31 Java Island
28 ottobre 2015
SEMARANG
Siamo arrivati ieri con un breve volo da Denpasar ma non l’abbiamo ancora vista questa grande città dell’isola di Jawa se non dalla parete vetrata della nostra camera all’undicesimo piano dell’hotel tanto confortevole quanto patinato. Osservandola semi nascosta dalla foschia abbiamo tergiversato, Vanni alle news ed io a fare prove di nuoto senz’acqua per capire se tra due giorni potrò godermi il mare del Karimunjawa National Park oppure soffrire ad ogni bracciata per via della costola che non riesce a guarire. Oggi invece nonostante la cappa di fumo causato dall’esteso incendio sull’isola ci siamo dedicati a lei e lei ci ha conquistati. Vanni che ha letto tutto il leggibile sa come muoversi in città, ovvero con autista ed auto climatizzata, il caldo è anche oggi insopportabile. Iniziamo la visita muovendoci tra le strette strade di Chinatown, là dove vennero perpetrate le stragi durante la dittatura di Suharto, quando le tracce del comunismo al quale la nazione era votata dovevano essere cancellate. La comunità cinese locale si è in seguito riscattata e non ha badato a spese nel mantenimento del suggestivo tempio buddista avvolto dal profumo degli incensi dove anche noi partecipiamo curiosi ad un complicato rituale. Prevede l’offerta di tre bastoncini per ogni altare che accoglie una delle tante immagini di Buddha, ne offriamo quindi molti spingendoli dentro la cenere dei grandi bracieri dai quali si alzano suggestive spirali di fumo. La sequenza degli altari è segnata dalla luce delle lanterne ad olio e dalle offerte di frutta ed acqua, poi il silenzio si rompe improvvisamente nel cortile interno dove l’anziana signora lava le scodelle di un pasto appena consumato. Usciti dal bozzolo del tempio entriamo là dove la vita si gioca duramente, nel quartiere fatiscente delimitato da un canale senz’acqua ma pieno di rifiuti, un pezzo di città dal quale si sprigiona non si sa come un certo fascino. C’è sapore nei piccoli chioschi che vendono cibo e nel mercato quasi terminato dove il fermento va affievolendosi sui visi stanchi di chi sta spingendo via i carretti con l’invenduto. E’ una strada stretta questa che stiamo percorrendo seduti sul risciò a pedale sospinto da un anziano signore cinese sdentato. La luce filtra a macchie tra i tendoni e le tettoie, alcune merci sono ancora esposte a terra dentro ceste di paglia… ed altro si intravvede dalle porte aperte dei negozi di tessuti dove le centinaia di rotoli multicolore fanno pensare che qui si confezionino gli indumenti per la città intera. Sulla via del ritorno un paio di brevi salite mettono in crisi il nostro portantino, l’anziano signore che scende dal sellino per spingere a mano, vorrei scendere ma poi qualcuno lo aiuta e lui ride felice per aver superato anche questa difficoltà tra le tante della sua lunga vita e perché no, di aver per questo guadagnato una lauta mancia che Vanni lo costringe ad accettare. Dall’altra parte della barricata c’è la città coloniale olandese con qualche bell’edificio sopravvissuto ed un meraviglioso organo a canne che conquista Vanni. Il Hopara Seafood & Thai Kitchen si trova al primo piano del centro commerciale Ciputra Lantai ora animato dal concerto che accompagna la nostra cena fino al secondo piatto di gamberi ed ananas, squisito come la cortesia dei camerieri che come orsetti lavatori si occupano del ristorante già perfetto creando quel movimento che compensa e distrae dalla ingiusta assenza di clienti. Ottimo.