26 settembre 2016

SORONG – MAKASSAR – YOYAKARTA

Il mazzo di rose blu ed il bacio appassionato accanto al rullo del ritiro bagagli è il benvenuto a Yoyakarta che Vanni ha voluto per me. E’ entrato forzando il servizio di sicurezza come simbolo dell’amore a tutti i costi, di quell’amore così forte da superare le barriere come quella di quest’ultima separazione, alta, altissima. Un update ogni tanto, di quelli convinti, per i quali si teme sia davvero tutto finito è quello che ci vuole per rivivere le forti emozioni che sentiamo adesso penso mentre ci dirigiamo verso il taxi avvolti nella stagnola di un Bacio Perugina.

27 settembre 2016

YOYAKARTA

Il mazzo di rose blu ed il bacio appassionato accanto al rullo del ritiro bagagli è il benvenuto a Yoyakarta che Vanni ha voluto per me. E’ entrato forzando il servizio di sicurezza come simbolo dell’amore a tutti i costi, di quell’amore così forte da superare le barriere come quella di quest’ultima separazione, alta, altissima. Un update ogni tanto, di quelli convinti, per i quali si teme sia davvero tutto finito è quello che ci vuole per rivivere le forti emozioni che sentiamo, questo è ciò che ho pensato ieri mentre ci dirigevamo verso il taxi avvolti nella stagnola di un Bacio Perugina. Adesso è mattina ed ancora avvolti nella stagnola consumiamo la nostra colazione accanto al buffet che sembra una città poi le nostre giornate si divaricano e mentre Vanni si dedica ad Asia io esploro la città in compagnia di Pius. Il centro storico di Yoyakarta ruota attorno all’immagine che i sultani succedutisi nei secoli in questa che fu la capitale hanno voluto dare di loro stessi soprattutto attraverso gli edifici che li ospitavano. Dopo le distruzioni delle guerre civili a questa immagine si è sovrapposta qua e là quella che chi ha ricostruito ha pensato fosse giusto dare. Insomma iniziamo male dal luogo nel quale il taxista ha voluto scaricarci, di fronte all’edificio meno autentico del nucleo storico della città fortificata ovvero del Kraton. Sto parlando del grande padiglione che anticipa la residenza nel quale il sultano riceveva i dignitari, sostenuto da pilastrini di ghisa, è stato ricostruito sull’antico modello ma ne ha perso tutto il sapore. L’area fortificata accoglie oltre all’edificio del sultano il piccolo insediamento di servizio dove vivevano i servitori, è distribuito sul reticolo di stradine che stiamo percorrendo, dove si trova tra le altre anche la scuola di batik nella quale ci fermiamo incuriositi. Raggiungiamo il Taman Sari a bordo di due rishò a pedali, Pius mi precede sospinto dalle energiche pedalate del fotogenico conducente che con il suo cappello conico e la maglietta verde si inserisce bene nelle prospettive della città vecchia, con le sue case basse, i warung aperti sulla strada ( luoghi nei quali vengono serviti piatti caldi ), altri rishò in attesa di clienti e la vita che sempre accompagna i marciapiedi fino a quando ci troviamo di fronte all’insolito portale che ci introduce al Taman Sari dove l’atmosfera è speciale, gioiosa e leggera e l’elemento più caratteristico è l’acqua raccolta in piscine che non a caso occupano intere corti interne, vivacizzate dagli zampilli di alcuni giochi d’acqua … era il luogo di svago del sultano, dove si trastullava con le concubine che sceglieva mentre si bagnavano in piascina. E’ quasi sera quando recuperato Vanni in hotel andiamo a teatro per assistere al Gamelan, lo spettacolo appartenente alla cultura classica tradizionale Jawanese la cui trama è cantata dalla voce solista e l’azione è accompagnata dalla musica di strumenti tradizionali. Il racconto è rappresentato dagli attori che come marionette eseguono movimenti stilizzati, quasi simbolici e poco descrittivi della storia, che rimane avvolta nel mistero se non se ne è letto tutto. Bellissimi i costumi ed i copricapi riccamente decorati che risaltano colorati sullo sfondo scuro della scena. Usciamo storditi dopo un’ora e mezza di spettacolo comprensibile solo agli iniziati.

28 settembre 2016

YOYAKARTA – PRAMBANAN – BOROBUDUR

Il cielo nuvoloso rende la complessa architettura del tempio hinduista di Prambanan piatta e senza chiaroscuro come se ne osservassimo il dipinto, eppure i cinque potenti edifici riccamente decorati sono stranamente suggestivi ed i bassorilievi che li ricoprono meravigliosi. Ognuno di noi parte seguendo le proprie curiosità e cercando di dare un senso alle storie delle divinità hindù rappresentate con eleganti figure sulle superfici degradanti degli edifici che da lontano sembrano arzigogolati castelli di sabbia. Terminata la visita percorriamo i 57 km. fino a Borobudur e dopo aver chiesto e cercato a lungo arriviamo nello spiazzo erboso che precede lo sperduto Eloprogo Art House dove ci fermiamo. Perplessi ancora prima di varcare la soglia e convinti di avere sbagliato resort o di aver preso una fregatura confidando troppo sulle immagini viste sul web lasciamo i bagagli su Asia ed entriamo. La location sembra eccessivamente trasandata, o meglio maldestramente eclettica, fatto sta che dopo aver visto il nostro bungalow polveroso e conosciuto il proprietario che ricorda un santone rasta con un paio di unghie lunghe, gialle ed inarcate come artigli avremmo voluto scappare via. Invece esploriamo l’area, osserviamo il cono del vulcano che si staglia sul fondo della prospettiva sul fiume impetuoso, camminiamo nel verde rigoglioso sull’alta riva scoscesa del fiume e raggiungiamo la galleria dove il proprietario Sony ha esposto molti dei suoi dipinti che riproducono gli altorilievi del grande monumento buddhista di Borobudur. Espressivi ed accattivanti. Ci fermiamo poi a parlare con lui, lo osserviamo dipingere, ci piace la sua quiete, il suo atteggiamento apparentemente distaccato e finisce col piacerci anche questo lungofiume verde sul quale si dipanano il sentiero e gli edifici di legno troppo ridondanti con i loro graticci di vetri colorati, gli inserimenti di pannelli antichi nei diversi stili ed i tetti aguzzi Non c’è nulla di peggio di un artista che vuole fare l’architetto. La cuoca ed i suoi manicaretti assestano il colpo di grazia tanto che infine ci sentiamo fortunati di aver scelto questo luogo diventato magico, con i Buddha di pietra, gli alberi, l’arte di Sony e Sony che si prodiga con discrezione affinché questo diventi per noi un piacevole soggiorno.

29 settembre 2016

BOROBUDUR

Il più grande monumento buddhista del mondo ci appare sullo sfondo del viale alberato che lo nasconde in parte trattenendone l’immagine complessiva, ma percorsi i cento metri che lo introducono, l’imponente edificio piramidale si svela nella sua interezza così vicino a noi da mettere in difficoltà persino il mio obiettivo super grandangolare nuovo fiammante. Con i suoi 118 metri di lato questo enorme stupa a sei terrazze, simmetrico come un mandala tridimensionale, avvolge la più bassa delle colline che vediamo attorno a noi. A rendere ancor più accattivante la grande costruzione di Borobudur è il potente chiaroscuro generato dai raggi del sole di oggi, che si insinua nelle nicchie, esalta i bassorilievi, definisce la fisionomia dei Buddha e crea necessarie zone d’ombra nelle quali ogni tanto ci fermiamo per una sosta rigenerante in questo nostro pellegrinaggio che si svolge percorrendo per intero le terrazze. I numeri rendono bene l’idea della complessità e dell’opulenza di questo monumento dove le statue del Buddha sono 432 e 1460 i pannelli narrativi scolpiti in altorilievo che riproducono una sorta di testo sacro della dottrina che si snoda in una processione ininterrotta di navi, elefanti, musicisti, danzatrici, guerrieri e re. Procediamo percorrendo i cinque chilometri di corridoi che si sviluppano sui lati di questa piramide a gradoni, affascinati, incuriositi e squagliati per il caldo cocente, sollevando lo sguardo ogni tanto per osservare lo sfondo di colline verdi sul quale si stagliano le sculture di Buddha ed i profili decorati di questa complessa architettura. Lo spettacolo più sorprendente ci appare in cima al tempio dove i Buddha sono appena visibili dentro imponenti stupa a campana di pietra traforata e se non fosse per i troppi ombrelli colorati dei turisti impegnatissimi a fotografarsi, questo luogo avrebbe potuto scaturire in noi l’emozione per la quale è stato costruito. Il suono dell’acqua che scorre e la serenità che trasmette l’Eloprogo Art House ci riportano alla dimensione del fresco relax accanto al fiume, all’armonia ed alla pace di questo luogo concepito e realizzato dal fervente buddhista Sony ora in ritiro. Seduti attorno al tavolo, quasi in bilico sull’alta riva del fiume Elo, trascorriamo la serata con Sony che ha trovato in noi e noi in lui la forte complicità che crea una qualche forma di affinità elettiva che si traduce ora nel bel regalo che il nostro nuovo amico ci offre. Ci offre le sue emozioni, quelle stesse che anche noi sentiamo con forza ora di fronte alla grande statua del Buddha stranamente seduto con le ginocchia unite che si impone all’interno dell’unica sala del tempio di Mendut. E’ la più preziosa statua di tutti i luoghi di culto di Jawa ed è solo nostra in quest’ora tarda della sera. Seduti sul gradino di ingresso, tutti e quattro con i bastoncini di incenso in mano ne osserviamo la bellezza ed ascoltiamo l’energia che emana ed entra in noi. Imponente sotto l’altissima copertura che si stringe a piramide fino a scomparire nella sfumatura più scura dell’oro, le sue forme sono armoniche, tonde e lucide, la situazione è così intensa che Fatichiamo a trovare il momento per andare, aspettiamo un cenno di Sony che infine arriva, quindi scendiamo e poi arrivati in fondo alla scala giriamo le spalle per ritrovare l’emozione del primo colpo d’occhio, quando salendo nel buio totale lo avevamo visto avvicinarsi inquadrato dal portale illuminato. Quando rientriamo il Pionemo Art House è immerso nel sonno, c’è il suono dell’acqua che scorre in fondo all’argine e ci sono le vetrate colorate della nostra camera lasciata accesa, il letto a baldacchino e la zanzariera color zafferano.

30 settembre 2016

BOROBUDUR – SEMARANG

Che bel risveglio questa mattina, appena oltre la porta della camera, in veranda, il tavolino è stato allestito a festa con la colazione speciale che Sony ha organizzato per noi a base di sofisticati manicaretti della cucina tradizionale tra i quali spiccano la gelatina al caramello confezionata in piccoli cilindri dentro foglie avvolte a spirale, le raviole con erbette fritte, il polpettone con uovo sodo e frutta fresca. Poi consapevole della nostra difficoltà nel trovare il momento giusto per partire come se a questo posto fossimo legati con una catena, ci mostra il suo monumentale progetto di uno spazio cilindrico ipogeo sovrastato dalla struttura metallica che si coprirà di bouganville, una sorta di rappresentazione cosmica dell’intero firmamento, dalla terra e l’acqua al cielo e le stelle, quindi regala a Vanni alcune foglie porta fortuna, quelle a forma di cuore spesso usate nelle immagini sacre del buddhismo. Posa in svariate foto di gruppo, poi nonostante la sua grande pazienza pronuncia un definitivo “buon viaggio” che non lascia spazio a repliche. Di nuovo in viaggio e senza diversivi percorriamo a ritroso la strada di qualche giorno fa ed in un paio d’ore arriviamo a Semarang. Ne percepiamo la familiarità stranamente conservatasi immutata fin dallo scorso novembre, esattamente un anno fa, quando la vedemmo per la prima volta e ne fummo conquistati. Forse perché molto diversa dalla città portuale senza attrattive che ci era stata descritta la trovammo invece ricca di inattesi effetti speciali. Raggiunto il Louis Kienne Hotel rimandiamo di comune accordo a domani la visita della città e volendo impiegare bene il tempo che mi separa dalla cena, mi dirigo alla Susan Spa dove con grande gioia trovo tra i trattamenti in elenco il mio massaggio preferito, il tradizionale Javanese eseguito dalle mani forti ed esperte della bravissima Uli.

01 ottobre 2016

SEMARANG

La sensazione è quella di non aver mai lasciato la città, come se fossimo appena tornati dal Karimunjawa N.P. e ci muovessimo lungo il mercato di Chinatown la mattina dopo, quando la strada stretta si è ripopolata di venditori e merci. L’organo barocco non ha lasciato la chiesa di Gereja Blenduk e poi la città vecchia, affascinante nella decadenza dei suoi edifici coloniali, i vecchi magazzini del porto, la vecchia stazione… seguendo le tracce della visita passata scopriamo casualmente anche bellissimi luoghi non ancora visti che riportano Semarang alla realtà di questo viaggio.

02 ottobre 2016

SEMARANG – PEKALONGAN

Pekalongan e Batik, questo il binomio che ci ha fatto scegliere la cittadina come tappa intermedia lungo la statale n.1 per Jakarta. Lo ha proposto Vanni sapendo di farmi piacere, lo shopping è sempre una tentazione forte per me e questo sembra il luogo adatto per dare sfogo alla compulsione dopo giorni di astinenza, per lo meno orientata su un prodotto artigianale DOC, il Batik indonesiano handmade, uno dei più apprezzati nel mondo. Piove a dirotto nel mercato coperto già in chiusura dove tutti i tessuti in vendita sono dei batik stampati, e lo squallore del luogo già in penombra ha sedato qualsiasi impulso anche solo a soffermare lo sguardo su un qualche prodotto tra quelli proposti a gran voce dalle insistenti venditrici.. Il pezzo forte di questa nostra sosta è l’Hotel Namira, le cui camere puzzano di naftalina ed i corridoi di nauseabondo solvente. E’ un hotel islamico ortodosso dove le preghiere vengono diffuse amplificate per ore in tutte le aree comuni e le receptionist indossano il velo che incornicia i loro giovani visi. Regole precise di buon comportamento sono indicate sul cartello accanto all’ingresso, solo il giovane simpaticissimo cameriere gay risolleva gli animi ma non durerà a lungo.

03 ottobre 2016

PEKALONGAN – CIREBON

I preparativi per la grande fiera del Batik fervono in vista dell’inaugurazione di domani, l’evento richiamerà visitatori dall’intera isola e forse da città d’oltremare, noi invece partiremo subito dopo la visita al Museo del Batik, il più importante ovviamente, del settore. Entriamo. Le tre grandi stanze espositive raccolgono tutta la storia della produzione dei tessuti dipinti a mano i cui disegni non sempre appartengono al linguaggio estetico tradizionale ma sono spesso il risultato di contaminazioni stilistiche di culture esotiche, come quella cinese, giapponese ed europea. La preziosità del prodotto varia anche in base al tessuto utilizzato, dalla seta al cotone al tessuto in fibre di banano. Esponendo il meglio offerto dal mercato nel corso dei decenni, i tessuti esposti anche antichi venivano utilizzati principalmente come parei tradizionali, i Sarong. La mostra ne raccoglie decine, in parte indossati da manichini, altri esposti in bacheche, tutti sono meravigliosi ed uno in particolare mi affascina per originalità, è un double face i cui colori arancio e rosa sono separati in diagonale e raccordati da una magnifica composizione armoniosa di fiori in stile olandese. Il mio interesse è talmente esasperato che Vanni pensando di agire in gran segreto approfitta dello spunto per l’acquisto del mio regalo di compleanno e manda Pius incontro ad una missione non solo impossibile ma anche disperata dato che alla mezzanotte di oggi scatta il fatidico giorno. Che Vanni sia una persona fortunata lo dimostra tra le altre cose anche la vicinanza all’hotel Aston alla concessionaria Toyota dove i due soci si dirigono senza esitazioni subito dopo aver consegnato i bagagli al bellboy. Non mi rimane che cercare quel famoso Batik senza il quale sembra impossibile lasciare Java nel negozio più fornito della cittadina dove osservo gli handmade di seta e cotone in vendita a prezzi irragionevoli e con uno stile molto lontano dai miei gusti, poi ripiego su tre sciarpe di seta stampata, belle e decisamente super economiche rispetto al costo del taxi.

04 ottobre 2016

CIREBON

Cirebon non ha nulla di diverso rispetto alle altre cittadine di Java, dove interi quartieri anonimi sembrano la fotocopia l’uno dell’altro ed anche i risciò che ci erano sembrati così originali a Jojakarta, ora non stupiscono … ma in realtà qualcosa c’è. Spoglio e solo parzialmente accessibile, il Palazzo del Sultano non consola ma è pur qualcosa, ed in una delle stanze del museo annesso c’è un’antica carrozza che incanta. Fu concepita e realizzata nel VI secolo con l’obiettivo di impressionare non solo la persona che se ne sarebbe servita ma anche quelli che la vedevano spostarsi lungo la strada ma non solo. La carrozza ha la forma di un animale immaginario dorato ed in movimento, con la proboscide di elefante, il corpo e la testa di drago, le ali dorate e le zampe di tigre, ma la cosa più sorprendente è che i sobbalzi dell’incedere fanno alzare le sue ali e muovere la lingua dello strano animale. Sarebbe meraviglioso vedere il sultano seduto sul cuscino rosso, spostarsi lungo le strade attorno al suo palazzo … il taxista dice che non ne esce mai se non invitato a cerimonie ufficiali, nemmeno per una cena al ristorante. E’ così che decidiamo di rimanere in hotel con due candeline conficcate sulla mia fetta di torta, la bottiglia di vino bianco e l’happy birthday dei cari Vanni e Pius accompagnati dalle cameriere di turno. Niente bollicine in questa Indonesia sempre più radicale dove anche la birra è spesso una gentile concessione.

05 ottobre 2016

CIREBON – BANDUNG

Il capo delle concessionarie Toyota di Java è arrivato di soppiatto accanto ad Asia ed a differenza di chi vedendola per strada rallenta, guarda e va oltre, il Sig. Toyota ha promesso di inserire nel website la foto di gruppo al suo fianco appena scattata con grande soddisfazione di Vanni e nostra. Dopo i piacevoli convenevoli siamo infine partiti ed ora stiamo per entrare a Bandung che arriva preceduta dal paesaggio rigoglioso delle colline, delle distese di risaie, i laghetti e le piante di banano. Queste le immagini trattenute e conservate anche ora che che siamo dentro come i tre milioni di abitanti spalmati su una serie di colline. Stritolati dal traffico costretto in strade troppo strette arriviamo in hotel un paio d’ore dopo aver varcato la soglia della periferia, consapevoli che questa è la necessaria premessa di Jakarta della quale Bandung è per molti la vicina località di montagna, quella nella quale andare durante i weekend. Approdati al B&B lo troviamo divertente per i murales colorati e prezioso per l’incredibile disponibilità del direttore nell’aiutarci ad individuare i nostri prossimi obiettivi in questa grande mappa della città.

06 ottobre 2016

BANDUNG

Gli obiettivi in elenco riassumono i desideri da soddisfare in giornata qui a Bandung, scura dello smog che si è depositato ovunque, sugli oggetti, sulle persone e su tutto il visibile compresa la povertà distribuita a macchia d’olio nei quartieri che stiamo attraversando. Andiamo alle terme Ciater Sari Ater di Subang, distanti dalla città 53 km che dovremmo percorrere nell’ora e mezza prevista sia dal direttore dell’hotel che dal taxista che ci accompagna, ed eccoci ora sulla strada, spesso rallentati dal traffico, saliamo, scendiamo, ci intrufoliamo tra centinaia di motorini, piove, esce il sole. Infine dopo tre ore arriviamo alle terme, senza asciugamani, senza maglietta per coprire le procaci rotondità del mio corpo chiaro che risalta come una lampadina, se avessi almeno indossato il costume intero, anche se rosso fuoco lo scandalo sarebbe stato più contenuto. Conquistati dall’aspetto selvaggio della prima situazione, dove le poche strutture discrete in pietra si mimetizzano nella natura rigogliosa del terreno in ripido pendio, ci immergiamo nelle piccole, pozze naturali digradanti di acqua calda che scende in cascatelle spontanee piegando sui rami delle piante che le sovrastano. Il fondo è coperto di pietre rotonde sulle quali ci appoggiamo rannicchiati per sfruttare al massimo la scarsa profondità e rimaniamo fermi guardando chi ci osserva. C’è un grasso attempato signore seduto sulla grande pietra dietro di noi che si sta facendo massaggiare i piedi ed accanto a lui ci sono un passeggino ed una piramide di tessuto nero con una feritoia che inquadra gli occhi giovani di una ragazzina, quattro metri più giù ci sono io in bikini, oggetto di sguardi sbalorditi e poi minacciosi da parte del custode e del signore che però fa cenno di lasciare perdere. Si rilassano ma non troppo, intanto le persone passano, guardano, alcuni si fermano e altri vanno oltre, poi arriva la pioggia e rimaniamo soli tra il vapore che è diventato nebbia, emozionati in questo luogo che si è trasformato in un paradiso di vegetazione, acqua e pietra. Le quattro ore in auto trascorse per raggiungere la città e poi l’hotel hanno interrotto l’ambizioso programma di oggi che prevedeva la visita di tre gallerie d’arte. Felici e spappolati ci godiamo il meritato relax.

07 ottobre 2016

BANDUNG – JAKARTA

Ancor prima di esservi entrati l’approccio con la capitale è di inquieta perplessità, se è vero che il caos è proporzionale al numero degli abitanti, allora entrare a Jakarta che conta 10.000.000 di abitanti rappresenta la certezza di intasamenti ed ore di attesa nei trasferimenti, i tempi estremamente dilatati annunciati da chi la città l’ha vissuta e misura le distanze in ore di percorrenza anziché in chilometri perché non significativi. In realtà arriviamo all’Ibis Style Hotel senza problemi seguendo una delle autostrade che attraversando il tessuto urbano puntano a Nord… quindi tergiversiamo rimandando a domani il primo giorno di visita, ogni tanto anche la noia ha il suo perché.

08 ottobre 2016

JAKARTA

E’ ancora presto quando Vanni e Pius lasciano l’hotel in missione alla ricerca di Suor Iolanda, la leader delle suore canossiane a Jakarta che tengono battuta come segugi da mesi. Per avere il permesso di lasciare al sicuro Asia nella loro autorimessa, le hanno scritto email, le hanno telefonato e persino questo Hotel sorto non lontano dalla pista di atterraggio del Sukarno Hatta, non è stato scelto a caso. Sulla mappa della città, peraltro non molto dettagliata, convento ed hotel sembrano infatti piuttosto vicini, eppure dopo un paio d’ore Vanni mi telefona dicendo che il taxista ha previsto altre due ore di viaggio per rientrare e snobbandomi senza batter ciglio mi consiglia di prendere un’auto a nolo per tutta la giornata e di andare sola in visita alla città, è così che dissotterro l’ascia di guerra. Fatto sta che ancora piuttosto incazzata parto anch’io in missione ed a bordo di un taxi Blue Bird raggiungo il New Museum iniziando così la visita della città dal cuore pulsante delle tendenze espressive degli artisti indonesiani contemporanei che gravitano attorno ad essa. Tutto è ricondotto alla logica del controllo dell’immagine attraverso soggetti iperrealisti orientati al femminile, tema scottante in questa nazione musulmana sempre più integralista. Mi fermo a lungo con il giovane custode che ama condividere la sua passione per l’arte ed infine dopo aver esplorato la città a lungo, dai finestrini dei taxi o a piedi, dopo aver infine osservato con sgomento la mia immagine riflessa sulla vetrina di un centro commerciale dove sono finita per l’interesse della sua cupola neoclassica, provvedo abbandonandomi ad uno shopping total body funzionale all’appuntamento con Vanni che mi ha invitata a cena in un esclusivo ristorante giapponese del centro. Serata indimenticabile.

09 ottobre 2016

JAKARTA

L’immagine dell’altissima Signature Tower la cui ambiziosa altezza sfiora i 600 metri è stampata come quella di una soubrette su riviste e depliant ed è indicata sul web come l’architettura contemporanea da non perdere in città… google la mostra accattivante e bella, la più preziosa torre della capitale competitiva con le altre che svettano altissime nel mondo. Un bluff in realtà che non si è alzato oltre il sesto piano e la cui ricerca ci ha fatto ruotare attorno ad un paio di quartieri per la legittima ignoranza del taxista che non sa nemmeno di cosa stiamo parlando. Quindi ci fermiamo in corrispondenza della city. L’area non riserva grosse sorprese con i suoi alti edifici che non spiccano per originalità ma trasmettono il desiderio di sicurezza e di benessere, in controtendenza alla miseria che riempie ogni interstizio, che cammina per strada e si deposita nelle baracche che vediamo a perdita d’occhio, non solo nelle periferie. Le torri patinate distraggono, rendono i quartieri di questa enorme città visibili e riconoscibili. Le autostrade e le grandi arterie stradali penetrano il tessuto urbano, divaricano i grattacieli e collegano in questo momento per noi alla città storica nella quale ci fermiamo per vedere i bassi edifici neoclassici dei colonizzatori olandesi che li hanno voluti discreti e li hanno impreziositi con semplici geometrie decò. Incasinato e sporco è devastato dai clacson delle auto che passano di fronte alle vetrinette appannate dei venditori ambulanti di Nasi Goreng. E’ il quartiere più caotico e rumoroso dei due nei quali ci siamo fermati per due passi, molto altro abbiamo visto dai taxi sui quali abbiamo viaggiato per ore coprendo una distanza di circa 100 km senza mai uscire dal centro abitato. E’ senz’altro il modo migliore per osservare la complessità di questa enorme città nella quale ci si muove lenti come pachidermi, per misurarne il fuori scala e la caoticità del traffico nel quale si rimane bloccati per ore… è questo suo essere eccessiva in tutto che fa di Jakarta una città piacevole.

10 – 11 ottobre 2016

JAKARTA – CILEGON – JAKARTA

Cilegon è vicina ma non particolarmente attraente se non per la bella moschea grande e lucida di piastrelle. Un fuori scala sulla strada statale che attraversa il piccolo centro abitato dove Vanni trova sorprendentemente un pezzo di ricambio per Asia. Il cielo è quasi bianco di nuvole ed un poveretto coperto di un paio di mutande così sdrucite da non nascondere il suo pene è raggomitolato ai piedi di una serranda chiusa, oltre una ringhiera che sembra la sua gabbia. Mi chiedo a cosa stia pensando.
Rientrati a Jakarta da Cilegon chiudiamo in bellezza con la cena dalle suore Canossiane che raggiungiamo a fatica nel tardo pomeriggio seguendo un taxista che non sa come trovarle. Poi dopo tanto girovagare varchiamo finalmente il cancello che interrompe l’alto muro di cinta del convento, grande e dotato di una comoda autorimessa per Asia che rimarrà qui fino alla prossima primavera. Ceniamo nel grande refettorio in compagnia di Suor Iolanda e delle sue ancelle che hanno gentilmente preparato per noi un abbondante banchetto… tutte contente di conoscere finalmente quel Giovanni che le ha intortate per mesi.

12 ottobre 2016

JAKARTA

Avanziamo al ritmo lento del centro, le lunghe attese della mattina si prolungheranno fino a sera inoltrata in questa Jakarta che sembra non addormentarsi mai. Scendere dal taxi e proseguire a piedi sembra spesso l’unica immediata via d’uscita, ma come lasciare il taxista nella trappola dove l’abbiamo portato … e dove sono i marciapiedi sui quali camminare? Il conducente del resto si è organizzato ed espone nella tasca posteriore del suo sedile alcune riviste con le quali distrarsi e sedare gli animi, proprio come nella sala d’attesa del dentista o dal barbiere. Stiamo andando a Kota Jakarta Selatan, l’art district dove troveremo alcune delle gallerie d’arte in città, la sopravvissuta delle due in programma è la Edwin’s Gallery in Jalan Kemang Raya, South Jakarta. Tra le opere più insolite esposte i Setjangkir Kopi Dari Plaja, marionette o creature magiche? Estremamente espressivi i Kopi sono stati realizzati con sapienza in materiali naturali, evocativi di sentimenti e di stati d’animo profondi, interpreti di storie d’amore e di tragedie. Dopo un discreto numero di foto scattate in un tempo imprecisato rivedo Vanni raggiante, conquistato dall’opera dinamica di un artista che sta lavorando nel laboratorio al primo piano, me ne mostra una in sala, si illumina, si muove, emette suoni… è bellissima! Senza mai allontanarci troppo facciamo due passi immersi nell’atmosfera vivace e di tendenza che si respira da queste parti, dove cercando altro troviamo anche un ristorante turco, il Karim Zorlu, nel quale ci proponiamo di tornare. Poco dopo, in taxi ci muoviamo tra le lussuose abitazioni che si intravedono blindatissime dietro gli alti muri di cinta, ma la povertà è dietro l’angolo, feroce, ai lati delle stradine di terra battuta che si insinuano dietro le bancarelle di frutta, là dove guardiamo con discrezione quasi vergognandoci di passare oltre. A questo punto rimane da vedere il monumento nazionale per eccellenza, la Monas Tower della quale si dicono molte cose, per esempio che il top a forma di spumino dorato sia in realtà di oro massiccio, quello sottratto con l’inganno alla Papua Nuova Guinea. Non ci piace, sembra un enorme candeliere illuminato in rosa ciclamino e la vista panoramica a quest’ora della sera è zero non essendoci poi tanto da illuminare in città. Impieghiamo più di due ore per rientrare in hotel senza cena con la sola opzione del frigo bar, ma siamo carichi di energia e di entusiasmo, non per la torre appena vista, ma per la particolare evoluzione di questo viaggio ormai compromesso dalla pioggia. Abbiamo pensato che continuare a consumare chilometri senza poter godere dei paesaggi, delle spiagge e di tutto il resto non ha molto senso e per questo domani nel primo pomeriggio partiremo diretti in Kenya, a Diani Beach per godere di quei 31 gradi ventilati dei quali Franco ci parla da giorni e che noi abbiamo voglia di sentirci addosso.


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