle pezze di feltro. Bella e confortevole fa venir voglia di abitarvici per qualche giorno…rimane da verificare come sono le vere yurte, quelle abitate dai kazaki che vivono nelle steppe del Nord. Attorno al grande volume cilindrico sono esposti gli oggetti che fanno parte del patrimonio culturale kazako come gli strumenti musicali tradizionali, gli oggetti d’arredo, i monili e le sacche rettangolari tessute come tappeti che, appese alle pareti interne, costituiscono gli armadi delle yurte. Poi le selle decorate con inserti di osso, le scarpe e gli stivali con le suole di legno, gli abiti e tanto altro ancora. Una sezione distaccata del museo è dedicata al poeta ed artista ucraino Shevchenko che trascorse qui gli anni del suo esilio a cavallo del 1850. Molti i libri ed i dipinti esposti, ma la cosa che probabilmente conquistò le folle fu il suo amore per questo popolo e lo studio che ne derivò sulle loro tradizioni ed il loro stile di vita che lui registrò nei suoi scritti. Ci spostiamo solo dopo una sosta in un ristorante dove una simpatica signora dai lineamenti mongoli serve ai nostri due compagni di viaggio un piatto tipico costituito da una base di riso condita con pezzetti di carne e verdure crude. La signora si presta volentieri a posare per le foto che le chiedo e poi è lei a chiedermi di immortalarla in compagnia di un signore che ne approfitta per farle qualche scherzosa avance. Che simpatia…e che bel viso questa robusta sessantenne in gran forma! Poco dopo mezzogiorno siamo già in auto diretti alla famosa moschea di Shakpak – Ata. Per raggiungerla scivoliamo ancora tra la steppa, sull’ampia strada sterrata diretta a Nord-Est, ma poi vediamo su una lieve collina un piccolo edificio cubico coperto a cupola, difficile scorgere altro da questa distanza ma Alexey suggerisce di avvicinarci e con una breve deviazione raggiungiamo la tomba del X secolo. Costituita da blocchi rettangolari di pietra chiara, vi si accede tramite un’apertura che termina a punta ed è coperta in alto da una piccola cupola di pietre appena sbozzate sulla quale è posto un pinnacolo dalla forma vagamente fallica. All’interno qualche serpentino fa da custode, tutto intorno invece, una serie di stele funerarie variamente scolpite a bassorilievo sono abbandonate sul suolo. Nell’edificio accanto rimasto incompiuto o semi distrutto dal tempo sono una serie di lastre di pietra incise a disegni fallici, o forbici stilizzate?….e di animali. Lasciamo la necropoli e riprendiamo la sterrata ancora per poche decine di chilometri poi deviamo a sinistra imboccando una pista della quale Alexey non è poi così sicuro non essendoci cartelli segnaletici di conferma….tutti comunque in caratteri cirillici. La deviazione ci proietta in un paesaggio lunare dalle tinte ulteriormente smorzate dalla luce diafana del sole allo zenit. Magnifiche le sfumature dei piccoli morbidi rilievi che increspano il susseguirsi di piccole vallate e di promontori. Ogni tanto una barriera rocciosa piatta in sommità esplode in policromie che sfumano verso valle. Dopo aver chiesto indicazioni ai rari pastori che fortunatamente incontriamo, entriamo in un’ampia brulla depressione racchiusa tra due speroni rocciosi piuttosto divaricati….sullo sfondo la fascia azzurra del mar Caspio ci fa sognare un improbabile tuffo. La scatola azzurra sormontata da una cupola bianca che vediamo lontanissima sulla nostra destra, dove la roccia scura del promontorio è segnata da fasce orizzontali di roccia calcarea bianca, là troveremo la moschea di Shakpak-ata. La raggiungiamo seguendo la pista che serpeggia ancora tra le rocce….il mare turchese sempre più vicino è un invito irresistibile per noi ormai liquefatti, immersi come siamo da ore nell’aria rovente di questo pomeriggio di mezza estate. Accanto alla recente moschea azzurra, nascosta dentro la parete verticale della falesia calcarea c’è la moschea ipogea del XII secolo. Una moderna scala in muratura è stata costruita per renderla accessibile anche a chi abitualmente non si dedica agli sport di alpinismo….saliamo le decine di scalini ed eccoci nei pressi della piccola porta di legno che si apre sulla superficie candida della roccia. Vedendola così da vicino notiamo le bizzarre forme dell’erosione che la rendono simile ad una trippa in macro scala. Entriamo poi nel primo vano di ingresso scavato anch’esso come il resto delle sale, nella candida roccia cedevole. Alcuni alti gradini scolpiti nello stesso materiale ci conducono al secondo accesso, un pò più alto del primo e chiuso da un vetro fisso dove decine di farfalle colorate svolazzano nervose nell’illusione di poter uscire. Da qui accediamo alla moschea vera e propria scavata a forma di croce e coperta al centro da una cupola. Un foro circolare nella sua sommità garantisce la ventilazione dei quattro bracci. L’ambiente interno è estremamente suggestivo per via del colore bianco che ci avvolge in contrasto con i tappeti colorati appoggiati a terra nei due bracci leggermente rialzati della croce. Nessun decoro alle pareti, solo i capitelli dei 4 pilastri che definiscono i bracci mostrano scanalature verticali o inclinate. Scritte arabe sono incise su una parete, così come una mano ed una piccola figura di animale stilizzato. L’utilizzo dei fori scavati nella parte alta delle pareti rimane dubbio…..Alexey sostiene che servissero per ospitare delle torce, ma il fatto che siano passanti fa pensare piuttosto che dovessero servire ad ospitare corde di sostegno forse di tappeti decorativi. Usciamo a contemplare la particolare erosione della parete nella quale sono scavate le aperture rettangolari di una estesa necropoli, poi scendiamo di nuovo verso Asia e grazie alle indicazioni della custode della moschea raggiungiamo la strada principale asfaltata dopo pochi chilometri. Sono già le quattro del pomeriggio e siamo tutti piuttosto provati quindi abbandoniamo il progetto di vedere il pinnacolo di Sherkala che ci impegnerebbe per sei ore, dice Alexey forse solo per evitare la fatica di raggiungerlo, e proseguiamo per Aktay dove arriviamo verso le 18 dopo una breve sosta alla necropoli della città che sembra una città araba in miniatura. Una bella doccia ed un riposino sul divano sono sufficienti a farci riprendere le forze e poi ci pensa il taxista a darci una bella scrollata. Appena saliti a bordo alza lo stereo a tutto volume ed inizia a sfrecciare come un matto per le strade fortunatamente poco affollate della città…..in Italia sarebbe stato passibile di denuncia! Così shakerati raggiungiamo un ristorante sulla spiaggia dalla cui terrazza godiamo di un bellissimo tramonto sul mare e degli spettacoli di un varietà che a Vanni ricordano la Cesenatico di 40 anni fa…..una brezza tiepida soffia dal mare.

22 Luglio 2009

AKTAY

Solo relax oggi!….ed una meravigliosa merenda a base di caviale russo consumata dopo il sopralluogo al supermercato. Ingolositi nel vederlo esposto nella vetrina refrigerata mentre cercavamo un dentifricio, abbiamo immediatamente concepito l’idea della merenda rivelatasi squisita. Certo non è il beluga imperial….ma è pur sempre un buon caviale ed il costo di 3300 tenge (15€ ) per un vasetto di 113 grammi lo rende decisamente economico. Andiamo poi alla ricerca di una carta stradale della regione cercandola inutilmente all’agenzia viaggi Caspian tour. La sede è ospitata nell’edificio bianco a forma di torta specializzato in matrimoni e la cui hall centrale è piena di ridondanti abiti da sposa ricchi di volant. Nessuna cartina disponibile anche nella libreria ospitata nell’edificio 23 del microrayon 11 indicataci dall’impiegata dell’agenzia….a questo punto vale la pena spendere due parole su questo particolare sistema di riferimento urbano concepito in periodo di regime e tuttora usato ad Aktay. L’unica strada ad avere un nome, peraltro troppo lungo per poter essere ricordato ed usato è l’ampia arteria che attraversa la città da Nord a Sud. Ogni quartiere ( microrayon ) ha un numero che però non compare da nessuna parte se non nella mappa della città, così come numerati sono gli edifici (dom). Per chi non conosce a memoria i numeri dei microrayon non è semplice trovare qualcosa in questa città gestita dai numeri. Se qualcuno ad esempio scrivesse una sequenza di numeri su un foglio potrebbe aver scritto il suo indirizzo….3 – 15 – 4 indica l’interno 4 dell’edificio n° 15 del microrayon n° 3. Pare che il regime prediligesse l’uso dei numeri anche nei cimiteri sulle cui lapidi i numeri rappresentavano l’unico riferimento per l’individuazione di una tomba…..il nostro codice fiscale sarebbe stato considerato prolisso come un romanzo!

23 Luglio 2009

AKTAY

Un’altra giornata di sosta ad Aktay … quasi forzata. Il nostro visto di ingresso in Uzbekistan ci consente di entrarvi a partire dal 26 luglio e considerando i due giorni di tempo che impiegheremo per raggiungere la frontiera non vale certo la pena partire oggi. Secondo le informazioni raccolte qua e la non incontreremo hotel lungo questo tratto di strada che attraversa la steppa desolata, quindi meglio stare comodi qui nel nostro hotel che a differenza degli altri di stampo internazionale fa molto Kazakistan, caratterizzato com’è dal geometrismo rigoroso dello stile squisitamente sovietico. Tentiamo ancora inutilmente di registrarci all’ufficio immigrazione oggi chiuso e spendiamo il resto della giornata girovagando per la città a scattare foto agli enormi condomini costruiti trenta anni fa ed ai pochi monumenti di pregio sorti lungo l’asse viario principale….come quello piuttosto bello dedicato ai caduti della seconda guerra mondiale. Troviamo anche una carta stradale della regione di Mangistau di cui Aktay è il capoluogo…..fondamentale per trovare la strada da seguire verso l’Uzbekistan dato che il nostro Garmin non ha mappe aggiornate inserite. Il difficile reperimento della carta stradale è avvenuto per gradi, ultimo dei quali la soffiata dell’importatore cui Vanni si era rivolto per il reperimento di un pezzo di ricambio per Asia…. che scrive su un foglietto – Sign.ra Rita, microrayon 5 dom 4 – sembra una caccia al tesoro! Con l’aiuto della parziale carta della città sulla nostra guida individuiamo il microrayon nel quale entriamo attraverso la stretta strada che distribuisce i vari edifici del quartiere…..l’edificio 4 è sul fondo…vediamo il numero scritto in grande nella parte più alta del muro perimetrale. Un condominio anonimo e squallido come gli altri di questo quartiere. Non essendoci qui vetrine a mostrare i prodotti in vendita nei negozi ma solo qualche scritta in caratteri cirillici sopra la porta di legno…..se non sai esattamente dove trovare le cose che cerchi difficilmente riesci ad individuarle passando per la strada. Quasi tutte le attività commerciali sono ospitate nei piani terra dei grandi edifici, nascoste da pesanti porte di legno che non lasciano intravedere nulla…..in fondo è un modo come un altro per non stimolare il consumismo! Finalmente riusciamo ad avere la cartina anche se scritta in russo. La giornata nuvolosa di oggi se da un lato ci regala una temperatura leggermente più fresca dall’altro non invita alla spiaggia nella quale le poche persone che vediamo evitano di tuffarsi nelle acque fredde del Caspio oggi increspato da qualche ondina…. Tergiversiamo fino a sera quando raggiungiamo il lussuoso hotel Renaissance per la cena. Due parole scambiate al bar con un rappresentante neonazista tedesco di Berlino e poi ci accomodiamo al tavolo nell’inutile speranza di poter assaggiare il caviale beluga che però non compare nemmeno in questo menu. Risultato….conto salatissimo per una cena non proprio eccelsa.

24 Luglio 2009

AKTAY

Appena svegli usciamo con Alexey diretti all’ufficio immigrazione dove l’unica lingua parlata è il kazako ed anche i moduli da compilare sono ovviamente nella stessa lingua. Dopo una breve intervista all’addetto Alexey inizia a scrivere qualcosa sui moduli….poi chiede ancora e si torna in hotel…..senza troppe parole di spiegazione perché anche lui non parla inglese. Utilizzando il telefono della reception parla con la sua fidanzata e poi cerca di spedire uno dei moduli via fax. Dopo circa un quarto d’ora entra in camera nostra chiedendoci i passaporti e 150 $ per per la multa che dobbiamo pagare per non esserci registrati entro il quinto giorno. Increduli gli consegnamo ciò che chiede e poi esce blaterando – corruption – quando Vanni cerca inutilmente di seguirlo. Basiti e tediati dalla noia per questa sosta forzata che si protrae già da diversi giorni, usciamo per raggiungere l’hotel Renaissance, ovvero il Marriot, dove Vanni ha un appuntamento per il pedicure. Mentre sorseggio un delizioso tè al gelsomino seduta nella sala da tè dell’hotel, rimugino sulle giornate appena trascorse, tanto per trovare una giustificazione a queste giornate buttate via….avremmo potuto organizzare una escursione di due giorni nel deserto dell’Ustyurt a caccia di moschee ipogee….ma per farlo avremmo dovuto contattare una guida esperta e percorrere decine di chilometri di piste dissestate, inoltre non pensavamo che avremmo dovuto fermarci qui così a lungo. L’incidente della registrazione è una cosa che può succedere nell’ambito della dilagante corruzione delle forze di polizia negli stati della ex unione sovietica, ciò non significa che non ci si rimanga piuttosto delusi quando ciò accade….quasi come spendere 40 € per un frettoloso pedicure. Ormai è andata così e domani lasceremo finalmente Aktay per avvicinarci all’Uzbekistan dove finalmente anche noi percorreremo un tratto della famosa via della seta che fin dal II sec. collegò il lontano oriente al mar Nero ed alle fiorenti città commerciali del mediterraneo. Al nostro rientro in hotel Alexey ci consegna i passaporti timbrati con un comune inchiostro azzurro…visto il costo avremmo sperato almeno in un foglia d’oro eseguita a mano! Trascorriamo la serata nel ristorante sulla spiaggia in stile Cesenatico anni ’60. Le nuvole ci negano quest’ultimo tramonto sul mar Caspio….. mentre ceniamo con spiedini di carne e verdure osserviamo lo spettacolo che si ripete identico tutte le sere ed ascoltiamo una canzone italiana facente parte del repertorio….un tormentone alla Umberto Tozzi le cui uniche parole sono – buonasera signorina, signorina ciao ciao – . Non essendo esattamente il genere di Adriano Celentano che imperversa in tutti i paesi attraversati finora, ne siamo sorpresi. Black-out in hotel.

25 Luglio 2009

AKTAY – BEYNEU

Il paesaggio arido della steppa non è privo di attrattive pensiamo mentre sobbalziamo a bordo di Asia percorrendo la strada sconnessa che porta a Beyneu, unico centro abitato verso il confine uzbeko. Interessanti formazioni rocciose complicano la solitamente piatta distesa di terra ricoperta di ciuffetti di rovi apparentemente privi di vita. Talvolta sfumate nelle cromie dei minerali che vi sono imprigionati o stupendamente a fasce bianche e nere per via degli spessi strati di gesso che contengono, queste montagne di roccia dalla cima piatta non superano quasi mai i 300 metri di quota e si definiscono talvolta a 360° emergendo isolate dalla superficie piatta della steppa che le ha generate. Per quanto possa apparire desolata, la distesa arida che ci circonda contiene inaspettate sorprese che ci distraggono dalla noia. Ogni tanto un polverone lontano sollevato da cammelli in corsa o da gruppi di pecore che sembrano vagare sole nel nulla….o una volpe del deserto dalla pelliccia fulva che attraversa la strada e poi si ferma ad osservarci curiosa sul bordo della carreggiata….e le immancabili necropoli i cui piccoli edifici di pietra dello stesso colore della terra sulla quale sorgono sono spesso coperti da cupole emisferiche o ad imbuto a movimentare la skyline altrimenti piatta. Arriviamo a Beyneu verso le sette di sera dopo un viaggio che sembrava interminabile a causa della scomodità della strada sconnessa per centinaia di chilometri. Le nove ore di sussulti continuano il loro effetto di stordimento anche una volta scesi da Asia…..sembra di essere stati in centrifuga per ore! Il paesino ordinato e dalle cromie vivaci dei suoi bassi edifici sembra piuttosto tipico dei paesi nordici. Ad entrambi tornano alla mente i pochi insediamenti visti in Alaska…sarà anche per la luce livida di questa giornata che sta per terminare. La ricerca di un luogo dove dormire parte senza troppe speranze dato che sia Alexey che altri ci hanno detto che questa isolata cittadina nel cuore della steppa non offre strutture di questo tipo….ma la nostra tenacia alla fine ci premia con la scoperta di un hotel color rosa, pulito e con camere dotate di bagno. Lo troviamo facendo leggere ad un paio di persone la parola albergo indicata col dito sul nostro dizionario di russo, indispensabile per comunicare qualsiasi cosa. Una signora gentilissima, profumata e che indossa un bell’abito, viola come l’ombretto sulle sue palpebre, sale a bordo per accompagnarci indicando le strette strade sterrate che conducono all’ Apha Kohal Yni. La gentilezza di queste persone è davvero squisita! L’anziana signora in bianco che mi accoglie alla reception mi mostra la camera n°6 che raggiungiamo attraverso un largo corridoio coperto di tessuto bianco. Il prezzo di 7000 tenge è una cifra del tutto equa per l’insperata camera con bagno ed aria condizionata…..ed il ristorante comodamente accessibile sullo stesso piano. Vi mangiamo qualcosa, non certo tutto quello che vorremmo, ma il limite della lingua incomprensibile nonostante l’uso del vocabolario, ci consente di avere due minestroni, una insalata di pomodori e cetrioli e tre uova fritte anziché la frittata richiesta. La cosa più straordinaria del ristorante dove il colore rosa domina sovrano, sono le tende in tinta con ridondanti drappi viola che fanno pensare alla Cina. La signora in bianco torna a bussare alla porta della camera subito dopo la cena….vuole altre 3000 tenge perché il prezzo per due persone è di 10000 circa 45 €…..inizia a diventare caruccio questo hotel sperduto nella steppa!


Menù delle città

Percorso della tappa

Fotografie
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Cambia Tappa

29 Lombok Island

Asia

30 Bali Island

Asia

31 Java Island

Asia

32 Karimunjawa National Park

Asia

33 Bali Island

Asia

34 Papua Nuova Guinea

Asia

35 Raja Ampat

Asia

36 Papua Nuova Guinea

Asia

37 Java Island

Asia

13 Uzbekistan


26 Luglio 2009

BEYNEU – NUKUS

La sterrata migliora sensibilmente nel tratto che si spinge verso la frontiera ad una settantina di chilometri da Beyneu. Immersi nella steppa che si spinge infinita verso l’orizzonte proviamo l’ebbrezza della libertà ….quella che ci consente di spaziare in ogni direzione senza ostacoli, virtualmente liberi di uscire dalla sterrata per dirigerci ovunque un nostro impulso voglia portarci. Sulla strada incrociamo solo pochi camion ed inaspettatamente i quattro ragazzi inglesi fermi in sosta accanto alle loro biciclette. Incontrarli in azione dopo averli conosciuti sul traghetto diretto ad Aktay è quasi un evento. Ci fermiamo per un saluto e due foto, poi ci lasciamo, ognuno ad inseguire i propri sogni ed i propri obiettivi di viaggio…..quando dopo qualche chilometro il vento inizia a soffiare con raffiche violentissime e mulinelli di polvere si sollevano lontani ci chiediamo come quei ragazzi possano sopportare tante avversità. Ancora qualche chilometro e finalmente traguardiamo le scatole di mattoni che ospitano gli uffici doganali presso i quali siamo sommersi dalla sabbia sottile come borotalco che spinta dal vento oscura completamente il parabrezza di Asia. Chiudiamo in fretta i bochettoni dell’aria dai quali escono fiotti di polvere ed aspettiamo immobili che l’emergenza sia passata prima di scendere a sbrigare le veloci formalità doganali di uscita. Gli stessi desolati edifici di mattoni coperti da lamiere che incontriamo dopo un centinaio di metri segnano la frontiera uzbeka che superiamo in breve tempo senza problemi….è la prima volta nel corso del viaggio che riusciamo a passare una frontiera in meno di un’ora!…. adesso siamo liberi di proseguire sulla strada recentemente asfaltata che come tracciata col righello vediamo perdersi in un punto nero davanti a noi. Tutto attorno l’orizzonte libero della steppa ora più sabbiosa è interrotto solo dai tralicci della linea elettrica che seguono la ferrovia parallela alla strada ed alle pap-line, A malapena l’aria condizionata di Asia riesce a smorzare il caldo torrido che ci avvolge anche oggi come da settimane…qualche scoiattolo color miele attraversa l’asfalto scuro ed i dromedari brucano come sempre i ciuffi di erba secca. A dispetto dei loro colleghi africani sono visibilmente in gran forma, grassi e bellissimi nel loro incedere lento ed hanno le gobbe segnate da una corta criniera scura che ne rimarca il profilo sullo sfondo della steppa assolutamente identica per colore alle loro setole. Traguardiamo Kungrad e poi Khodzheili nei pressi della quale scorgiamo una collina color miele rivestita di minareti e cupole turchesi delle moschee che anticamente vi furono costruite….rimandiamo la visita a domani concentrandoci invece sul raggiungimento del nostro obiettivo che troviamo oltre la verdeggiante oasi generata dal fiume Amudaya. Si tratta di uno degli affluenti del lago Aral quasi completamente prosciugatosi a causa dello sfruttamento dell’acqua per la coltivazione del cotone in questa regione semi desertica. E’ già quasi buio quando raggiungiamo l’hotel Nukus nell’omonima cittadina triste e fatiscente, famosa per il museo che casualmente ospita….cena in hotel con le difficoltà di comunicazione ormai note. Di stampare un menu in inglese non se ne parla neanche!

27 Luglio 2009

NUKUS

Ci svegliamo con il solletico fastidioso che ci procurano i puntini rossi sulla pelle….le odiose zanzare esistono anche in quest’area dell’Asia! La camera per quanto ristrutturata di recente è piuttosto dozzinale, soprattutto se vista alla luce del sole splendente di questa già calda mattinata. I pochi arredi sembrano provenire dal mercato più economico che la Cina possa offrire a questi paesi, tra i più poveri della ex unione sovietica. Usciamo poco dopo la bizzarra colazione che prevede oltre alla tazza di tè o caffè, un uovo ed un wurstel…. siamo diretti all’unica attrattiva di Nukus ovvero il famoso Museo Savitski. Tempio dell’arte moderna e contemporanea russa è soprannominato il “Louvre du desert” per la vastità e l’importanza della collezione ospitata. Iniziamo la visita dalla sede distaccata che espone al primo piano una cospicua collezione di quadri. Le salette pullulano delle tele che il fondatore ovvero Mr Savitski sottrasse numerosissime alla censura del KGB. Una piccola percentuale dell’enorme produzione degli artisti non allineati con i dettami ed i canoni estetici del regime sono esposte alla rinfusa nelle calde salette e nei corridoi. Sottratti alle fiamme o all’occultamento in umidi magazzini, eccoli coloratissimi appesi di fronte a noi. Estremamente vari i soggetti e le tecniche di realizzazione, così come il periodo storico nel quale sono stati eseguiti….dagli anni ’20 agli anni ’90 dello scorso secolo. Nature morte e paesaggi, autoritratti e ritratti …. ma c’è una piccola saletta che contiene un tesoro di grafica costruttivista che adoro e che mi ricorda l’adorato Lissitzky. I pezzi migliori della collezione sono esposti nel grande edificio inaugurato nel 2003 dal “presidente” Karimov. Tra i capolavori spiccano quelli di alcuni nomi noti dell’avanguardia russa degli anni ’20 e ’30 come la Popova e Fal’k…..ma vi sono esposti anche oggetti dell’artigianato locale reperiti da Savitski tra i pezzi più antichi presenti sul territorio. Al termine della visita, mentre stiamo uscendo soddisfatti dal museo, incontriamo casualmente una giovane francese che lavorerà per un mese all’interno della struttura. Ci racconta di essere alle prese con la famosa registrazione che viene rilasciata dagli hotel per ogni giorno di permanenza in Uzbekistan o deve essere effettuata presso gli uffici competenti per chi come lei risiede presso privati. Essendo ospite presso un’amica del luogo andrà nel pomeriggio all’ufficio immigrazione nella speranza di poterla effettuare…..quando le raccontiamo brevemente quanto successoci ad Aktay ci dice che non c’è da aspettarsi altro se non la corruzione dai dipendenti statali che guadagnano solo 30 $ al mese. Rientriamo in hotel sotto il sole cocente delle 13…le strade deserte così come i marciapiedi sconnessi. E’ quasi apocalittica questa cadente città…..le aiuole dei giardini sono prive di vegetazione ed infestate di lucertole e dalle fontane non sgorga una goccia d’acqua…..i gradini sono rotti così come i muretti che dovrebbero contenere le aree verdi. Camminiamo cercando l’ombra dei pochi alberi lungo la strada del rientro poi ci separiamo….Vanni va in banca a cambiare gli euro nella moneta locale mentre io ripiego in gran fretta verso la camera aria condizionata. Quando dopo una mezz’ora Vanni rientra, ha in mano la scatola di cartone di un bollitore elettrico – che bella idea – gli dico immediatamente – avevo proprio voglia di bere un tè -. Sorridendo vuota sul letto il contenuto della scatola….una decina di mazzette di Sum cadono sulla coperta. Sembra incredibile ma qui in Uzbekistan una banconota da da 2000 Sum equivale a ad 1 € e cambiare 500 € equivale ad avere in cambio 10 mazzette di banconote da 1.000 Sum ‘, il taglio più alto….e pagare il conto al ristorante equivale a dover contare circa 40 banconote. Con la borsetta piena raggiungiamo il taxi parcheggiato di fronte all’hotel che ci porterà a Mizdakhan, la collina sacra che sorge a circa 20 km da Nukus e che contiene alcune delle 100 moschee che vi furono realizzate attorno al XIV secolo. Rimangono alcuni antichi mausolei, una moschea eccessivamente manipolata dai restauri ed una grande necropoli di tombe più o meno costruite…..alcune costituite da semplici cancellate di metallo che definiscono il rettangolo di pertinenza contenente il tumulo. Complessivamente interessanti queste architetture ci offrono un assaggio di ciò che gusteremo nei prossimi giorni quando visiteremo le capitali della via della seta. Sulla strada del rientro ci fermiamo al bazar ad osservare tutte le possibili merci esposte compresi brutti tappeti sintetici e tessuti a macchina riproducenti enormi fiori piuttosto kitch. Anche Vanni sarà qui domani mattina, al riparo del suo ombrello blu, per vendere la ferraglia che si è portato dall’Italia….finalmente ho capito il vero obiettivo di quel trasporto eccezionale, le tre casse di morsetti e vecchi trapani verranno vendute qui al bazar…. non lo avrei mai immaginato! La breve sosta al ristorante per un tè diventa divertente per via dei camerieri che armati di palette schiaccia mosche inseguono minacciosi gli insetti che si aggirano nella sala…..per il tempo che vi dedicano sembra che questa attività sia preponderante rispetto a quella di servire i clienti. Alla reception incontriamo poi la ragazza francese del museo….rimbalzata qui dopo la visita all’ufficio immigrazione. Ci racconta che le regole sono cambiate e che nessuno può essere ospitato da privati….il soggiorno in hotel è l’unica soluzione possibile per gli stranieri che vogliano transitare qui in Uzbekistan. Morale….controllo totale dei turisti e business per gli hotel statali a scapito dei privati….no comment!

28 Luglio 2009

NUKUS – KHIVA

Ancora sole e cielo azzurro reso diafano dal calore che sprigiona il deserto che stiamo attraversando. La comoda strada asfaltata che stiamo percorrendo taglia longitudinalmente l’Uzbekistan diretta a Bukara …. ai due lati le dune di sabbia camuffate sotto ciuffi di rovi disegnano lievi pendii che si alzano in un paio di occasioni a disegnare catene montuose in miniatura e di colore marrone scuro. Se si tratti anche in quel caso di sabbia o roccia o terra rimane un mistero. Poco dopo ecco profilarsi un’antica fortezza di fango che occupa la spianata superiore di un promontorio conico….visto dalla nostra prospettiva il muro perimetrale cilindrico della fortezza sembra confondersi con il suo basamento naturale sul quale inevitabilmente finirà con lo sciogliersi dilavato dalla pioggia….solo poche finestrelle interrompono la parete continua. Dopo il pittoresco avvistamento la strada si avvicina fino a lambire l’ampia oasi generata dal fiume Amudaya che si apre qui in un ampio delta. Si tratta di una delle aree più fertili dell’Uzbekistan, per questo motivo la via della seta aveva come tappa obbligata Khiva, l’antica città sorta sul lato meridionale del fertile territorio. La raggiungiamo deviando dalla direttrice e superando la cittadina di Urgench…..poi spingendoci tra le strade di campagna e superando i tanti ponti sui canali minori raggiungiamo infine il ponte di chiatte che copre l’ampio fiume Amudaya. Ancora on the road verso Sud per una mezzoretta ed è fatta, ecco sfilare di fianco a noi le antiche mura di fango della cittadella fortificata di Khiva che racchiudono il centro storico di Ichan Quala, ricostruito quasi interamente in epoca sovietica. L’impatto è stupendo….se non fosse per le pur vecchie auto circolanti sulla strada, sembrerebbe di aver fatto un tuffo in un passato remoto. Poco dopo, dalla finestra al primo piano dell’hotel Malika osserviamo la bella porta Ovest inquadrata dalle due torri cilindriche in mattoni chiari e poco oltre, tozzo e colorato il minareto incompiuto che è divenuto l’emblema della città. Particolarissimo proprio per la sua forma tozza e per la bellezza delle semplici texture geometriche che si sovrappongono nei toni del turchese sulla sua superficie è il monumento più riprodotto della città. Nonostante il caldo soffocante del primo pomeriggio, la bellezza di questo luogo è un invito ad uscire e così protetti dall’ombrello blu entriamo in questo scrigno di tesori a noi ancora sconosciuti con la golosità tipica di chi per più di un mese ha visto solo chiese. Capitale del kanato di Khiva nel XVII secolo, conserva più di sessanta monumenti tra cui il palazzo reale nel quale entriamo dopo l’acquisto del biglietto che rende accessibile per due giorni l’intero patrimonio storico….anche se con qualche eccezione. Ciò che colpisce, al di la dei restauri eccessivamente patinati di molti monumenti è la bellezza delle ceramiche che li rivestono, e le particolarissime pilastrature che sostengono le travi delle coperture. Sono di legno intagliato in ricami piccoli e chiaroscurati ed hanno una forma slanciata leggermente affusolata verso l’alto…..appoggiano su un cilindro di metallo, isolato dallo zoccolo inferiore di pietra da un cerchio di pelle di cammello che li preserva dall’attacco degli insetti. Sono bellissimi, snelli e dal design davvero originale! Li vediamo stagliarsi sullo sfondo di piastrelle disegnate a motivi floreali nei toni dell’azzurro nella moschea estiva del Palazzo Reale… una enorme nicchia rettangolare accessibile dalla breve scala anch’essa rivestita di piastrelle dipinte, completamente aperta su uno dei lati lunghi verso il cortile reso chiaro dagli edifici di mattoni color sabbia che lo delimitano. Gli stessi pilastri rappresentano il pezzo forte della Moschea Djuma…..una foresta di bellissimi pilastri intagliati, tutti diversi tra loro, a sostegno della copertura a grandi cassettoni di legno. Dopo aver soddisfatto per un paio d’ore la nostra sete di architettura uzbeka, la cui espressività sembra generata dalle contaminazioni dell’arte indiana, cinese e naturalmente araba, ripieghiamo in hotel spappolati dal caldo. Quando verso le 18 usciamo nell’illusione di un pò di fresco, raggiungiamo la porta Nord accanto alla quale una ripida rampa inclinata ci permette di salire sulle mura per una suggestiva passeggiata lungo il perimetro della cittadella. Camminiamo accanto al muro merlato che flette in corrispondenza delle torri circolari, calpestando la terra cruda del terrapieno che sviluppandosi in un ampio rettangolo abbraccia l’intera città storica. Siamo soli lassù a goderci lo spettacolo fatto di cupole, minareti e portali che emergono colorati dal monocromo tessuto urbano….sotto di noi il piano inclinato del bastione di terra che funge da contrafforte alle mura sinuose. Poco dopo siamo di nuovo a passeggiare tra le stradine affollate di prodotti dell’artigianato locale, a godere della brezza che segue il tramonto mentre la città pian piano va spegnendosi. Ci assestiamo in un piccolo ristorante all’aperto che occupa una piazzetta vista minareto….nel corso della serata diversi turisti si avvicendano ai tavoli, noi ci spostiamo solo quando la luna è già alta nel cielo.

29 Luglio 2009

KHIVA

Puntiamo persino la sveglia per essere fra le stradine del centro storico prima che il calore le renda impraticabili…..ma con tutta la buona volontà usciamo solo dopo le nove con i cappellini appena acquistati sulla testa. Iniziamo con la visita alla Moschea Djuma le cui foto scattate ieri non rendono la bellezza di quella selva di pilastri….non è facile avere la luce giusta in un luogo come questo dove l’oscurità dello spazio interno si contrappone alla luce accecante che entra dall’apertura rettangolare al centro del soffitto. Ma dopo un paio di inutili tentativi rinuncio e salgo la ripida scala a chiocciola del minareto il cui paramento esterno di mattoni chiari è interrotto da anelli di ceramiche verdi. Che fatica….i gradini sono alti in media quaranta centimetri e nonostante proceda china in avanti ogni tanto mi capita di sbattere la testa su una trave di legno in posizione non proprio ergonomica. La fatica è infine premiata dalla bellissima vista delle decine di cupole verdi gonfie come mongolfiere sugli edifici storici, i cortili delle madrasse, le ceramiche colorate di azzurro ed all’orizzonte l’oasi verdeggiante che circonda la città a perdita d’occhio. Claudicante seguo Vanni alla visita del Palazzo Tosh Houli….splendido per la ricchezza delle decorazioni parietali su ceramica a disegni blu e bianchi. I soggetti sono fiori stilizzati e disegni geometrici della tradizione araba….rivestono l’intera superficie delle logge che si affacciano sul cortile rettangolare. Un solo pilastro di legno chiaro è posto al centro dell’apertura delle alte logge i cui soffitti di legno a cassettoni, colorati a tinte accese, rappresentano l’unica variazione cromatica al bianco e blu dominante. Mentre poco dopo ci dirigiamo verso il Mausoleo Pahlavon Mahmud, Vanni che è un acuto osservatore delle dinamiche tra le persone, vede una strana cosa che mi indica. Un signore anziano dalla caratteristica lunga barba bianca, ovvero un Aksakal come vengono chiamati qui gli anziani influenti la cui autorità è riconosciuta dalla comunità, è in compagnia di un signore vestito all’occidentale. Stanno cercando di ottenere del denaro da un fotografo del luogo che non vuole cedere il malloppo. Nel corso della passeggiata ne vediamo diversi di questi signori barbuti con cappellino quadrato in testa e pastrano lungo fino ai piedi chiuso davanti da un solo bottone. Si aggirano in gruppo per il centro storico e portano con sé dei sacchetti di plastica pieni di denaro….se si tratti del pagamento del pizzo o del modo quantomeno originale di riscuotere delle tasse legittime rimane un mistero. Soddisfatti della passeggiata e già al limite di sopportazione del caldo che già alle 11.30 si fa sentire più rovente che mai, ripieghiamo in hotel per una lunga siesta nell’attesa dell’escursione con guida alle 15.30. Andiamo a visitare le antiche fortezze di fango risalenti al VI sec. che sorgono sulle rare alture nel deserto che circonda la cittadina di Boston, una settantina di chilometri da Khiva. Peccato che la nostra guida sia un ragazzo sgradevolissimo che finisce con l’inquinare il piacere dell’avvistamento di ciò che rimane delle antichissime Qala emergenti dalle sabbie del deserto…..chissà se Buzzati si ispirò ad una di esse per scrivere il suo capolavoro. Il principio è lo stesso degli edifici africani di banco….uno strato di fango misto a paglia riveste gli alti muri di mattoni crudi. Ne visitiamo un paio vicinissime….la più alta è anche la più imponente per le dimensioni dello spazio racchiuso dalle mura estremamente dilavate del perimetro punteggiato di torri circolari delle quali rimangono solo le basi. Quelle che dovevano essere le feritoie sono ormai delle fenditure oblunghe che segnano con tagli verticali la cinta muraria color miele. All’interno lo spazio rettangolare della piazza d’armi è completamente vuoto, desolato….muoviamo qualche passo cercando di immaginarlo popolato di guerrieri in divise tradizionali…chissà com’erano….forse come quelle dell’esercito di terracotta di Xian? Saliamo una piccola montagnola creatasi per l’afflosciamento di una parte del muro perimetrale ed osserviamo la bellezza della piana desertica che si spinge senza confini verso il nulla. Quasi a ridosso della prima, su una collina più bassa sorge la seconda fortezza del complesso Ayaz Qala….più piccola, compatta e di forma circolare. Nei pressi un gruppo di yurte rappresentano un allettante richiamo per i turisti meno esigenti di noi. Liberati della presenza del ragazzo torniamo dentro le mura di fango della cittadella di Khiva dove ci accomodiamo allo stesso tavolo del ristorante di ieri nella piazzetta che ormai consideriamo nostra….la simpatica signora Galima che lo gestisce ci propone i suoi squisiti manicaretti come i ravioli di carne, del tutto simili a quelli cinesi ma serviti con una crema di yogurt facoltativa….poi l’imperdibile shashlik, lo spiedino di carne macinata e speziata fissata attorno allo spiedino piatto e cucinato sulle braci. Infine i fagottini di sfoglia triangolari ripieni di verdure bollite carne e spezie e cucinati al forno….strepitosi. La luna ci accompagna infine nella breve passeggiata verso l’hotel.

30 Luglio 2009

KHIVA – BUKHARA

Lasciamo Khiva dopo aver dato una doverosa sbirciatina alla necropoli dei Khan che governarono la città. Le ceramiche nei toni del verde rivestono la cupola dell’edificio principale ed il tamburo slanciato. All’interno del giardino si aprono i mausolei dove le ceramiche dipinte in azzurro e bianco rivestono ogni superficie, comprese le volte a tutto sesto ed i sepolcri….anche qui a maggior lustro corrisponde maggior magnificenza della tomba. Visitiamo un atelier che propone in vendita ai turisti tappeti annodati a mano ed un museo che espone mirabili gioielli ed un paio di banconote risalenti al periodo d’oro in cui venivano stampate sulla seta, poi quasi a malincuore saliamo a bordo di Asia allontanandoci dalla ormai familiare Ichan Kala, scrutata in ogni sua madrassa, mausoleo o moschea. Il deserto è ad attenderci subito dopo l’oasi…. che continuiamo a seguire percorrendo l’arteria principale verso Est. Increspato da basse dune ricoperte di ciuffetti di vegetazione impolverata….invade talvolta parte della carreggiata in un bizzarro contrasto tra l’asfalto nero ed il colore chiaro della sabbia. Distese che sembrano infinite segnano il nostro procedere verso Bukhara, importante centro commerciale dell’antica via della seta che raggiungiamo a metà pomeriggio. Immersi nei 44° di oggi usciamo quasi subito curiosi di esplorare le meraviglie che racchiude quest’antica città e di assaporare il ritmo lento così come i profumi dell’oriente. L’hotel Malinka è nel cuore del centro storico….adiacente ad una piazzetta che contiene un giardino alberato …. fresco preludio alle “cupole del commercio” come sono chiamati gli antichi spazi ombreggiati da cupole contenenti piccoli bazar. Quello accanto all’hotel fu costruito all’incrocio di due strade ora pedonali….è coperto da una grande cupola costolonata le cui nervature a spirale formano un disegno in rilievo sull’estradosso di mattoni a vista….unica nota cromatica la copertura di ceramica verde della piccola lanterna costruita sulla sua sommità. Questa è la prima suggestiva architettura che ammiriamo compiaciuti dopo aver mosso pochi passi dall’hotel. Attraversiamo il piccolo bazar ravvivato dai tappeti esposti e dai prodotti tipici dell’artigianato locale che i mercanti propongono con voce squillante e ci dirigiamo verso la piazza principale, la Lyabi Hauz al centro della quale c’è una grande vasca rettangolare piena d’acqua alimentata da uno stretto e sudicio canale. Le vasche di cui Bukhara è piena rappresentavano l’unica risorsa idrica dei suoi abitanti nonché il veicolo delle pestilenze dovute alla scarsa igiene nella quale versavano … tombate dai sovietici per evitare la strage e riaperte solo recentemente, rappresentano la peculiarità di questa città che ci piace fin dalle prime battute della nostra esplorazione. La vasca attorno alla quale stiamo passeggiando è piena di acqua densa color verde oliva….attorno ad essa una fila di grandi alberi di gelso dalle chiome talvolta chine verso il basso per il peso del tempo, ombreggiano i tavolini dei bar affollati di gente… sono intere famigliole vocianti o gruppi di signori anziani intenti a chiacchierare o a giocare a carte mentre sorseggiano dalla loro imperdibile tazza di tè. Su uno dei lato corti della piazza si impone la facciata di una madrassa il cui grande portale di ingresso è rivestito di ceramiche mirabilmente dipinte nei toni dominanti del blu e bianco ma anche con qualche colore accesso a descrivere i bellissimi pavoni posti nei due angoli superiori del grande rettangolo. Ai lati del portale le due file di nicchie coronate in alto da archi appuntiti, più basse ed ancora rivestite di ceramiche dipinte, segnano il ritmo delle celle dedicate all’accoglienza degli allievi della scuola coranica che si aprono all’interno del cortile. Continuiamo la passeggiata verso un’altra scuola coranica in posizione defilata rispetto alla prima….per raggiungerla camminiamo per le stradine di un quartiere popolare che sembra abitato solo da vivaci bambini che vedendoci diversi non fanno che dirci – hallo -. Le stradine sono di terra battuta e gli edifici bassi vi si fronteggiano a pochi metri di distanza, quasi senza forma. Un adulto ci saluta gentilmente e ci indica la strada….tutti sanno dove stiamo andando! Al contrario della madrassa vista poco fa nella piazza che riproduceva la tipologia tipica delle scuole coraniche timuridi, ovvero del periodo di Tamerlano, questa di Chor Minor, piccola e compatta sembra un castelletto turrito. Quattro minareti circolari si alzano dal volume cubico della madrassa….sono coperti in alto da cupole turchesi ed inquadrano la cupola centrale…..semplicemente favoloso! Rimaniamo a lungo in contemplazione di questo piccolo capolavoro di architettura mentre il sole va scomparendo dietro i bassi edifici del quartiere…fino a quando le ombre sempre più lunghe finiscono con l’inghiottirlo. Sulla via del rientro vediamo il tipico pane dell’Asia centrale a riempire il cesto di una bicicletta. Ha le dimensioni di una pizza rigonfia sul bordo come una ciambella ed è decorata con forellini a forma di fiore. Gli strumenti di metallo che servono alla decorazione sono in vendita nelle bancarelle dei mercati, accessibili all’acquisto per tutte le famiglie che fanno da sé questo alimento basilare in quasi tutte le diete del mondo. Le pagnotte sono belle ma non poi così buone….piuttosto secche ed insipide pensiamo quando dopo un pò cerchiamo di ammorbidirle nel sugo di verdure ordinato nel ristorante Minzifa, un bel posticino del quartiere ebraico dalla cui originale terrazza godiamo di un fantastico tramonto rosso.

31 Luglio 2009

BUKHARA

Il cielo coperto ci regala qualche grado in meno….come inizio è incoraggiante! l’hotel invece ci sorprende con la hall piena di signori in cafetano e fez bianchi e gilet marrone…. i loro occhi scuri sembrano segnati da una riga di kajal e qualcuno ha la barbetta lunga ed appuntita come quella di una capretta. Tutto sommato non hanno l’aria truce e danno un tocco di folklore all’hotel. Strano vederli qui….in un paese ex sovietico dove le madrasse così come le moschee furono convertite per altri usi e dove qualsiasi credo religioso fu sempre scoraggiato. Invece eccoli qui ad affollare la reception per la consegna delle chiavi….ovviamente nessuna donna li accompagna. Usciamo rapidamente ed in taxi raggiungiamo il primo di una lunga serie di capolavori architettonici del passato illustre di questa città che fu importante centro islamico nonché capitale fin dal X secolo del regno Samanide e dal XVI del khanato di Bukhara. Gli splendori dell’antico regno Samanide sembrano essere tutti concentrati nel piccolo Mausoleo che il fondatore della dinastia fece costruire in mattoni cotti. Si trattava in quel tempo di un materiale costruttivo assolutamente nuovo, introdotto in Asia proprio nel X secolo quando il mausoleo fu realizzato. Con queste premesse il mausoleo si colloca come una sorta di prototipo della nuova tecnologia le cui potenzialità sono espresse attraverso virtuosismi che apprezziamo osservandolo. A pianta quadrata e sormontato da cupola la sua particolarità è il tipo di posa dei gruppi di mattoni che inclinati rispetto alla superficie muraria creano eleganti chiaroscuri con disegni sempre diversi nei vari elementi architettonici. La complessa texture muraria, piacevolissima anche nello spazio interno, consentì di realizzare l’edificio senza l’impiego di ceramiche variopinte ad amplificarne la bellezza. Un altro edificio incantevole anche se molto diverso per funzione, dimensione e periodo storico è la Moschea Bolo Hauz del XVIII secolo. L’ambiente coperto dedicato alla preghiera è preceduto dalla moschea estiva caratterizzata da un ordine gigante di eleganti pilastri di legno intagliato. Lo spazio aperto estremamente slanciato è coperto da un soffitto a cassettoni di legno dipinti a disegni geometrici con colori sgargianti così come i capitelli intagliati con il classico motivo del cielo arabo. Il porticato si riflette ampio nell’acqua stagnante della vasca antistante…..sotto gli alti pilastri e nello spiazzo che precede la vasca vi è un grande fermento di persone al lavoro, stanno allestendo con tappeti e moquette verde la moschea estiva che accoglierà il raduno di musulmani in preghiera delle ore 13. Capiamo che si tratta di una giornata particolare per l’islam e la colleghiamo alla presenza in hotel dei simil talebani. Continuiamo il tour tra le meraviglie del passato, immersi tra cupole turchesi, grandi portali decorati con piastrelle dipinte, archi ad ogiva, slanciati minareti, le mura bastionate della cittadella ed una magnifica torre dell’acqua con decorazioni decò nella fascia superiore a palloncino. Gli abitanti della città superano di gran lunga i turisti ….. le signore sfoggiano abiti a disegni coloratissimi mentre le più giovani sono tutte vestite all’occidentale. Gli uomini sono meno appariscenti ma talvolta indossano strani copricapi quadrati. Molti bambini in fasce sono usati a volte come esca per chiedere l’elemosina ai turisti….che tristezza. Polvere, calore, cupole turchesi, mattoni e bancarelle piene dei prodotti artigianali più o meno tipici ma fabbricati chissà dove….primi fra tutti i famosi tappeti Bukhara che transitano dalla città ma non vengono prodotti qui….e poi i bellissimi Suzani. Sono rettangoli di varie dimensioni di tessuto colorato e ricamato a grandi disegni floreali. Con i Suzani vengono confezionati cuscini, copriletti o tovaglie, ma sono così inflazionati sulle bancarelle dei mercati lungo le strade della città che non ci stimolano all’acquisto….e poi ne possediamo già uno, un cuscino acquistato in Turchia anni fa. Acquistiamo invece una lunga fascia tessuta a mano con disegni colorati nelle sfumature dei marroni e dei rossi….quelle stesse fasce che vengono montate in diagonale sulle pezze di feltro delle yurte. Anche Vanni si lancia nell’acquisto di tre paia di gemelli trovati rovistando in una scatola di cartone nel negozio di un antiquario. Dopo lo shopping ripieghiamo in hotel per una siesta….e nella frescura della camera ripensiamo alla giornata di oggi , le immagini delle meraviglie viste ben impresse nella nostra memoria. Quando al tramonto varchiamo di nuovo la soglia dell’hotel Malinka è per girovagare ancora un pò lungo le strade pedonali a quest’ora libere dalle bancarelle degli ambulanti ma sempre più affollate dei locali a passeggio o indaffarati a fare qualcosa, come per esempio vendere le brustoline. Dopo le chiese, le moschee e le scuole coraniche Vanni si impunta sulla visita della sinagoga che si trova nel ghetto adiacente la piazza principale. E’ così grande il suo desiderio di vedere questo modesto edificio povero di fronzoli che temo una conversione per overdose cristiano-islamica!….ma tutto è ok e quando ne usciamo salutiamo il custode senza particolari richieste se non quella di poter coccolare il suo bel gattino nero. Nell’intento di trovare refrigerio al caldo ancora intenso scegliamo per la serata uno dei tavolini della piazza Lyabi Hauz oggi piena di gente in festa e del fumo dei barbecue dei numerosi ristoranti che lavorano a pieno ritmo. Ci accomodiamo sotto le fronde degli antichi gelsi in prossimità del bordo vasca dal quale partono zampilli d’acqua su tutto il perimetro. Nel tutto esaurito dei ristoranti intere famiglie o gruppi di ragazzi o ragazze condividono l’ottimo cibo anche con i gatti che numerosi e grassotteli passeggiano tra i tavoli degustando qualche boccone di shish kebab….qualche ragazzo si tuffa nell’acqua fetida della vasca lanciandosi dal tronco piegato di un albero che vi sporge….altri semplicemente passeggiano curiosi tra i tavoli alla ricerca di eventuali conoscenti. Calati nella vivacità di questa serata di festa apprezziamo la semplicità e la piacevolezza dei locali, i profumi di questa antica città e perché no, il coraggio dei tuffatori!

01 Agosto 2009

BUKHARA – SAMARCANDA

L’hotel Malika Prime è nuovissimo ed in posizione strategica nel centro di Samarcanda che raggiungiamo alle 14.30 dopo quattro ore di viaggio sulla strada a tratti dissestata ma complessivamente ampia e comoda. La sensazione avuta entrando in città è quella di una metropoli con grandi viali alberati dove l’anonimo tessuto urbano fatto di grandi condomini senza fascino sembra evanescente. Una grande statua in bronzo di Tamerlano occupa lo spartitraffico vicino all’hotel che con nostra sorpresa è molto confortevole e con un tocco di folklore che non guasta….finalmente un grande letto dove poterci abbracciare e per lo stesso costo di 50€ anche la ringhiera di legno intagliato nel terrazzino che si affaccia sul viale tranquillo…..poco oltre il Mausoleo di Rukhabad, il più antico e sobrio della città la cui volumetria armoniosa fu realizzata in mattoni chiari a vista. A pianta quadrata e con un’alta cupola posta sul tamburo ottagonale, occupa l’angolo di un ordinato giardino pubblico…..unico elemento decorativo una fila di ceramiche colorate che inquadrano in un ampio rettangolo la piccola porta ad ogiva….davvero piacevole. Proseguiamo a piedi verso il vicino Registan, il monumento del XV secolo divenuto il simbolo della città. Il centro monumentale è costituito da tre maestose madrasse completamente rivestite di ceramiche colorate nei toni del blu, bianco turchese e cobalto, gli enormi portali si affacciano sulla piazza ora occupata da un palcoscenico ovale dove gruppi di giovani ballerine provano la coreografia dello spettacolo del 25 agosto. Gli ampi portali sono inquadrati da coppie di alti minareti piastrellati a motivi geometrici nei toni dell’azzurro, mentre al centro di ogni madrassa un’alta cupola assolutamente turchese si delinea contro il cielo azzurro. I cortili interni delle madrasse, ampi come piazze ed ingentiliti al centro da alberi frondosi, sono delimitati da stecche di bassi edifici continui che articolati in due file sovrapposte di archi ogivali contengono le porte di accesso alle celle degli allievi delle scuole coraniche ormai destinate ad altro uso. Anche qui ogni superficie è rivestita da una profusione di ceramiche quasi esagerata….alcune formano disegni a mosaico policromo, altre invece sono dipinte a formare disegni geometrici o floreali….non mancano naturalmente le scritte in arabo in alto sui grandi portali. Contrariamente a quanto si può credere non riportano versetti del corano bensì enfatizzano la magnificenza delle architetture sulle quali sono collocate….una sorta di pubblicità all’architetto che le aveva concepite e fatte realizzare. Una coppia di tigri ruggenti nell’atto di inseguire due capre in fuga sono dipinte negli angoli superiori di uno dei grandi portali….soggetto davvero particolare se si tiene conto che l’islam ha sempre scoraggiato la rappresentazione di figure animali o umane nelle varie espressioni artistiche….. che si trattasse di tappeti o dipinti murali indifferentemente. La varietà dei motivi decorativi è perfino prolissa e passeggiare all’interno dei cortili è un pò come percorrere un grande caleidoscopio in continuo mutamento. Il Registan era il centro pulsante della città, la piazza teatro della vita dei cittadini di Samarcanda, il luogo dove si svolgevano i mercati, si portavano i neonati per ricevere una benedizione e quello dove venivano eseguite le pene di morte o le punizioni corporali dei peccatori. Questa stessa piazza è ora il simbolo della desolazione, uno sterile monumento affollato solo dei turisti paganti che vi possono accedere e dei venditori di artigianato che occupano le celle ai piani terra di quelle che furono le scuole coraniche. E’ in uno di questi bazar che Vanni si esprime oggi in una contrattazione serrata degna di un maestro…..Mentre io sono intenta a scattare foto lui entra a curiosare assecondando l’invito dei commercianti e finisce con l’invaghirsi di una coppia di vecchi samovar di alluminio battuto a mano. Chiede il prezzo e fa la sua offerta innescando così un meccanismo di corteggiamento da parte del commerciante che si protrae per una mezz’oretta con inseguimenti, attese, rilanci e facce disperate, rituale che si svolge in modo dinamico mentre passeggiamo nei cortili del Registan. Alla fine la spunta Vanni che con 50€ riesce ad ottenere i due pesanti samovar inseriti in una sporta di plastica per il trasporto in hotel. Sulla via del ritorno mi concedo ancora una sosta al bel Mausoleo Guri Amir del XIV secolo la cui cupola rigorosamente nei toni del turchese ha la particolarità di essere mossa da nervature. Il linguaggio architettonico e decorativo è sempre lo stesso….un grande portale rettangolare che inquadra l’ampia apertura ogivale, dà accesso all’ambiente quadrato del mausoleo. Una coppia di minareti inquadrano la facciata, ogni superficie è rivestita da una profusione di ceramiche, anche le complesse volte a cielo tipiche del linguaggio decorativo arabo. Quando la sera usciamo di nuovo optiamo per il ristorante Platan che in questo caldo sabato sera pullula di clienti che si esibiscono anche in una rissa…..mangiamo benissimo ma anche in questo caso sarebbe divertente conoscere la lingua locale!

02 Agosto 2009

SAMARCANDA

Mustafà, il nostro tassista di ieri sera, ci accompagna al mercato domenicale di Urgut sfrecciando sulla sua vecchia 124 Lada per tutti i 25 km che ci separano dalla cittadina famosa appunto per la vivacità del suo mercato. Già nei pressi il traffico è quasi bloccato….decine di pulmini Daewoo occupano la strada affollata di gente…. inutili le barriere di cemento messe al centro per scoraggiare l’attraversamento pedonale. Conquistiamo a fatica il parcheggio divertiti nel vedere le signore alzare leggermente i colorati camicioni lunghi fino ai piedi per scavalcare agili la barriera di cemento. Il grande mercato è articolato in spazi all’aperto e bazar coperti….vi si vende ogni cosa in abbondanza, dai prodotti alimentari tutti all’abbigliamento e la calzoleria….ferramenta, tappeti e tanto altro. La cosa interessante è la qualità di certi prodotti….i cappellini per esempio rappresentano un indicatore del gusto. Il cappello maschile tradizionale ad esempio è quadrato e si alza di poco sulla testa….solitamente nero a ricami bianchi è indossato soprattutto dagli anziani che vediamo passeggiare nel caos degli stretti passaggi compresi tra le file di bancarelle. Le varianti femminili dei copricapi che vediamo esposti sono in oro e argento di tessuto lucido con catenine in tinta penzolanti dalla protuberanza centrale. In fondo alle catenine sono fissate medagliette leggere, probabilmente di plastica. Un altro copricapo, se così possiamo definirlo, è una sorta di coroncina con un pennacchio colorato al centro della fronte….vengono in mente gli ornamenti dei cavalli del circo. Anche i tessuti, come quelli degli abiti indossati dalle signore, sono variopinti a colori vivaci, spesso decorati con paillettes luccicanti o fili e decorazioni arabescate dorate. I cappotti invernali tradizionali sono dei maxi pastrani di velluto blu o viola con ampie decorazioni dorate applicate sul davanti….quelli più moderni da signora hanno la cintura in vita ed il peluche rosso o nero sul collo. Insomma nulla di interessante da acquistare, nemmeno i tappeti che sembrano confezionati a macchina e con fibre sintetiche…ma ci viene l’acquolina in bocca di fronte alle montagnole di formaggio morbido ed alle cataste di pagnotte tonde tradizionali. Quando dopo un’ora usciamo dalle nuvole di fumo dei kebab e dal carnaio di corpi semoventi, Mustafà ci mostra i suoi acquisti affermando contento che qui costa tutto la metà. Rientriamo a Samarcanda per una doccia e poi usciamo subito per visitare qualche altro imperdibile edificio antico. Ci spostiamo in taxi lungo i viali alberati di questa città troppo nuova e troppo grande e dove non sembra esistere un luogo nel quale passeggiare piacevolmente immersi in un contesto storico. Certo gli edifici sacri del XIV e XV secolo sono strepitosi anche se ampiamente ricostruiti, ma sono come isole immerse nel liquido insapore della città nuova. La grande moschea così come il meraviglioso mausoleo Bibi Khanum dimensionato come se dovesse ospitare un gigante ed il complesso Shah-i-zinda i cui piccoli mausolei ospitanti le spoglie femminili della discendenza di Tamerlano sono il susseguirsi di piccoli capolavori che si affacciano su di un percorso pedonale in salita. Cupole, portali ed elementi decorativi molto ricercati sono rivestiti di ceramiche nei toni del verde e del blu a rappresentare la perfezione delle forme armoniche, un angolo meraviglioso paradigmatico delle antiche glorie di questa città che fu una delle più importanti della via della seta.

20 Gennaio 2008

SAMARCANDA – TASHKENT

A parte la bellezza della montagna che valichiamo in mattinata….priva di vegetazione ma dal colore intenso di erba bruciata dal sole, il viaggio di oggi verso la capitale non colpisce certo per la bellezza del paesaggio né per quella dei centri abitati che attraversiamo. Dopo la leggera frescura che Samarcanda ci aveva regalato ripiombiamo con Tashkent nella canicola più soffocante….ma quasi a consolazione di ciò occupiamo una confortevole camera all’hotel Markazij per soli 100€ al giorno. Incredibilmente meno caro del 5 stelle di fronte, questo ex Sheraton vendette allo stato uzbeko nel 2005 quando in seguito alla sanguinosa repressione di una pacifica manifestazione popolare ad Andijan, la multinazionale decise di abbandonare il paese. Raggiungiamo poco dopo Sogdiana Travel, l’agenzia di viaggi che si occuperà del reperimento dei visti che ancora ci mancano per proseguire il nostro viaggio lungo la famosa strada del Pamir. La signora Miriam che dirige l’agenzia ha l’aria determinata e l’atteggiamento sicuro di chi sa il fatto suo…. dopo aver consultato telefonicamente i partner delle ambasciate risponde con precisione alle nostre domande, non ultimo il corrispondente dell’agenzia in Tagikistan che ci fornirà lo speciale permesso per poter accedere ai territori dell’altopiano. In pochi giorni riusciremo ad ottenere i tre visti mancanti ma sarà complicato lasciare Asia in Kirghizistan ….nessuna certezza di ritrovarla al nostro ritorno, anzi l’assoluta certezza che non sarà più li ad aspettarci oltre alle innumerevoli complicazioni burocratiche per lasciarla in sosta. Già domani pomeriggio avremo il visto tagiko e poi a seguire quello del Kirghizistan e del Kazakistan di nuovo nell’eventualità di lasciare Asia ad Almaty. Come ingannare il tempo per cinque o sei giorni qui a Tashkent rimane un mistero….ma di andare nella valle di Fergana senza i passaporti originali non se ne parla nemmeno. E’ l’area geografica più controllata dalla polizia perché vi risiedono le frange islamiche più integraliste del paese e con pulsioni eversive….dice Miriam. L’inutile ricerca di un bancomat funzionante che ci dia un po di dollari, dato che gli hotel rifiutano sia la carta di credito che la moneta locale, ci porta in prossimità di una serie di piccoli ristoranti dagli arredi tematici piuttosto bizzarri. Scegliamo quello arabo per via degli strumenti musicali che attendono solo i musicisti della band, posizionati nell’ampio marciapiede con tavolini in uno dei quali ci accomodiamo. Trascorriamo una piacevole serata ascoltando musica ed assaggiando i manicaretti piuttosto gustosi del menu arabo, circondati da favolose ragazze bionde in abiti da sera.

04 Agosto 2009

TASHKENT

Quando mi sveglio Vanni ha già tentato inutilmente di prelevare dollari nel nostro hotel ed in quello di fronte…..mi preparo in fretta e raggiungiamo in taxi una banca…..sembra un viaggio della speranza! Come previsto per eseguire l’operazione di prelievo con carta di credito è necessario esibire il passaporto originale che noi abbiamo lasciato a Miriam per ottenere i visti, quindi ripieghiamo all’ambasciata italiana per avere informazioni sulle procedure per lasciare Asia qui in Uzbekistan. E’ Ivano ad accoglierci, un attechée dell’ambasciata gentile e simpatico che parlando scopriamo essere un caro amico degli amici di Vanni che vivono in Kenia. Finisce in una lunga e simpatica chiacchierata sui vari personaggi residenti a Diani comprensiva di aneddoti divertenti….chi lo avrebbe mai detto quanto a volte piccolo sia il mondo! Per quanto riguarda Asia Ivano ci sconsiglia di lasciarla qui….piuttosto in Kazakistan dove, dice, sono avanti anni luce. Miriam intanto si fa sentire al telefono dicendo che il visto tagiko arriverà con un giorno di ritardo, cioè domani, ma poi ritratta alla nostra richiesta di avere una fotocopia timbrata dall’ambasciata per poter andare alla Fergana. I passaporti saranno pronti nel pomeriggio…..Che casino! Dato che ancora non abbiamo visto nulla della città ed è ancora presto per andare a ritirare i passaporti all’agenzia, usciamo a bordo di Asia e ci dirigiamo alla scoperta dei complessi monumentali della capitale tutti concentrati in un’area a Nord della città vecchia. Isolati all’interno di un’area articolata in ordinati giardini senza alberi ed ampie piazze queste madrasse sembrano nuove fiammanti così come la moschea ed il mausoleo del complesso Khast Imom. Le cupole spiccano azzurre sulle volumetrie sobrie realizzate in mattoni chiari…..unico edificio di un certo fascino è il mausoleo di Abubakr Kaffal Shoshi del XVI secolo. Di dimensioni modeste sembra galleggiare sospeso alla cupola sull’alto tamburo ceramicato. La piacevolezza della città sembra piuttosto risiedere nei grandi parchi ritagliati nel tessuto urbano più recente, dove i grandi edifici sovietici quasi scompaiono nascosti dalle file di alti alberi. Una città verde ed ordinata questo è ciò che colpisce di Tashkent…..ovvero ciò che l’ha resa brutta agli occhi di chi ne ha visto la trasformazione che ne ha quasi cancellato nel tempo la matrice storica. Ancora nei pressi del complesso monumentale piuttosto deludente ci fermiamo incuriositi dalla bellezza di un edificio di modeste dimensioni senz’altro realizzato in periodo sovietico. La sua forma a spirale lo rende davvero originale mentre le strette finestre verticali che corrono sull’articolato perimetro ne enfatizzano la scansione volumetrica….ricorda molto il progetto del monumento di Tatlin per la terza internazionale. Il giardino con fontana sull’altro lato della strada è invece la casa di un gruppetto di cicogne che vi circolano tranquille o vi riposano accovacciate sul prato. Verso le quattro del pomeriggio raggiungiamo l’ufficio di Miriam dove i nostri passaporti sono pronti per il momentaneo ritiro….ma abbiamo molte domande da fare per riuscire ad incastrare i tempi dei due visti ancora mancanti ed allo stesso tempo accorciare il più possibile il nostro soggiorno in città….si sa che Vanni dopo un pò scalpita ed anch’io mi sarei fermata più a lungo altrove. L’emergenza, ora che abbiamo riavuto i passaporti, è quella del reperimento di denaro presso una banca….anche se le Visa autorizzate sembrano essere già tutte chiuse a quest’ora e Vanni sempre più agitato diventa insopportabile. In realtà potremmo fare tutte le cose con calma e goderci il viaggio serenamente….nessun datore di lavoro ci rimprovererebbe per un eventuale ritardo al nostro rientro in Italia, ma Vanni deve sempre correre a costo di innervosirsi inutilmente al primo contrattempo….che dire….è fatto così! Ritroviamo un pò di serenità solamente la sera, quando dopo una breve passeggiata raggiungiamo il ristorante siriano Al Delfin su Malyasov Street, caldamente raccomandato dalla guida. I caratteristici divani ovvero le piccole piattaforme rialzate con tavolino al centro, coperte di cuscini e tappeti, occupano il perimetro dello spazio antistante il ristorante e sono già pieni di fumatori di narghilè. Ci accomodiamo ad un tavolo tradizionale al centro dei fumatori, tutti giovani del luogo, e godiamo del profumo dolce del tabacco alla mela che arriva fino a noi e degli ottimi piatti della cucina araba tra cui il purea di melanzane, i falafel, le polpette di carne, spezie e nocciole ed i fagottini agli spinaci, il tutto arricchito delle fragranze delle spezie che tanto amiamo.

05 Agosto 2009

TASHKENT

Vanni è già all’agenzia per riconsegnare i nostri passaporti ancora prima dell’apertura delle nove. Il prelievo di dollari ormai è fatto e così possiamo tranquillamente cederli di nuovo per la consegna di oggi all’ambasciata kazaka. Quando dopo un’oretta rientra in hotel mi dice che le cose sono cambiate di nuovo…l’agenzia dice che è meglio prendere prima il visto del kirghizistan che ci sarà rilasciato domani pomeriggio, quindi quello kazako. Che confusione, non si capisce nulla ! In questo paese le regole sembrano cambiare continuamente e con esse anche la disponibilità dei consoli a timbrare i visti. Nella tarda mattinata usciamo per una visita veloce alla torre della televisione che si erge altissima poco oltre l’hotel Intercontinental sulla Amir Temur street. Bella ed ipertecnologica sembra un enorme satellite appoggiato su un tripode metallico. Nonostante la sua originalità non siamo stimolati a salire….non vedremmo che verdi chiome in questa città piena di parchi e viali alberati. Proseguiamo l’esplorazione avvicinandoci all’Amir Timur Publik Garden, sede di diversi teatri, aiuole fiorite, alti alberi ed uccellini cinguettanti…oltre che di un paio di grandi gazebo all’ombra dei quali ci riposiamo bevendo un tè….a quest’ora il caldo è davvero spossante. Con una breve passeggiata raggiungiamo il Mustakilik Maidoni, lo spazio dedicato alla celebrazione del potere politico del dittatore Karimov che ha fatto costruire la sede di un senato fantoccio proprio accanto alla sua ampollosa residenza. Specchi d’acqua con fontane zampillanti si alternano a rettangoli di prato in un disegno di arredo urbano fin troppo ordinato. Colonnati leggermente flessi in esedre sulle cui trabeazioni trovano posto sculture di cicogne argentate…tutto questo è Mustakilik Maidoni, un angolo di città dedicato all’auto celebrazione del potere che si esprime attraverso un rigore quasi maniacale, assolutamente vuoto di contenuti e piuttosto sterile. Ripieghiamo in ritirata in hotel dove il confort dell’aria condizionata ci fa rinvenire….e dove troviamo il tempo per le nostre piacevoli coccole. Poi arriva la telefonata di Miriam che urgentemente ci invita a raggiungere il suo impiegato Emil all’ambasciata kirghiza….il giovane console vuole vederci in faccia ed intervistarci prima di accettare i nostri documenti. Raggiungiamo la vicina ambasciata ed attendiamo il nostro turno in compagnia di Emil…..poi il console, adagiato sulla poltroncina dietro un ampio vetro, ci pone qualche domanda. Indossa un paio di jeans ed una tshirt lilla, e vuole conoscere la dinamica dei nostri futuri spostamenti nel suo paese…..aggiunge anche che il pagamento della soprattassa dell’urgenza non ci consentirà di avere i passaporti prima di venerdì perché domani l’ambasciata rimarrà chiusa come anche noi leggiamo in bacheca….strano che l’agenzia non ne fosse informata. Ma c’è anche una buona notizia….il giovane console dice che il visto del Kirghizistan ci darà accesso anche al Kazakistan anche se limitatamente alla regione di Almaty. Perfetto…lasceremo l’auto proprio lì ! Emil si mostra perplesso e dice che verificherà l’informazione presso l’ambasciata kazaka…..speriamo che l’esito sia favorevole ! …..così lasceremo Tashkent sabato mattina ed entreremo direttamente in Tagikistan dalla tanto anelata valle Ferghana. Rientriamo in hotel a piedi, passeggiando tra le case basse di questo quartiere popolare all’ombra degli alberi frondosi che segnano un lato della strada. Passeggiando rivediamo il ristorante Delfin di ieri sera in versione diurna, coloratissimo di cuscini e tappeti ma privo di clienti…..del resto sono solo le cinque del pomeriggio. Il ristorante Bistrò rappresenta la piacevole sorpresa di oggi…..ci accomodiamo in uno dei pochi tavoli del giardino dove gustiamo gli ottimi spaghetti ed i dolci europei…..fondant di cioccolato ed il crème caramel naturalmente! Coccolati dall’atmosfera avvolgente, dal servizio impeccabile e dalla candela accesa sul tavolo, ascoltiamo i due bravi chitarristi che propongono brani di musica spagnola e portoghese, defilati in un angolo del giardinetto. Tutti i piatti che necessitano di una cottura al forno vengono introdotti nel forno a legna da un giovane cuoco orientale che vi cucina anche il pane, preparato poco prima di servirlo. Serata piacevolissima e con una luna piena che fa sognare…..la intravediamo tra le fronde degli alberi attorno a noi.

06 Luglio 2009

TASHKENT

Approfittiamo dell’ennesima giornata a Tashkent per visitare il museo di belle arti che oltre ad essere ospitato in un bellissimo edificio degli anni’60, propone nei suoi quattro piani espositivi una quantità considerevole di opere di vario genere e provenienza. Iniziamo con l’osservare i reperti archeologici provenienti dalle città storiche dell’Uzbekistan….pezzi di ceramiche appartenuti ad antiche madrasse, colonne di legno intagliato da Khiva, un bellissimo affresco senza datazione così come diverse piccole sculture di satiri in argilla. Intere sale sono rivestite di antichi tappeti e suzani ricamati a mano, gioielli ed abiti tutti mirabili esempi della ricca produzione artigianale di queste regioni spazzata via da quasi un secolo di regime. Salendo ancora di un piano troviamo antichi dipinti provenienti dalla Russia e dall’Asia centrale e qualche falso Canaletto così come qualche statua attribuita al Canova ma che è impensabile possa essere uscita dallo scalpello del grande scultore italiano. Favolose invece le tele delle avanguardie russe dello scorso secolo tra cui due bellissimi Lentulov, due Kandinsky, un Falk ed un Rodschenko che ci ripagano a fatica delle due ore e mezza di visita. Poi ancora mirabili esempi di arte iperrealista russa ed infine due sale dedicate all’arte giapponese e cinese nelle varie epoche. Poi litighiamo….ovvero è a me che scende la catena. Un amico italiano mi telefona rispondendo alla mia richiesta di aiuto….mi fornisce cortesemente un nominativo cui fare riferimento per una sistemazione sicura di Asia ad Almaty durante l’anno di sosta previsto. Annoto tutto su un foglietto di fortuna, appoggiata ad un antico pianoforte a coda che forse non andava nemmeno sfiorato e quando Vanni vede che scrivo Business Center Granit mi dice di chiedergli se è lo stesso Business Center Granit di Modena. Senza dare molta importanza a Vanni continuo a scrivere e poi saluto Bob ringraziandolo per la cortesia. Immediatamente dopo aver riagganciato Vanni mi attacca con un’acidità esemplare quasi urlandomi che dovevo chiedere se quel nominativo di Almaty faceva in qualche modo riferimento a Modena. Immaginando che Bob non avesse ulteriori informazioni da darmi mi sono sottratta all’inutile verifica…..ma poi mi è scesa una catena infinita. Preferendo rimanere sola per il resto della giornata scelgo di rilassarmi passeggiando sotto il sole cocente che arroventa anche il Parco Navoi. Ma a nulla vale il tentativo e di relax non se ne parla proprio quindi mi siedo all’ombra di un albero dove fumo nervosamente una serie di sigarette. Il mio umore non cambia nemmeno nel corso della serata o almeno non sensibilmente, nemmeno dopo la gustosa pizza consumata al Bistrò.

07 Agosto 2009

TASHKENT

Esordiamo con un sopralluogo all’ambasciata kazaka per recuperare i moduli di richiesta dei visti, ma ciò che troviamo è una fila immensa di uzbeki, soprattutto donne con bambini, nonostante manchino solo pochi minuti alla chiusura degli uffici. Siamo qui in attesa davanti al cancello chiuso controllato da un poliziotto piuttosto bonario nonostante l’arma che indossa, perché il nostro contatto all’ambasciata italiana ha spezzato una lancia in nostro favore contattando il consolato kazako. Con questa spintarella e se riusciremo a presentare i passaporti completi di moduli e foto nel pomeriggio, otterremo i visti lunedì anziché tra dieci giorni come prospettatoci dall’agenzia Sogdiana Travel. Passaporti che al momento non abbiamo ma che ci saranno rilasciati verso le 16.30 di oggi dall’ambasciata kirghiza. Vista la fila invalicabile telefono ad Emil per sapere se in agenzia hanno i moduli per il Kazakistan…..la risposta positiva ci vede attraversare la città per raggiungere la sede dove Emil ci aiuta nella compilazione e ci congeda dandoci appuntamento alle 16.15 presso l’ ambasciata del Kirghizistan dove lui ritirerà i passaporti consegnati due giorni fa. Considerando che non possiamo sbagliare la consegna di oggi pomeriggio e tenuto conto delle file che sempre accompagnano gli orari di apertura al pubblico delle ambasciate, decidiamo di separarci raggiungendo con molto anticipo io l’ambasciata kazaka e Vanni quella kirghiza….per tenere il posto ed essere i primi all’apertura. Arrivo in taxi poco dopo le 15…ovvero due ore prima dell’apertura. Davanti al cancello chiuso non c’è nessuno ma dietro l’angolo un gruppetto di signore aspettano sedute all’ombra in compagnia dei loro bambini, una di loro tiene in mano un foglio di carta sul quale immagino sia scritta una lista di nomi. Valuto se andare a segnarmi ma poi decido che non si fanno liste all’ombra di fresche frasche, quindi mi piazzo davanti al cancello e non mi muovo nemmeno quando il poliziotto arriva e mi saluta riconoscendomi. Vedendo che ho in mano i moduli di consegna mi fa capire parlando in russo che l’apertura del pomeriggio è riservata alla consegna dei visti e non alla ricezione delle richieste. Gli spiego in una lingua che lui non capisce che l’ambasciata italiana ha preso accordi diversi e che i nostri nomi sono stati segnalati all’impiegata dell’ufficio visti. Vanni mi raggiunge poco dopo le 16…..lo vedo arrivare con i passaporti in mano ma con l’aria inspiegabilmente alterata….eppure tutto sta andando secondo i nostri piani! Mi racconta che quando alle 15 ha raggiunto l’ambasciata kirghiza, Emil era già là in attesa…..stupito del suo arrivo ed un tantino imbarazzato per il fatto che i nostri passaporti li ha tenuti lui e non l’ambasciata come ci aveva fatto credere. Essendo al corrente della nostra sofferenza nel dover rimanere forzatamente a Tashkent avrebbe potuto restituirceli nell’attesa di consegnarli oggi pomeriggio, consentendoci così di andare altrove per almeno un paio di giorni. Che stronzi questi dell’agenzia! Insomma alle 17 entriamo seguiti dal coro di proteste delle signore con lista e consegniamo pratica e passaporti. Lunedì pomeriggio alle 17 saremo liberi di uscire dalla capitale….ancora tre giorni all’alba! Per la cena…dato che siamo degli incorreggibili abitudinari, torniamo al ristorante siriano. El Delfin è comodo e piacevole e la breve passeggiata che richiede per raggiungerlo dall’hotel ci costringe almeno a fare due passi. I clienti sono numerosi anche questa sera…..soprattutto intenti a fumare il narghilè comodamente distesi sulle Tapchan, le caratteristiche piattaforme ricoperte di cuscini. Per variare almeno sul menu sperimentiamo nuove squisitezze come i Kuddi, polpette speziate con nocciole tritate, e l’imperdibile hummus di ceci. Finalmente sereni per il fatto che fra due giorni avremo ottenuto anche l’ultimo visto necessario per proseguire il nostro viaggio, gustiamo l’atmosfera rilassata e la temperatura perfetta di questa serata di luna piena mentre da lontano arrivano le note di un concerto live.

08/10 Agosto 2009

TASHKENT

Due giorni di tedio trascorsi a visitare un paio di musei, il bazar, una moschea e le architetture del regime….le più belle ed elaborate naturalmente, caratterizzate da geometrismi virtuosi ed accattivanti dove il progetto conquista per l’originalità del risultato architettonico. Decisamente migliori dei recenti ed anonimi edifici voluti da Karimov per autocelebrarsi….tutti decisamente bianchi ed imponenti ma privi di un disegno progettuale che susciti interesse nell’osservarli e che non reggono il confronto con l’altissima torre della televisione nella quale torniamo a curiosare. Il design originale la fa sembrare un enorme satellite appena atterrato. E che dire della facciata flessa e rivestita con un frangisole labirintico dell’hotel Uzbekistan, o dell’edificio circolare nei pressi del bazar….tutti mirabili esempi di architettura costruttivista sovietica che volentieri ci fermiamo a contemplare. la sera del nove chiedo a Vanni di farmi una sorpresa scegliendo lui il ristorante….almeno per variare dai soliti due nei quali rimbalziamo da giorni. Vanni ha sempre delle ottime idee quando stimolato ed il ristorante giapponese che raggiungiamo in taxi è decisamente un’ottima scelta. Improvvisamente proiettati in un ambiente minimalista con giardino zen ci sentiamo come dopo un vertiginoso salto nello spazio-tempo. Godiamo della bella serata scandita dai filetti dell’ottimo sushi nonché del servizio impeccabile del ristorante Izumi ( 18 /a Kakhara Street Tel 150 99 49 – www.caravangroup.uz ) che ci fa l’ulteriore sorpresa di un conto salatissimo. Ma non è finita qui… un’ ulteriore devastante sorpresa mi attende al risveglio….crampi addominali ed una leggera febbre mi costringono a letto per l’intera giornata mentre Vanni in splendida forma si sacrifica ad andare solo a ritirare i passaporti in ambasciata. Rimangono un mistero i motivi che hanno spinto Emil a telefonare in hotel ben due volte per sapere se avevamo ottenuto i visti del Kazakistan….alle 13 ed alle 22….davvero strano per un impiegato di un’agenzia viaggi con la quale abbiamo concluso i nostri rapporti venerdì pomeriggio in seguito al rilascio del visto kirghizo. Avendo del tempo da perdere iniziamo a fantasticare sulla vera natura di Emil….forse un agente del KGB che insospettitosi dei nostri interminabili viaggi, dei quali gli abbiamo ampiamente parlato, vuole tenerci sotto controllo. Alla seconda telefonata Vanni gli racconta compiaciuto qualche bugia….dicendogli che non avevamo ancora ottenuto i visti e che avevamo abbandonato l’idea di andare nella valle di Ferghana, la patata bollente uzbeka. Ancora lasciando la fantasia libera di immaginare iniziamo a sospettare che abbiano messo delle cimici nella nostra camera….ma dove? Mentre consumiamo il riso in bianco e l’hamburger comodamente distesi sul nostro lettone facciamo qualche ipotesi….nei paralumi o dietro la testata del letto? Poi mollemente ci abbandoniamo al sonno.

11 Agosto 2008

TASHKENT – FERGHANA

Mi sveglio abbastanza in forma per partire, quindi alle 10, dopo una breve telefonata ad Emil per informarlo che abbiamo i visti e che andiamo a Ferghana, così tanto per non crearci inutili problemi, fuggiamo da Tashkent inseguendo un taxi fino ad immetterci sulla strada diretta a Kokand e poi a Ferghana. Dopo una trentina di chilometri di strada perfettamente asfaltata e piatta come il paesaggio circostante iniziamo ad avvistare la catena montuosa che dovremo valicare per entrare nell’ampia vallata. Nessun albero sui rilievi color nocciola, solo ciuffetti di rovi secchi che spuntano dalle rocce sottostanti. Saliamo lentamente fino a raggiungere quota 2130 metri per poi scendere di nuovo nella valle più fertile dell’Uzbekistan famosa per diversi motivi. Prima di tutto per l’allevamento dei bachi e la conseguente produzione della seta, poi per le frange integraliste dell’islam che sembrano concentrate proprio in questa regione e famosa anche per la sanguinosa repressione del 2005 quando ad Andijan la polizia di stato uccise migliaia di cittadini che stavano manifestando pacificamente contro il governo. La valle è così ampia da rendere invisibili i suoi confini naturali….adagiata tra le alte catene montuose del Kirghizistan nel quale si incunea, ne osserviamo i campi coltivati e le non poche ciminiere….già perché una delle caratteristiche della valle è anche il suo alto tasso di industrializzazione. E’ proprio una fabbrica, ma particolarissima, il luogo prescelto per la prima sosta di oggi…oltre a quella necessaria del posto di blocco di polizia all’ingresso nella regione. A Margilon, una cittadina che raggiungiamo verso le 16 sul fondo della valle, c’è una filanda nella quale l’intero processo di produzione della seta viene fatto secondo i criteri tradizionali ovvero senza macchinari elettrici. Si chiama Yodgorlik Silk Factory ed entrarvi ha il sapore dell’ingresso in un altro tempo. Accolti con una cortesia squisita veniamo guidati nei vari edifici del complesso dove si svolgono le diverse fasi della produzione. Iniziamo dai preziosi bachi che vengono allevati da tutte le famiglie di agricoltori della valle e forniti alle aziende che producono il prezioso filato. I bachi sono bozzoli bianchi oblunghi e lanuginosi….se mossi si sente qualcosa di duro, come un sassolino che si muove sbattendo al suo interno. E’ l’insetto preventivamente lessato affinché non danneggi il bozzolo con un foro d’uscita che interromperebbe la continuità del prezioso filo sottile quanto quello di una ragnatela. Ne vediamo a decine di questi “sassolini” …. raccolti in una ciotola vicina ad un grande paiolo pieno di acqua fumante. I bozzoli vengono bolliti per un paio d’ore quindi si afferra un lembo della lanugine che costituisce l’involucro e se ne ricavano 1200 metri di filo sottilissimo, quasi invisibile. Ventisette sovrapposizioni formano un filo di seta adatto a formare un tessuto…..quindi da un bozzolo si ricavano in media quattro metri di filo….sembra una lezione di matematica! Le signore che lavorano in questo primo laboratorio hanno smesso di lavorare alle quattro ma acconsentono a mostrarci le fasi del processo che partendo dalla bollitura finiscono con i rocchetti pieni di seta color avorio, immersi nell’acqua per il lavaggio che rende il filo estremamente soffice. Paioli fumanti, rocchetti, dipanatoi, bozzoli, cadaveri di insetti e odore di brodo rancido….sembra l’antro delle streghe, ed il risultato una particolare forma di magia. Vestite in abiti colorati, i visi dai lineamenti orientali e la pelle leggermente ambrata, queste signore sono le più anziane della catena produttiva, le salutiamo per passare al padiglione successivo dove le matasse di seta vengono tinte, questa volta da uomini….alcune in tinta unita altre invece a tratti per creare nuvole di colore sul tessuto. In quest’ultimo caso gli addetti seguono un disegno preciso e chiudono con nastri di plastica i gruppi di filo che devono rimanere bianchi o di un altro colore…tutto sembra basarsi sulla lunghezza del filo che sarà lavorato al telaio. I colori naturali sono il giallo ricavato dalla cipolla ed il blu ricavato da un vegetale…rosso e nero sono invece artificiali. Ciò che non ci è chiaro è il disegno del colore delle matasse, ovvero la logica che lega le partiture di colore del filo al mélange dei tessuti finiti. Si parte da uno schema rigorosamente matematico per arrivare a nuvole di colore nelle strette fasce di tessuto fatto a mano sui telai. La stanza lunga e stretta nella quale entriamo ora contiene solo due file di telai di legno decorati con fiori dipinti. Vi si respira un’atmosfera quasi magica per queste ragazze sorridenti che tessono a ritmo serrato sedute sulle strette panche di legno. Pigiano con i piedi pedali di legno ed abbassano contemporaneamente con la mano un pomello penzolante davanti a loro che fa sfrecciare le spole dell’ordito. I gruppi di fili inclinati delle decine di trame che si incrociano davanti a noi sembrano festoni colorati ed i fiori dipinti sui telai rendono l’ambiente squisitamente femminile e vagamente bucolico. Passiamo poi al reparto tappeti che vengono annodati a mano da pazienti ragazze…..una di loro è intenta alla realizzazione di un tappeto commissionato da un cliente russo. Tre metri per due che per lei significano due anni di lavoro….una tragedia doversene separare una volta finito, penso io….è come se una parte della tua vita se ne andasse con lui. Non potrei mai fare tappeti ! Usciamo con qualche acquisto, pochi rispetto ai potenziali souvenir che avremmo potuto acquistare qui…..ma non è facile scegliere fra le sgargianti fantasie di moda da queste parti….per fortuna c’è una bella sciarpa gialla tinta unita che piace tanto a Vanni. Una volta usciti dalla factory raggiungiamo la cittadina di Farghana dove un paio di hotel non hanno camere disponibili. Il taxista però ha in mente qualcos’altro e ci accompagna in periferia in un hotel senza nome, di regime ma pulito…..i due lettini sono larghi appena 80 cm ed il divano cinese è terrificante, ma 35.000 sum, ovvero 18 € rappresentano un costo minimo mai toccato prima di oggi.

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Cambia Tappa

29 Lombok Island

Asia

30 Bali Island

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31 Java Island

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32 Karimunjawa National Park

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33 Bali Island

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34 Papua Nuova Guinea

Asia

35 Raja Ampat

Asia

36 Papua Nuova Guinea

Asia

37 Java Island

Asia

14 Tagikistan


12 Agosto 2009

FERGHANA – ISTARAVSHAN

Il sole splendente, lasciamo presto il nostro hotel che nel frattempo ha svelato il suo nome alquanto sinistro….Shark! Vaghiamo immersi nel paesaggio bucolico della vallata, tra campi coltivati, alberi da frutto, piccoli corsi d’acqua e tranquilli villaggi….un bel salto rispetto al paesaggio prevalentemente desertico che ha caratterizzato fin qui il territorio Uzbeko. Lungo le strade strette ma perfettamente asfaltate incrociamo qualche carretto trainato da un mulo o da un cavallo….il cavaliere in groppa e la moglie accovacciata tra la paglia, protetta da un fazzoletto che la nasconde completamente facendola sembrare un ingombrante fagotto….ed i pulmini Daewoo stipati di persone che rappresentano l’unico mezzo di trasporto pubblico e forse l’unica nota stonata oltre a noi in questo contesto completamente dedicato alla natura. Il traffico non è certo intenso in queste strade secondarie che conducono a Khojand…..dopo un’oretta arriviamo alla frontiera del Tagikistan….fermi al confine uzbeko per i controlli di rito, non c’è nessun altro che noi. Strano…normalmente ci troviamo accodati a file di automobili e camion in sosta. Al primo stop vengono timbrati i passaporti senza che nessuno ci chieda le famose registrazioni obbligatorie degli hotel, poi ci fermiamo al controllo doganale e qui iniziano i dolori. All’ingresso in Uzbekistan avevamo dichiarato di avere 200 $ a testa…..in uscita Vanni, in vena di calarsi nel ruolo del turista onesto dichiara di averne 2500. – PROBLEMA – dice il doganiere alla vista delle due dichiarazioni, di entrata e di uscita, firmate da Vanni. Capiamo presto che a loro non interessa se abbiamo le ricevute di prelievo bancomat con Visa e Mastercard….per loro che guadagnano 30 $ al mese, 2500 $ rappresentano una bella cifretta ed il reato connesso è esportazione di valuta. Per fortuna siamo all’ombra e gli agenti sono simpatici….ma rimaniamo bloccati almeno un’ora per cercare di risolvere il problema. L’idea è di uno di loro….strappano la dichiarazione di Vanni e gliene fanno firmare un’altra per 200 $ e 900 €…ora ci sono tutte le premesse di un arresto per avere dichiarato il falso…ma per fortuna almeno questo non accade. Segue uno scrupoloso esame con cani antidroga dell’auto scaricata di ogni cosa, quindi il controllo dei bagagli al metal detector e successivo stivaggio del tutto. Non paghi del tempo che ci hanno fatto perdere finora, che per loro è stato in fondo un passatempo, ci requisiscono una cassetta di musica del festivalbar, la seconda ceduta gratuitamente a poliziotti, poi iniziano a giocare con il binocolo di Vanni che tutti loro provano con vivo interesse. Dopo due ore raggiungiamo l’adiacente frontiera tagika dove ancora una volta siamo soli in balia dei doganieri. Ce la caviamo però in tempi più ridotti, senza le perquisizioni approfondite che temevamo…..ma il binocolo interessa molto anche qui e addirittura il capo vorrebbe acquistarlo in cambio di dollari sonanti. L’unica musicassetta superstite, che faceva parte con le altre due del corredo di Asia, è al sicuro dentro la mia borsetta dove nessuno ha mai guardato…..avrei potuto avere una P38 che nessuno se ne sarebbe accorto. Paghiamo 40$ per l’auto e siamo liberi di raggiungere Khojand. L’ingresso in Tagikistan ci regala un paesaggio incantevole fatto di basse catene montuose che sembrano modellate nella creta tra le quali si inserisce un lago color turchese…bellissimo. Il sole crea poi un magnifico gioco di ombre sulle increspature delle dorsali che prive di vegetazione mostrano le fasce di colore dei minerali che contengono, dal bruno al mattone al giallo in un arcobaleno terroso che gratifica la nostra vista. La strada perfettamente asfaltata almeno quanto quelle percorse nella bucolica valle Uzbeka, ci conduce fino a Khojand, la seconda città del Tagikistan per dimensioni ed importanza. Ne percorriamo l’ampia Lenina street fino a raggiungere una banca per il necessario prelievo di valuta locale, il somani….ma sono solo le tre del pomeriggio e fermarsi in questa città senza fascino avrebbe il solo scopo di poter trovare un hotel decente….troppo poco. Proseguiamo allora verso Istaravshan, che la guida definisce uno dei centri storici meglio conservati della nazione, nella prospettiva di poter fare fra qualche ora una bella passeggiata per le vie del centro bordate di edifici in mattoni crudi e fango e punteggiate di moschee e mederse di un certo valore storico. Quando arriviamo sono da poco passate le diciassette…..il sole tinge di colori caldi la cittadina e la collina sulla cui sommità vediamo ergersi un edificio che da questa prospettiva sembra una moschea coronata da una bella cupola di ceramica blu scuro. Affascinata dall’insolito colore dopo tutte le cupole turchesi, verdi e azzurre viste finora propongo di raggiungerla subito dopo il reperimento di un hotel per la notte….ricerca che ci impegnerà per le tre ore successive. Delle tre sistemazioni che la guida propone non ce n’è una praticabile. Il primo hotel che raggiungiamo è chiuso e gli altri due sudici fino alla nausea, con aloni neri sulle pareti accanto alle brande, le moquettes a pois per via delle macchie di sporco quando non a brandelli e le toilette maleodoranti e lerce quando non con il sanitario pieno di crepe e con parti mancanti…dimenticavo di citare l’assenza di finestre nelle camere del bel posticino vicino al bazar. Propongo di lasciar perdere e di dormire in tenda così avremo il tempo di visitare il centro storico nel quale non vedo l’ora di immergermi, ma Vanni non si rassegna e chiede ad un taxista di accompagnarci nel miglior hotel di Istaravshan…..per farla breve il taxista ci riaccompagna in due dei tre “hotel“ già visti, poi ad un terzo fuori città, così nuovo che non è ancora stato inaugurato….ovviamente chiuso! Disperato quanto noi Mohamed, che per cameratismo ha svelato il suo nome, ci propone di prendere una casetta nel sanatorio Lenin, a qualche chilometro dalla città ma piacevolmente immerso nel verde e con un enorme busto di Lenin appoggiato sulla collinetta adiacente l’ingresso. Mi accompagna all’ufficio di ricevimento ospitato in una bella casetta dipinta di bianco e azzurro a metà del vialetto alberato del sanatorio. Una signora anziana in camice bianco da infermiera dice che c’è uno chalet disponibile in fondo al vialetto che ci costerà 50$….a questo punto è Mohamed ad arrabbiarsi per via del costo eccessivo. A lui lo stesso chalet costerebbe 5$ brontola a denti stretti….ma che dire, è tardi ed abbiamo già perso un’ora in sua compagnia nella ricerca di una sistemazione. La signora ci accompagna a visitare la location, molto più carina all’esterno che non negli interni trasandati, per non dire del bagno dove l’ultimo ospite non ha nemmeno tirato l’acqua nel water. Sfinita accetto nonostante la pulizia sommaria ed il costo dello chalet, ma di cenare in sanatorio non se ne parla neanche ci comunica la signora che continua a parlare al suo cellulare. Avvisato della buona notizia Vanni percorre il vialetto con Asia ma poi viene bloccato a metà strada. La signora mi raggiunge in compagnia di un anziano signore in vestaglia da camera….è un ospite del sanatorio nonché insegnante universitario di inglese ora in pensione, tradurrà per noi la novità dell’ultimo momento….ovvero che l’inquilino del nostro chalet sta arrivando da Dushanbé e dovremo quindi cercare altrove…per esempio nel sanatorio in città dove Mohamed pazientemente ci accompagna. Sono già quasi le otto di sera quando dopo aver ispezionato l’appartamentino scassato, inserito nella bella struttura del sanatorio purtroppo in disfacimento, accettiamo di prenderlo per 40$. Infine un ragazzo del luogo ci accompagna in un ristorante tipico dove stanchi mangiamo il nostro shish kebab nella speranza che non ci venga una dissenteria feroce…..poi a nanna nei due lettini microscopici in camere separate. C’è una bella luna là fuori e le fronde degli alberi dell’ampio giardino immerso nell’oscurità si agitano appena.

13 Agosto 2009

ISTARAVSHAN – DUSHANBÈ

Come da chiari accordi presi con Vanni impieghiamo le prime ore di oggi per la visita della città antica. Esordiamo raggiungendo l’edificio costruito sulla cima della collina la cui cupola blu ed i minareti sui due lati della facciata ci avevano illusi si trattasse di un edificio sacro. E’ invece un grande portale commemorativo costruito nel 2005 nel luogo dove sorgeva un’antica fortezza e che osservato da vicino rivela oltre alla giovane età anche il suo scarso fascino….il vantaggio è che da questa posizione rialzata possiamo vedere dove si trova il centro storico e individuare anche l’ azzurrissima cupola timuride della sua madrassa più antica risalente al XIV secolo che emerge dai bassi edifici color fango. Scendiamo addentrandoci nel labirinto di strade sempre più strette e polverose ed infine ci fermiamo per chiedere dove si trovi la Moschea Hauz – i – Sangin. Il consiglio del gentile signore intervistato è quello di proseguire a piedi lasciando l’auto all’ombra dell’unico albero di questa piazzetta in terra battuta….ma la sua gentilezza non si limita a questo. Ferma un bambino di cinque o sei anni che sta passando e gli chiede di accompagnarmi alla moschea mentre Vanni rinunciatario mi aspetterà in macchina. Camminiamo uno di fianco all’altro sulla terra chiara della strada, in assoluto silenzio per l’impossibilità di capirci e soprattutto per la sua incredibile timidezza che gli impedisce anche di abbozzare un sorriso. Intanto sui due lati della strada sfilano le pareti color fango delle case, interrotte solo da qualche porticina chiusa per nascondere alla vista dei passanti i cortili sui quali si aprono le modeste abitazioni. Il bambino si ferma senza entrare di fronte alla Madrassa Abdullatif Sultan, mi indica con il dito teso l’alto portale e scappa via. Entrata nel piccolo giardino mi accolgono gli schiamazzi di un gruppetto di bambini che giocano urlanti…dev’essere l’ora della ricreazione! L’edificio è piuttosto semplice e di modeste dimensioni, niente a che vedere con le patinate madrasse di Bukhara o Samarcanda, ma il portale ceramicato è piuttosto bello, così come la cupola ed il fatto che sia in uso ed affollato di bambini scatenati rende l’atmosfera piacevolissima. In compagnia di un altro bambino, forse il figlio di uno dei maestri della scuola coranica al quale chiedo informazioni, raggiungo la Moschea Hauz – i – Sangin del XIX secolo….lungo la strada profumo di pane appena sfornato e gruppi di signore nascoste dentro lunghe tuniche variopinte che raccolgono l’acqua dentro ai secchi attingendola dai rudimentali rubinetti pubblici presenti qua e la. La moschea ha pregevoli soffitti di legno dipinti a colori vivaci ed un simpatico custode che mi regala una saporita mela appena raccolta dall’albero del giardino. Dopo circa un’ora raggiungo Vanni in pensiero perché temeva mi fossi persa, poi dopo qualche acquisto presso l’emporio di un’anziana coppia che usa ancora il pallottoliere per fare i conti e nel quale è bene controllare la data di scadenza dei prodotti in vendita, partiamo con l’ambizioso obiettivo di raggiungere la capitale che dista da qui 270 km di strada per lunghi tratti in pessime condizioni e con ben due valichi da superare a quota 3378 e 3373 metri….insomma sarà dura! Partiamo alle dieci percorrendo verso Sud la strada ben asfaltata fino a Shahristan, poi iniziando a salire l’asfalto lascia presto il posto ai crateri circondati però da incantevoli montagne prevalentemente rocciose che si spingono alte verso il cielo. Non siamo soli, I tagiki guidano come pazzi a bordo di camion e di vecchie 124 Lada che non si sa come riescono egregiamente a salire la strada in costante pendenza fino a raggiungere i 3378 metri del primo passo. Noi procediamo tranquilli, incantati dai bellissimi paesaggi della catena dei monti Fan che vogliamo goderci senza fretta. Incantevoli per la varietà di forme e colori in contrasto con il verde acceso dei corsi d’acqua che dalla cittadina di Any seguono la strada fino alla capitale. I fondovalle ci concedono qualche tratto di asfalto immacolato e diversi cantieri ancora aperti nei quali numerosi operai cinesi sono al lavoro. Ponti metallici, case di fango immerse nel verde dei pochi prati tra le rocce, una vecchia gru abbandonata nelle basse acque di un lago color giada, sovrapposizioni di speroni rocciosi….rossi, grigi, giallastri, cime appuntite striate di neve, oasi improvvise di alberi verdissimi…..questa natura esuberante, al massimo della varietà e della bellezza, finisce per conquistare anche me distraendomi dalle fatiche del viaggio. I villaggi che attraversiamo nei fondo valle sono punteggiati di piccoli edifici fatti di sassi montati a secco ed animati della presenza dei locali che si spostano rigorosamente a dorso di mulo indossando il loro immancabile cappellino nero….le signore seguono sempre a piedi, nascoste dai foulard ed infagottate nei loro camicioni variopinti. Impetuosi corsi d’acqua trovano la via stretti alla base degli alti canyon, poi scompaiono inghiottiti dalla roccia che qua e la scivola in invitanti piattaforme orizzontali che ne lambiscono il corso….l’ideale per un tuffo. Verso le quattro del pomeriggio conquistiamo la seconda cima a quota 3373 metri dove sostiamo per un doveroso sguardo alle catene montuose i cui profili frastagliati si susseguono a perdita d’occhio in un bianco e nero appena smorzato dalla foschia. Quando raggiungiamo la bellissima 602 dello Hyatt Regent di Dushambé sono già le otto di sera. Stanchi per le dieci ore di viaggio ininterrotto ed impolverati come poche volte nella vita, ma felici per aver goduto della bellezza dirompente di questo territorio tagiko, ci tuffiamo nella vasca da bagno e poco dopo contattiamo l’agenzia Pamir Tour alla quale Myriam di Tashkent ha fatto riferimento per l’ottenimento del GBAO il permesso necessario per accedere alla regione del Pamir. Con nostra sorpresa nessuno all’agenzia ha sentito parlare di noi….perplessi, per non dire altro, raggiungiamo il ristorante dell’hotel dove letteralmente rinveniamo di fronte agli elaborati manicaretti ed all’ottimo vino italiano Folonari…..poi sveniamo sul nostro lettone.

14 Agosto 2009

DUSHANBÈ

Dedichiamo la giornata al reperimento del GBAO per il quale esordiamo con una serie di telefonate…..ad Alisher della Pamir Tour che conferma di non avere documenti pronti per noi e che ci consiglia di richiamarlo alle 14.30…ed a Miryam in contatto con il corrispondente a Tashkent di Pamir Tour che conferma che i nostri documenti sono pronti a Dushambé. Saliamo persino le nove rampe di scale di un edificio fatiscente al n°14 di Ismaili Somoni street dove all’interno 64 dovrebbe trovarsi l’ufficio di Pamir Tour….ma non c’è nemmeno una scritta sulla porta di legno chiusa e nessuno risponde al campanello. Poi però ne esce una ragazza di nome Zarina che ha in mano le fotocopie dei nostri passaporti…..dice di averli ricevuti da Tashkent solo ora ed ha fretta di raggiungere l’ufficio competente per farci avere il GBAO in giornata…..Miryam deve averla martellata di telefonate. Approfittiamo del pomeriggio libero per andare a vedere il famoso Buddha dormiente in terracotta conservato al Museo Nazionale di Antichità, poi torniamo in hotel sfuggendo ai 40°C di oggi nonostante gli 800 metri di quota. Alle 17 arriva finalmente Alisher a consegnarci i due GBAO che ci costano 40 $ l’uno….ma non ha guide disponibili che possano accompagnarci per il tour del Pamir, quindi lo congediamo e ci accordiamo invece con Akmal, il garzone dell’hotel al quale Vanni aveva già chiesto se poteva darci qualche suggerimento circa il reperimento di una guida. Infine si offre di accompagnarci….conosce tre dialetti ed i luoghi che visiteremo, è una bontà di ragazzo, educato e leggermente timido. Partirà con noi domani mattina alle nove, ci dice, ma come farà con il suo lavoro all’hotel? ……. probabilmente si darà ammalato!

15 Agosto 2009

DUSHANBÈ – TAWILDARA

Come previsto Akmal rinuncia. Quando lo raggiungiamo, poco oltre il parcheggio dell’hotel all’angolo con la strada principale, lo vediamo in compagnia di un ragazzo mingherlino, Boris, che lui ci propone in sostituzione. E’ un suo caro amico, dice che sono come fratelli ed inoltre Boris è una guida professionale nata a Kharugh, il capoluogo della regione autonoma del Badakhshani Kohi la cui sigla è GBAO. Kharugh è anche una tappa obbligata per chi come noi voglia intraprendere il viaggio lungo la Strada del Pamir….il fatto che Boris vi sia nato è in qualche modo una garanzia che sappia almeno guidarci fin lì. Ancor più timido di Akmal, Boris è in questi primi momenti così introverso che non riusciamo nemmeno a capire se ci sarà simpatico oppure no….e poi come fidarsi?…potrebbe essere un narcotrafficante, in fondo è proprio sulla Strada del Pamir che viaggia l’oppio prodotto in Afghanistan, e mentre Akmal aveva come referenza quella di lavorare per lo Hyatt Regent, Boris è per noi un emerito sconosciuto! Non avendo scelta, dato che desideriamo partire subito e la Pamir Tour non ha guide disponibili, accogliamo Boris a bordo di Asia e andiamo tutti insieme al mercato ad acquistare l’olio per l’auto e l’acqua da bere, poi alla pompa di benzina per il pieno di diesel, quindi ci avviamo lungo la strada assolata asfaltata solo per i primi 90 chilometri. Il paesaggio ci appare fin dalle prime battute meno interessante di quello incantevole dei monti Fan, verso il confine uzbeko…ma in fondo il nostro obiettivo è ancora lontano e solo fra qualche giorno inizieremo a vedere le prime montagne del “tetto del mondo” , quando dopo aver raggiunto Kharugh ci sposteremo verso Est attraversando valichi oltre i 4000 metri di quota. Per il momento partiamo dagli 800 metri di Dushambé e saliamo gradualmente lungo il fondovalle che ospita uno dei numerosi fiumi di questa regione ricca delle acque dei ghiacciai ancora in fase di disgelo. Sembra un controsenso osservando le montagne brulle attorno a noi. Come previsto subito dopo la cittadina di Abigarm, l’asfalto quasi scompare lasciando il posto ad una strada sconnessa ma pur sempre abbastanza larga da procedere comodamente nonostante i numerosi camion cinesi che, non si sa come, riescono a superare curve a gomito e tornanti….per non parlare dell’ardua deviazione con guado in corrispondenza di un ponte crollato. Dopo sette ore di viaggio senza sosta, alle 17 circa, stanchi morti per il disagio dei continui sobbalzi e del caldo torrido , decidiamo di fermarci in prossimità del piccolo villaggio di Tawildara. Raggiungere l’obiettivo che ci eravamo proposti, ovvero il paesino di Qalaikhum dopo il passo di Khaburabat a 3250 metri di quota ed a 90 km da qui, significherebbe viaggiare ancora tre o quattro ore ed arrivare probabilmente con il buio. Ci fermiamo in una locanda gestita da un signore anziano ma vispo che indossa l’immancabile cappellino nero. E’ tutto piuttosto sporchino qui, compreso l’anziano signore che ci porta un paio di teiere appoggiandole sul tradizionale piano rialzato che funge sia da tavolo che da giaciglio indistintamente. Poco dopo arrivano anche i nostri piattini di carne tagliata a pezzetti e due pagnotte rotonde, le stesse viste in Uzbekistan, che il gestore letteralmente lancia sul canapé nel quale ci siamo nel frattempo accomodati. All’ombra degli alberi godiamo della leggera frescura e del cibo così scarso da non saziarci. Ogni tanto qualcuno di passaggio si ferma per trovare un po’ di ristoro….Intanto la figlia del gestore vestita con un lungo abito colorato ed i capelli nascosti da un foulard porta a spasso i suoi due piccoli figli ed una signora giovane dal viso ossuto, è ferma qui da quattro giorni con la suocera ed un bel numero di figli….aspetta il marito che tornerà con il pezzo di ricambio per l’auto in panne. Posso capire quanto sia disperata….considerando anche la sua magrezza esagerata che la fa sembrare anoressica. Mentre assaggiamo le poche cose che ci vengono date Boris ci racconta che dieci anni fa questo luogo fu l’epicentro di una sanguinosa guerra civile che partorì 50.000 morti in queste aree già poco abitate, senza sortire nessun risultato positivo per la gente che non voleva passare da un regime ad un altro falsamente patinato di democrazia. Il presidente di allora è ancora al potere e non esiste un partito di opposizione…aggiunge anche che la notizia della guerra fu celata al resto del mondo. E’ piacevole viaggiare con Boris….studia economia all’università e sogna di specializzarsi con un master negli USA….è educato, discreto, ma assolutamente non una guida tanto che per arrivare qui ha dovuto chiedere informazioni un paio di volte. Il vantaggio di averlo con noi risiede nel fatto che conosce i dialetti locali e può quindi chiedere ai passanti indicazioni circa la strada da seguire ed è lui a portare i nostri passaporti ai poliziotti per la registrazione, nei numerosi posti di blocco dove sostiamo lungo la strada. Poco dopo il tramonto, dopo aver giocato a backgammon e lavato Asia, siamo già in tenda a cercare di dormire nonostante il frastuono dei camion di passaggio sulla strada sconnessa….poi improvvisamente nel corso della notte ci svegliamo infreddoliti, la temperatura è scesa di diversi gradi…..siamo a 1800 metri di altitudine. Boris intanto dorme su uno dei tre canapé riparati dalla tettoia di questo “motel” senza camere.

16 Agosto 2009

TAWILDARA – KHARUGH

Ci svegliamo poco dopo l’alba e verso le sette facciamo colazione in compagnia di un numeroso gruppo di camionisti cinesi che occupano il canapé accanto al nostro. Dopo un veloce sopralluogo nella latrina sull’altro lato della strada, lasciamo la locanda e la strada completamente occupata dai camion in sosta dirigendoci verso il passo in cima al quale un controllo militare ci blocca per qualche minuto. Siamo a 3252 metri di altitudine e sulle scure cime che vediamo attorno a noi ci sono strisce di neve grigiastra che creano un curioso effetto zebra ma che i militari mi vietano di fotografare. Dopo Qalaikhum il paesaggio si fa più interessante….. seguiamo il fondovalle solcato dal fiume Panj le cui acque scure e turbolente definiscono da questo momento e fino a Kharugh il confine afghano. Le cime che sfiorano i 5000 metri svettano alte su entrambi i lati del canyon che talvolta si apre in strette vallate verdeggianti ospitanti piccoli villaggi. Le piccole case scatolari sono del colore della terra, perfettamente mimetizzate con le montagne che le sovrastano imponenti…. il tetto piano leggermente aggettante sui quattro lati le rende del tutto analoghe a quelle di banco viste in Africa e sono immerse nella vegetazione che cresce rigogliosa grazie al fiume. I villaggi sulla sponda afghana, che guardiamo con curiosità solo perché presenti sul territorio più famoso del mondo per le guerre, le morti e la determinazione dei suoi abitanti, sono collegati tra loro da una stretta pista che vediamo seguire tutto il corso del fiume larga non più di 50 cm….lo spazio appena sufficiente per percorrerla a dorso di mulo o a piedi con una certa scomodità quando la roccia prominente la fa scivolare nel fiume che normalmente la lambisce. Collegati dalla sola pista questi villaggi sarebbero completamente isolati dal resto del mondo se non fosse per i numerosi ponti pedonali che li collegano al territorio tagiko ed alla strada che stiamo percorrendo con un certo impegno. Attraversando il villaggio di Barauintar ci fermiamo alla ricerca di un negozio dove comprare qualcosa da mangiare….per esempio un pacchetto di biscotti che proprio perché introvabili ci appaiono irrinunciabili. Appena fermi un paio di bambine si avvicinano all’auto porgendo due piatti contenenti qualche mela selvatica….senza esitare le compro tutte pur di vedere un sorriso felice sui loro bellissimi visi. Ci spostiamo all’ombra di un albero ed iniziamo a sgranocchiare le succose mele tanto per prendere un pò di riposo dopo le sette ore di viaggio ininterrotto….che stanchezza, l’obiettivo finale è a cinque ore da qui! Di fermarsi prima non se ne parla…inseguiamo il miraggio di una doccia nel lussuoso Serena Inn Hotel di Kharugh ed anche Boris non vede l’ora di vedere la nonna che abita ancora nel villaggio dove lui è nato, a pochi chilometri dalla capitale amministrativa del GBAO. Le esplosioni provenienti dal territorio afghano, che sentiamo rimbalzare nella gola in una eco assordante, ci convincono definitivamente a proseguire. Montagne rocciose si sovrappongono ad altre sui cui pendii si leggono i classici rettangoli di paglia già tagliata accanto ad altri ancora da lavorare….sono molto alti rispetto ai villaggi sul fiume e ci chiediamo, osservando i covoni che punteggiano i villaggi, dove trovino l’energia per arrampicarsi fin lassù a lavorare….per forza sono così molesti! I centri abitati che attraversiamo in territorio tagiko sono affollati di persone a passeggio….le donne, nei tradizionali abiti sgargianti, indossano le scarpe buone della domenica con un tacchetto civettuolo, gli uomini invece sono spesso con la camicia bianca, i pantaloni scuri e l’immancabile copricapo quadrato nero. Alcuni si spostano a dorso di mulo….sono gli anziani che non si rassegnano a salire sulla bicicletta, altri invece guidano le vecchie 124 Lada…..ma sulla strada sono diverse le Prado e le Land Cruiser che ci superano, nuove fiammanti….I ricchi ci sono anche qui, forse legati al narcotraffico o vicini al potere politico…oppure ricchi per volontà divina come l’Aga Khan che ha fatto costruire l’hotel lussuoso nel quale arriviamo dopo 12 ore di viaggio. Non nascondo di essermi sentita come sotto sequestro nelle ultime quattro ore…..poi appena entrata nella bellissima camera scoppio stremata in un pianto liberatorio, ma una bella doccia ed una abbracciatona sistemano tutto. Ceniamo nell’elegante piccola sala da pranzo di questo hotel che ha solo sei camere….oltre a noi solo una coppia di adulti di nazionalità indefinibile dato che parlano tra loro in tedesco, inglese e spagnolo indifferentemente. La cena è ottima, insaporita da cardamomo e coriandolo che adoriamo, così come perfetto è il servizio ed il calore discreto di questa saletta piuttosto ambient arredata con mobili antichi e favolosi suzami ricamati a mano appesi alle pareti color avorio. decidiamo di rimanere a kharugh anche domani per recuperare un pò di sano relax.

17 Agosto 2009

KHARUGH

Quando appena svegli apriamo le tende della porta finestra accanto al letto vediamo in primo piano le rose colorate del giardino sul prato verde poi il fiume che scorre impetuoso, la montagna rocciosa in territorio afghano ed uno scampolo di cielo azzurrissimo inquadrato nello spigolo libero in alto. Ancora coperti dal soffice piumone bianco tergiversiamo in pò prima di andare nella saletta per la colazione dove due grandi finestre inquadrano le alte montagne che definiscono la vallata…. che buongiorno meraviglioso! Alle nove Boris è puntuale nella hall. Indossa uno strano copricapo nero tutto ricamato a mano a colori vivaci….quando ridacchiando gli chiedo il motivo di questo new look mi risponde che è per il lutto di sua nonna, morta due giorni fa. Ci congediamo brevemente dandogli appuntamento a domani mattina….quindi approfittiamo della giornata libera per andare alla scoperta della città, a qualche chilometro dall’hotel. Ordinata ed immersa nel verde Kharugh vanta la più importante università del Tagikistan grazie ai fondi stanziati da Aga Khan, nella cui camera da letto abbiamo dormito la scorsa notte. Iniziamo con due passi nel bazar affollato ma ordinato dove acquistiamo un chilo di marasche squisite, poi andiamo al museo davvero poco interessante e pieno di animali impagliati tra cui tre aquile che avremmo preferito vedere volteggiare in cielo. Dopo un paio d’ora siamo già in hotel, seduti sulle poltroncine bianche di vimini nel giardino ombreggiato dagli alberi. Osserviamo il fiume grigio di terra scorrere verso valle ed i bambini afghani pescare sull’altra riva….che pace! Ceniamo in camera mentre la luce naturale va lentamente spegnendosi sulle rose sempre meno colorate del giardino.

18 Agosto 2008

KHARUGH – ALICHUR

Lasciamo quasi a malincuore la bellissima camera ed il bel paesaggio che inquadra la sua finestra e dopo la colazione con vista, poco prima delle nove siamo pronti a ripartire in compagnia di Boris che è arrivato puntuale senza il buffo cappellino. Seguiamo la strada quasi perfetta verso Est in direzione Murgab attraverso i paesaggi incantevoli dell’ampia valle di Gunt dalla quale possiamo osservare le lontane altissime cime innevate, così appuntite da sembrare piramidi. Poco dopo il villaggio di Jelandy i 4272 del passo di Koi Tezek segnano l’ingresso nell’ampio altopiano dal quale le montagne sembrano essersi ritirate, lontane. Le sfumature colorate nei toni dei rossi dei viola e dei gialli di queste alture, così come quelle che continuiamo a vedere fino a Bulunkul, si stagliano contro il cielo azzurrissimo e completamente sereno creando paesaggi di una bellezza strepitosa. E’ l’esordio dell’altopiano del Pamir, incorniciato dalle lontane cime innevate e disseminato di incredibili laghetti turchesi, probabilmente salati a giudicare dalle striature bianche sulle frange frastagliate del loro perimetro. E’ proprio per vedere uno di questi laghi, lo Yashil – kul, che facciamo una breve deviazione su una sterrata che raggiunge dapprima il villaggio di Bulunkul e poi il fantastico specchio di acqua turchese incastonato in un contesto lunare nelle tonalità chiare dell’ocra e del nocciola. E’ così bello e le brevi spiagge di sabbia bianca così invitanti se non fosse per il vento forte e la temperatura precipitata verso il basso qui sul tetto del mondo. Una passeggiata lungo la pista ci consente di contemplare con calma questo gioiello della natura selvaggia e dirompente che ci circonda come un miracolo. Tornati sulla strada maestra proseguiamo ancora pochi chilometri fino ad avvistare altri laghetti salati nei pressi di Alichur, un villaggio cresciuto nel bel mezzo dell’altopiano costituito da poche case basse e con il tetto piano. Sono del colore della terra sulla quale sorgono come scatole appoggiate, talvolta verniciate di bianco….ma poi ecco la strana moschea ricavata all’interno di una yurta…..chiusa. Essendo già le cinque del pomeriggio decidiamo di fermarci presso una famiglia a bere un tè caldo ed anche per chiedere se possiamo dormire presso di loro questa notte… se dormissimo in tenda con questo vento forte e gelido finiremmo assiderati. Entriamo così nel cortile delimitato da un muro continuo e ci avviciniamo alla casa, bassa quanto il muro di cinta e colorata di bianco. Ci viene incontro presentandosi il signor Tagaepek….indossa il tipico cappellino del Pamir, di feltro bianco, ricamato e bordato di nero che sporge alto sulla testa attribuendo al signore che lo indossa un’aria buffa da puffo. Esattamente come quelli in vendita nelle bancarelle delle principali città turistiche dell’Uzbekistan, è diviso in quattro falde due delle quali leggermente allungate a formare una piccola visiera. Il viso bruciato dal sole e dal vento, il signor Tagaepek ha gli occhi leggermente a mandorla ed il sorriso buono….ci invita ad accomodarci all’interno della casa dove sua moglie Jenia sta filando la lana e la figlia sta facendo i compiti. La signora ha il viso molto grazioso, indossa una vestaglia di pile a grandi fiori rosa ed un foulard in testa legato dietro che le nasconde in parte la fronte. Ci sorride cortesemente mentre ci accomodiamo a sedere sui soffici cuscini. Sono appoggiati sulla pedana rialzata che occupa quasi interamente la stanza rettangolare d’ingresso rischiarata da una grande finestra rettangolare che inquadra il cortile. Di fronte alla porta d’ingresso una stufa metallica scatolare brucia a pieno ritmo le radici dell’unico vegetale che riesce a crescere qui con la sua piccola chioma legnosa di forma emisferica….tra poco il nostro tè sarà pronto. La figlia è graziosa almeno quanto la madre dagli occhi della quale traspare una calma ed una tranquillità esemplari….indossa anche lei il foulard sulla testa e prima di uscire ne sistemano un altro a coprire naso e bocca lasciando libera solo la fessura dalla quale sporgono gli occhi a mandorla…..qui il sole può davvero ustionare ! Mentre io e Boris ci riscaldiamo bevendo una tazza di tè fumante, Vanni è fuori a piedi in esplorazione tra le case del villaggio. E’ durante la passeggiata che vede abbandonate a terra le corna della pecora di Marco Polo dalla caratteristica forma allungata e ritorta. Tornerà poco dopo per caricarle su Asia con l’aiuto di Boris….speriamo che nessuno se ne accorga in frontiera…. ma come sarà possibile, queste corna sono enormi! La cosa buffa di Vanni è che pur non essendo un cacciatore né avendone l’indole adora raccogliere trofei di caccia e pelli. I due teschi completi di corna che Tagaepek gli mostra a terra nel cortile lo tentano moltissimo e solo la prospettiva di un arresto lo trattiene dal fargli un’offerta per la coppia. La cena è pronta verso le otto….tre pesciolini fritti che il figlio ha pescato nel fiume qui vicino, gustosissimi ma accompagnati da nient’ altro che un pezzo di pane…..del resto è impensabile poter avere verdura o frutta da queste parti! Seduti sulle stuoie colorate del piano rialzato di legno, mangiamo per primi, afferrando i pesci con le mani e addentando appetitosamente il magro bottino di questa sera….poco dopo viene acceso il generatore e la stanza si illumina dell’unica lampadina e della immancabile tv davanti alla quale la famigliola si dispone allineata ad osservare mentre intingono dei pezzi di pane in una ciotola di yogurt zuccherato….che simpatici! Un paio di giacigli vengono preparati per il nostro pernottamento sul pavimento della camera adiacente. Due strati di materassini coperti da un lenzuolo sdrucito ed una grossa imbottita appoggiata sopra….vestiti di tutto punto come siamo dopo poco stiamo bene, ma il letto è troppo stretto e la coperta sembra non coprire entrambi quindi Vanni decide di dormire in tenda….non so come farà a sopravvivere!

19 Agosto 2009

ALICHUR – KARAKUL

Mi sveglio all’alba stranamente accaldata e sazia di sonno. Boris dorme ancora a qualche metro da me e la tenda nella quale dorme Vanni è ancora ermeticamente chiusa….la vedo dall’ampia finestra alle mie spalle. Leggo qualche pagina della guida e poi mi riassopisco fino alle otto, quando tutti ormai svegli prendiamo la colazione nella stanza di ingresso. Partiamo dopo aver dato 100 somoni (15 €) a Tagaepek come compenso per il nostro pernottamento e dopo averlo caldamente ringraziato per l’accoglienza squisita e per il cappellino Tagiko che a tutti i costi ha voluto regalare a Vanni per il suo compleanno. Partiamo ancora immersi nella distesa dell’altopiano delimitato dalle montagne lontane ed ancora incantevoli. Con il sole ancora alto in cielo arriviamo a Murghab dopo un paio d’ore di strada in ottime condizioni. La cittadina è piuttosto estesa ed occupa una buona fetta della vallata…..le case scatolari rigorosamente ad un piano sono caratterizzate dalle ampie finestre e dal colore bianco…mimesi perfetta per l’inverno quando la neve rende tutto bianco come le case. Dovremmo rimanere giusto il tempo di una sosta tecnica, ma finiamo col fermarci più di un’ora che trascorriamo nell’attesa di vedere i rubini che a Vanni è venuto il desiderio di acquistare…..peccato che siano troppo piccoli quelli che Boris riesce a reperire. In seconda battuta siamo fermi perché Boris deve trovare un taxi disposto a seguirci fino a Karakul, o meglio fino al confine con il Kirghizistan punto nel quale ci congederemo da lui che ripartirà verso Dushambé. Non esistono mezzi pubblici che si spingano oltre Murghab, quindi il taxi si rende necessario per Boris che deve garantirsi il rientro. La ricerca non dà risultati accettabili per entrambi, quindi ci congediamo a malincuore da lui e proseguiamo. Stranamente ci sentiamo soli….in fondo Boris non diceva mai una parola e non conosceva nemmeno le strade da seguire….ma era un buon trait d’union con la gente del posto che parla una lingua tutta sua, un dialetto sconosciuto alla maggior parte dei tagiki a meno che non siano nati qui. Abituati alla sua presenza discreta, avremmo voluto proseguire con lui questa bellissima escursione sull’altopiano dove l’aria è così pura da colorare il cielo di un azzurro intenso e dove le cime più alte sono coperte da ghiacciai lontani. Siamo a quota 3576 metri qui a Murghab ed i giganti che ci circondano svettano oltre i 6000 metri. Infine lasciamo la vallata disseminata di case basse e di yurte circolari e ancora sulla M41 ci spingiamo verso Nord. La strada in buone condizioni non ci da problemi nemmeno quando ci arrampichiamo sui 4655 metri del passo Ak – Baital dal quale osserviamo il territorio cinese protetto da una fascia di rispetto di 15 chilometri in seguito alla posa della recente palificazione che vediamo…..certo non è bello vedere del filo spinato in un contesto naturale così incontaminato. L’avvistamento di qualche simpatico animale vivacizza le due ore e mezzo di viaggio fino al fantastico lago di Karakul….sono dei vivaci lemuri dal pelo fulvo che ritti sulle zampe posteriori ci osservano curiosi, semi nascosti dalle protuberanze del terreno ai bordi della strada. Il lago, di un blu iridescente si estende ad occupare un grande avvallamento circondato da cime innevate…..si creò in seguito alla caduta di un meteorite alla bella quota di 3914 metri. L’acqua stranamente salata colora di bianco le sue propaggini esaltando ancora di più il suo colore intenso. Sono io alla guida nel breve tratto di strada che ci separa dal villaggio e dalla “home stay” che ci ospiterà per la notte….Vanni improvvisamente non si è sentito bene e nell’ora che segue è confuso e non ricorda nulla. La casa nella quale soggiorniamo è ad un piano, costituita da una serie di camere comunicanti tutte rivestite di tessuti e tappeti colorati. La stanza di ingresso è quella dove si mangia, seduti sulla pedana rialzata coperta di tappeti, e contiene stranamente anche un lavandino con acqua corrente….il primo che vediamo da queste parti….ma la sua collocazione in questo spazio “pubblico” rende impossibile poterla usare per lavarsi…se non le mani. La latrina è esterna, a pochi metri dalla porta d’ingresso, ed il nostro letto costituito da una serie di materassini sovrapposti appoggiati a terra. Vanni vi si accomoda subito mentre una ragazza dai lineamenti mongoli gli prepara un riso lessato….povero amore, è ancora molto confuso. Mangio qualcosa con gli altri ospiti tra cui due giovani belgi che stanno facendo il giro in bicicletta….piatti tipici ovviamente, serviti in porzioni microscopiche….bucatini insaporiti con una idea di carne ed una torta salata a strati di sfoglia con un vago sapore di cipolla….Poi a nanna, all’arrivo del buio l’intero villaggio si addormenta.


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