17 Dicembre 2010

BOLOGNA – MANAGUA

Una bella giornata di relax segue il nostro arrivo a Managua, città senza fascino nella quale siamo atterrati solo per recuperare il nostro fedele Jimmy, il nostro compagno di viaggio sulle cui quattro ruote motrici scivoleremo verso le mete che ci spingono sempre più a Sud, verso la Buenos Aires lasciata qualche anno fa e nella quale torneremo prima o poi dopo le migliaia di chilometri già percorsi in questo tour delle Americhe ormai agli sgoccioli.
Stesi sui lettini dell’hotel Camino Real assaporiamo la piacevole aria tiepida dei tropici all’ombra di un ombrellone di paglia mentre qualche farfalla ci sfiora e file di palme si riflettono nell’acqua della piscina leggermente increspata dalla brezza. Nemmeno i vocii che si alzano dai tavoli del ristorante riescono a scalfire il nostro necessario relax dopo il faticoso viaggio di ieri né ci distraggono dalla lettura di un paio di bei libri acquistati qualche giorno fa alla Feltrinelli di Bologna. Gli occhi semichiusi in un accenno di assopimento, ripensiamo al sopralluogo al magazzino Alpac dove Jimmy è parcheggiato da un anno dietro l’alta rete metallica che lo ha protetto durante la nostra assenza. L’incontro di questa mattina con la signora Dulce Maria aveva rassicurato Vanni dandogli l’illusione che le pratiche di sdoganamento si sarebbero risolte in tempi brevi così come lo erano state grazie a lei lo scorso febbraio. La solerte impiegata si era occupata delle non facili pratiche doganali per la sosta dell’auto in territorio nicaraguense, iter burocratico che aveva finito con l’impegnare un pò tutti all’Alpac per l’originalità del caso mai sperimentato prima dall’azienda di import-export. Fiduciosi di avere Jimmy in tempi brevi incrementiamo il nostro relax con un massaggio e l’amore …. peccato che la valigia mai arrivata all’aeroporto di Managua non sia ancora stata recapitata, contiene alcune cose indispensabili per chi come noi viaggia con bagagli sempre ridotti all’osso ! La ritrovata piacevole atmosfera del Tercer Ojo di Glenda ci fa star bene anche questa sera.. seduti nell’ampia terrazza di legno scuro, decorata con qualche pezzo di antiquariato indiano che si staglia sulle pareti viola ed il soffitto rosso fuoco, gustiamo le ottime pietanze della cucina fusion che Glenda propone …. un localino niente male per essere qui a Managua, dall’atmosfera vagamente mistica, unica e rilassante così come suggerisce il biglietto da visita. Certo non è semplice raggiungerlo in questa città dove le strade non hanno un nome per chi come noi non abbia con sè un biglietto da visita a meno che il taxista non conosca già il locale…. (“ El Tercer Ojo” 8875-5507 , del hotel Seminole 21/2c al Sur, zona Hippo’s, tel. +505 2277 4787).

19 Dicembre 2010

MANAGUA

Volevamo lasciare Managua al più presto e invece siamo ancora qui bloccati mentre là fuori tra le strade di questa orribile capitale non c’è proprio nulla che possa alleviare il peso del nostro soggiorno coatto.

24 Gennaio 2011

PORVENIR – WICHUBUALA

L’isola di Wichubuala entusiasma Catia e Paolo almeno quanto noi nel rivederla … il fascino di questo fazzoletto di terra emersa è innegabile e proporzionale al folklore autentico degli abitanti che l’hanno colonizzata per intero con capanne addossate ai bordi di stretti viottoli. La tipologia elementare a pianta circolare è ingentilita dalle sottili canne di bambù che si alzano dal perimetro sul quale debordanti capigliature di foglie di palma garantiscono l’ombra ma non un riparo dalla pioggia che qui scroscia copiosa nei mesi estivi. Dalle strette e basse aperture intravediamo nascoste dall’ombra le anziane signore intente a ricamare le loro molas o semplicemente ad oziare mentre dalle braci sotto i paioli si alzano i fumi che escono sfilacciati tra le canne. Le guance rosse di achote inquadrano il piccolo anello d’oro inserito tra le narici mentre file di perline colorate ricoprono per intero i polpacci sottili e le braccia … il look ricercato delle donne kuna si esprime anche nell’ abbigliamento semplice ma variopinto …. le camicie rese aderenti dalle tradizionali molas la cui arte si tramanda di madre in figlia ed un pareo a disegni verdi o gialli su fondo rigorosamente blu. I quartieri di capanne si aprono qua e la in piccoli slarghi occupati da grandi cespugli di Ibiscus o dagli alberi del pane i cui verdi frutti sferici irti di piccole protuberanze pendono pesanti dai rami…. e che sorpresa vedere l’albero delle calebasse i cui frutti sferici e vuoti vengono impiegati qui come in Africa per creare contenitori decorati a disegni policromi zoomorfi o stilizzati. Senza obiettivi particolari vaghiamo curiosi calpestando a piedi scalzi i viottoli sabbiosi dove qualche bambino gioca o fa il bagno sacrificato dentro una piccola tinozza di plastica. Alcune signore si affrettano dirette alla sala del consiglio, una capanna abbastanza grande da contenere su lunghe panche di legno buona parte degli abitanti dell’isola, presenti per ascoltare i discorsi educativi che ribadiscono le norme di comportamento da seguire in conformità alla radicatissima cultura tradizionale kuna…. insomma una predica vera e propria che ha tutta l’aria di essere noiosissima a giudicare dalle donne sedute nelle ultime file che se la passano ricamando le immancabili molas. Le sentiamo dapprima cantare e poi silenti a far finta di ascoltare uno dei capi del villaggio che le “rieduca” con voce aspra e tonante…. per par condicio domani saranno gli uomini ad annoiarsi… e forse per ingannare la noia intaglieranno qualche bastoncino di legno. Per non aumentare ulteriormente la scarsa attenzione che le signore offrono alle parole dell’educatore e soprattutto temendo un suo rimbotto proseguiamo verso la capanna delle migliori ricamatrici dell’isola ma poi seguendo lo stretto passaggio di pertinenza ritagliato tra le due capanne arriviamo casualmente nel laboratorio di Teo, il kuna artista ed ambientalista che oggi ci invita a seguirlo nel piccolo museo del quale è l’ideatore che raccoglie oltre alle sue opere alcuni degli oggetti antichi più rappresentativi raccolti sul territorio del grande arcipelago. Il racconto parte dalle quattro fasi della nascita della terra madre…. l’acqua è il primo elemento della creazione, poi il vento, il fuoco ed infine la tormenta. Figure intermediarie dei quattro elementi intercedono presso le quattro divinità per ottenere clemenza nei confronti degli uomini che devono vivere in armonia con la natura così come per le donne che come la madre terra sono generatrici della vita. Le donne sono concepite simbolicamente come alberi generatori di frutti ed essendo l’albero espressione della madre terra la donna più dell’uomo è vicina alla divinità suprema. Quando un bambino ha quattro giorni di vita la madre inizia a raccontargli le fondamentali nozioni relative al lavoro che farà … pescatore per i maschi e casalinga per le femmine che sempre si occuperanno dei figli, della casa e della preparazione del cibo. Quando un bimbo nasce la madre sotterrerà il cordone ombelicale nella terra e vi pianterà un seme che genererà un albero… a seconda della posizione della maggior quantità di frutti nelle quattro direzioni il bambino si dedicherà al mare o alla montagna e sarà più o meno intelligente. Durante la gravidanza la donna berrà quattro volte al giorno un infuso di erbe che la proteggerà dal dolore del parto e partorirà in ginocchio favorendo così l’uscita del neonato. Molte di queste tradizioni sono state abbandonate, ci dice Teo con una nota di disappunto, prima fra tutte il rispetto della natura che sta portando all’estinzione delle tartarughe ed al degrado delle isole a causa dei rifiuti che si depositano lungo le spiagge e nel mare…. a causa di ciò la madre terra, divinità suprema si vendicherà. Rapite dal fascino del racconto chiediamo di poter acquistare qualche Hucuj, gli amuleti di legno che vengono usati dagli sciamani per guarire dalle malattie o più in generale per proteggere gli individui… tra quelli in vendita mi conquista il Sulupaghi che rappresenta l’aquila l’ animale nel quale mi sono sempre riconosciuta e che nella cultura kuna protegge dall’emotività negativa e dai sogni inquietanti. Mentre l’Osis, la madre del mare qui rappresentata incatenata ad uno squalo martello vagamente rappresentato dalla forma naturale di una radice, mi proteggerà forse dai pericoli del mare tra i quali spero siano compresi gli squali ed i coccodrilli che sempre temo di incrociare durante le nuotate alle quali quotidianamente mi abbandono. Entrambi gli oggetti sono già stati utilizzati dagli sciamani ma dovrò entrare anch’io in empatia con gli elementi rappresentati da questi amuleti… lavando le due piccole sculture una prima volta con acqua nella quale avrò immerso le foglie di basilico e successivamente con acqua e cacao. Dopo quindici giorni dovrò invece bagnarle con acqua, basilico e cacao. Quando si saranno asciugate dovrò dipingerne le guance con l’achote, una pasta rossa ricavata macinando dei semi particolari ed ammorbidita con l’aggiunta di acqua della quale Teo mi dà un paio di palline. Catia è conquistata invece da un paio di oggetti di legno che simboleggiano un machete che offende e ferisce le negatività ed un pugnale stilizzato col quale si trita l’achote e col quale si può pugnalare le negatività…. entrambi da appendere sulla porta di casa. Un bel bottino!


Menù delle città

Percorso della tappa

Stai leggendo: Viaggio nelle Americhe

Cambia Tappa

01 Argentina

America

02 Cile

America

03 Argentina

America

04 Bolivia

America

05 Peru

America

06 Ecuador

America

07 Ecuador

America

08 Colombia

America

09 Panama

America