16 Messico
08 Gennaio 2007
BELMOPAN – TULUM
Finalmente un materasso come si deve, penso svegliandomi dal lungo sonno ristoratore. Vanni è subito scattante, si veste in fretta, porta amorevolmente una tazza di tè in camera e si precipita con Carolina dal gommista Texaco fortunatamente vicinissimo al motel. Rientra soddisfatto dopo un’oretta e partiamo con l’ambizioso obiettivo di raggiungere direttamente Tulum in Mexico, per un totale di 400 km e la frontiera da superare. Il tempo è variabile oggi e strada facendo qualche acquazzone rende l’aria così umida da essere irrespirabile. Ma procediamo spediti sulle buone strade del Belize e all’una siamo in frontiera. Perdiamo tempo per trovare i 75 beliziani da pagare per uscire dal paese . Ne abbiamo solo 51 e Vanni si rifiuta di cambiare 20 euro al cambio ovviamente svantaggiosissimo dei “cambiavalute” con look da barboni, aspettano come sciacalli fuori dall’ufficio de immigration , quasi mi arrabbio perché trovo inutile perdere tempo con una banconota da 10 euro in mano ad insistere con l’impiegata che continua a ripetere che accetta solo $ beliziani o US$..e ne mancano 24 o 12 a seconda del tipo. Infine Vanni esce arrabbiato e fa l’unica cosa possibile …si fa fregare 20 euro dagli sciacalli che gli danno in cambio 40 $ beliziani, l’equivalente di 20 US$, ma usciamo finalmente dal Belize. All’ingresso in Mexico l’auto viene ispezionata minuziosamente dai doganieri prima e dai militari dopo, ma nessuno di loro sa cos’è il Carnet de passage, quindi Vanni decide giustamente di approfondire l’argomento che potrebbe diventare un bel problema in uscita dal Messico e sparisce per un po’. Il sole cocente mi sta disintegrando ma non posso abbandonare Carolina e non ho un peso da investire in una bottiglia d’acqua, solo 16 $ boliviani che nessuno qui accetta. Mi spingo fino all’ufficio di cambio ma è deserto, mi riavvicino all’auto e Vanni è li. Mi racconta che l’ufficio era stato lasciato dagli impiegati per una breve pausa pranzo, così anche noi ci concediamo due hugos de pinia all’ombra di un ombrellone del bar vicino.Nel frattempo aveva prelevato dei pesos! Insomma le cose vanno per le lunghe ma alle 4 pm. ripartiamo con un bel timbro sul carnet e un adesivo sul parabrezza. Arriviamo a Tulum verso le 7 pm. e troviamo all’hotel Latino, grazie alle indicazioni di un italiano proprietario di un bel ristorante dove andremo anche solo per riconoscenza a cena. L’hotel è nuovo e molto carino, originale e ben progettato. La nostra camera, l’unica libera, è al piano terra accanto alla reception ed affaccia su uno stretto percorso aperto che disimpegna le camere del piano terra e che termina in un cortiletto con piscina. Una seconda fila di camere è al primo piano, collegate da un ballatoio di legno. I colori sono il bianco delle murature, il marrone del legno ed il grigio chiaro delle pavimentazioni esterne di cemento a vista. Il pavimento della nostra doccia è degno di nota…tanti sassolini nelle sfumature del marrone, del ruggine e dell’ocra sono fissati ad una base cementizia color caffelatte., la porta della doccia è costituita da canne intelaiate in legno. Mi piace! Il tutto per 400 pesos al giorno, cioè 40 US$…praticamente regalato. Ceniamo benissimo al ristorante Basilico, dove spendiamo per la cena più che per il pernottamento, ma Fausto è simpatico e ci ha dato un’ ottima indicazione. Ci racconta la sua storia di emigrato dall’Italia, dove guarda caso era anche lui gioielliere….come Claudio in Costa Rica o il brindisino incontrato a Boca de Toros (Panama). Vive qui da sei anni ma non conosce il resto del Messico, dice. Però ci consiglia il Chapas e sconsiglia vivamente Cancan come previsto. Ci congediamo dopo le chiacchiere ormai di rito con i ristoratori italiani all’estero e rientriamo nella nostra cameretta che odora di muffa, dove crolliamo di nuovo su un comodo materasso.
09 Gennaio 2007
TULUM
Anche oggi il tempo è variabile…ma quando arriviamo in spiaggia al “Paradiso” consigliatoci da Fausto, addirittura peggiora e ci ritroviamo a ripararci dalla pioggia sotto l’ombrellone di canne, a giocare a backgammon . Il mare è spettacolare, la sabbia color avorio e palme sembra tutto perfetto ma siamo circondati da italiani che detesto incontrare all’estero. Dal baretto si diffonde musica tecno….insomma l’atmosfera sembra più global che caraibica! Dopo un paio d’ore consumate tra un club sandwich, due chiacchiere e Terzani rientriamo all’hotel , inutile andare al sito archeologico con questo tempo! Sono le 5.30 pm.e già la luce svanisce. Non c’è poi molto da fare in questo piccolo paese di Tulum, se non vedere il sito maya o andare alla spiaggia, rimangono solo una puntatine all’ internet point o due passi lungo la larga strada principale piena di negozietti di artigianato e non, ristoranti che propongono cucine tipiche di ogni angolo del mondo ed invitanti baretti talvolta vivacizzati con musica dal vivo. Il gruppo musicale tipo è rappresentato da un paio di non più giovani signori con chitarra che cantano alcune orecchiabili ballate messicane. Optiamo per Internet dove poi il ristorante messicano dal nome promettente “ el mariachi “, ma di suonatori nemmeno l’ombra! Assaggiamo alcune specialità messicane a base di tortillas e verdure per me , carne per Vanni., che termina la cena con due ottime techile che anch’io assaggio …decisamente migliori senza limone e sale. Non ci faranno poi così male..abbiamo appena finito di cenare!
10 Gennaio 2007
TULUM
Le previsioni viste ieri in tv non sbagliavano..oggi ci svegliamo con un bel sole cocente e qualche nuvola…l’ideale per la visita al sito archeologico. Vanni rientra dalla sua colazione al bar e dopo poco siamo in macchina a percorrere i pochi chilometri che ci separano dal sito. Il parcheggio pieno di auto promette affollamento ed infatti c’è fila alla biglietteria. Entriamo costeggiando le antiche mura maya che delimitano il sito sui tre lati liberi dal mare. Larghe 5 metri, con torrette angolari, hanno tre porte di accesso all’interno, che vista la larghezza delle mura sembrano piuttosto dei piccoli tunnel. La visita si sviluppa su di un percorso obbligato che non consente di avvicinarsi agli edifici, le cui decorazioni a basso rilievo scorgiamo solo attraverso il binocolo che Vanni, lungimirante, ha portato con se. Bellissima la scogliera che difende naturalmente il lato est di questo centro cerimoniale, e l’edificio principale che vi troneggia alto. Il colore del mare è indescrivibile, la sabbia come sempre color avorio…noi, che veniamo da Copàn e Tikal siamo piuttosto delusi, almeno ci avessero fatto vedere bene quello che c’era da vedere! Ma non disperiamo avremo altri bellissimi siti da vedere. Andiamo direttamente in spiaggia, anche oggi al “Paradiso”, tra palme e musica oggi gradevolmente soft. Le nuvole non mancano e il vento è forte. Batto Vanni in una partita tiratissima a backgammon per 3 a 1.
11 Gennaio 2007
TULUM – PLAYA DEL CARMEN – VALLADOLID
Lasciamo Tulum quasi a malincuore…questo vivace paesino dalle belle spiagge ci ha in qualche modo affascinati. Solo 60 km ci separano da Playa del Carmen che già sappiamo essere una sorta di Milano Marittima dello Yucatan. Comunque andiamo, in fondo è vero che la speranza non muore mai e la nostra curiosità diventerà proverbiale tra gli amici per i numerosi tentativi di trovare, vedere, conoscere, non sempre andati a buon fine. Il cielo spazia tra il grigio e l’azzurro intenso… e siccome siamo ottimisti la interpretiamo come una promessa di bel tempo. Ma eccoci alla Playa del Carmen, dove visto l’ambientino ci fermeremo non più di un’oretta, il tempo necessario a far rettificare il cerchione africano da Victor Nava…noto rettificatore dello Yucatan. Per la prima volta in vita mia prendo coscienza che esistono i rettificatori ed anche che non sono mai puntuali. Una passeggiata sulla spiaggia ventosa ed un’occhiata agli edifici di ogni genere, costruiti proprio a ridosso ….non proprio M.M., forse più Rimini, ma quando torniamo da Victor il cerchione è ancora come l’abbiamo lasciato. Aspettiamo in auto altre due ore prima di ripartire, quasi fuggiamo verso Valladolid, sosta quasi obbligata per la visita al famoso sito Maya di Chichen Itzà che rimandiamo con calma a domani. Un’ autostrada collega Cancun, dove ci rifiutiamo persino di entrare, a Valladolid e Merida, decidiamo di viaggiare comodi e scegliamo la carretera cuota, cioè strada a pagamento. La comodità di questo tipo di strade sta principalmente nel fatto che visto il costo sono praticamente deserte, 185 pesos per 170 km! Mancano circa 50 km all’obiettivo quando ecco che Carolina inizia a sbandare e ad emettere un acuto degno di una grande soprano…insomma foriamo di nuovo! Nella mia vita non ho mai visto un pneumatico così malconcio, la camera d’aria è fuoriuscita da quello che rimane del suo involucro, una ragnatela di fibre nere. Altro che foratura, si è trattato di un’esplosione! Vanni pazientissimo esegue l’ormai noto rito della sostituzione della ruota senza imprecazioni questa volta. Sempre la stessa ruota posteriore sinistra. Ci viene anche da pensare che sia la maledizione dell’idolo Maya di terracotta comprato ad Atitlàn, di cui guarda caso strada facendo, si sono rotte proprio le due piccole ruote posteriori…ma stiamo delirando! A Valladolid alloggiamo per soli 555 pesos all’hotel “ El Mesòn del Marquès”, che occupa una antica casa coloniale. Non male ma le lenzuola non sono pulitissime. Ceniamo nel patio dell’hotel, con fontana centrale immersa nella vegetazione. Ottima cena a base di Guacamole, filetto di Maro alla veracruzana e tequila.
12 Gennaio 2007
VALLADOLID
Ci svegliamo sempre presto da un po’ di tempo …del resto la sera andiamo a letto con le galline. 9.30 max 10 p.m.! Il programma di oggi prevede la visita di Chichen Itzà dove arriviamo verso le 10.30. Questo famoso sito maya dista una cinquantina di km da Valladolid ….non siamo proprio sereni ora con Carolina, un orecchio va sempre ad eventuali rumori sospetti, ma arriviamo al parcheggio ed entriamo tra i tanti turisti che affollano il sito. La piramide che ha reso famosa Chichen Itzà si staglia imponente sul prato alla nostra destra ma non vedo nessuno salire….non ci posso credere, anche qui gli edifici sono inaccessibili ed in questo caso la cosa è ipercastrante perché ricordo di aver visto all’interno della piramide un bellissimo sedile a forma di ghepardo rosso con innestate giade verde intenso a crearne una sorta di simbolica maculatura. Praticamente l’oggetto più bello del sito non sarà visibile…sono già demotivata a continuare la visita, ma poi la curiosità ed il buonsenso vincono e proseguiamo senza aver visto la “gioconda”. Non rientriamo subito in paese, ci fermiamo al Cenote Dzitnup, praticamente una sorgente di acqua sotterranea con stalagmiti ed un foro nella calotta soprastante che ne fa filtrare un po’ di luce naturale. Un paio di ragazzi fanno un bagno nell’acqua gelida della sorgente, in compagnia di alcuni pesci neri. Ceniamo ancora in hotel con la variante del flan questa volta…praticamente un buonissimo crème caramel.
13 Gennaio 2007
VALLADOLID – MERIDA
Decidiamo per la carretera cuota, più sicura e con meno topes ( dossi ) che sulle strade normali sono frequentissime. Già alla periferia iniziamo a scrutare, stiamo cercando un gommista per Carolina, ma la ricerca va per le lunghe…non esistono a Merida pneumatici della misura giusta! Ma non possiamo più aspettare e dopo lunghe valutazioni Vanni opta per le solite Pirelli Scorpions anche se un po’ più grandi. Alle 14.30 Carolina scivola sull’asfalto della calle 60 verso il centro, vogliamo tentare al Grand Hotel che leggiamo risalente al 1901. Un pezzo d’antiquariato insomma. Vedo alcune camere e scelgo la 11 al primo piano con vista sulla piccola piazza frondosa e con cattedrale prospiciente. L’arredo è decò, il mobile da toelette favoloso con il suo ardito specchio circolare posto in posizione asimmetrica., i pavimenti di ceramica finemente decorati e i due lettoni comodi. Le stanze sono disimpegnate da un largo ballatoio su due piani che affaccia su una corte interna quadrata. Le porte di accesso alle camere sono altissime ed inserite all’interno di una imponente cornice di legno con motivi decorativi classici. Ci tuffiamo volentieri in questo passato troppo lontano per appartenerci, mentre dalla piazza arrivano i suoni di un gruppo di suonatori. Siamo proprio fortunati …il portiere ci dice che inizia proprio oggi la festa maya che si protrarrà per una settimana intera con musica spettacoli e mercatini nelle principali piazze e strade del centro storico che per l’occasione verranno chiuse al traffico. Siamo insomma nell’epicentro della festa…e ne approfitteremo. Merida è proprio carina, vi si respira un’aria proprio messicana, con le sue piazzette piene di alberi e di gente, gli edifici coloniali e la gente cordialissima. Come non rimanerne conquistati ? Intanto siamo scesi al piccolo ristorante sulla piazza dove Luis, un imbonitore gentilissimo che lavora qui, ha già scritto su un foglio i posti dove andare a sentire i concerti questa sera e soprattutto dove andare a comprare quella che io conoscevo come cucaracha e che invece scopro chiamarsi Machech , praticamente uno scarafaggio portafortuna con perline appiccicate sul dorso che le signore coloniali di qualche secolo fa indossavano come spille vive sui loro decolleté. La tradizione è sopravvissuta nei secoli ed ancora oggi si possono trovare questi Machech, ma non è stagione e il mio scarafaggio mi verrà consegnato solo lunedì mattina. Cena a suon di musica da Luis e passeggiata .
14 Gennaio 2007
MERIDA
Ci svegliamo tardi e alle 10.30 siamo da Luis per la colazione all’ombra degli alberi della piazza. Alle 12 concerto al teatro Peòn Contreras dove ascoltiamo un Bolero di Ravel mal eseguito, un noiosissimo Brahms ed un inaspettatamente bel pezzo di Mussorgsky. Poi passeggiata con gelato e screzio con Vanni che mi fa pesare ogni boccone di cibo che ingerisco….nemmeno lui fosse un figurino! Ciondoliamo per le vie del centro tra un’esposizione di arte contemporanea ed una bancarella di artigianato.
15 Gennaio 2007
MERIDA – ESCARCEGA
Il Ritmo è lento, ci siamo fatti prendere dai non ritmi del sud del messico. Andiamo per il machech ma il mio referente non è nemmeno in negozio, mi viene dato però un altro indirizzo, un mercato coperto all’angolo tra la calle 65 e la 60 e lì, dentro un secchio, ne vedo con mia grande soddisfazione, almeno una decina. Tra i tanti ne scelgo due . Hanno brillantini variopinti incollati sul dorso e una catenella dorata che li fa sembrare dei forzati. Dopo una breve contrattazione il commerciante introduce dei legnetti umidi dentro due contenitori di plastica trasparente, poi i due machech, quindi richiude i barattoli mentre mi dice quante volte devo bagnare i pezzetti di legno. Sono felicissima! Finalmente dopo 20 anni ho di nuovo questi graziosi insetti che non vedo l’ora di sentire camminare sulla mia pelle. Non è poi così strano se si pensa che questa tradizione del machech si è consolidata nei secoli. Vanni nel frattempo ha saputo che Luca, il figlio di Guido il keniota è qui a Merida da un anno a gestire un piccolo ristorante, l’ “Iguana Bianca”. Andiamo per un doveroso saluto che si protrae per una mezz’ora. Di madre cubana e padre italo keniota, ha vissuto 10 anni a Milano, 4 a Miami ed è infine approdato in questa tranquilla cittadina messicana dalla quale dice è difficile muoversi se non chiudendo il locale. Chi lascia non trova più nulla qui..o meglio trova altri inquilini, abusivi, che hanno approfittato della situazione. Ci lascia vagamente commosso….insomma qualcosa gli manca…Cuba?..l’ Italia?…non si sa, ma la scelta che ha fatto è senz’altro difficile. E’ da poco passato mezzogiorno, il progetto di raggiungere Palenque oggi svanisce come un miraggio. Decidiamo di fermarci strada facendo, in fondo incroceremo qualche paese. Mentre percorriamo queste strade sempre uguali immerse nella vegetazione all’improvviso un mare immobile e scuro ci appare sulla nostra destra. E’ il Golfo del Messico che così calmo sembra più che altro una lastra di ossidiana ben levigata. In cima ad alcuni pali di legno vicini alla riva grossi pellicani stanno immobili come in attesa di qualcosa..forse dell’acquazzone che il cielo grigio promette di scaricare a breve. E’ quasi il tramonto quando ci fermiamo a Escarcega, un piccolo paese che non ha nulla da offrire….nemmeno un albergo decente. Unica consolazione l’aver speso solo 35 US$ per la camera, nella quale rimaniamo lo stretto necessario. Dopo aver fatto sgranchire le 16 zampette a Chac e Ha, i due machech, ai quali abbiamo dato nomi altisonanti, rispettivamente il dio maya della pioggia e dell’acqua, andiamo in giro per il paese in cerca di qualcosa…tipo un bar o un ristorante. Ma è più facile a dirsi che a farsi….dopo una lunga passeggiata il bilancio è di un solo ristorante dalle cui finestre vediamo i tir passare a pochi metri da noi…ma abbiamo una fame da lupo! Ci soffermiamo dopo la cena a sfogliare interessanti libretti sul Chapas ed a parlarne con il proprietario, mentre la cameriera mi dice che non c’è nessun dessert da mangiare….troppo lusso!
16 Gennaio 2007
ESCARCEGA – PALENQUE
Vanni è già vestito per la colazione e sono solo le 7.30., se lo sapesse la Germana non ci crederebbe! Il ristorante di fianco all’hotel dovrebbe essere aperto da un’ora, come garantitoci ieri dalla cameriera intervistata da Vanni al proposito. Invece lo vedo rientrare deluso, con una bottiglia di agua de pinia (sa che adoro l’ananas), il ristorante è chiuso… la cameriera non doveva essere molto informata degli orari del ristorante dove lavora…Insomma la colazione è andata così, con un caffè bevuto al volo in un bar. Poco male, ci aspetta il Best Western di Palenque ad un paio d’ore di viaggio…la catena preferita da Vanni per via del rapporto qualità prezzo che offre ma soprattutto per i punti che ogni volta vengono caricati sulla sua tessera…questo lo fa impazzire! Al “ Maya Palenque” occupiamo una camera d’angolo al secondo piano, con due grandi finestre che affacciano sulla foresta, due lettoni e la tv satellitare, il tutto per 55 US$. Certo nel nostro peregrinare non è capitato spesso di arrivare così presto in un hotel. Sono solo le 11 del mattino, molti hotel hanno il check-in alle due del pomeriggio…ma la camera è libera e ci viene assegnata subito. Poco dopo siamo al sito archeologico….Vanni dice che ormai non ne può più degli antichi Maya! Appena scesi dall’auto un bambino si propone, in cambio di una mancetta, per la sicurezza di Carolina, ed un ragazzo di età indefinita di nome Lopez come guida per la visita. Il rito del corteggiamento del turista è sempre lo stesso ovunque, iniziano a pronunciare qualche parola in italiano mentre offrono i loro servizi quasi sempre scadenti a prezzi altissimi. Segue la contrattazione e poi si entra finalmente nel sito con o senza di loro. Questa volta assoldiamo Lopez che sfoggia subito un bel sorriso di soddisfazione. Sono poverissimi qui in Chiapas! Lopez è piuttosto timido e non molto informato, Vanni non gli perdona nulla e lo corregge ogni volta che sbaglia clamorosamente una parola in italiano, tutti questi siti iniziano ad innervosirlo! Credo che ad un certo punto Lopez abbia persino dubitato di ricevere la sua propina di 30 US$. Comunque lo seguiamo arrampicandoci sui ripidi scalini dei vari templi di questo bel sito immerso nella foresta. Molte di questi bellissimi edifici conservano ancora le tipiche coperture crestate, ed i bellissimi bassorilievi in stucco o scolpiti nella pietra, vediamo i loro letti di pietra, i bagni del palazzo reale ( simili a quelli degli antichi romani), i loro rudimentali bagni turchi e l’osservatorio, immancabile nei più importanti insediamenti maya. Grandi astronomi e matematici, avevano calcolato con grande precisione la durata dell’anno solare, ed il loro calendario era a quel tempo ( 100 a.c.- 900 d.c.) molto più preciso del nostro. Chi l’avrebbe mai detto! Certo queste notizie difficilmente trapelano in Europa. Al tempio del sole Lopez ci lascia, il suo lavoro termina qui. Proseguiamo verso il museo attraverso il percorso ecologico, un sentiero immerso nella fitta vegetazione che costeggia il fiume, l’ acquedotto all’antica città. Arriviamo al museo stremati, ma un piatto di quesadillas ( tortillas ripiene di formaggio fuso) e una coca cola ci rimettono in sesto. Il museo è ricco di begli oggetti recuperati dal sito di palanche. Gli incensari, che servivano a colloquiare con l’inframondo, sono di argilla con una serie di facce un po’ arcigne l’una sopra l’altra. Le più comuni quella del serpente-giaguaro, di Chac, e del quetzal….l’uccello sacro ora estintosi. Rientrati ceniamo in un tipico ristorantino del paese, con tovaglie coloratissime e scarafaggi sul pavimento. Mangiamo malino e la dissenteria è assicurata. Ci consoliamo con dell’ottimo sesso.
17 Gennaio 2007
PALENQUE – AGUA AZUL
Ancora sesso e colazione in hotel poi si parte per le famose cascate di Agua Azul. Il cielo non promette nulla di buono ma procediamo lungo la serpeggiante strada che ci offre bellissimi scorci sulle montagne coperte di vegetazione. Vediamo anche dove vivono i maya del Chiapas oggi…capanne coperte di lamiere sono la norma qui….maiali, polli e tacchini razzolano tranquilli ai bordi delle strade. Gruppi di giovani ragazze sedute sulla soglia di casa osservano il traffico, altre offrono frutta sbucciata dentro sacchetti di plastica agli automobilisti che rallentano in prossimità delle topas ( dissuasori ) disseminate lungo i centri abitati che Vanni non sempre vede! Invece vede una pelle di serpente appesa ad un bastone ai bordi della strada, rallenta, fa retromarcia per poter vedere meglio ma non c’è nessuno a cui chiedere e così andiamo oltre. Avvicinandoci alle cascate di Agua Azul il tempo peggiora e quando scendiamo da Carolina addirittura piove. Muniti di ombrello e kway affrontiamo la breve passeggiata verso le cascate, belle ma poco azzurre haimè visto il cielo grigio. Vanni fa qualche acquisto, io do una crosta di formaggio ad un cane spelacchiato che circola nel parcheggio. Ciondoliamo un po’ speranzosi che il tempo migliorerà, ma dopo un’ora ripartiamo. Naturalmente Vanni non ha dimenticato la pelle di serpente ed anzi strada facendo cerca di ricordare dove fosse. Vista! Frena e suona il clacson per vedere se qualcuno arriva, intanto io scendo per vedere meglio e vedo che non c’è solo la pelle..si tratta invece di un serpente sbudellato messo ciondoloni su un bastone. Una famigliola di indios arriva camminando sul bordo della strada, chiedo loro del serpente. Non è semplice farsi capire da un indio che vive dentro la foresta del chapas….la loro lingua non è lo spagnolo e …nemmeno la mia. Ma quando si vuole qualcosa non ci sono barriere e con un po’ di spagnolo e molta mimica riesco a far capire loro che ciò che vogliamo non è il serpente intero ma solo la sua pelle conciata. Non è bastata la multa di 2000 € per la pelle di puma concolor presa un anno fa! Comunque ci accordiamo per 600 pesos (60 US$) al ritiro della pelle che sarà tra 5 o 6 giorni. Lasciamo loro un acconto di 100 pesos perché capiscano che non è uno scherzo e ci congediamo ridendo sotto i baffi. Di fronte a certe cose non riusciamo proprio a trattenerci. Una visitina ad un villaggio Zapatista dove i bambini seguono correndo e ridendo la macchina, come fosse un gioco divertente….poi di nuovo l’hotel di Palenque. Metto in libertà i machech perché si sgranchiscano le zampette poi batto Vanni 3 a 0 a backgammon . Cena in hotel per non rischiare ulteriori dissenterie…quella di oggi è bastata!
18 Gennaio 2007
PALENQUE – YAXCHILAN – BONAMPAK
Oggi la giornata sembra migliore, il clima ci è favorevole e il mio look a maniche lunghe decisamente eccessivo. Dopo una breve telefonata alla mamma ricomincia il viaggio, i chilometri scorrono leggeri tra una topa e l’altra che non sempre vediamo. Lungo il percorso ci accompagnano le solite capanne di legno nelle quali ci chiediamo come facciano a vivere questi poveri indio. Le condizioni igieniche devono essere davvero minime. Latrine esterne di legno senza scarichi, gli animali da cortile che razzolano ovunque. Vediamo anche un gruppo di militari in borghese che corrono probabilmente per allenarsi con i loro fucili in braccio. Attorno a noi il verde è lussureggiante ed ogni tanto una cascata si intravede tra la vegetazione. Arriviamo a Bonampak verso l’una del pomeriggio. Per raggiungere le rovine dobbiamo lasciare Carolina e salire su un collettivo che veloce percorre i 9 km di distanza. Il sito visitabile è molto più piccolo di quelli finora visti e quasi deserto solo noi due ed una coppia di ragazzi con la loro guida. Subito vediamo una pista di atterraggio erbosa che attraversiamo, ed un vecchio Cesna parcheggiato sotto un albero. Subito Vanni fa la fantasia di raccontare al rientro del nostro arrivo a Bonampak in aereo, proprio come gli archeologi di passaggio qui dalla scoperta del sito. L’alta acropoli domina una grande piazza erbosa sulla quale campeggiano due grandi stele decorate. Gli edifici sono tutti sul lato Nord , vi si accede attraverso le ripide scalinate tipiche dell’architettura maya, sulle quali ci avventuriamo per raggiungere l’edificio principale. Si tratta del tempio con gli affreschi, costituito da tre piccoli ambienti coperti con false volte. Le pareti sono interamente ricoperte da affreschi risalenti a 1300 anni fa e in ottimo stato di conservazione. Sono rappresentati riti cerimoniali con danzatori e suonatori in parata, guerrieri che vittoriosi sottomettono il nemico, scene di tortura che per fortuna non risultano perfettamente visibili. Anche se siamo in mezzo alla foresta e l’umidità è forte, in questa piazza ombreggiata l’aria è piacevolmente fresca . Dalla scatola di metallo estraiamo la nostra modica quantità di tabacco e ci concediamo una sosta rigenerante. Si riparte per Yaxchilan, il cui nome ci ricorda qualcosa…con un piccolo esercizio di memoria eccoci dopo poco alla soluzione dell’enigma, si tratta di Ksar Ghilan, un’oasi nel deserto tunisino, il cui nome suona proprio simile a Yaxchilan. Seguendo le indicazioni arriviamo al centro eco-turistico “Escudo Jaguar” dove la strada in prossimità del fiume si interrompe. Scopriamo che le rovine alle quali siamo diretti si trovano a 40 minuti di battello da qui, attraverso il fiume, quindi per oggi non se ne parla. Certo la Lonely Planet nonostante tutti i suoi difetti ci avrebbe risparmiato l’inconveniente. Prendiamo una cabana e prenotiamo la lancia per domani mattina alle 9. Mentre sostiamo ancora basiti davanti all’ufficio turistico incontriamo Marco e Laura, viaggiatori toscani con una discreta conoscenza del sudamerica. Rimaniamo a chiacchierare delle rispettive esperienze di viaggio per almeno un’ ora e impietositi ci regalano la loro guida Routard del Messico. Per ricambiare tanta generosità li invitiamo poi a cena, in fondo è un’ occasione per poter proseguire l’interessante scambio di opinioni. Buona notte.
19 Gennaio 2007
YAXCHILAN – LAS NUBES
La giornata inizia con 40 minuti di lancia per risalire il fiume Usumacinta fino alle tanto attese rovine di Yaxchilan. Il fiume è larghissimo e limaccioso, ogni tanto traballiamo un po’ sull’ affusolata piroga a motore sulla quale siamo gli unici passeggeri. Abbiamo freddo, l’aria della mattina qui è davvero fresca e noi come al solito non abbiamo pensato di aggiungere qualcosa alla solita maglietta. Arriviamo finalmente, e ci incamminiamo attraverso un sentiero che si snoda lungo la foresta Siamo soli….attorno a noi solo silenzio e la natura rigogliosa. La situazione paradisiaca improvvisamente si complica, il sentiero ci porta ad un antico edificio, detto il labirinto, che dobbiamo attraversare per entrare alla plaza central , Vanni è andato avanti ed io mi trovo nel buio totale di questo stretto corridoio, non vedo nulla ma sento lo squittio dei pipistrelli sopra la mia testa. Non so dove mettere i piedi e così aziono il flash della minolta. Sento la voce di Vanni e vedo un chiarore che seguo, dopo pochi passi e due scalini si spalanca di fronte a me la grande piazza erbosa delimitata sui due lati dagli edifici che costituiscono il cuore dell’antica città maya che vide il suo periodo di massimo splendore tra il 400 ed il 900 d.c. Esploriamo gli edifici, vediamo le stele scolpite a bassorilievo e soprattutto respiriamo la magia di questo luogo ancora deserto. Solo il grido di una scimmia urlatrice ad accompagnarci. Ci arrampichiamo sull’immancabile scalinata che conduce al tempio 33, l’unico che conserva intatta l’alta cresta di mattoni, il più suggestivo di questo sito. Poi la lunga passeggiata attraverso la foresta per raggiungere anche i gruppi di edifici più lontani. I piedi appoggiano a volte su pietre scivolose o radici, l’umidità qui sotto è altissima. Arriviamo sudati ma felici all’approdo dove Juan ci aspetta per il rientro. Ora il fresco del fiume è piacevolissimo e ce lo godiamo seduti l’uno di fronte all’altra osservando il paesaggio che sfila sotto i nostri occhi.. Ma ecco, Juan ha una sorpresa per noi….sulla sponda guatemalteca vediamo coccodrilli che aspettano una qualche preda da divorare. Rientriamo davvero rinvigoriti per la bella energia assorbita camminando tra gli alberi sacri di Yaxchilan. Si riparte verso Las Nubes che vediamo sulla cartina vicinissimo alla laguna Miramar.che ci interessa vedere…ma sbagliamo strada…anzi, seguendo i cartelli stradali ci ritroviamo su una strada ancora in costruzione ma ormai siamo andati troppo oltre e non conviene tornare indietro. Insomma la strada è quasi interamente sterrata e spesso in pessime condizioni ma ci consente di attraversare le bellissime pendici della sierra con paesaggi davvero mozzafiato. Arriviamo a Las Nubes quando anche l’ultimo raggio di luce si sta spegnendo, per scoprire che la laguna Miramar è a sei ore di viaggio…1 di auto, 3 di lancia e 2 di treking. Rimandiamo a domani la decisione, per il momento ci accomodiamo nella nostra spartana cabania dalla quale sentiamo forte il fragore della cascata a pochi metri da noi. Unici ospiti di questo villaggio ecologico concordiamo la cena con la signora indio che gestisce il ristorante. Mangiamo divinamente i manicaretti tipici del posto e poi a letto.
20 Gennaio 2007
LAS NUBES – SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS
La decisione è di non andare alla laguna ma di proseguire verso San Cristobal de Las Casas con una piccola deviazione per visitare una chiesa di cui ho visto uno scampolo di facciata in una foto qualche giorno fa. E’ stato amore a prima vista quindi una sosta si pone necessaria. Arrivati nei pressi non vediamo nessun paese, solo qualche casa sparsa ed un cartello che indica di seguire una improbabile strada sterrata che seguiamo. Dopo un paio di chilometri un cancello chiuso ci sbarra la strada quindi torniamo indietro fino ad un bivio. Dobbiamo a tutti i costi trovare la chiesa, proviamo a seguire l’altro sentiero che però si interrompe vicino ad una pozza d’acqua, dove tre ragazze a mollo fino a metà coscia stanno facendo il bucato. Altro che lavatrici! Chiediamo notizie della chiesa , ci rispondono di aprire tranquillamente i cancelli che incontreremo e di proseguire oltre. Dopo un paio di stop ecco vediamo tra l’erba alta dei campi quello che rimane della bella chiesa di San Josè Coneta. Apriamo l’ultimo cancello fatto di legno e filo spinato e, facendoci strada tra l’erba alta, arriviamo proprio di fronte al portale di ingresso. Non è rimasto quasi nulla di questa che doveva essere la pieve dell’antico borgo, solo i muri perimetrali e la facciata che mi piace da morire per le sue proporzioni ed i decori in rilievo. Una cosa che mi ha colpita osservando le chiese di questa parte del Messico è che i decori di facciata, quando presenti, hanno soggetti che si discostano da quelli tradizionali dell’iconografia cattolica classica. Sono grandi uccelli piumati che sembrano draghi o fiori e foglie rotondeggianti a formare texture bianche sull’intonaco talvolta colorato. Sono così somiglianti questi soggetti ai ricami delle loro grandi sciarpe che vien da pensare che qui il cattolicesimo abbia dovuto anche da un punto di vista estetico adattarsi alle tradizioni locali preesistenti. Ritorniamo sui nostri passi percorrendo a ritroso il viottolo di campagna. Siamo diretti a San Cristobal de Las Casas città coloniale sulla Sierra del Norde del Chiapas a ben 2200 m di altitudine. L’aria si fa sempre più pungente e la giornata di digiuno si fa sentire….inizio ad infamare Vanni per questo digiuno forzato che mi ha davvero esasperata. Scazzo totale. Non riesco nemmeno a concentrarmi sulla scelta dell’hotel e quando finalmente riesco a mettere una quesadilla sotto i denti mi prende anche per il culo lanciandomi un – se magna! -…sono già le 5 p.m. e l’ultimo boccone è stata l’ ananas di questa mattina alle 8. Se potessi me lo mangerei il Vanni!Alla fine scegliamo l’hotel Ciutad Real , l’unico con calorifero elettrico n camera ma piuttosto caro vista la media dei prezzi…1500 pesos per 2 notti. Ceniamo in un ristorante consigliato da Routard che però ha cambiato gestione e mangiamo male ma finiamo poi in un posticino carinissimo con musica dl vivo. Un gruppo esegue brani tra il jazz ed il reggae, il clima è piacevolmente internazionale, piacevolissima serata al “Revolution”.
21 Gennaio 2007
SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS
E’ domenica oggi…giornata di mercato nel vicino San Juan Chamula dove andiamo presto per assistere ai riti religiosi delle comunità Tzotziles e Lacandona, i discendenti maya di queste regioni. Quello che vediamo all’interno della chiesa del paese (ingresso a pagamento) è davvero speciale. Nessun crocifisso sull’altare, solo una fila di santi dentro teche allineate sui lati dell’unica navata. Centinaia di ceri e candele di ogni dimensione e colore sono accese ad occupare parte del pavimento o a ricoprire l’intera superficie di grandi tavoli. Odore di incenso. Le parti di pavimento non occupate da candele o da indios seduti a terra, sono coperti di aghi di pino, per loro sinonimo di purezza Non esistono panche in questa chiesa, né crocifissi, gli indios non hanno mai accettato completamente la religione cattolica, ne hanno solo acquisite le figure dei santi ai quali poi hanno attribuito valenze del tutto pagane. Alcuni uomini vestiti con corti ponchos di lana neri legati in cintura, eseguono riti ai piedi dei santi, altri praticano lo sciamanismo su alcune donne inginocchiate. Passano vicino ai loro corpi polli vivi tenuti per le zampe ed il collo come in una sorta di danza. Sono tanti gli indio inginocchiati o seduti, tutti vestiti con i loro poncho o gonne di lana nera dal pelo lungo, non so perché ma mi commuovo, abbraccio Vanni e scoppio in un pianto liberatorio…di cosa io mi sia liberata non so proprio, ma poi sto benissimo. L’atmosfera raccolta e festosa dell’interno non è nulla rispetto a ciò che succede fuori, nella piazza del mercato. Questi pazzerelli fanno esplodere dei botti in un mortaio di ferro, mentre una processione di indios negli abiti tradizionali, sfila a dorso di mulo o a piedi davanti alla chiesa ed all’edificio di fianco. Che emozione! Si aggirano nella piazza del mercato e sotto un porticato laterale, i cacicchi vestiti con un poncho bianco legato in vita e armati di randello. Una sorta di vigilantes pronti a scattare all’attacco dei turisti irrispettosi che osano fotografare i loro riti. Ci sediamo davanti ad una fila di loro, stanno seduti sotto una pensilina, sono anziani e indossano tutti lo stesso abito tradizionale. Hanno l’aria serena e felice, bevono tequila e fumano sigarette…sono i giudici delle tribù. Gli indios che per un qualche motivo abbiano problemi con la moglie o con altri indios , si rivolgono a questo tribunale di anziani che giudica senza possibilità di appello le varie responsabilità . Sono incredibili! Rientriamo a San Cristobal per vedere le belle chiese e gustare il passeggio domenicale. Club Sandwich in camera e più tardi al Revolution.
22 Gennaio 2007
SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS
Oggi abbiamo appuntamento con Alfonso per ritirare la pelle di serpente che nel frattempo dovrebbe avere conciato. Ci separano da lui circa 160 km di montagna ed una quantità imprecisata di odiosissime topas…è una follia andare ma la voglia di avere quella pelle dissipa ogni titubanza. Dopo quasi quattro ore di viaggio siamo nei paraggi ma non riusciamo a riconoscere il punto esatto dell’appuntamento. Sono loro a trovarci…ad un certo punto una corda tesa ci sbarra la strada, una indio si avvicina al finestrino e chiede il mio nome. Mentre le rispondo la riconosco e con un sorriso di gratitudine scendo da Carolina. Prepariamo i 500 pesos che ancora dobbiamo loro a saldo del prezzo concordato e andiamo seguendola, sull’altro lato della strada. Dalla vegetazione esce Alfonso con la pelle di serpente arrotolata attorno ad una scatola di Pringles. Non oso toccarla, sembra ancora viva. Inizia una specie di contrattazione…l’indio cerca di fare il furbo chiedendoci 1600 pesos anziché i 600 concordati, adducendo a motivo la particolare bellezza di questo serpente del quale ci dice anche il nome impronunciabile che immediatamente dimentichiamo.. Ma non molliamo e gli lasciamo i 500 pesos in cambio del bottino chiuso dentro un sacchetto di plastica. Agua Azul è a pochi chilometri e la voglia di rivedere quelle belle cascate con il sole ci convince a deviare di qualche chilometro. Otto ore in macchina senza mai scendere a fare due passi sono decisamente troppe…ne approfitto mentre Vanni preferisce rimanere in macchina dicendo che quelle cascate in fondo le ha già viste anche se in condizioni climatiche sfavorevoli. Io invece mi spingo oltre, seguendo il corso del fiume azzurro mosso dalle innumerevoli cascate. Cammino tra gli alberi che ne seguono la riva. Che differenza di colori rispetto alla prima sfortunata visita! Sono proprio contenta di rivedere questo bel posto in condizioni climatiche più favorevoli… ed anche vagamente invidiosa di questi che si tuffano nelle tranquille pozze d’acqua di questo fiume azzurro…..ma la pigrizia ahimè vince sempre . Rientrando verso San Cristobal ci fermiamo in un negozio che, leggiamo, vende ambra. Vanni riesce ad acquistare un bel pezzo di ambra gialla da 500 grammi ad un ottimo prezzo, 15 pesos al grammo rispetto ai 20 di un negozio a San Cristobal. Un affarone. Proseguiamo tra le montagne lungo la strada tortuosa ed arriviamo finalmente in hotel piuttosto stanchi ed affamati. Una pizza da Tito e rientriamo nel calduccio della nostra 207.
23 Gennaio 2007
SAN CRISTOBAL – MITLA
Che dire di oggi…tutta la giornata trascorre in macchina per raggiungere Oaxaca a 600 km da San Cristobal…un’altra follia, soprattutto considerando che anche ieri abbiamo trascorso l’intera giornata in viaggio. Non raggiungiamo però Oaxaca, ci fermiamo a Mitla , famoso sito archeologico che ci capita proprio sulla strada che stiamo percorrendo. La sosta si rende necessaria, è già l’imbrunire quando raggiungiamo l’hotel Don Cenobio. Inizia l’operazione serpente. Vanni va a prenderlo in macchina e lo srotola dal cilindro delle Pringles, ma è accartocciata, evidentemente l’indio non ha fatto un buon lavoro. Non sapendo cosa farne, Vanni scrive ad alcuni amici in cerca di consigli che arrivano dopo poco. Usciamo allora per reperire gli strumenti necessari: sale fine, cilindro di cartone dove arrotolare la pelle, contenitore di plastica per stivarlo e puntine per fissarlo al cilindro. Vanni inumidisce la pelle e la stende nella doccia, quindi andiamo a cena da “Dona Chica” dove mangiamo bene in un ambiente decisamente piacevole. Quando rientriamo la camera è appestata di un odore pungente, simile a quello del pelo di cane bagnato. Spalanco la finestra mentre Vanni dentro la doccia esegue le operazioni suggerite dagli amici. Esce dal bagno con un cilindro bianco inodore….ne sono estremamente soddisfatta! Tocco finale accende un sigaro a dissipare anche il ricordo di quel serpente. National Geografic in tv e …
24 Gennaio 2007
MITLA – OAXACA
La giornata inizia con una bella colazione nel giardino del Don Cenobio, c’è un bel sole a scaldarci! Andiamo quindi al sito preispanico di Mitla, la cui visita non richiede molto tempo. E’ l’ultimo nucleo edificato nell’ area di Oaxaca prima dell’arrivo degli spagnoli che costruirono la loro chiesa proprio sopra una parte degli edifici preesistenti. Che arroganza! Sono belli questi edifici, decisamente orizzontali, decorati con mosaici di pietra a disegni geometrici in rilievo. Questo tipo di decorazione astratta rivela una svolta nella rappresentazione del dio, o degli dei, che non hanno più un volto o non sono più un uccello o un sole, ma un’idea astratta. Ci perdiamo tra le corti, le cui pareti perimetrali sono segnate appunto dai fregi costruiti con migliaia di parallelepipedi di pietra incastrati l’uno nell’altro… siamo felici. Facendoci largo tra i grandi cactus saliamo su Carolina e ci avviamo verso Oaxaca dove arriviamo direttamente alla Toyota per vedere se è possibile sostituire la frizione. Ma non ci vengono offerte molte speranze…Vanni fa vedere al tecnico il ricambio comprato in Bolivia, ma oltre a questo pare servano altri due pezzi. Uno si trova a Los Angeles e può arrivare a Città del Messico in 8 giorni, ma l’altro deve arrivare direttamente dal Giappone in un tempo imprecisato. Vanni si deprime. Che fare? Intanto andiamo in hotel, naturalmente scegliamo il Best Western “ Parador del Dominico”, tanto per fare felice il Vanni. Lo lascio alle 2.45 p.m. con il portiere dell’hotel che lo deve accompagnare al garage, ma dopo più di mezz’ora di Vanni non c’è traccia e nemmeno del portiere. Non mi preoccupo…immagino lo abbia convinto ad accompagnarlo da un bravo meccanico per vedere cosa si può fare…perché Carolina deve resistere almeno un altro mese on the road . Prevedendo un rientro tardi di Vanni esco alla scoperta di Oaxaca, il clima è perfetto…ed il sole splende ancora. In fondo non mi dispiace trovarmi sola ogni tanto nelle mie esplorazioni….Dopo aver visto in un paio d’ore il bel complesso di San Domenico costituito dalla cattedrale ed il convento adibito a museo, vado verso la piazza principale, lo Zocalo. Lungo la strada pedonale una serie di negozi di artigianato e molte gallerie d’arte moderna nelle quali ogni tanto entro a dare un’ occhiata. La grande piazza è come da copione piena di aiuole fiorite, in questo caso di stelle di natale, ed ombreggiata dai grandi alberi carichi di foglie. C’è molta gente qui, i messicani adorano sostare nelle loro piazze…lustrascarpe, bambini che vendono ninnoli, alcuni anziani che leggono il giornale, uno spazzino e molti passanti. Al centro del giardino-piazza un gazebo di ferro battuto, forse utilizzato un tempo per concerti di musica dal vivo. Invece oggi la musica è su un lato della piazza dove un gruppo esegue musica tradizionale. Si crea subito una fitta folla in quell’angolo, così decido di sedermi sull’altro lato, a godermi questo spaccato messicano in compagnia di un Cuba Libre e delle immancabili quesadillas . Ne approfitto per sfogliare i numeri della rivista “Archelogia” che ho comprato poco fa al museo. Mentre gusto la mia merenda osservo i passanti, ascolto la musica e ricevo un messaggio dal desaparecido che mi conferma ciò che avevo supposto un paio d’ore fa. Carolina è sotto i ferri! Rientro al tramonto nella comoda abitacion e mi prendo un po’ di relax. Vanni arriva alle 8.30 p.m. sporco come un meccanico e stanchissimo. Mi racconta tutte le vicissitudini del pomeriggio, il labirinto di indicazioni che lo hanno portato finalmente da Miguel che con mani esperte ha iniziato a smontare Carolina pezzo dopo pezzo raccogliendo mezzo secchio di viti, bulloni ed altro. Fanno tutto loro…rettificheranno i due pezzi esistenti della frizione e sostituiranno quello nuovo boliviano. Vanni è perplesso sull’operazione di reinstallazione del cambio che a quanto pare pesa moltissimo ed il Miguel ha un’officina davvero basic! Ceniamo in una marisqueria vicina all’hotel , poi Vanni crolla stremato mentre io cerco di leggere in spagnolo il numero della rivista “archeologia” dedicato a La mujer en el mundo prehispànico.
25 Gennaio 2007
OAXACA
Scendo per la colazione poco dopo l’uscita di Vanni….oggi ho voglia di curare un po’ il look e così mi infilo da un parrucchiere per un manicure e pedicure. Esco dopo un paio d’ore letteralmente massacrata, la prestazione della signorina che si è “presa cura” di me è stata a dir poco devastante soprattutto sulle dita delle mie mani sulle quali si è accanita a tagliare pellicine che non dovevano essere tolte, a limare maldestramente con una lima che sembrava più da legno che da unghie ed infine si è esibita nella difficile esecuzione dello smalto alla francese (con riga bianca) che ha eseguito ovviamente in modo pessimo lasciando smalto bianco anche sotto l’unghia. Terminata la tortura decido di riprendermi con una visita al museo di arte contemporanea che mi restituisce il sorriso ed allevia il bruciore che ancora sento attorno alle unghie. Decisamente interessante, ricavato in un edificio coloniale riadattato a museo. C’è un sole magnifico e la temperatura è piacevole, passeggio per le vie del centro poi atterro su una panchina dello Zòcalo con un bel gelato da gustare. Osservo le persone che ne affollano le zone in ombra, sono giovani fidanzatini, signori e signore di ogni età, qualche mendicante e molti lustrascarpe. Alcuni passeggiano sotto gli alberi altissimi e dalle chiome ampie, molti sono seduti su ogni superficie papabile. La serenità che si respira in questa piazza è unica, ma poi mi stanco e vado verso il mercato coperto dove vedo, si vende di tutto, dai fiori ai formaggi, frutta, verdura, cibo pronto, oggetti di pelletteria e di abbigliamento, peperoncini di tutti i colori e dimensioni, carne, rametti di erbe, acquari, statuette di Gesù Cristo ed altri oggetti legati alla superstizione ed ai riti magici. Ne esco divertita e soddisfatta, decido di fare un salto all’officina per un reportage fotografico a sorpresa. Vanni ieri mi aveva vagamente detto la zona in cui si trova l’officina e , miracolosamente la trovo. Vanni è già sporchissimo anche se sono solo le 3 del pomeriggio, si vede che qui si diverte! Dà una mano al meccanico, osserva gli addetti alla rettificazione, e sovrintende! E’ sorpreso di vedermi qui ma felice del reportage per il quale inizio subito a scattare. Dopo una sigaretta insieme lascio l’officina per tornare allo Zòcalo, ho una commissione da svolgere.. devo informarmi alle poste se è possibile ed a quale costo, spedire le due statue colombiane che ingombrano e pesano un quintale! Ma nulla da fare il pacco più pesante spedibile non può superare i 25 kg. Siamo decisamente fuori range! Ceniamo nel patio di un bel ristorante nei pressi del San Domenico, L’aria è freddissima, camminiamo come fulmini verso il tepore della Hosterìa de Alcalà dove finalmente Vanni trova in menu la sua tartare di carne ed io mi gusto la favolosa zuppa Azteca ( Zuppa di pomodoro e poche altre verdure, con tortillas fritte tagliate a striscioline, avocado e formaggio in cubetti da aggiungere, serviti a parte) Una vera squisitezza! Assaggiamo anche il famoso Mole negro, la salsa tipica di questa regione che viene solitamente servita con il pollo. E’ molto complessa da preparare, direi anzi irripetibile. Gli ingredienti sono il cioccolato, 40 spezie diverse e ben 20 tipi di peperoncino, il risultato è una delizia.
26 Gennaio 2007
OAXACA
Anche per oggi non si parte da Oaxaca, con i nostri ritmi sembra strano rimanere in una cittadina come questa per ben 3 giorni…ma Carolina sarà pronta solo domani. Avendo già assaporato Oaxaca in ogni suo aspetto decido di andare in un paesino a mezz’ora di taxi da qui, si tratta di Cuilapan, noto per il suo grande monastero. Scendo dal taxi che mi è costato 120 pesos, l’equivalente di 10 € , e mi incammino verso la grande mole di pietra sulla quale campeggia una cupola rossa. E’ intrigante l’atmosfera che respiro aggirandomi tra le rovine della vecchia chiesa a tre navate. Il tetto non c’è ovviamente più e di una fila di colonne rimangono solo le basi di fattura classica. Le pietre che ne costituiscono le colonne rimaste e le bordature delle finestre hanno sfumature di colore che variano nelle tonalità pastello dal verde al sabbia o all’ocra. .Il convento, che si sviluppa attorno ad un bel chiostro, è stato restaurato in modo più sistematico, ed oltre ad essere coperto, presenta ancora ciò che rimane degli affreschi originali. Mi soffermo in particolare su uno di questi che presenta una serie di file di piccolissimi santi e martiri. Mi piace…sembrano angioletti o diavoletti. Rientro ad Oaxaca e vado subito alla casa di spedizioni Red Pack per verificare le possibilità di spedire queste benedette statue che improvvisamente non sopportiamo più di avere in macchina. Rimango una mezzora a parlare con la signorina disponibilissima che telefona ai vari uffici collegati per avere maggiori delucidazioni. Insomma il problema non è più il prezzo che con un peso totale da spedire di 62 kg ammonterebbe a poco più di 6000 pesos. Il problema è dimostrare che le due statue non sono oggetti di antiquariato e Vanni ha portato in Italia la lettera nella quale lo scultore dichiara che si tratta di copie. Come fare? Vanni inizia a chiedermi dove posso aver messo il biglietto da visita di Fabio, la guida che ci aveva portati dallo scultore. Cerco nell’agenda ma niente….potrebbe essere tra i libri comprati nel suo ufficio di San Augustin. Indagheremo…per il momento le statue restano con noi.
28 Gennaio 2007
PUERTO ESCONDIDO
Il viaggio di ieri verso Puerto Escondido è stato tostissimo …260 km di montagna con topas a go go a scandire ogni centro abitato, inoltre un’altra grana con Carolina: il blister della balestra posteriore sinistra rotto. Tutto questo ha vanificato il relax della passeggiata mattutina ad Oaxaca, mirata all’acquisto dello squisitissimo mole da portare in Italia. Comunque arriviamo giusti in tempo per il bel tramonto dalla terrazza dell’hotel Posada Real, strategicamente collocato su un promontorio a ridosso della spiaggia di Bacocho, ad 1.5 km da Puerto Escondodo. Viene da chiedersi se si tratti proprio del Puerto Escondido di Salvatores. Dopo una doccia siamo di nuovo in auto per andare in paese, l’atmosfera qui in hotel è un po’ troppo lessa ed abbiamo qualche pretesa in più per il nostro sabato sera. Ceniamo bene all’ Estrella del Mar, sul lungomare pedonale del paese, poi un drink al Mosquito che diventano due. Vanni chiede al cameriere dove si possa comprare un po’ di marijuana, ma dopo una risposta immediata del tipo – ma qui!- non concludiamo l’affare…- forse domani-.
Mi sveglio tardissimo. Con l’unico occhio già aperto vedo Vanni venirmi incontro con la mia colazione, ananas e tè. E’ un amore! Andiamo subito alla bella spiaggia sotto l’hotel dove occupiamo un ombrellone di canne e due poltrone di legno. Siamo circondati dalle palme, è bellissimo qui. Rocce scure arrotondate dall’acqua emergono dal mare , altre segnano la spiaggia scura dove le onde si rifrangono con una forza davvero oceanica. E’ bellissimo qui, ne sono affascinata. Il resto della lunga spiaggia è deserto e la forza del mare attribuisce a questo posto una connotazione davvero selvaggia. Dopo un breve cauto bagno che mi concedo nell’acqua blu, attenta a rimanere nella parte sottocosta rispetto alle onde gigantesche, per lo meno per non finire spappolata su una di esse, strappo Vanni dalla lettura ed insieme ci avventuriamo verso nord, lungo la spiaggia. Le frange schiumose delle onde arrivano sulle nostre caviglie con una forza incredibile, procediamo verso le rocce che concluderanno la nostra passeggiata. Le rocce sono davvero invitanti…non c’è nessuno nel raggio di centinaia di metri.. va da sé che facciamo l’amore tra la sabbia, tra le rocce appuntite. Infine un bel bagno tra la schiuma, quasi travolti dalla risacca. Quel che rimane del pomeriggio trascorre mollemente tra lettura, un back-gammon e due chiacchiere. Al tramonto ci posizioniamo nel giardino dell’hotel , seduti su due sedie a dondolo sul prato curatissimo che affaccia sulla spiaggia e sul mare sottostanti. Due “cuba libre” ed il tramonto che però finisce nel sacco.
29 Gennaio 2007
PUERTO ESCONDIDO
Giornata trascorsa in spiaggia, nel bagno dell’hotel, il Cocos. Proprio come ieri la giornata è fantastica e le onde piuttosto alte. Vengo travolta proprio da una delle più intense della sequenza mentre con maschera e pinne in mano cerco di arrivare camminando al punto in cui le onde ancora non rifrangono, a pochi metri dal bagnasciuga. Quasi perdo una pinna nel corso di questo corpo a corpo con l’onda gigante, ma mi rialzo e imperterrita proseguo….ci sono i pesci tropicali che mi aspettano! Vedo ancora i pesci pappagallo, nelle varie tonalità di colore, neri a pois bianchi, tutti gialli o bianchi a pois neri, poi un branco di pesci ovali con la coda gialla. C’erano anche ieri proprio nello stesso punto….evidentemente hanno colonizzato queste rocce. L’acqua però non è molto limpida oggi , plancton e sabbia disturbano il mio snorkeling! Nel pomeriggio arriva anche Vanni, in rientro dall’officina, mi racconta delle peripezie per recuperare i blister che comunque ha dovuto far adattare perché non originali. Una bella passeggiata tra le rocce ed una partita che perdo. Cena in paese da “Pascal” con i tavolini sulla spiaggia ed ottimo cibo. Cari i superalcolici rispetto al resto del menu, ma i miei gamberoni sono favolosi ed anche la T-bon di Vanni.
30 Gennaio 2007
PUERTO ESCONDIDO – ACAPULCO
Un viaggione quello di oggi …..400 km di strada non proprio scorrevole per un totale di più di 7 ore in auto con una densità di topas sulla strada davvero impressionante. Ne abbiamo contate una media di 60 ogni 70 km. Fermarsi e ripartire 60 volte con l’inevitabile sobbalzo è una violenza inaudita. Mi esce spontanea una proposta a Vanni: un sit-in davanti al ministero dei trasporti di Mexico city intitolato “ liberiamo il Messico dalle topas”. Arriviamo distrutti e sudatissimi all’ hotel ”Aca Bay”, definito chic dalla Routard, dove occupiamo una camera scassatissima al 14° piano, ma con vista mare ed a soli 700 pesos a notte. Addirittura devo far sostituire le lenzuola che non sembrano proprio pulite e il condizionatore, necessario con questo caldo, fa un rumore assordante. Al di la della bellezza naturale rappresentata dalla grande baia attorno alla quale la città si è sviluppata, Acapulco ha perso nel corso degli anni il fascino che l’aveva resa famosa. Il degrado della zona dorada dov’è il nostro hotel e del centro storico è scoraggiante e quasi ci pentiamo di aver preso la camera per due notti. Dopo una prima occhiata in effetti vorremmo già ripartire. Ceniamo al “100% natural”, un ristorante che si sviluppa su un piccolo molo proteso nella baia , se non altro l’atmosfera è rilassante! Il mal di testa non molla ed il rumore del condizionatore insopportabile, ad un certo punto sveglio Vanni ( che ha bisogno di dormire a temperature polari )e gli dico stizzita che cambio camera. Si alza di scatto ed abbassa il condizionatore, altrettanto stizzito. Finalmente si dorme!
31 Gennaio 2007
ACAPULCO
Non possiamo mancare oggi allo spettacolo dei tuffatori alla Quebrada, una roccia sulla quale i “clavadores” si arrampicano per poi tuffarsi nella stretta lingua di mare sotto di loro. Spettacolo caratteristico di Acapulco che tutti abbiamo visto nel corso della nostra vita almeno una volta in tv. Si esibiscono diverse volte al giorno, compresa la sera con le fiaccole, noi assisteremo al tuffo delle 11. Paghiamo il ticket di 35 pesos a testa ed aspettiamo che i tuffatori arrivino. Ecco il primo che dalla terrazza nella quale siano scende in mare attraverso le rocce per poi arrampicarsi su quelle a picco di fronte a noi. Siamo già emozionantissimi, nel vedere questo ragazzo muscoloso che si arrampica come un ragno sulla roccia che a noi sembra quasi piatta, rischiando già solo per questo la sua vita. Il secondo ragazzone, molto più stile tartan del primo, arriva invece dall’alto e si ferma qualche metro più in alto del primo. Il primo tuffo è quello fatto dalla minore altezza, spettacolare! Lo fotografo poi abbandono la Minolta per eccesso di emozione, mi tremano le gambe all’idea del secondo tuffo così dall’alto….ed ecco la spinta, la capriola ed il tuffo. Per fortuna sono sani e salvi questi coraggiosi atleti, che ora si muovono come eroi tra noi del pubblico, non avrei saputo come affrontare una morte in diretta con il mio psicanalista a migliaia di km da qui. Rientriamo in hotel per poi proseguire io in spiaggia e Vanni in aeroporto per informazioni. L’idea è quella di lasciare Carolina a La Paz, in bassa California e di arrivare da li a Città del Messico in aereo. Arriva dopo qualche ora con una grande notizia: la Acapulco inn è dall’altra parte della baia, quella che vediamo piena di grattacieli sul mare. Andiamo per una ulteriore perlustrazione….forse riuscirò qui a trovare un parrucchiere degno di fiducia….esco infatti alle 18.30 rossa più che mai dall’atelier che la receptionist di un grande albergo, alla quale chiedo, mi consiglia. Sono pronta per proseguire l’esplorazione della “zona diamante”. Vanni puntualissimo è fuori ad aspettarmi, salgo su Carolina e partiamo. La città qui sembra un’altra in effetti…tutto è curato ed i grandi edifici nuovi ed in alcuni casi non privi di una certa bellezza…come questo misterioso cubo di legno e vetro che vediamo salendo in auto verso l’aeroporto. Non resisto e chiedo a Vanni di fermarsi, voglio proprio vederlo da vicino questo gioiellino di architettura contemporanea. Una passerella di legno sospesa sopra a basse vasche d’acqua dà accesso alla volumetria minimale di vetro e legno di quella che scopro essere la reception di un elegante ristorante italiano: “il Becco”. Dentro al cubo infatti, dietro ad un piccolo cilindro bianco incontro due ragazze bellocce ed eleganti che provvedono a spiegarmi di cosa si tratta….questa sera non ho dubbi, verremo qui a cena! Non mi ci è voluto poi molto per riconsiderare il giudizio forse un po’ affrettato espresso ieri sul degrado di Acapulco…dopo il colpo di fulmine del tardo pomeriggio di oggi, sono disposta a ritrattare tutto. Finalmente immersa nel mio elemento, un bel pezzo di architettura contemporanea, sento tutto il piacere ed assorbo tutta l’energia che questo incontro ravvicinato mi dà. Sono in estasi. Scendiamo la prima rampa della scala elicoidale bianca che termina al piano del bar. La passerella, che percorriamo in parte per raggiungere la seconda rampa di scale, delimitata da balaustre di vetro, si apre sulla grande volumetria del locale, proiettato sulla bella baia illuminata della città. Nessun filtro tra noi e la notte su Acapulco….nemmeno un vetro. Estasiati ci accomodiamo nel tavolo più esterno dove continuiamo a godere della bellezza che ci avvolge e del buon vino e dell’ottimo robalo ( branzino ) all’arancia e dell’incredibile panorama. Il proprietario viene per un saluto agli unici ospiti italiani della serata, è di Sanremo. Vanni pensa subito ad un riciclaggio di denaro da parte della mafia legata al casinò. Io non penso a nulla di tutto ciò ma mi informo sull’identità del progettista…i miei complimenti all’architetto Rafael Sama ! Rientriamo alla catapecchia che questa sera affrontiamo con maggior serenità, e se ne riparla domani.
01 Febbraio 2007
ACAPULCO – IXTAPA
Partiamo da Acapulco nella tarda mattinata, non senza prima aver fatto un doveroso giro diurno nella zona “in” della città! Vediamo tutta la baia e le tante ville disposte sul declivio verso il mare. Da quassù si domina davvero tutta la baia e l’isola in fondo, di fronte a noi. Procedendo verso l’autostrada vediamo oltre il promontorio, un’altra baia altrettanto protetta ma meno edificata. Poi la strada abbandona il mare e procedendo verso nord raggiungiamo dopo qualche ora Ixtapa e Zihuatanejo, due stazioni balneari a pochi chilometri di distanza l’una dall’altra. Ixtapa dalla grande spiaggia disseminata di grandi alberghi, l’altro invece, dal nome impronunciabile, un piccolo paese di pescatori che si affaccia su una piccola baia piena di pellicani Andiamo subito al Best Western “Posada Real” ma 1900 pesos a notte ci sembrano troppi, considerando che nel bell’ hotel della stessa catena a Puerto Escondido la camera ci è costata solo 920 pesos! Invertiamo la rotta e andiamo a vedere come funzionano le cose a Zihuatanejo. Non abbiamo fretta, ci fermiamo per una merenda in un ristorantino sulla spiaggia dove divoro un ottimo “avocado con gamberi in salsa” mentre Vanni assaggia solo e beve una cervesa . Andiamo poi verso l’hotel “ la casa che ride”, segnalato dalla guida Mondatori e con un costo ipotetico di più di 140 USD. Meraviglioso, con giardino zen ed incredibile vista sulla baia…ma l’unica camera disponibile è la suite con piscina privata che ci costerebbe 750 USD a notte. Poco dopo rimbalzo via anche dal “la villa del sole” ,che si propone ad un costo di 430 USD….insomma questo BW “Posada Real” sembra l’unico buon hotel a costi contenuti, visti gli altri! Torniamo quindi ad Ixtapa e ci accomodiamo alla 414 del quarto ed ultimo piano, naturalmente vista mare. Almeno questo BW non è un colosso come gli altri che abbiamo visti arrivando ed è sulla spiaggia, quindi comodissimo. La camera è piacevolmente variopinta ed accogliente…possiamo ritenerci soddisfatti della scelta. Ceniamo malino in hotel e poi a nanna.
02 Febbraio 2007
IXTAPA
Vanni non c’è quando mi sveglio alle 9.30…Carolina con tutti i suoi acciacchi gli dà del filo da torcere! Me la prendo con molta calma. Ascolto il notiziario della CNN , aggiorno il diario e poi scendo alla grande spiaggia. Il cielo è favolosamente azzurro e le onde un po’ meno impetuose di quelle di Puerto Escondido. All’orizzonte la lunga linea scura del Pacifico è interrotta solo da un gruppo di rocce emergenti al largo della costa. Un paio di motoscafi sfrecciano avanti e indietro con i loro paracaduti carichi di turisti, qualcuno fa il bagno, molti sono al bar della piscina a consumare all’infinito il loro all inclusive, io mi sistemo sotto un ombrellone coperto di foglie di palma a leggere il mio libro “Messico” di Emilio Cecchi, letterato toscano che insegnava in California negli anni ’30. Racconta del suo viaggio attraverso la California ed il Messico. Vanni arriva poco dopo e scatta una bella nuotata a caccia dei pochi pesci da vedere qui. Mentre siamo tranquillamente immersi nelle rispettive letture qualcosa passa quasi sfiorando l’ombrellone. La velocità è così alta che sentiamo un sibilo accompagnare il passaggio. Ci alziamo in piedi e ci spostiamo per vedere meglio….un gruppo di paracadutisti sta scendendo in ordine sparso sulla spiaggia, alcuni hanno agganciato davanti a loro un passeggero. Scatta subito la curiosità e non solo… vado ad informarmi e ci prenoto per il Skydive delle 15. Che meraviglia…finalmente faremo ciò che desideriamo da tempo….un bel tuffo in caduta libera da 13.000 piedi di altezza! Siamo entusiasti ed entrambi viviamo una strana sensazione …una sorta di emozione che precede il fare una cosa tanto desiderata, quanto estrema. Alle 15 siamo puntuali all’appuntamento nel bagno di fianco al nostro. Un gruppo di giovani ragazzi americani e messicani, rasta e non, stanno preparando le attrezzature del caso, sono tutti i ragazzi del team, sorridenti, felici e molto easy. Alcuni preparano le imbracature, altri provano le piccole telecamere fissate sui caschi., altri ancora stanno a guardare mentre finiscono la loro birra. Ci vengono presentati i nostri istruttori –sherpa, sono due messicani, gli unici che parlino anche lo spagnolo….quello di Vanni è scatenato, vivacissimo e simpatico. Il mio, che si chiama Luis, è invece un tranquillone e mi ricorda un amico di Ravenna…Ermanno, non solo per la sua calvizie ma anche per la serenità che emana il suo viso. Indossiamo le imbracature che vengono chiuse in tutti i loro ganci e moschettoni, vengono strette le fascette e ci vengono date le prime essenziali informazioni sulla posizione da tenere al momento dell’uscita dal portellone, e sul necessario procedere ginocchioni per spostarsi dentro l’aereo. Saliamo quindi sul bus più scassato del Messico verso l’aeroporto, sono davvero pazzerelli questi ragazzi..in particolare l’istruttore di Vanni che davanti nel bus ci intrattiene con le sue burlonerie. Saliamo sul piccolo aereo aiutandoci con una piccola scaletta a 3 pioli, di quelle che si usano in casa per pulire i vetri. Ci sistemiamo a sedere sul fondo dell’aereo, a gambe larghe, l’uno davanti all’altro e decolliamo. Per la prima volta nella nostra vita la direzione del decollo è alle nostre spalle….bellissimo. La baia di Ixapa si allontana fino a diventare piccolissima, gli istruttori già saldamente agganciati a noi ci dicono di metterci in ginocchio, ma non è semplice nel poco spazio che abbiamo. Raggiunta la quota di 13000 piedi il portellone si apre ed i primi iniziano a lanciarsi, non ho paura, ma anzi una gran voglia di tuffarmi. E’ il mio turno ora…in ginocchio davanti al vuoto, con l’aria fortissima che mi spinge all’interno dell’aereo, sento un dolore lancinante al mio ginocchio destro e poi la grande emozione del salto nel nulla e la bella caduta libera verso la costa, la cui immagine diventa sempre più nitida. La vista del territorio dall’aereo mi è sempre piaciuta molto…se non altro per la sua inusualità , ma vederlo così nel profondo silenzio del cielo, mentre cadi velocemente verso ciò che stai osservando è un’emozione così forte da annientare qualsiasi altra pur bella emozione che si possa aver vissuto nella vita. Il paracadute si apre con uno strattone, siamo in posizione verticale ora. Dopo tanta velocità di caduta ora sembra di essere immobili nel cielo. Iniziamo a scendere dolcemente, sempre più vicini all’obiettivo sulla sabbia davanti allo Skydive Ixtapa , solo quando siamo davvero a poche decine di metri dal suolo capisco che in realtà la nostra velocità è ancora molto alta, ma l’atterraggio è perfetto…arriviamo in piedi, praticamente fermi. Un sorriso di grande soddisfazione mi si stampa in viso…sono la persona più felice del mondo! Vedo subito Vanni a pochi passi da me. Ma come fa ad essere già a terra se è sceso dopo? Con gli occhi un po’ lucidi per l’emozione ancora forte mi racconta che il loro paracadute si è rotto poco dopo l’apertura e che sono quindi scesi velocemente con il paracadute di emergenza. Davvero una strana cosa al primo lancio! Ci sono persone con 3000 lanci ai quali non è mai successa una cosa del genere mi racconta una ragazza del gruppo….davvero unico che possa succedere alla prima esperienza! Comunque Vanni si dissocia immediatamente dal mio entusiasmo e dalla mia voglia di rivivere l’esperienza al più presto…non posso dargli torto! Nel frattempo la notizia dell’atterraggio in emergenza si è diffusa e Vanni è diventato l’eroe del giorno! Molti gli stringono la mano, lo abbracciano e gli offrono una birra…..lui ancora molto emozionato si sente un sopravvissuto e mi dice: – Appena fuori dalla carlinga un grande senso di libertà e finalmente riesco a sentire ciò che per tanto tempo ho invidiato agli uccelli…l’emozione del volo! Poco dopo un altro ragazzo che si è tuffato immediatamente dopo di noi e che esegue le riprese fotografiche , si è avvicinato e gesticolando mi fa capire di alzare la testa che invece io tengo perfettamente in asse con il mio corpo. Mentre le nostre mani si avvicinano per afferrarsi vedo tra le sue labbra il pulsante per lo scatto delle foto, gli sorrido mentre tutti tre precipitiamo verso il basso. Sento la velocità sulla mia pelle e sui muscoli che sembrano dilatarsi come ali. In seguito questo mi ha riportato alla memoria quelle immagini viste tante volte in tv dei paracadutisti in caduta libera che tenendosi per mano formano figure nel cielo. Ma ecco la discesa improvvisamente quasi si ferma, il paracadute è aperto e noi siamo verticali. Con il pollice alzato mi congratulo con il mio istruttore del quale vedo solo la mano che impugna una manopola rossa collegata ad un filo spezzato. Poco dopo siamo di nuovo in caduta libera ad altissima velocità, ma ancora non capisco ciò che sta succedendo. Un altro colpo di arresto che questa volta sento fortissimo sulle mie spalle ci riporta ad una situazione di stabilità. A questo punto, dopo aver visto il nostro primo paracadute scendere in pezzi a pochi metri da noi, capisco cosa è accaduto ed immediata scatta la paura legata all’essere stato impotente di fronte alla situazione di pericolo appena vissuta. L’istruttore rimasto senza occhiali di protezione afferra i miei e scendiamo. Mi informa che ci sposteremo verso il mare per scendere in maggior sicurezza..anche se da quell’altezza non credo che si possa parlare di una qualche forma di sicurezza!….l’impatto con qualsiasi superficie sarebbe comunque fatale. Poi guardo in alto e vedo il grande paracadute giallo ben teso sopra di noi. Mi rilasso ed in pochi minuti siamo a terra. Si avvicinano alcuni del gruppo e festanti per lo scampato pericolo si congratulano con l’istruttore e danno delle gran pacche sulle spalle a me. Poi vedo Ale arrivare e leggo, guardando i suoi occhi, un’immensa felicità. Ci fermiamo al bar del Carlos’n Charlie’s per le birre omaggiate a Vanni ed uno spuntino. ..mi sento cambiata, più felice e serena di prima. Ma soprattutto penso di aver appena fatto l’esperienza più incredibile della mia vita e ne sono fiera. Dopo una breve pausa in hotel siamo già al Carlos’n Charlie’s per una cena veloce in attesa della proiezione nel bar di fianco dei filmati dei vari lanci. In sottofondo musica rock a tutto volume e di fronte a noi ecco i primi lanci della mattina. Vedendo il primo lancio riviviamo esatta l’emozione vissuta e per un attimo il respiro si blocca nella nostra gola. Ma ecco sullo schermo Vanni che sorridente, prima ancora di indossare l’imbracatura, dichiara che lo fa solo per amore, poi le varie fasi dell’avventura fino all’atterraggio. I ragazzi dello Skydive Ixtapa sono tutti presenti, felici e piuttosto vivaci, anche loro a rivivere quei momenti forse per la millesima volta, o più, ma instancabili in questa che sembra per loro qualcosa di più che una grande passione Andiamo a letto ancora volando ma questa volta comodamente distesi sul materasso che ci conduce nel mondo dei nostri personalissimi sogni.
03 Febbraio 2007
IXTAPA – MORELIA
Lasciamo l’hotel allo scadere del check-out delle 12. In fondo il viaggio per Morella ci impegnerà per 4 o 5 ore al massimo per cui ce la prendiamo con calma. Carolina proprio non ne vuol sapere oggi e reclama il suo pensionamento con ogni mezzo….questa volta mettendo fuori uso l’alternatore di corrente. Varie lucine si accendono sul cruscotto allarmando Vanni che si ferma, guarda il motore e riprende il viaggio a velocità ridotta. Ci fermiamo a Nueva Italia, un paese del quale vediamo solo la squallida periferia in cerca di un meccanico. Victor sostituisce tutte le cinghie di Carolina ma senza risolvere il problema, quindi seguiamo il suo consiglio di raggiungere al più presto Morella dove troveremo l’assistenza necessaria. Arriviamo tardissimo e tutti gli hotel del centro sono pieni per via del weekend. Proprio una giornata sfortunata quella di oggi…ripieghiamo al “Fiesta Inn” dove l’unica possibilità è la suite del primo piano che ci costa una piccola fortuna. Ceniamo in un palazzo del XVII secolo, bellissimo anche negli arredi, il “ Fonda las Mercedes” ci risolleva il morale e ci regala una fantastica serata consolatoria e tiepida nel freddo gelido di questa notte d’inverno a quota 2000 m.
04 Febbraio 2007
MORELIA
Lasciamo la suite alle 13. Per fortuna Carolina si mette in moto consentendoci di raggiungere l’ “hotel de la Soledad” ricavato all’interno di un antico edificio coloniale nel centro della città. Siamo a due passi dallo Zòcalo., antiche carrozze immobili arredano l’androne d’ingresso e la corte centrale sulla quale affacciano le stanze. La nostra è al piano terra, un po’ buia, ma ha un lettone grande , un salotto ed il camino d’angolo. Dietro al letto una antica porta di legno scuro, di fronte un grande mobile di legno scolpito a bassorilievo con grossi grappoli d’uva. Alle pareti antiche sculture ed immagini di santi….ha proprio l’aria della sagrestia. Insomma anche questa sera non possiamo lamentarci. Usciamo nel primo pomeriggio alla scoperta di questa città che racchiude autentiche meraviglie architettoniche del periodo coloniale, tutte di pietra dalle tonalità rosa. Dopo uno scroscio pazzesco e’ uscito il sole ed è quasi caldo….l’ideale per una bella passeggiata. Uno spuntino nella piazzetta frondosa del conservatorio e poi è già tornato il freddo pungente. Rientriamo nel nostro rifugio dove faccio accendere il camino che però dopo pochi minuti è già spento…legna umida…non c’è verso di farlo rimanere accesso nonostante i vari tentativi, in compenso la camera si riempie di fumo. Vanni non dà udienza…è tutto immerso nel suo libro di Wilbur Smith. Io pazzeggio, leggo, scrivo e lo tormento. Cena in hotel….impossibile uscire con questo diluvio!
05 Febbraio 2007
MORELIA
Vanni rientra poco dopo essere uscito…la Toyota è chiusa oggi. Sono tutti in festa per l’anniversario della Repubblica del Messico. Si infila infreddolito sotto le coperte e si rituffa nella lettura del “la notte del leopardo”. Io invece ho una gran voglia di uscire e dopo un primo tentativo a vuoto al Museo di Arte Contemporanea, mi infilo al museo dell’artesania apprezzandone soprattutto il bel palazzo che lo ospita, adiacente alla chiesa di San Francisco. C’è il sole a tratti ed il poncho di lana bianca che indosso non solo mi fa sembrare un pastore sardo, ma fa anche un gran caldo. Sono davvero belli questi palazzi coloniali, ben tenuti ed estremamente aulici., ma conferiscono alla città quell’aria un po’ europea che non vorrei percepire qui in Messico. Mi mancano in realtà i visi segnati degli indios del Chapas con i loro denti bordati di oro, gli abiti tradizionali ed i loro riti pieni di fumo, di candele e di colori. Era un piacere incontrarli nelle piazze o nei mercati o di fronte alle chiese e vedere il loro prezioso artigianato così denso delle loro tradizionali modalità espressive. Poche centinaia di chilometri ci dividono da loro…eppure sembrano migliaia quelle che ci hanno portato qui a Morelia, brutta copia della grande Mexico City, così anonima rispetto alla grande forza che per esempio San Cristobal emanava. Eppure sono entrambe città coloniali. Ma siamo approdati qui in questa che è obiettivamente una bella città, anche se senza carattere, piena di storia , di grandi piazze e di nuvoloni carichi di pioggia. Dato che oggi è giornata di musei voglio fare un salto in quello che, visto il clima, sembra il più interessante…il museo del cioccolato! Entro in questo vecchio edificio pieno di gente e di mobili di legno carichi di dolci artigianali dove, a parte la folla, mi sembra di vivere un bel sogno. Alcune signore in abiti ottocenteschi servono ai pochi tavoli cioccolate fumanti e torte che non hanno niente da invidiare a quelle del famoso “Demel” di Vienna. Ovviamente non resisto all’invitante colazione e ordino una fetta di torta di cioccolato con bavarese di arancia ed una tazza di cioccolato caldo. Ma sono a Morella o dentro al set del film “ Chocolate”? Infine prendo un sacchetto di praline e cioccolatini, due di ogni tipo, che scelgo tra i vassoi ordinati di una invitante vetrinetta. Sono un regalino per Vanni…che sono certa gradirà. Tra un centinaio di pagine lo riavrò con me.
07 Febbraio 2007
MORELIA – SAN LUIS DE POTOSI
Lasciamo tardino la nostra alcova dell’hotel De la Soledad, nonostante Vanni si fosse proposto ben altro. Alle 10.30 mi butta giù dal letto dove sarei stata ancora volentieri. Il mio tè è ormai gelato, sull’angolo del comodino, mentre lui già col trolley in macchina è pronto per partire. Il lungo percorso per raggiungere San Luis de Potosi diventa, strada facendo, sempre più interessante. Attraversiamo laghi gremiti di trampolieri dalle piume bianche, paludi e ponti metallici color arancio che si affermano nelle tonalità pacate di questo paesaggio premontano. Nonostante il mio ritardo sulla tabella di marcia arriviamo in città in tempo per una bella passeggiata al tramonto, quando la grande cattedrale barocca di pietra rosata ed intonaco rosso dà il meglio di sé. Infine ceniamo in un ristorante deserto dall’altra parte del centro storico, noto per la sua cucina Huichole. Il ristoratore è un anziano signore di Monterrey dal viso segnato ma vivace ed una gentilezza squisita. Assaggiamo ovviamente le specialità di questa famosa tribù indigena. La mia insalata comprende, oltre ai ben noti pomodoro, lattuga e cipolla, anche due ortaggi che si trovano nelle aree semidesertiche poco lontane da qui: il cabuche ed il jacube. Di colore verde e dal sapore delicato, simile a quello dei fagiolini. Vanni invece si scatena con un menu completo che prevede un’ entrata a base di uno strano rotolo che profuma di spezie accompagnato con fagiolini e salsa verde piccante. Ed il piatto forte con enchiladas, di verdure e pomodoro, un misto di carni in umido, una purea di frijoles ed altro ancora. Terminiamo con un ottimo Jobito, una bevanda a base di succo di mela con aggiunta di agua ardiente…tanto per aggiungergli un poco de savor come dicono loro. L’anziano signore intanto aveva sorriso soddisfatto ad ogni nostro apprezzamento e pazientemente elencato gli ingredienti sconosciuti delle varie portate. Insomma è stato così garbatamente affettuoso ed entusiasta che avremmo voluto portarlo via con noi.
08 Febbraio 2007
REAL DE CATORCE
Nel frattempo, dopo una breve sosta lungo la strada per la curiosità di osservare da vicino quel che resta dei serpenti a sonagli messi ad essiccare penzoloni su bastoni di legno, arriviamo a Real de Catorce, sperduta al limitare del deserto ed appollaiata a 2750 m di altitudine. Questa cittadina quasi completamente diroccata è stata dimenticata dagli uomini e da dio per un secolo. E’ proprio una città fantasma, nascosta nel fondo di una valle, in mezzo ad un paesaggio lunare dominato dalla bianca cupola della cattedrale. Arriviamo qui percorrendo una strada lastricata che si arrampica sulle montagne brulle e che si insinua ad un certo punto dentro un lungo tunnel scavato nella roccia. Sembra di entrare in una miniera e invece dopo circa un paio di chilometri sbuchiamo tra le case del paese, quasi tutte in pietra a vista, molte delle quali diroccate. Guardo sulla cartina della guida la posizione dell’hotel “Ruinas del Real” ed iniziamo a percorrere le ripide stradine dai lastricati sconnessi. Gli ultimi tratti di strada sono ripidissimi e devo scendere ad inserire le quattro ruote motrici, l’aria è fresca ed asciutta, le montagne attorno a noi brulle e colorate dei tanti minerali che le compongono. L’hotel occupa un vecchio edificio di sasso, entriamo e dopo un po’ di contrattazioni riusciamo ad avere la suite con jacuzzi gigante a 800 pesos al giorno anziché 1200. Un vero affare! La camera, come tutto l’hotel emana un incredibile atmosfera di vissuto, di storia e di pacata raffinatezza. Vi si accede attraverso un’ampia terrazza coperta da una sorta di incannicciato che ne lascia intravedere il cielo e passare i raggi del sole che ne intiepidiscono l’aria. In fondo alla terrazza dalla quale si domina la valle e le montagne circostanti, una piccola porta di legno da accesso ad un salotto comune con finestra ovale e camino d’angolo. Di poco laterale la porta della nostra camera ci invita ad entrare. Sopra il grande lettone un quadro antico ed accostati alle pareti pochi elementi di arredo fabbricati in uno stile incomprensibile ma elegante con laccatura di un colore perlaceo. La stanza da bagno è molto grande, con doccia ed una grande vasca idromassaggio inserita in un alto gradino piastrellato. Una finastra ovale dai vetri colorati lascia passare una luce fioca che esalta il colore viola delle pareti. Quelle della camera invece, e del salotto hanno come colore dominante il giallo ocra, con disegni a cornice dipinti sopra lo zoccolo o a bordare le finestre. Sono disegni di fiori e foglie che si articolano in ampie volute vagamente liberty. Ci piace proprio tanto questa stanza!…..se poi avesse il camino in camera sarebbe il massimo! Non si capisce come facciano qui in Messico a non avere il riscaldamento nemmeno negli hotel. Le sere d’inverno qui la temperatura scende anche sotto i dieci gradi , eppure il riscaldamento non è neppure concepito! Per noi due freddolosi è un vero disagio. Ma Vanni ha un asso nella manica, anzi nel trolley, da giocare. Estrae la mitica borsa dell’acqua calda che ci ripromettiamo di usare questa sera. Nel frattempo Rifugio, un ragazzo del paese, ci aiuta con i bagagli e si propone di accompagnarci in una passeggiata a cavallo al monte sacro degli Huichole. Come rifiutare? Arriva dopo una mezz’ora, verso le 4, con due ronzini. Il mio si chiama Marrano e quello di Vanni, di stazza più grande, è Bucanero. Saliamo in sella…io con un certo timore….il trauma di anni fa non mi è ancora passato del tutto…e non salgo su un cavallo da più di 15 anni. Sono tutta agitata ma mi rendo subito conto che Marrano è un cavallo tranquillo del quale posso fidarmi. Rifugio ci segue in groppa ad un mulo. La prima sosta è direi imposta dai due cavalli che si fermano all’abbeveratoio del paese dove altri due cavalli, che trasportano dei signori del paese, stanno bevendo. Si riparte immediatamente dopo attraverso le rovine degli edifici della ex miniera di San Augustin, Marrano procede sempre sull’orlo del precipizio…ahimè! Il lungo sentiero si snoda attraverso i pendii delle montagne che dal paese vanno verso il deserto inseguendo l’ Ovest. Il paesaggio è incantevole, le montagne piene delle piante grasse tipiche di questi climi. Siamo sul tropico del Cancro. Il freddo è pungente, per fortuna indosso il mio poncho di lana bianca comprato in Guatemala, sembra di essere immersi in un presepio all’interno del quale noi siamo i tre re magi. Si respira una grande energia qui…l’aria è secca ed il paesaggio apocalittico. Rifugio ci racconta che prima dello sfruttamento delle miniere d’argento queste montagne erano completamente ricoperte di alberi. Gli spagnoli non esitarono a disboscarle completamente per poter fondere il metallo dalla roccia che lo conteneva…nessuna novità…queste parole ci suonano purtroppo familiari dopo mesi di viaggio attraverso le ex colonie spagnole. In lontananza scorgiamo la montagna sacra, la più alta della regione, che svetta a 3300 m di quota. Gli huicholes la raggiungono due volte l’anno, attraversando a piedi le centinaia di chilometri di deserto che separano i loro territori sul Pacifico da questa valle sacra. Qui, all’interno di un cerchio bordato di pietre, celebrano uno dei loro riti secolari, la comunione con il dio Hikuri, a noi noto come peyote, il fungo allucinogeno. Quello che accade durante le loro cerimonie è prevedibile….ma oltre lo sballo inevitabile o proprio grazie ad esso, gli sciamani qui celebrano le nozze e guariscono gli ammalati. Raggiungo a piedi la piccola chiesa che sorge proprio in cima alla montagna, è di sassi e protetta da un cancello di ferro che mi impedisce di entrare. All’interno, accostate sul muro di fondo, una serie di candele di varie dimensioni con nastri di tessuto colorato, a terra alcune ciotole per le offerte agli dei e su una mensola il teschio di un capretto ed il suo peloso codino. Il pavimento di terra battuta contiene le tracce dei loro riti magici. Cera, sangue rappreso, fili d’erba secca. Mi fa un piacere immenso che i turisti non possano accedere se non una volta l’anno a queste loro cerimonie…anzi dovrebbero proprio escluderli. Il rischio è che nell’ accettazione del compromesso legato al facile guadagno di denaro queste antiche tradizioni finiscano con lo svuotarsi dei loro veri contenuti per diventare vuote esibizioni circensi. Come già il Cecchi lamentava nel corso del suo viaggi tra i villaggi indiani del Nuovo Messico, nel lontano1930. Comunque siamo, qui immersi nella magia di questi cerchi concentrici fatti di sassi, e soli. All’improvviso un suono lieve si diffonde nell’ aria…è il treno che corre nell’immensa valle desertica sotto di noi, dice Rifugio. Ma a noi fa piacere pensare che anche questo suono come l’energia che sentiamo, arrivi dai lontani territori huicholes. Come un nostalgico canto intonato da un lontano sciamano, miracolosamente giunto fino a noi. La luce del sole è ora quasi orizzontale. Inseguendo le nostre lunghe ombre raggiungiamo i cavalli poco più a valle. Mentre scendiamo attraverso le rocce che ora colorano di viola mi nasce un desiderio forte. Vorrei unirmi a Vanni, qui su questa magica montagna, davanti ad uno sciamano officiante. Vanni entusiasta chiede a Rifugio come si possa fare. C’è un italiano in paese, di nome Matteo, che anni fa ha sposato una huichole ed ora è diventato sciamano. Potrebbe essere lui il nostro celebrante! Le stelle ci accompagnano nell’ultimo tratto di marcia, mentre i cavalli trovano la strada tra le ombre della sera. Le luci sempre più vicine del paese ci rassicurano, mentre il freddo pungente sempre più intenso ci fa rabbrividire. Vanni si accontenta di una doccia ma io non resisto al conforto di una bella vasca di acqua bollente. Il bagno si è trasformato nel frattempo in un bagno turco, per via della grande condensa che l’acqua calda ha provocato. Me ne sto immobile a godermi il tepore ed il silenzio di questo paese senza macchine. Ceniamo al Malambo dove un cuoco argentino ci prepara degli ottimi cappelletti agli spinaci…..incredibile ma vero. La pasta sottilissima degna di una brava massaia ed il ripieno squisitissimo. La 18 ci accoglie con una temperatura proibitiva….stiamo un po’ in salotto davanti al camino acceso e poi Vanni gioca il suo jolly riempiendo la borsa dell’acqua calda. In fondo non si sta poi così male!
09 Febbraio 2007
REAL DE CATORCE
Ma che freddo! Quasi non riesco ad uscire dalle coperte per fare pipì nonostante la sciarpa e la felpa che mi sono infilata nel corso della notte. Abbraccio Vanni per un po’ di tepore che ricambia con slancio mentre sentiamo i ragli lamentosi degli asini, numerosi in paese. Facciamo colazione nella piccola terrazza assolata davanti all’hotel…si sta d’incanto qui. Quasi non ho fatto in tempo ad appoggiare le labbra alla tazza del mio tè che arriva in visita Rifugio per vedere se anche oggi riesce a lavorare un po’, ma Vanni gli offre gentilmente un caffè mentre lo scoraggia dall’insistere. I nostri sederi dolenti non ci consentono di ritentare anche oggi la cavalcata. Facciamo due passi per il paese invece e ci concediamo un pomeriggio di sano relax sotto il sole, sulla terrazza davanti alla camera. Poi l’imbrunire con le sue tinte violacee sulle montagne attorno, come l’ultimo caldo abbraccio prima del gelo notturno. Vanni non ha voglia di tornare al Malambo di ieri, nonostante ripensare a quei cappelletti di spinaci mi faccia venire l’acquolina in bocca. Proviamo il Cactus, che si affaccia sempre sulla piazza principale e che vediamo accogliente con i suoi tavoli di legno lasciato al naturale ed i colori delle maschere Huichole appese alle pareti. Ci accoglie un giovane ragazzo che deve essere di qui, sorridente ed in maglietta a mezza manica, ci porge i menu Io non oso togliere il mio poncho di lana nemmeno qui, dove la temperatura è decisamente più mite….sarà la mia allergia atavica al freddo? Vedo compiacendomene che anche qui al Cactus il menu comprende piatti di pasta fatta in casa e quindi perché resistere alla tentazione? Scelgo un bel piatto di tagliatelle ai funghi e Vanni l’immancabile t-bon. Tutto è una delizia qui, compresi i dolci che chiudono alla grande la nostra cena, un bel flan napoletano e la torta di cioccolato e noci. L’ambiente intanto si è riscaldato e quasi sarei tentata di togliere il poncho, il vino rosso ed il cibo hanno compiuto il miracolo! Dalla cucina arriva Elisabetta, la cuoca nonché padrona di casa assieme a Valerio di questo bel localino. Iniziamo a parlare, finalmente in italiano, e subito sentiamo scattare la famosa affinità elettiva….quella cosa per la quale ci si capisce al volo su argomenti del tutto non banali e personalissimi per i quali si presuppone una conoscenza reciproca più profonda. E’ una donna davvero affascinante Elisabetta, nata a Mexico city e da 10 anni residente qui assieme a Valerio che invece ha scelto Real de Catorce da ben 15 anni. Affascinante dicevo ed estremamente generosa Elisabetta, mentre parliamo del nostro viaggio e dei suoi, forse diversi ma non meno intensi, non si trattiene dal regalarci una confettura di mele preparata da lei e l’ottimo origano che si coltiva su queste generose montagne, il cui aspetto brullo non rende loro giustizia per la qualità e quantità dei prodotti che invece distribuiscono agli abitanti del paese. Con lei impariamo anche a conoscere meglio la cultura huichole che ci appare un po’ diversa da come l’avevamo in parte immaginata. Innanzitutto sfuma il progetto del matrimonio con rito huichole perché scopriamo che loro non si sposano ed il rito sarebbe quindi una vuota sceneggiata a fine di lucro che non desideriamo…e poi scopriamo che oltre ai bellissimi oggetti rivestiti di perline gli huicholes usano il peyote anche per fini direi curativi. Partendo dal principio ormai suffragato che i disagi di molti di noi non sono solo fisici ma anche di natura esistenziale, loro usano questo piccolo cactus per ritrovare l’armonia con gli altri e con se stessi. Abbandonandosi all’effetto di grande rilassamento e di pace interiore così indotta, riescono ad ottenere risultati sorprendenti, molto simili a quelli della psicoanalisi, proprio per la disposizione alla riflessione ed all’auto analisi che il peyote stimola. Va da se che sentendone parlare in questi termini da Elisabetta, che ha vissuto su di se questo tipo di esperienza totalizzante, anche noi vorremmo provare e così ci accordiamo per domani mattina verso le 10. Non nascondo le perplessità ed i dubbi che l’idea di vivere un’esperienza del genere ha suscitato in me nelle ore successive. Ma una regola infallibile è quella di accettare ciò che ti viene offerto con tanto slancio e generosità…. la seconda quella di fidarsi della propria sensibilità e di seguire il proprio cuore.
10 Febbraio 2007
REAL DE CATORCE
Alle 10.30 siamo al Cactus dove oltre ad un’abbondante colazione a base di frutta e le immancabili fette di torta conosciamo Valerio, il marito di Elisabetta. Simpatico e loquace, ci racconta della storia di questo particolarissimo paesino, tra le altre cose ci dice anche che il film “Puerto Escondido” di Salvatores è stato girato in parte proprio qui a Real. Poco dopo ci raggiunge Elisabetta e la colazione prosegue piacevolmente avvolta nell’ atmosfera particolare che si è creata tra di noi. Prima di uscire Elisabetta ci dà le 6 grosse capsule di polvere di Peyoti e con il suo sorriso buono e complice ci augura di trascorrere una buona giornata. Ci incamminiamo quindi lungo il sentiero, verso il Pueblo fantasma che torreggia alto sul versante est della vallata. Appena fuori dal paese sostiamo un attimo all’ombra di un vecchio albero senza foglie e consumiamo la nostra trasgressione…..ingeriamo le capsule e proseguiamo la passeggiata lungo il ripido sentiero. Il paese salendo prende forma e presto lo vediamo in tutta la sua estensione, adagiato sulla piccola valle assolata. Il suo colore è quello delle montagne che lo circondano, solo la chiesa e pochi altri edifici si profilano bianchi sulla pietra. Attraversiamo poi la hacienda di una miniera dimessa da tempo, i carrelli gialli arrugginiti giacciono in un angolo del piazzale adiacente l’edificio, le cui lamiere sul tetto ondeggiano ad ogni alito di vento. Siamo sereni ma attenti ad ascoltare il minimo cambiamento in noi. L’effetto del peyoti dovrebbe manifestarsi tra circa un’ora….aspettiamo seduti sul parapetto di un grande pozzo quadrato profondo più di 300 metri, nel quale alcuni ragazzi si divertono a far cadere grossi sassi. Ne escono profondi boati che fanno intuire l’immensità di quei sinistri cunicoli forieri ad un tempo di ricchezze e di morte. Ancora nessun effetto, solo il fastidio di non essere soli. Decidiamo di scendere per evitare la ressa di cavalli e persone che si è creata qui al pueblo. Certo la discesa è un’altra cosa anche se a tratti ci fermiamo per far passare chi invece sale. Quasi a metà strada iniziamo a sentire qualcosa di diverso, una rilassatezza incredibile ed una grande disposizione l’uno verso l’altro. – Che bello essere in due – …penso io…- e volerci così bene – aggiunge Vanni. Ci rendiamo conto di quanta tenerezza, di quanto amore ci unisca. Siamo felici…più felici e così sereni da sentirci immersi in un piccolo, nostro paradiso, cui fa da cornice ora la nostra accogliente alcova, testimone della tenerezza nei nostri sguardi , nei nostri baci e nell’amore delle ore successive. Elisabetta aveva proprio ragione a definire il peyoti il cactus della pace, dell’armonia e dell’amore…gliene saremo infinitamente grati. Uniti dalla rinnovata consapevolezza e felici di questo ci abbandoniamo l’uno all’altra senza riserve nel tepore del nostro covino. Ci ritroviamo per la cena al Cactus dove gli altri clienti suonano come degli intrusi…per noi ormai è come andare a cena da amici ed abbiamo voglia di vedere solo loro…anche per confrontarci sull’esperienza di oggi sull’onda di questa sorta di misoginia nei confronti di chi non fa parte del gioco. Condividiamo un bicchier di vino, una cameratesca conversazione, poi ci spostiamo nel retro ed al computer di Valerio leggo le pagine del diario di questi ultimi giorni a Real de Catorci, vediamo le foto del nostro lancio di Ixtapa, della Bolivia e di qui. La serata scivola via senza quasi accorgersene…abbiamo incontrato due belle persone!
11 Febbraio 2007
REAL DE CATORCE – ZACATECAS
Ci troviamo al Cactus per la colazione ed i saluti prima della partenza. E’ una bella giornata di sole, perfetta per scattare alcune foto a noi e Carolina. Valerio che cura la stesura del giornale web di Real, vuole scrivere un articoletto su di noi, sul nostro viaggio attraverso le americhe e della nostra sosta qui come tappa del lungo viaggio. Scatta quindi l’intervista registrata e la promessa di spedire al più presto le ultime due pagine del diario. Ci salutiamo felici ed un po’ commossi, con l’ulteriore promessa di ritrovarci un giorno in Italia. Partiamo sulla nostra Carolina in forma più che mai ripercorrendo a ritroso il lungo tunnel scavato nella montagna. E poi ecco, l’ ampia vallata si apre luminosa davanti a noi, ma qualcosa nel frattempo è piacevolmente cambiato. I tanti Joshua Tree che popolano quest’area semi desertica sono quasi tutti fioriti, e si propongono ora con il loro grosso fiore a spiga bianco che spunta dal ciuffo di foglie verdi. Lo consideriamo un omaggio alla nostra dipartita, un augurio di buon viaggio da parte di questo paese che ci ha già dato molto. Arriviamo a Zacatecas a metà pomeriggio, dopo aver attraversato le ampie vallate semi desertiche della Sierra Madre, giusto in tempo per la visita al Museo Rafael Coronel . Questo museo, ricavato nel bellissimo ex convento di San Francisco, espone più di 2000 maschere provenienti dai cinque continenti….mai visto niente del genere! Naturalmente quelle che ci colpiscono di più sono quelle raffiguranti spaventosi diavolacci. Rossi, neri, sdentati o con parrucche, di capelli veri o di crini di cavallo…alcuni hanno la lingua storta, altri hanno serpenti che escono dalle orecchie e dalla testa. A volte quegli stessi serpenti hanno la testa da diavolo. Insomma l’apoteosi del macabro! Zacatecas è una bella città coloniale a 2400 m di altitudine….ancora freddo! Non se ne può più. Circondata da un paesaggio desertico, non si capisce perché gli spagnoli nel XVI sec. abbiano scelto di fondare una città proprio qui, e di impreziosirla a tal punto di belle architetture da essere poi stata dichiarata patrimonio dell’umanità dall’ UNESCO. Ma la risposta viene da sé…oro e argento a fiumi sotto questo apparente povero territorio, hanno fatto la prosperità della città e dei suoi abitanti per generazioni. Visitiamo la città all’uscita dal museo. Le ombre sono lunghe ormai, e la luce rossastra del tramonto conferisce alle architetture di pietra rosata un rilievo particolare. La facciata della cattedrale poi è una meraviglia dello stile barocco messicano, un capolavoro di arenaria rosa. Così dolcemente e riccamente scolpita da sembrare una preziosa trina, impreziosita ora dalla vibrazione dell’elegante chiaroscuro. Alloggiamo poco lontano da questo epicentro di bellezza, nell’hotel più vecchio di Zacatecas, il “ Posada de la Moneda”, aggiungerei scassato, e ancora senza riscaldamento. Ma le notti qui a Zacatecas non hanno per fortuna il freddo furioso di Real e così nonostante la doccia appena tiepida…sopravviviamo.
12 Febbraio 2007
ZACATECAS – MAZATLAN
Alle otto siamo già partiti. Ci siamo proposti la méta ambiziosa di raggiungere Mazatlan, sulla costa, per un totale di 610 km e 10 ore di viaggio previste. Arriviamo dopo 9 ore sul lungomare di Mazatlan. Mi sento la donna più stanca del mondo! Negli ultimi 200 km siamo scesi di 2000 metri…lascio immaginare le curve, e per fortuna non soffro il mal d’auto! Ma la vista del mare e la temperatura calda mi fanno resuscitare dal torpore. Finalmente una doccia calda come si deve…ed un bel lavaggio ai capelli che da un paio di giorni mi conferiscono un aspetto vagamente alla Bob Marley! Siamo nel nostro elemento…l’adorato mare e l’albergo è confortevole e pulitissimo. Anche se le camere vista mare sono tutte occupate, dal nostro terrazzino vediamo la darsena ed il centro storico, animato di luminarie per via del carnevale imminente. Leggo sulla guida che qui a Mazatlan si svolge il terzo carnevale più importante del mondo dopo quelli di Rio de Janeiro e di New Orleans. Per fortuna siamo in fuga veloce ed il 15 saremo invece tra le montagne della Sierra Tarahumara….detesto il casino! Ceniamo bene al ristorante “ l’arco”, naturalmente a base di pesce e di buon vino bianco messicano.
13 Febbraio 2007
MAZATLAN – EL FUERTE
Non è poi così presto oggi…Vanni comunque è sempre il primo a svegliarsi e molto amorevolmente mi fa trovare sul comodino l’insalata di frutta fresca ed il tè. Ancora una doccia, è la terza da ieri pomeriggio, e si parte. Oggi va da signori…sarà un viaggio di 480 km ma di sola autostrada! L’obiettivo di raggiungere la Sierra Tarahumara è sempre più vicino….domani prenderemo il famoso treno che arrampicandosi per 655 km tra le montagne, su 39 ponti a strapiombo e ben 86 tunnel arriverà ai 2330 m di altitudine di Creel. Nel frattempo, comodamente seduti, potremo osservare il favoloso Canyon “Barranca del Cobre”, quattro volte più imponente del Gran Canyon del Colorado. El Fuerte rappresenta una tappa di avvicinamento a Creel, la prima stazione dopo Los Mochis da dove il treno partirà domani mattina alle 6. Per lo meno così potremo dormire 1 ora e 30 in più senza perdere nulla del favoloso paesaggio che si fa interessante proprio a partire da questo bel paesino coloniale dove dormiremo questa notte.
14 Febbraio 2007
EL FUERTE – CREEL
Quando ci svegliamo, alle 7 siamo nella nostra calda cameretta dell’ Hotel “ La Choza” , la stazione è a 8 km dal paese. Saliamo su un taxi, vecchio almeno quanto il taxista e alle 8,10 siamo in attesa sull’unico binario della stazione senza biglietteria di El Fuerte. Con noi aspettano decine di altri viaggiatori tutti ultracinquantenni ahimè made in USA. La mia insofferenza nei loro confronti cresce parallelamente all’avvicinarci ai loro territori…e qui siamo davvero vicini! La loro insopportabile arroganza è direi consequenziale alla loro folle politica internazionale…e mi stupisce che questi messicani , viste le stragi che ne hanno fatto di recente lungo la frontiera, si sforzino anche di capire la loro lingua. Nel mio piccolo se proprio devo, li osservo con la stessa sufficienza che loro riservano agli altri…credo sia giusto che sappiano che una buona parte del mondo non li approva, non li teme, e semmai li compatisce. Per fortuna abbiamo i biglietti del treno, ma purtroppo non i posti a sedere, ed i migliori sono quelli sulla destra del treno rispetto alla direzione di marcia, favorevoli per l’osservazione del paesaggio della sierra. All’arrivo del treno “Chihuahua Pacifico” i made in Usa si tuffano sugli sportelli appena aperti, noi ci ritroviamo civilmente in coda a loro…ma un bigliettaio deve averci visti non appartenenti a nessun gruppo e ci chiama. Una volta saliti ci accomodiamo nei due posti assegnati , facendo spostare una coppia di anziani Usa che si erano indebitamente impossessati di queste due nostre magnifiche poltrone fortunatamente situate sul giusto lato. Anche le piccole soddisfazioni sono pur sempre soddisfazioni! Vanni sparisce poco dopo dietro le pagine dell’ennesimo libro di Wilbur Smith, io quasi incollata al finestrino, osservo il paesaggio mutare mentre il treno si insinua tra le pieghe dei rilievi della Sierra. Alberi dai fiori rosa intenso interrompono la monotonia cromatica del paesaggio inizialmente piuttosto brullo, ma poi dopo una lunga galleria siamo immersi in un paradisiaco laghetto circondato dalle montagne. Saliamo sempre più, in alcuni tratti il percorso è così ripido che il treno deve abbandonare l’andatura consueta ( tra i 20 e i 30 Km/h) per procedere a passo d’uomo. Strapiombi da vertigine, carrozze sfasciate in fondo ai burroni, saliamo attraversando ponti e gallerie tra rocce svettanti e boschi di abeti. Con cadenza quasi oraria il treno si ferma per raccogliere i pochi passeggeri fermi accanto ai binari dei piccoli villaggi…ma l’andatura è così lenta da non accorgersi di nulla. A San Rafael un gruppo di donne Tarahumara, si avvicina al treno per vendere i cestini di loro fabbricazione. Sono, come sempre nel centro-sud america, coloratissime. Ampie gonne a fiori bordate con nastri tinta unita raccolte in vita da sciarpe di cotone a disegni geometrici. Sembrano uscite da un negozio di Kenzo … di molti anni fa. Tanto per fare due passi andiamo per uno spuntino al vagone ristorante. Assaporiamo le solite buonissime quesadillas al formaggio mentre il sole che filtra attraverso il finestrino ci immerge in un piacevole tepore. Finiamo giusto in tempo per la sosta a El Divisadero, dove è doveroso scendere per ammirare il grande Canyon del Cobre che si apre maestoso davanti a noi. Per raggiungere il mirador attraversiamo un vero e proprio mercato che le donne tarahumara hanno organizzato per vendere i loro prodotti artigianali. Qui i prezzi sono 1/3 di quelli di San Rafael…come al solito non ci azzecco! Allo scadere dei 15 minuti di sosta il fischio del treno ci richiama all’ordine e risaliamo infreddoliti sulla nostra carrozza. Creel è la prossima fermata. Arriviamo alle 16.30, dopo 8 ore di viaggio che sono letteralmente volate via…meglio così. Sarebbe stato impossibile scendere prima, vista la qualità dei villaggi attraversati! Ma anche Creel non ci stupisce certo per la sua bellezza, quanto invece per il freddo gelido che già a quest’ora ci assale. Il nostro abbigliamento non è ovviamente adeguato…pur di non aprire la valigia rigida che pesa come un macigno ma che contiene i vestiti invernali, sopporteremmo qualsiasi temperatura indossando indumenti da spiaggia, come stiamo facendo anche qui a Creel. Mi salva il solito impagabile poncho di lana che per fortuna è rimasto fuori dalla valigia. Il “Cascada Inn” dove ho prenotato un paio di giorni fa non è proprio il massimo, come invece indicava la solita guida Routard. Vanni si inacidisce non poco quando, usciti dall’hotel, andiamo a vedere il suo adorato Best Western a pochi metri dal nostro. Effettivamente in questo caso avremmo fatto meglio ad andare li…ma abbiamo letto della sua esistenza solo dopo aver prenotato al Cascada e per correttezza…..Usciamo alla ricerca del minerale gigante per Vanni e di una delle belle gonne tarahumara per me. Non troviamo né l’uno né l’altra nei pochi negozi del paesino…insomma neanche una gioia qui a Creel. Ormai è deciso. Considerando che non amiamo fare trekking tra le montagne, né aggirarci tra i laghetti ghiacciati, domani mattina saliremo sul treno delle 11.15 con direzione El Fuerte!
15 Febbraio 2007
CREEL – EL FUERTE
Non è difficile svegliarsi presto quando si è andati a letto con i polli. Sono solo le 7.30 ma ci sembra mezzogiorno talmente ci sentiamo sazi di sonno. La camera si è scaldata nel frattempo e la doccia è possibile. Usciamo per un ulteriore perlustrazione dei negozi di artesania in cerca della gonna tarahumara…ma nulla di fatto. Vediamo invece il museo del paese con le tante belle fotografie in bianco e nero che ci raccontano ciò che noi non potremo mai vedere…i loro riti e le loro case scavate nelle alte rocce per sfuggire ai conquistatori: spagnoli o gesuiti che fossero. Anche se ne avremmo il tempo non abbiamo voglia di andare a vedere la famigliola tarahumara a disposizione dei turisti, gli zoo non fanno per noi . Preferisco comprare il libro in vendita in uno dei tanti negozietti del paese scritto da Maria Elena Orozco Idalgo che per dedicarsi allo studio di questa etnia ha vissuto per molto tempo con loro. Il modo migliore per conoscerli davvero! Il libro si apre con una riflessione che mi conquista e che cito:- Senza che nessuno gli abbia detto niente l’indio sa molte cose. L’indio legge con i suoi occhi tristi ciò che scrivono le stelle che passano volando, ciò che è nascosto nell’acqua stagnante del fondo delle grotte, ciò che pesa sopra la polvere umida della sabana. L’udito dell’indio ascolta ciò che dicono gli uccelli saggi quando cala il sole, e sentono parlare gli alberi nel silenzio della notte, e le pietre dorate per la luce dell’alba. Nessuno gli ha insegnato a vedere, né ad ascoltare queste cose misteriose e grandi, però le sa. Sa e non dice nulla. L’indio parla solo con le ombre. Quando l’indio riposa delle sue fatiche, sta parlando con quelli che lo ascoltano e sta ascoltando quelli che gli parlano. Quando si sveglia, sa più di prima e calla più di prima.- E’ evidente che dopo questa lettura, la famiglia indio che da anni si presta ad essere visitata e fotografata dai turisti non vale una visita. E ciò che vorremmo davvero conoscere non potremo apprenderlo nel corso di questo viaggio. Il treno delle 11.15 arriva in ritardo alle 13. Nell’attesa quasi sveniamo per il freddo pungente che nemmeno il sole limpido di oggi riesce ad ammorbidire, immersi tra i made in USA sul marciapiede della stazione. Saliamo finalmente e dopo un paio d’ore scendiamo di nuovo per la sosta a Divisadero per ammirare il grande canyon del Cobre . Stesso grande senso di libertà di fronte alla forza di queste tre grandi voragini che sono il risultato di millenni di effetto erosivo sulle rocce della sierra madre. Ritornando verso il treno dalla breve passeggiata mi fermo di fronte ad un rudimentale focolare sul quale una signora indio scalda le meravigliose quesadillas ed empanadas preparate da lei.. Ne prendo un paio per la nostra merenda da consumare a bordo. Del resto non c’è tempo…i 15 minuti di sosta sono tassativi. Arriviamo ad El Fuerte quando ormai è buio verso le 9 di sera. Le ultime ore di viaggio sono state noiosissime, per la stanchezza e soprattutto per l’impossibilità di ammirare il paesaggio bellissimo che sappiamo esserci là fuori. Stesso taxi per rientrare allo stesso hotel, stessa camera…sembra che il viaggio a Creel non sia mai esistito….
16 Febbraio 2007
EL FUERTE – GAYMAN
L’obiettivo ora è raggiungere la Bassa California nel più breve tempo possibile, quindi scivoliamo velocemente lungo i 400 km che ci separano dal battello per Santa Rosalia. Arrivati, ci accoglie l’ incertezza della partenza di questa sera, forse il battello per oggi non partirà…troppo vento al largo! Ci concediamo un pranzo a metà pomeriggio in un ristorante di pesce. Mangiamo benissimo nell’attesa del responso definitivo delle 18.30 che ci conferma che non partiremo. Cerchiamo una sistemazione nell’unico hotel decente della città…dopo averne visti di terribili. Comodamente stesi sul nostro king bed divoriamo i due dolci che costituiscono la nostra cena, mentre su History Channel scorrono i fotogrammi del film “l’ultimo imperatore”. Domani mattina alle 7 sapremo se partiremo.
12 Febbraio 2007
GAYMAN – SANTA ROSALIA
La sveglia rimbomba nella stanza ma io sono già sveglia da un’ora. Giornataccia…una scena del film di Berolucci mi ha fatto tornare alla mente un grosso problema mai risolto ed oggi sono la persona più triste e depressa del mondo! Ma partiamo, su questo vecchio ferry il cui salone principale, l’unico aperto, non ha oblò. Viaggiamo in stiva, praticamente, di fronte a noi si apre ad un certo punto un piccolo baretto, nascosto prima da due ante a soffietto. Sarà la nostra salvezza, nelle 9 lunghe ore di traversata, consumata tra lacrime e Kleenex.. Ma usciamo ogni tanto sopracoperta a prendere una boccata d’aria. Il mare è piatto come una tavola e non c’è vento. Procediamo alla velocità di 15 km/h….è praticamente come attraversare a piedi. 150 km in 9.30 h. Una follia al giorno d’oggi! Delfini e balene. A Santa Rosalia ci sistemiamo nel bell’hotel “Los Frances”, dove la nostra camera ci avvolge con la sua particolare atmosfera Old Style. All’interno le pareti sono rivestite con un tessuto disegnato a fondo vinaccia, i mobili sono in stile ovviamente e tutto il resto è legno. Siamo contenti della sistemazione ma il mio malumore non migliora.
18 Febbraio 2007
SANTA ROSALIA – GUERRERO NEGRO
Partiamo di buonora verso Guerriero Negro che a 150 km da noi ci aspetta con le sue numerose balene grigie provenienti dall’Alaska. Appena usciti sul lungomare vediamo il bellissimo paesaggio desertico nel quale siamo immersi, cui fa da sfondo il mare blu intenso. Visto e subito lasciato questo bel mare; ci dirigiamo infatti verso l’interno per raggiungere la costa pacifica, attraversando territori inospitali pieni di cactus di ogni dimensione e specie. Avvistiamo anche il vulcano delle tre vergini che si staglia imponente all’uscita di un’ampia curva. La strada sinuosa si arrampica lungo i pendii di questa arida sierra non particolarmente alta, ad ogni sterzata di Carolina i colori sempre variabili del terreno si stemperano in sfumature accattivanti sopra la totemica vegetazione. La sierra lascia il posto alla pianura ancora caratterizzata dalla stessa spinosa vegetazione. Le curve lasciano il posto a rettilinei affollati di lunghe carovane di sporchi americani in fila con i loro camper e pullman monocromi. Più oltre ecco il pueblo di Guerrero Negro immerso nell’ampia laguna che lo circonda, la famosa Ojo de Lieve ( occhio di lepre) dove le balene arrivano numerose per riprodursi. Giungiamo al pueblo non sapendo nulla….per esempio quale sia il punto da cui partono le lance di avvistamento, decidiamo di seguire i cartelli che ci suggeriscono mete allettanti come “le dune” o “il vecchio faro” o “avistamento de aves “. La larga strada bianca che come un lungo ponte si insinua dentro la laguna, termina con uno slargo a ridosso del mare aperto. Non siamo soli qui, ad ammirare la lingua di dune che si sviluppa a perdita d’occhio parallela alla costa. Come una barriera naturale a protezione della laguna, le alte dune sono proprio del colore che preferisco, una vasta gamma di sfumature ocra. La cosa particolare è che sono li isolate dentro al mare, a 200 metri da noi, come se potesse esistere una fascia di deserto circondato dall’acqua. Siamo incantati di fronte alla magia di questo strano fenomeno naturale…e come noi altre auto dai cui sportelli aperti si spandono nell’aria le note di chiassose canzoni messicane, stanno immobili ad aspettare. E’ domenica oggi ed alcune famiglie locali sono qui a pescare sulle piattaforme circolari che avanzano sul mare, o per un pic nic . Fanno un gran casino, bambini e non….sono vivaci questi messicani! Tornati sui nostri passi e sondate le varie stradine dentro la laguna andiamo questa volta nella direzione degli avvistamenti. Per fortuna qui, a differenza della penisola Valdez in Argentina, le piccole lance partono frequenti ad ogni orario anche pomeridiano. La lancia delle 4 ci porta al centro del grande specchio d’acqua dell’ojo de lieve, le balene sono numerosissime. Il ragazzo che ci guida dice che ce ne sono 750, ma che l’anno scorso, nel periodo di grande afflusso ne sono state contate 2000. Incredibile! Queste balene grigie del pacifico sono vivaci…amano emergere dall’acqua con tutta la loro parte anteriore…come a cercare il calore del sole…o qualcosa da vedere che non siano le profondità marine. Alcune si avvicinano sfiorando la barca, altre guizzano verso l’alto con agilità . Certo ci danno una gran soddisfazione! Torniamo verso la strada asfaltata quando il sole è già al tramonto ( posada del sol ) , vediamo le immense saline bianche tingersi di rosa…la bellezza è indicibile. Dormiamo alla “Cabanas Don Miguelito”, all’interno del complesso Malarrimo. Praticamente un grande recinto circondato da un alto muro che si profila in tutta la sua estensione all’interno di questo territorio semidesertico fatto di poco o nulla.. Mangio degli ottimi callo de mano de leon (capesante) alla mantequilla ( burro )…davvero squisite!
19 Febbraio 2007
GUERRERO NEGRO – LORETO
Appena arrivati in Bassa California, un paio di giorni fa, leggiamo dei magnifici dipinti rupestri rinvenuti nelle quasi inaccessibili grotte della sierra di San Francisco, a poche decine di chilometri da Guerriero. Naturalmente andiamo, almeno in avvicinamento, per verificare quali grotte avremmo potuto visitare in giornata. Lasciata la strada asfaltata dirigiamo la prua di Carolina verso l’interno, verso le montagne che scorgiamo all’orizzonte. Inizia il bel percorso attraverso le tante specie di piante grasse caratteristiche del nord del messico e qui tutte riunite. Sembra di attraversare un immenso vivaio. Cactus, cactus botte, boojum, che cresce solo nella Baja California, pero spinoso o fico d’india, agavi, joshua tree, sono gli unici nomi che ricordo di questa incredibile varietà …del resto la botanica non è mai stata il mio forte…dimenticavo un tipo di cactus botte che produce sulla sua sommità piccoli frutti a forma di ananas in miniatura…perfetti da succhiare se si è a corto di acqua. La strada intanto si fa sempre più ripida e sassosa con strapiombi che ci fanno temere di precipitare dentro quei vortici di pietra. Incontriamo solo un paio di auto che a fatica scivolano accanto a noi diretti nell’altra direzione…noi continuiamo a salire verso questo gruppo di una decina di case che finalmente vediamo su un promontorio. Le ridotte dimensioni della chiesa fanno intuire che il borgo non conta più di una cinquantina di persone….siamo proprio in culo al mondo! L’ufficio è un piccolo tavolo scassato sotto una tettoia esposta agli elementi, l’anziano signore al quale chiediamo dei dipinti estrae un blocco dal cassetto mentre ci spiega che l’unica grotta facilmente raggiungibile è la “gruta del ratòn”, situata poco più a valle sulla strada che abbiamo percorso salendo. La visita delle altre numerose grotte con dipinti richiede un tour a dorso di mulo attraverso i canyon della durata di almeno 3 giorni con pernottamento in tenda. Con questo freddo è decisamente improponibile! Ci accontentiamo di vedere questa, a pochi passi dalla strada e decisamente interessante. Questi sono probabilmente i più bei dipinti paleolitici che abbia mai visto, ne usciamo col proposito di comprare almeno il libro che riporta le foto di quelle che inevitabilmente ci siamo persi. Arriviamo a Loreto nel tardo pomeriggio dove scegliamo l’ hotel “Oasis de Loreto” perché sulla spiaggia, con camera piuttosto spoglia ma vista mare. Due passi al tramonto sul lungomare e una cena cara ma di scarsa qualità al “ Mediterraneo “ dove il mio callo de mano de leon non è nemmeno paragonabile a quello di ieri sera.
20 Febbraio 2007
LORETO – TODOS SANTOS
Questo tratto di litoranea che da Loreto ci porta verso La Paz è davvero spettacolare. Una miriade di insenature, isolotti, baie ed il mare di un blu da manuale che contrasta con il colore delle montagne brulle che vi si insinuano con i loro profili frastagliati. Sembrano giganteschi draghi affondati nel mare molti milioni di anni fa. Poche case lungo la costa, anche le baie e le belle spiagge sono libere da costruzioni ma piene delle carovane di camper dei soliti made in Usa…che peccato! Ci fermiamo a La Paz , la capitale della bassa California del sud, per una passeggiata sul lungomare, tanto per non rischiare di perdere l’uso degli arti inferiori. Questa sera si festeggerà proprio qui sul lungomare l’ultimo giorno di carnevale…che anche a quest’ora del pomeriggio è tutto in fermento. Si allestiscono palchi, ed una fila ininterrotta di bancarelle corre lungo la strada già chiusa al traffico. Proseguiamo per Todos Santos, un piccolo paese sulla costa pacifica famoso per il celebre hotel California della canzone degli Eagles. Abbiamo qui una sorta di appuntamento con Paolo e Catia ( paolocatia@interfree.it), due ravennati conosciuti a una cena l’estate scorsa a casa di Angelo e Raffa. Vivono qui da qualche anno e stanno costruendo la loro casa dei sogni proprio a Todos Santos, su una collina che domina il mare a nord del paese, tra cactus, avvoltoi e serpenti a sonagli. Appena arrivati cerchiamo un hotel, ma non troviamo un vista mare, quindi li chiamiamo per salutarli e per avere delucidazioni circa le sistemazioni che offre il mercato. Dopo pochi minuti sono da noi e ci invitano per un aperitivo nella casa che occupano temporaneamente, ospiti di Jenny, una loro amica inglese. La casa è bellissima, essenziale, colorata, estremamente accogliente. Loro simpatici, solari e gentilissimi. Ci propongono di sistemarci nella camera libera al primo piano e noi, reduci da mesi di camere d’hotel e conquistati dalla loro piacevolezza, accettiamo volentieri. Ci raccontano che il progetto dell’edificio e degli arredi è di Jenny, ex modella londinese, poi arredatrice di talento che sta portando a termine il piccolo insediamento di sua proprietà di cui fa parte questa casa che occuperemo nei prossimi giorni . Paolo e Catia, che occupano la camera al piano terra, sono un po’ più grandi di noi, giramondo da sempre e profondamente liberi. Si frequentano felicemente da 27 anni, ma il tempo non sembra aver inciso negativamente su di loro…anzi continuano a fare progetti insieme, con slancio e passione. Insomma una coppia da imitare. Naturalmente parliamo del nostro viaggio e loro ci raccontano delle incredibili difficoltà nel realizzare la loro casa con le maestranze locali la cui scarsa professionalità ha dell’incredibile…ed effettivamente ascoltando i loro racconti non si può non dar loro ragione. Dopo una breve passeggiata alla grande spiaggia sotto casa, con avvistamento di balene che spruzzando acqua dal loro dorso viaggiano parallele alla costa, rientriamo per la cena con gli ottimi spaghetti alle vongole preparati da Catia, chiacchiere e dvd dello spettacolo di Grillo registrato a Bologna l’anno scorso. Le risate si mescolano all’amarezza inevitabile che suscita l’ennesima presa di coscienza dell’assurdità insita nella politica Italiana, e tanto altro.
21 Febbraio 2007
TODOS SANTOS
I ragazzi oggi saranno tutta la giornata a La Paz , ci lasciano una delle loro auto e ci consigliano di andare alla “playa las palmas” che dicono essere bellissima. Impieghiamo almeno un’ora per trovarla…nonostante le tante soste fatte per chiedere dove fosse questa benedetta spiaggia! Alla fine arriviamo e iniziamo a percorrere il sentiero tra le palme parallele al piccolo fiume che sfocia su un lato di questa bella spiaggia. La sabbia gialla con striature nere, il fitto palmeto alle nostre spalle, le rocce sui due lati a definirne la dimensione, non più di 300 metri. Il mare qui come sempre sul pacifico, è potente. I cavalloni alti rifrangono sulla battigia allungandosi per molti metri verso l’interno …l’acqua gelida scoraggia da qualsiasi tentativo di bagno. Poco dopo arrivano i cavalli di cui Catia ci aveva parlato, a conferire un aspetto ancor più selvaggio a questo bell’angolo di Todos Santos. Li vediamo al passo, paralleli alla riva davanti ai flutti che sembrano esplodere dietro di loro…sono bellissimi e tranquilli, dopo poco si accucciano lontani da noi, in fondo alla spiaggia. Solo una decina di persone qui con noi. Stiamo bene. Ci fermiamo per un tacos de camarones in un chiosco lungo la strada, gustoso e necessario a quest’ora, ma Vanni come sempre assaggia solo la doppia porzione che prevedendo ho ordinato…fa l’anoressico ma è un golosone! I ragazzi non sono ancora rientrati quindi decidiamo per una passeggiata alla spiaggia sotto casa che preferisco a tutte quelle viste di recente…ma è già tardi ed il tramonto finito. Andiamo a cena in un ristorantino del paese che Catia e Paolo ben conoscono…si chiama “ el Zaguàn” e si mangia meraviglioso pesce fresco. La fornitura di tonno fresco non lascia spazio a dubbi e così sfilano sul tavolo piatti di sashimi, di tonno marinato in salsa di soya con papaia, verdurine, flan…una squisitezza di cibi annaffiati con un ottimo chardonnè cileno Santa Elena. Il marinato con papaia è così stuzzicante che cedo alla seconda porzione…e sono sicura, mentre ne addento l’ennesimo boccone, che non sarà finita qui. Dopo la cena luculliana andiamo a casa di Cesar, un loro amico messicano simpatico ed ospitale dove tra una pipetta e l’altra, tequile e risate lo batto due volte di seguito a back – gammon. Siamo ancora così tirati quando usciamo alle 4 del mattino che sembra strano dover entrare in un interno per andare a letto…comunque andiamo e alla fine chiacchieriamo nel nostro comodo lettone bianco fino quasi all’alba. Un’altra serata così e muoio!
22 Febbraio 2007
TODOS SANTOS
Ci svegliamo tardi e straniti…da sotto non giungono suoni, dormono o sono usciti? Scendo per preparare un caffè a Vanni che si rifiuta di scendere a socializzare…dice di essere cotto….o meglio crudo come dicono da queste parti. Io invece sono iperenergetica ed esco con Catia alla ricerca di un vivaio dove prendere un bel mazzo di fiori per Jenny, la padrona di casa. Ma nemmeno trovare un po’ di fiori è così semplice qui in mezzo al deserto. Ci dirigiamo verso sud, sulla strada per Cabo San Lucas e dopo una ventina di chilometri troviamo finalmente il vivaio aperto. Disposti su un tavolaccio di legno alcuni catini di plastica raccolgono variopinti fiori composti in mazzetti. Scelgo qualche girasole ed un mazzo fitto fitto di fiori dalle tonalità rosa e arancio. Ma al rientro Jenny non è in casa, Vanni ancora in panciolle sul letto legge la guida degli stati uniti, Paolo è in attesa di andare a prendere i muratori in cantiere. Decidiamo di andare tutti a vedere il loro nido in costruzione. Il bronco sfreccia lungo la strada bianca litoranea per circa 5 km, poi si inserisce in una traversa verso l’entroterra. Un gruppo di avvoltoi dal becco rosso si alza dal bordo della strada…stanno divorando un cane, morto forse per il morso di in serpente a sonagli…Due buchi neri là dov’erano gli occhi, un buco sulla pancia ed all’altezza dei genitali…Questi uccellacci adorano nutrirsi delle parti molli del loro bottino, prima di dedicarsi al corpo che deve essere già in avanzato stato di decomposizione per rappresentare un bocconcino prelibato. Superato il gruppetto il bronco inizia ad arrampicarsi all’interno della proprietà, su una stretta sterrata delimitata ai due lati da profondi solchi per lo scolo delle acque piovane. Improvvisamente il motore perde potenza e la macchina si ferma. Si può solo tornare indietro in folle, ma subito ci ritroviamo inclinati con due ruote nel fossato. Scendiamo a fatica arrampicandoci verso gli sportelli a monte e mentre Paolo prova inutilmente a far uscire il bronco , noi ci incamminiamo verso la casa in costruzione che, immersa in un bosco di cactus, riprende la tipologia della posada messicana ad un piano, sviluppandosi sui tre lati della corte interna aperta verso la piscina e più oltre il mare. Dalla terrazza dominiamo tutta la costa che vediamo snodarsi in un ampio arco di cerchio dal paese, fino ad una lontana baia più a nord. La posizione è strategica e la grande proprietà una scelta per preservarsi da eventuali disturbi da parte di vicini di casa indesiderati.. Gli operai intanto accorrono ad aiutare Paolo nelle lunghe operazioni di recupero, Vanni sovrintende. Dopo una mezz’ora decidono di chiamare il ranchero confinante che in effetti accorre con un vecchissimo pick up, ma uscito il bronco è lui ad infilarsi questa volta nel fossato. Nel frattempo la macchina di Paolo nell’uscire ha rotto il filtro dell’olio ed è quindi inutilizzabile. Il canchero che rimane anche senza benzina decide di rientrare a casa a piedi. Paolo chiama Cesar che disponibilissimo arriva mentre noi stiamo camminando alle luci del tramonto sulla sterrata verso il paese. Con decisione unanime rifiutiamo l’invito a raggiungerlo dopo cena per la solita abbuffata di cocaina e andiamo invece sempre all’unanimità al ristorante di ieri dove il tonno per fortuna è stato riassorbito! Bis di tutto e poi a nanna!
23 Febbraio 2007
TODOS SANTOS – SAN JOSE DEL CABO
Nonostante qui a Todos Santos si stia benissimo è arrivato il momento di partire…essere ospiti a lungo non fa parte delle nostre abitudini e per carattere preferiamo dare che ricevere. Siamo già pronti con i bagagli già caricati in auto, quando giunge la bella notizia che Paolo e Catia ci accompagneranno fino a Cabo de San Lucas . Dopo un oretta arriviamo in questa cittadina devastata dalla speculazione edilizia statunitense, famosa per la sua spiaggia degli innamorati ormai circondata dalle moto d’acqua ed altro. Non vediamo l’ora di fuggire ma non prima di aver assaggiato, dice Paolo, le ottime ostriche di un chiosco molto ruspante ma dai prodotti di indubbia qualità. Quindi li seguiamo fino alla baracca. Due tavolini di legno ed una grande quantità di molluschi sulla pietra di un bancone. Stuoie e plastica a delimitare il piccolo spazio. Paolo ordina tutte le ostriche che ci sono da dividere con Vanni, io prendo un insalata di pesce cotto con callo di chocolate, Catia un cheviche de pescado. Tutto squisito in questo posticino al quale non avrei dato due lire… All’uscita ci salutiamo, questa volta senza possibilità di appello e mentre loro vanno per acquisti, noi procediamo verso San Josè del Cabo, a poche decine di chilometri da qui. Ma è venerdì oggi e gli hotel tutti pieni zeppi per il weekend…finiamo col girare a vanvera in questa città che non conosciamo e della quale non abbiamo nemmeno una mappa per orientarci. Ma finiamo anche col conoscerla presto questa San Josè, visti i giri che continuiamo a fare nel centro storico e sul lungomare…Vanni esasperato propone un super mega hotel sulla spiaggia….un casermone nel quale proprio non riuscirei a stare!..ma poi vediamo una costruzione un po’ più a dimensione d’uomo e ci avviciniamo alla sbarra. Ci informano che si tratta di un centro naturista e che la prenotazione è tassativamente da fare via internet perché la sede è a Cancun. Nessun problema da parte nostra per il naturismo, dato che appena possiamo adoriamo stare nudi…ma trovare adesso un internet point per la prenotazione visto che siamo stanchissimi e praticamente nel parcheggio dell’hotel ci sembra un controsenso! Un bell boy intercede a nostro favore presso la reception e dopo poco torna sorridente per darci la lieta notizia…nonostante la prassi scoraggi questo tipo di approccio al centro naturista, saremo graditi ospiti dell’ hotel Desiré….in fondo siamo in Messico…non in Svizzera! 190 USD a testa al giorno sono comunque una cifretta considerevole per questo hotel all inclusive sulla spiaggia di San Josè, ma alla fine siamo finalmente giunti da qualche parte. Joan Pablo ci accompagna alla 120 introducendoci alle regole del centro, che scopriamo essere godereccie da morire e molto poco naturiste in senso stretto. Nudi si, ma solo nell’area piscina, spa e nella parte di spiaggia protetta , ridossata alla piscina…ma la cosa interessante è che non solo è consentito ma quasi incoraggiato il sesso in pubblico, se praticato in alcune aree consentite, tra cui alcuni angoli della discoteca e la terrazza della spa. Arrivati nella nostra bella camera, Joan Pablo ci fa notare con una punta di soddisfazione il disegno posto sopra il letto che illustra alcune posizioni del famoso kamasutra….tutte queste sollecitazioni, unite al canale porno in tv, che scopro essere estremamente eccitante per l’Ale, ci inducono ad un pomeriggio di sesso sfrenato. Certo la sera c’è un bel freddo anche qui! Ceniamo al ristorante della piscina….certo non benissimo….poi a letto di nuovo per un bel bis.
24 Febbraio 2007
SAN JOSE DEL CABO
L?hotel si sviluppa sui due lati di un lungo giardino che dalla reception corre verso il mare. Pieno di piante grasse ed uccellini variopinti ha al centro un percorso sinuoso che disimpegna le aree di ristorante, bar, piscina. Attorno a quest’ultima e sulla spiaggia di pertinenza una serie di bassi letti a baldacchino protetti da teli di cotone bianco rappresentano il luogo più comodo dove vivere le ore più calde della giornata standosene comodamente nudi, stesi, a sorseggiare i drink che nel frattempo la cameriera avrà recapitato. E così dopo la colazione al ristorante Il Piacere, ci impossessiamo di uno dei lettoni più defilati e, armati di computer, guide e cartine stradali, trascorriamo un pomeriggio di relax sotto l’ombra delicata del cotone bianco, accarezzati dalle brezze marine e dal tepore del sole. Dato che da quando siamo arrivati qui ieri, non abbiamo più nemmeno pensato di uscire per un giro nel centro storico ecco arrivare il momento giusto…dopo l’aperitivo alla piscina dello spa, quando la temperatura si fa proibitiva per il nudismo, siamo pronti per una visitina di piacere tra negozi, piazze e le chiese del centro. Le solite cose di sempre ma un po’ più care, interessanti invece le gioiellerie dove vedo turchesi molto belli. Ne ordino un grosso pezzo che ritirerò in giugno, quando torneremo qui per proseguire il nostro tour americano. Mi è venuta l’idea di fare duplicare il mio anello di avorio con il turchese….sarà favoloso! Diamo qualche spicciolo al ragazzo che nel frattempo ci ha lavato l’auto parcheggiata lungo la strada, e torniamo in hotel per la cena, questa volta buona nel ristorante il piacere.
25 Febbraio 2007
SAN JOSE’ DEL CABO – LA VENTANA
Quasi mi dispiace di non poter spaparazzarmi anche oggi all’ombra dei tessuti nei comodi lettoni a baldacchino sulla spiaggia…ma che dire. Il viaggio va avanti. Vanni vuole trovare un posto dove io possa fare un po’ di snorkeling ….esigenza più sua che mia, vista la temperatura gelida dell’acqua…ma chiediamo e ci viene consigliata Punta Pulmo, un po’ più a nord di San José, che si affaccia sul Mare di Cortes, decisamente più easy dell’ondoso Pacifico dove solo le balene sembrano nuotare felici. Riusciamo a partire alle 11.30, nonostante le incomprensibilmente numerose chiamate dalla reception. Proprio vogliono rompere le scatole…il check-out è alle 12! Comunque riusciamo a non restituire le tessere per l’apertura della porta della camera….Vanni ne ha iniziata la collezione qualche tempo fa e non riesce proprio a smettere. La strada per Punta Pulmo non è proprio scorrevole. A parte il primo tratto di strada asfaltata il resto è costituito da una strada bianca completamente senza indicazioni. Per fortuna la nostra cartina dettagliata ci fa intuire i nomi di tutti i paesini che incrociamo per arrivare a destinazione…quindi arriviamo alla fine, ma solo dopo una serie di informazioni strappate qua e la. La costa che percorriamo in macchina è bellissima ed il mare di un blu da capogiro, ma quasi tutta di proprietà dei privati che se non hanno già provveduto a costruire sono in procinto di farlo. Tranne a Punta Pulmo, dove la sabbia è stranamente ghiaiosa e scura. Il paesino è costituito di poche case distribuite a casaccio lungo la strada. Di queste poche uno è un resort, due sono scuole di diving e c’è anche un ristorante. Non ci piace qui, soprattutto dopo aver visto le belle spiagge lungo la strada. Decidiamo di andare oltre, verso La Paz, vediamo sulla cartina una grande baia che ci era stata consigliata… Carolina sfreccia lungo la strada sterrata che, tagliando tra le due statali, unisce noi e l’obiettivo in linea retta, Vanni è un po’ teso…deve essergli venuta un po’ di paura di forare….chissà perché! Arriviamo a La Ventana verso le 5 del pomeriggio.. L’unica sistemazione plausibile è rappresentata dal B&B Palapa La Ventana di cui vediamo dalla strada le poche cabanas circolari con vista mare. Entriamo a vedere e veniamo accolti da Carina, un’americana che parla solo inglese, ma alla quale comunque riusciamo a far capire che prendiamo la cabana green , l’unica che abbiamo visto. Ceniamo al ristorante “la ventana del sol” , l’unico ristorante qui, dove finalmente riusciamo ad assaggiare le famose Albondegas de pescado , ottime polpettine di pesce in brodo, di cui Catia ci aveva parlato benissimo. Il silenzio è di tomba questa notte qui a La Ventana…i tappi non sono necessari.
26 Febbraio 2007
LA VENTANA
La colazione che Vanni porta nella veranda vista mare è come un regalo, per la bellezza del panorama, l’ombra della tettoia e l’amorevolezza del servizio. Nel frattempo mentre faceva colazione al ristorante, ha chiesto a Timoteo, il figlio della proprietaria, dove sia il posto più adatto allo snorkeling. Torna con una mappa disegnata grossolanamente a matita che indica una spiaggia abbastanza lontana da qui, sulla punta Arenal. Naturalmente andiamo avventurandoci lungo le sterrate che, dopo il pueblo di San Pedro si inoltrano verso la spiaggia. Vediamo in lontananza il piccolo faro, quindi deviamo verso un hotel del quale non sono riportati cartelli e che scopriamo essere stato di recente abbandonato. Sulla spiaggia lì accanto un gruppo di pescatori sta sistemando il pescato dentro scatole di polistirolo, la spiaggia affollata di pellicani è chiara ed il mare meravigliosamente blu. Siamo gli unici visitatori qui, i pescatori ci tollerano e noi ci sistemiamo un po’ defilati. L’acqua è freddissima, ma entro con la muta e inizio subito a nuotare con slancio. Il resto lo fanno la bellezza dei coralli e dei pesci colorati. Dopo una mezz’ora rientro alla spiaggia dove i pescatori, che stanno risalendo, lanciano a tutta birra le loro barche sulla sabbia alzando il motore all’ultimo momento perché l’elica non si areni nella sabbia. Mai vista una cosa simile…sembra di vedere le comiche, con la barca che ancora in acqua e perpendicolare alla spiaggia, a tutta birra si lancia sulla terraferma! Sono dei matti, ma il risultato è ottimo….senza fatiche inutili le barche si posizionano da sole al sicuro a metà spiaggia. Qui la costa è incantevole …e non c’è nessuno. Dopo un’oretta dal mio ritorno i pescatori sono pronti per andare e se non usciremo con loro rimarremo chiusi all’interno del cancello di accesso alla spiaggia dell’hotel. Vanni decide saggiamente di cambiare zona, la spiaggia sotto il faro che avevamo vista è meravigliosa e desolata…fa per noi che adoriamo sentirci ogni tanto come naufraghi.. Continuiamo la nostra abbronzatura integrale passeggiando o sostando sui nostri kikoyo…trascorriamo una magnifica giornata di mare in relax. Al rientro mi godo il massaggio che avevo prenotato per le 16.30. Teresa, la massaggiatrice è capace ed energica. Individua subito il problema quindi si accanisce su tutti i grovigli che sento sotto la pressione delle sue dita….naturalmente su collo, spalle e schiena. Un brano “are chrisna” fa da sottofondo musicale, disturbato a tratti dal rumore delle auto sulla strada a pochi passi da noi. Vanni intanto si è dedicato ad internet ed a socializzare con i ragazzi del bar. Ceniamo sempre nell’unico ristorante disponibile, mangiando le stesse buone cose di ieri. Unica variazione il proprietario messicano che prendeva le ordinazioni è stato sostituito con l’insegnante di yoga statunitense che ha la voce da bambina scema ma che dopotutto è simpatica. Riusciamo a strappare alla cuoca la ricetta delle polpette di pesce che riporto qui di seguito per non dimenticare: pesce macinato, peperoni , basilico, pepe ed un po’ di farina bianca di mais per legare il tutto. Cuocere in brodo di verdure con basilico e riso scotto.
27 Febbraio 2007
LA VENTANA – LA PAZ
Mi sveglio rincoglionita quando Vanni è già rientrato dalla colazione. Questa notte mi sono svegliata con un rumore che probabilmente era il grido di un uccello e fino all’alba non ho chiuso occhio per la solita paura dei ladri. Maledetta ansia! Certo la cabana non ispirava una gran sicurezza….ma da qui a starsene per ore sveglia nel cuore della notte ce ne passa! Il secondo massaggio con Teresa è alle 11, quindi abbiamo tutto il tempo di razionalizzare i bagagli in vista della partenza di domani da La Paz a Città del Messico. Ma che fatica far star tutto in due trolly ed una valigia grande! Comunque altri nodi da sciogliere per Teresa che come ieri inizia un paziente lavoro di distensione che comunque non risolve completamente…i miei nodi sono tenacissimi ed il torcicollo che mi “tormenta” da un paio di mesi si attenua ma non sparisce. Dopo aver pagato un conto, salatissimo per questo tipo di sistemazione, e con cambio sfavorevole passando dal dollaro al peso infine all’euro, per un totale di 275€ per due notti, partiamo verso la vicina La Paz.. Alloggiamo alle “Cabanas los Arcos”, sul lungomare della città. Ancora operazione bagagli con pesatura del valigione. %0 kg in due non sono tanti considerando il malloppo di libri che ci portiamo dietro. Esco poi sola a cercare una camicia con taschini dove alloggeranno i due nostri animalini sopravvissuti a tutte le diverse condizioni climatiche e sobbalzi cui li abbiamo costretti. Viaggeranno all’interno di un taschino bianco anche se loro adorano la penombra del colore nero, ma sentiranno il mio calore e questo credo li consolerà un po’ quando la pressione sarà forte sulle loro corazze. Questa sera ceneremo con Paolo e Catia che colgono l’occasione dell’arrivo di loro amici qui a La Paz con l’aereo della sera ,per un ultimo saluto. Che carini! Arrivano e subito usciamo, la fortuna è che loro conoscono i posticini giusti quindi mangeremo senz’altro bene in questo “Buffalo” dove stiamo andando. La specialità della casa sono delle bisteccone sanguinolente cotte alla brace e novità delle novità, le costole di mucca che in Italia invece non si trovano sottolinea Catia. Io comunque ho un bel filetto di Marlin ( tipo pesce spada) e gamberoni e cozze e vongole nel mio piattone…insomma non patirò la fame! Paolo e Vanni scelgono un vino rosso francese che fa scaturire una mezza tragedia perché la seconda bottiglia sa di tappo e non la vogliono cambiare…Paolo si incazza, soprattutto per l’arroganza del cameriere. Comunque la cena luculliana procede benone sia sul fronte carne che su quello pesce….Decidiamo di rientrare nella nostra camera per un drink di saluto, ma poi finisce in un’orgia di cocaina che ci fa stare svegli fino a notte inoltrata.
28 Febbraio 2007
LA PAZ – CIUDAD DE MEXICO
Andiamo a ritirare i nostri biglietti all’agenzia Aeromexico come d’accordo alle 9, poi verso l’aeroporto per l’ultima corsa di Carolina in questa nostra terza parte di viaggio. Lasciarla in questo parcheggio sembra quasi abbandonarla…e già sappiamo che a Città del Messico ci mancherà da morire. L’aeroporto di La Paz è senza pretese ma nuovo e soprattutto ospita una piccola caffetteria dove si possono assaggiare delle ottime fettone di torte al cioccolato. I machech viaggiano clandestinamente nei due taschini della mia camicia e fortunatamente nessuno al controllo di sicurezza se ne accorge. Ma poi ecco che al gate una signora seduta di fronte a me mi fa cenno indicando la camicia…il più piccolo dei due non ne vuol proprio sapere di starsene li dentro e spunta fuori dal taschino seminascosto dal risvolto. Prontamente lo prendo in mano per nasconderlo ma una bambina ha visto e vuole toccarlo…insomma tutto bene nonostante le mie perplessità. Il volo parte con un ora di ritardo alle 13.10, piccolo spuntino a bordo e poi eccoci davanti alla barriera di inquinamento sopra la capitale. Una cappa di fumo rossastro si estende sopra tutta la vallata. L’idea di entrare li dentro e di restarvi per 6 giorni non ci fa impazzire di gioia, soprattutto dopo aver sentito l’odore che fa questo smog.. Dentro l’aereo si dilata incolore ma pestifero, come di ristorante cinese. Nausea e mal di testa arrivano quasi immediatamente…ma che fare? Una volta a terra seguiamo il consiglio di Paolo e Catia prendendo il taxi alla stazione autorizzata dei taxi su un lato dell’aeroporto e con 185 pesos siamo sani e salvi all’”hotel Estoril”, naturalmente un Best Western, nella zona più malfamata del centro. Ceniamo malino in un altro best western super consigliato dalla Routard, il Cortès, ancor più triste del nostro ma inserito in un antico edificio coloniale.
01 Marzo 2007
CIUDAD DE MEXICO
Iniziamo con un bel mattoncino oggi! Il Museo di Archeologia è immenso ed estremamente interessante. Osservando i bellissimi oggetti esposti ripercorriamo con la memoria i molti siti archeologici visitati durante il viaggio …insomma una specie di ripasso itinerante all’interno di questo grande edificio anni ‘70 che ci tiene impegnati per buona parte del pomeriggio. Ne usciamo stremati ma arricchiti, oltre che della ulteriore conoscenza di queste incredibili civiltà precolombiane anche delle 100 fotografie scattate strada facendo, che serviranno a conservarne la memoria. All’uscita ci avvolge il tepore di questa giornata di sole ormai agli sgoccioli. E’ caldo qui a Mexico, nonostante i 2300 metri di altitudine anche la sera si sta bene in camicia…credo non esista luogo più appropriato per parlare di effetto serra! Rientriamo in hotel per una necessaria siesta, poi dopo un paio d’ore siamo di nuovo in taxi per raggiungere il ristorante “Via Tasso” dove dobbiamo recapitare a Carmela, la proprietaria, un piccolo pacchetto da parte di Catia. E’ simpatica questa Carmela, nata qui ma da genitori italiani, ci propone una serie di squisitezze da gustare…tra cui le meravigliose bombe di mascarpone. Praticamente dei piccoli bocconcini di pasta sfoglia ripieni di mascarpone e fritti….libidine massima!
02 Marzo 2007
CIUDAD DE MEXICO
Ci dedichiamo oggi alla visita del Museo di Arte Moderna e del museo Tamayo…… solo il secondo davvero apprezzabile sia per la bellezza del contenitore che per le opere esposte, una bella collezione di foto di artisti africani e una retrospettiva di quadri optical anni ’70. In un cortiletto, sorpresa delle sorprese una bella scultura di Jo Pomodoro ed all’esterno un totem di Arnaldo Pomodoro…insomma la famiglia al completo. L’edificio ricorda le architetture di Moneo, il mio architetto spagnolo preferito, in particolare la fondazione Mirò di Palma di Maiorca. Anche Elisa immagino avrebbe molto apprezzato questa visita. Ci sediamo per uno spuntino all’ombra della pensilina, accanto all’entrata, dove ispirata da tanta creatività fotografica inizio anch’io a sperimentare…Vanni naturalmente il mio soggetto preferito in primo piano, lo sfondo invece questa architettura riflessa nei vetri dietro a lui. Insomma un bel pasticcio. Riusciamo a trovare gli uffici Iberia solo grazie allo zelo di un taxista particolarmente volenteroso….gli altri normalmente non sanno nulla, nemmeno individuare strade del centro che non conoscono. Chiedono ad altri taxisti ancora più ignoranti di loro ed alla fine non si arriva all’obbiettivo e si scende dal taxi per disperazione dopo una mezz’oretta di inutili giri a vuoto. Dicevo di Iberia che si è trasferita al nono piano di un edificio senza insegne che consentano di rintracciarla più agevolmente, sembra quasi che non vogliano farsi trovare. Confermiamo il nostro volo del 6 marzo e poi ci concediamo una bella passeggiata al tramonto lungo La Reforma dove i grattacieli abbondano almeno quanto l’inquinamento ed il rumore assordante dei clacson e dei fischietti dei vigili. Poi Vanni non ce la fa più e prendiamo un taxi per rientrare. Abbiamo grandi progetti per questo nostro venerdì sera…leggo sul settimanale “Tiempo Libre”, che nel frattempo abbiamo comprato, che al “Papabetos Jazz Bistro” di una certa Fujino Kawaguchi Yuko, si terrà questa sera un concerto ovviamente jazz. Alle 21 si esibirà il Diego Moroto Trio, invitado especial Pancho Lelo de Larrea (guitarra). Andiamo. Il locale è vuoto ma il concerto inizierà verso le 22…c’è tempo! Ma arrivano solo altri due ragazzi oltre ai numerosi amici dei concertisti. Il concerto inizia ugualmente e questi ragazzi sono davvero bravi. Vanni, forse solo per consolarli della scarsa affluenza offre loro da bere ed è subito affiatamento, con tanto di dediche e richieste. La serata scivola via piacevolmente tra un Rum anejo consumato nella bella atmosfera bohemienne che si è creata e due chiacchiere con il saxofonista Diego. Ci dice che ieri il locale era pieno…ma questa sera c’è un bel concerto al Zinco e questo forse spiega le 4 persone di oggi qui. E’ belloccio e simpatico…e siamo lusingati della sua presenza al nostro tavolo.
Quando rientriamo io sono ubriachissima e dopo un po’ di sofferenza mi addormento di sasso.
03 Marzo 2007
CIUDAD DE MEXICO
Oggi finalmente niente taxi…ci dedichiamo al centro che è relativamente vicino all’hotel. Andiamo prima di tutto al “Palacio de Bellas Artes” per i biglietti dello spettacolo di domani sera. Un balletto folklorico de mexico ospitato nel bell’edificio neoclassico progettato dall’ architetto italiano Boeri all’inizio dello scorso secolo, e terminato nel 1932 da Mariscal che ne concepì l’interno nello stile della sua epoca, il decò. Ne approfittiamo per osservarne le parti adibite a mostra di murales di artisti messicani. Le lampade decò sono meravigliose, Chiara ne sarebbe affascinata. Ci aggiriamo tra i marmi neri e rossi di Carrara e le geometrie tondeggianti degli oggetti di arredo e delle insegne metalliche che ci accompagnano fino all’uscita. Proseguiamo poi attraverso calle Madero per raggiungere lo Zòcalo che infine ci appare immenso ed affollato. Il sabato pomeriggio è il momento della passeggiata per i messicani di tutte le età che affollano i marciapiedi, i negozi ed ogni luogo pubblico. Colorati e chiacchieroni sfrecciano da tutte le parti fino a stordirci. La facciata della cattedrale ovviamente in stile barocco occupa quasi un intero lato della piazza. Al centro della quale un grande palco ospita un concerto di musica per chitarra acustica messicana, sull’altro lato invece un palco più piccolo del partito comunista messicano diffonde a volume assordante musica dei Pink Floyd . Qua e la guaritori indio spalmano fumo attorno ai loro pazienti, alcuni leggono le carte, altri sono semplicemente punk pieni di piercing. Al centro della piazza un’asta enorme sostiene la bandiera del Messico. Vediamo una strana e lunga fila di persone che termina proprio alla base dell’asta…stanno occupando l’unica zona d’ombra della piazza. Incredibile! E nemmeno un piccolo spazio per noi che ci stiamo liquefacendo dal caldo. Entriamo al Palacio Nacional per vedere la serie di affreschi, che raccontano della storia del Messico, eseguiti da Diego Rivera, amante di Frida Kalho nonché grande artista comunista messicano, tra il 1929 ed il 1945. La cosa incredibile è la brillantezza dei colori a distanza di tanto tempo e l’equilibrio compositivo accompagnato da un’espressività tipicamente latina. Proseguiamo ancora lungo la calle de la Moneda di cui intravediamo gli edifici coloniali dietro le mercanzie che miriadi di bancarelle espongono lungo la strada. I venditori strillano slogan accattivanti alla folla che passa lenta attraverso lo stretto passaggio. Mi sembra di essere una mucca…e infatti dopo poco una manata nel sedere mi conferma di essere circondata da animali. Esausti ci rifugiamo su un taxi per fuggire da questo delirio di corpi, di voci e di rumore…vorremmo andare alla casa Gilardi dell’architetto Barragan, ma il taxista dopo un po’ confessa di non avere la minima idea di dove si trovi questa calle General Leon che gli indichiamo. Scendiamo nei pressi dell’hotel e finiamo il nostro pomeriggio con un bel riposino. Memore della bella serata di ieri, Vanni propone per oggi una piccola variazione, un concerto Blues al “Ruta 61” Arriviamo ancora primi alle 21…ma a che ora escono questi messicani? Effettivamente il locale inizia ad affollarsi dopo una mezz’ora e alle 22 quando inizia il concerto dei “vieja estacion” è addirittura stipato e fumoso…qui si può ancora fumare nei ristoranti e nei luoghi pubblici in generale. Sono bravi questi ragazzi che ci intrattengono a suon di chitarra elettrica, basso e piano per un paio d’ore, ma cediamo sul finale ed andiamo a nanna…non abbiamo più una gran resistenza a questi sound scatenati.
04 Marzo 2007
CIUDAD DE MEXICO
E’ domenica oggi…che fare? Potrebbe essere qualsiasi cosa…in fondo abbiamo visto poco più che una briciola di questa megalopoli che si contende il primato per dimensione con Tokyo e Rio de Janeiro. Ma non abbiamo voglia di fare i turisti anche oggi ed a Vanni viene un’ idea brillante…andare all’ippodromo. Ce la prendiamo con grande calma ed il taxi arriva dopo le 2 pm Una mezz’ora per raggiungere questo nuovissimo ippodromo e arriviamo al ristorante in tempo per la prima corsa di galoppo della giornata. Saranno 10 in totale, una ogni mezz’ora. I tavoli sono tutti pieni di famigliole vocianti tra un boccone e l’altro del buffet. Si respira una vivacità particolare…sana e verace…quasi d’altri tempi. Persone di ogni età sono riunite per il pranzo della domenica in questa bella cornice patinata, movimento incessante di corpi verso i tavoli del buffet o ai banchi dei buck makers. Sfilata di piatti in ordine sparso…carichi di ogni genere di prelibatezze alle ore più diverse. Ma che casino questi messicani! Azzecchiamo un piazzato alla seconda corsa ed un accoppiata alla terza che ci viene pagata 16 volte la posta! Non vinciamo più in seguito, ma il bilancio alla fine del pomeriggio è un pareggio con le spese….quindi tutto sommato abbiamo vinto!
E’ la serata dello spettacolo al Palacio de Bellas Artes….andiamo puntuali nel bell’ edificio che risplende questa sera delle luci delle bellissime lampade decò. Anche il sipario è un piccolo capolavoro…tutto composto di pannelli di vetro satinato colorato. Lo spettacolo certo è rappresentativo solo di una piccola parte del folklore messicano, forse di quello meno verace e che più risente della contaminazione spagnola. Ampie gonne colorate roteano sulla scena, sombreri, ed un gran battere di piedi…una sorta di flamenco alla messicana. Bravissimi i Mariachi di Guadalajara che hanno suonato le loro ballate romantiche ma allegre nell’ultima parte dello spettacolo. Certo mi veniva da pensare mentre guardavo quei balletti, alle donne Tarahumara o Huicholes, che mai si sarebbero neppure sognate di ballare in quel modo. Per me il vero folklore è proprio il loro, verace e soprattutto assolutamente preispanico, fatto anche di danze, ma di spessore decisamente diverso.
05 Marzo 2007
CIUDAD DE MEXICO
Questa mattina è Vanni ad essere ancora insonnolito…io mi sono svegliata addirittura prima della sveglia delle 9. Il mio entusiasmo è a mille…la giornata di oggi è dedicata alla visita delle architetture di Luis Barragan, celebre architetto razionalista messicano di cui finora ho visto solo sulle pagine dei pochi libri che circolano in Italia dedicati a lui . Al telefono risponde la vocina sebbene vagamente autoritaria di una suora che mi da l’indirizzo della “Capilla las Capuchinas” a Tlalpan, un quartiere della zona sud di Mexico. Arriviamo in via Hidalgo 43 dopo una mezz’oretta di auto, la strada stretta è quasi deserta ed un falegname fa manutenzione al portone di ingresso alla Cappella, di chiaro legno massello. Un signore ci viene incontro chiedendo se abbiamo una prenotazione per la visita…un brivido mi assale…la suorina mi aveva detto che non servivano reservaciones. Ma ecco arriva la suora che ci chiede gentilmente di aspettare dieci minuti …è impegnata con altri visitatori ma nel frattempo possiamo accomodarci nel patio. Il piccolo cortile quadrato racchiude l’essenza del linguaggio di Barragan, lineare, equilibrato, raffinato. Una vasca d’acqua quadrata nera si staglia su una parete a graticcio gialla. In un angolo una finestra a mosaico di vetro giallo non lascia intravedere nulla. Dobbiamo aspettare. Ma eccola, liquida i due visitatori dopo aver loro venduto qualcosa, quindi ci fa entrare nella cappella. Sulla parete di fondo rosa salmone si staglia l’altare, un parallelepipedo dorato, sul quale sono appesi 3 pannelli della stessa doratura. Nessuna immagine, solo 3 ceri su un lato dell’altare. Sulla sinistra un alto crocifisso color fucsia, perpendicolare all’altare è posto al centro dello spazio ed appoggiato sulla sola piccola base quadrata, sembra debba cadere da un momento all’altro. Da un andito a pianta triangolare che da qui non vediamo arriva una luce fioca che proietta l’ombra del crocifisso sulla parete accanto all’altare. L’atmosfera quasi metafisica che percepiamo ci colpisce almeno quanto la semplicità e l’eleganza progettuale. Barragan è un architetto di una raffinatezza squisita, il corrispettivo messicano di Le Corbousier o Mies Van Der Rhoe. Nulla sfugge al progetto, non un mobile, una porta o una maniglia. Tutto qui è congruente, disegnato. Tutto è progetto. Rientriamo in zona hotel per una quesadilla ( farina di mais bianco e acqua, ripiena di fiori di zucca e formaggio), consumata in uno dei chioschi ai bordi della strada che sfornano semplici ma squisiti spuntini tipici…me ne pappo due mentre Vanni è dal barbiere per un piccolo restauro a mani e barba. La prossima tappa è la casa museo di Barragan per la visita delle 16 ma già che ci siamo andiamo prima nella vicina “casa Gilardi”. E’ abitata questa piccola casa della quale vediamo solo il piano terra con una piscina che sembra un quadro di Mondrian ed il patio, un po’ malmesso ma di bel disegno. Alle 15.30 siamo già alla casa museo che scopriamo essere patrimonio dell’umanità. Il gruppo delle 16 è costituito da quattro giovani studenti di architettura di Ciudad de Mexico, la moglie di un architetto spagnolo e noi. Il giovane ragazzo che ci guida attraverso tutte le stanze dell’abitazione di Barragan spiegandoci anche cose curiose, tra cui le sfere di vetro specchiato che collocate in posizioni strategiche gli consentivano di vedere se e chi entrava o usciva dalle varie stanze, il particolare studio delle luci indirette, la sua ossessione nei confronti della religione che gli faceva disegnare croci ovunque, anche negli scuri delle finestre che divisi in 4 ante quando socchiusi proiettano la luce sulla parete in forma di croce appunto…ed altro ancora tra cui la sua stretta amicizia con Tadao Ando. I materiali preferiti il legno e la pietra lavica, i suoi colori il rosa, il bianco, il giallo, il nero. Bellissima visita. Questa sera ceniamo al ristorante dell’ “hotel Habita”, il più noto hotel di architettura contemporanea, dicevano in tv. Prendiamo un aperitivo in terrazza, poi scendiamo al piano terra per la cena. Non è poi così stupefacente questo Habita, sembra di averli già visti miliardi di volte questi interni minimalisti, tutto bianco e acciaio. Ceniamo piuttosto bene con piatti nouvelle cuisine ma il vino rosso francese che è leggermente marsalato e torbido. Nel corso della serata la conversazione prende una brutta piega e finiamo col litigare. A volte Vanni mi sembra così ottuso, così poco elastico e sensibile sugli argomenti. Praticamente dice che non ho interessi, che l’architettura e l’arte sono per me poco più di nulla, forse solo un passatempo. Gli rispondo che è una merda ad attribuirmi caratteristiche che mi sembrano più sue che mie …comunque quando rientriamo io sono incazzatissima, lui invece si addormenta sereno poco dopo aver appoggiato la testa sul cuscino.
06 Marzo 2007
CIUDAD DE MEXICO
Mi sveglio ricordando un sogno non proprio esaltante: – sono su un isola in vacanza con delle amiche, ma sono sola quando vedo dal mare alzarsi un’onda gigantesca. Mi riparo dietro un muretto e gli spruzzi mi bagnano appena…ma sull’altro lato dell’isola ecco un’altra grande onda. L’acqua addirittura corrode l’isola, ne graffia via la terra come con degli artigli enormi. Ci organizziamo per lasciare l’isola-. Ancora il malumore o meglio la delusione non mi è passata, Vanni è uno zuccherino invece…nell’intento di recuperare diventa tenerissimo. Non abbiamo molto tempo per un ultimo saluto a Città di Messico, è già l’una del pomeriggio quando un taxi ci porta allo Zocalo di Coyoacan, un quartiere coloniale dove si respira ancora un’aria da vecchio Messico. Quello fatto di verdi piazze ombrose, di bassi edifici coloniali, di strade alberate e gente tranquilla che vi passeggia. Questo quartiere sembra non essere stato contaminato dalla nevrosi e dal caos della capitale. Passeggiamo tra le strade e le piazze, tra gruppi di palloncini colorati e venditori ambulanti di tacos, serenamente, apprezzando ciò che ci aveva affascinati in altre città coloniali visitate, come Merida o Oaxaca e San Cristobal. Alle 5.30 il taxi ci porterà all’aeroporto. Il nostro viaggio per il momento finisce qui.