15 Gabon
10 Gennaio 2012
KRIBI – BITAM
Lasciamo l’Ilomba di Kribi dopo una colazione in compagnia di uccellini colorati, impazienti di raggiungere la città che sarà per noi trampolino di lancio verso il Gabon, la patinata Ebolowa. Scartata l’ipotesi di percorrere la strada diretta che la collega in linea retta a Kribi, forse impraticabile dopo la stagione delle piogge anche se nessuno ne ha notizie certe, procediamo a ritroso sulla strada che dopo Edea e Yaounde punta a Sud fino a raggiungere il confine gabonese. In posizione strategica a circa ottanta chilometri dalla frontiera, il suo aspetto giustificato dal ruolo di città natale del presidente è preceduta dalla strada bordata da ordinati giardinetti e da case decorose seppur modeste, pensavamo di raggiungerla nel tardo pomeriggio, ma sono solo le due ora, troppo presto per fermarci e troppo pressante il desiderio di lasciare in fretta il Cameroun per il promettente Gabon, è così che nonostante il proseguire possa significare dormire in tenda dietro ad una interminabile fila di camion in attesa andiamo oltre felici dell’incertezza di una situazione forse scomoda ma finalmente non prevista. Il piacere del viaggio ci accompagna ora con un sorriso sulle labbra fino alla sbarra rossa e bianca di fronte alla quale per la prima volta nella nostra esperienza di viaggiatori siamo soli. La sorpresa ci spiazza così tanto da credere di aver sbagliato qualcosa e solo la richiesta dei passaporti da parte del doganiere solitario, gentile ed annoiato seduto dentro alla baracca di legno, unita ai timbri d’uscita che per carenza di inchiostro imprime con forza sui nostri passaporti ci danno la certezza di aver guadagnato un giorno e risparmiato un discreto stress…. un lieto fine che risolleva leggermente la considerazione che abbiamo del Cameroun. Altri tre chilometri e siamo dentro, venti minuti spesi e nemmeno una valigia aperta, un successo! L’hotel Benedicta è senz’altro il migliore di Bitam dice il doganiere gabonese dopo aver superato l’ostilità iniziale perché affascinato dai numerosi visti sui nostri passaporti, un sei stelle, conferma orgoglioso del fiore all’occhiello della cittadina. Isola emergente, nuovissimo e neoclassico è abbastanza pacchiano da giustificare la collaborazione fra il finanziatore russo e la Boss locale della quale ha preso il nome, la camera è grande pulita e confortevole nonostante l’odore di naftalina abbia in pochi minuti contaminato il contenuto dei nostri trolley, sarà come dormire in un armadio!
11 Gennaio 2012
BITAM – LIBREVILLE
Maleodoranti e sereni scivoliamo come su un fondo burroso verso Oyem. Attorno a noi il sobrio decoro di capanne ben tenute, siepi e sorpresa delle sorprese uomini al lavoro. Persino le signore si sono emancipate sostituendo con gerle appoggiate alla schiena le classiche tinozze in bilico sulla testa scongiurando così i terribili dolori cervicali, dulcis in fundo il diverso atteggiamento da parte degli integri poliziotti i cui incontri sono diventati per noi quasi piacevoli soste, un altro mondo? Senz’altro si rispetto a ciò che troviamo dopo circa trecento chilometri, là dove la bellezza dei tunnel creati da grandi cespugli di canne di bambù non compensano le cattive condizioni della strada né gli smottamenti di fango dai rilievi dilavati dalle piogge. Intanto i villaggi hanno recuperato il calore ed il vivace casino di sempre, le auto senza fanali e come noi senza clacson continuano ad andare fuori strada ed i topi di foresta ciondolano oltre il bordo strada in vista di qualche acquirente. Infine centocinquanta chilometri di crateri sostituiscono il tappeto rosso che pensavamo di trovare nei pressi della capitale Libreville in vista degli imminenti campionati d’Africa che si terranno tra pochi giorni. Dopo l’intensa, piacevole giornata di viaggio raggiungiamo infine l’hotel in tempo per una cena tardi tra uomini d’affari europei, hostess Air France ed i corpi atletici di calciatori arrivati in città per gli allenamenti. Nella hall le prostitute sono al ribasso e discretamente invisibili ma non i toy boy gay che sembrano aver conquistato il mercato locale. Bella camera con arredi anni settanta, vista oceano ed una fantastica nottata.
12 Gennaio 2012
LIBREVILLE
Gazelle ancora in restauro presso l’officina Toyota ci sarà restituita in tempi brevi … non certo per lo zelo delle maestranze locali, ma per la fantasiosa idea di Vanni calatosi per l’occasione nel ruolo di reporter televisivo italiano in capitate per documentare i campionati di calcio …. vuoi per il suo francese incomprensibile che per la bugia così verosimile da non poter essere messa in discussione, fra qualche giorno potremo lasciare Libreville. Non resta che raccogliere informazioni per le visite ai parchi nazionali, Il Loango ci stuzzica particolarmente per la promessa dell’avvistamento di ippopotami che surfano sulle onde dell’oceano …. rinunciare sarebbe una follia! Sfuma invece presto il progetto della visita al Parco Lopé pensata per evitare che il soggiorno forzato a Libreville possa diventare tedioso. Ma il costo di 800.000 CFA che i taxisti ci propongono per il noleggio di un 4×4 con autista ci sembra eccessivo per i 250 km da percorrere, si tratta pur sempre 1.200 €! Dopo alcune estenuanti contrattazioni non essendo valse a nulla tutte le bugie del repertorio, ormai è deciso, preferiamo a quella dei taxisti la rapina da parte dell’hotel, ormai è un fatto d’onore!
14 Gennaio 2012
LIBREVILLE
Salgo sulla prima Toyota Corolla disponibile senza obiettivi da raggiungere, Libreville non è una città vivace e non c’è nulla di veramente interessante da vedere conferma il taxista con un lieve imbarazzo, se non un sincero degrado. Il cielo è ancora coperto, l’aria è calda ed umida e c’è una chiesa che si impenna in alto come uno scivolo, un pretesto per scendere e scattare due foto tanto per dare un seguito alla mia iniziale curiosità ed un inizio alla passeggiata fino al mare ed al vicino palazzo presidenziale che lo fronteggia. Scatolare e marcato da una texture verticale che crea un delicato chiaroscuro color avorio, gli dedico un paio di foto che so già finiranno cestinate non appena le rivedrò stesa sul letto della camera in penombra, inconsapevole che la loro eliminazione avrà inizio molto prima, qualche istante dopo averle impresse sulla scheda di memoria ed aver mosso pochi passi sul marciapiedi che corre parallelo, quando una serie di schiamazzi e fischi sempre più insistenti attirano la mia attenzione. E’ solo dopo il “madame” urlato concitatamente che mi rendo conto di essere in pericolo, sotto il tiro del fucile che il militare accovacciato dietro l’inferriata del palazzo ha puntato contro di me. Ad un suo cenno mi avvicino senza esitare, allontanando il pensiero di cosa sarebbe potuto succedere se infine non mi fossi girata, se non avessi prestato attenzione continuando ad ignorarlo camminando tranquilla sotto il sole che ha finalmente bucato le nuvole. Il palazzo presidenziale ed i ministeri adiacenti non devono essere fotografati mi dice … pena la morte? Spazzate via le due foto e con esse l’emergenza militare impazzito continuo a passeggiare sul lungomare accanto al prato verde con panchine blu, alla ricerca di quegli edifici anni ’60 che avevo notato dai finestrini del taxi, la pensilina d’onore che ospita il presidente in occasione delle parate militari ne è un esempio. Inserita in un contesto che ha finito col soffocarla e malandata per le scarse opere di manutenzione, ha il look di un bell’oggetto dimenticato lungo la strada. Il museo di Arte e Tradizioni invece risalta stagliandosi sul grigio della spiaggia e del mare del quale sembra il prolungamento, come la cresta di un’onda di vetro e metallo. Introdotto da una grande caffettiera bidimensionale di metallo ossidato varrebbe la pena visitarlo se non fosse per i restauri in corso …. e la censura che ancora si abbatte su di me e che finisce col sabotare ulteriormente il mio reportage che non decolla. Nessun fucile questa volta, è un signore che si presenta come il direttore del museo a dirmi seccamente che le foto scattate finora sono le ultime che potrò mostrare agli amici…. che stress, la chiusura nei confronti dei bianchi si legge anche sui visi di molti, in contrapposizione a quelli che invece mi lanciano un cordiale “bonjour”. Tutto sommato non stupisce che nel 1990 nei dintorni della cittadina di Oyem siano stati uccisi i rappresentanti di un corpo di pace… oggi quasi facevano secca anche me! Il meritato relax di coppia arriva solo più tardi al ristorante “ Dolce vita” quando seduti al nostro tavolo in posizione strategica sul fondo di un pontile vetrato godiamo della prospettiva del lungo mare illuminato oltre che della simpatia delle vivaci cameriere.
15 Gennaio 2012
LIBREVILLE
La visita di Vanni all’ambasciata italiana ci consente oggi di scoprire una parte di città al quale i locali non sembrano attribuire il merito di valere una visita… nessuno ci ha mai proposto una sbirciatina al quartiere Democracie! Recintato e protetto da militari raccoglie la maggior parte delle ambasciate immerse nel verde di una collina ed è collegato alla città da un’ ampia strada oggi deserta. Ai due lati trovano posto gli edifici rappresentativi del governo della repubblica e la banca nazionale ospitata all’interno di un edificio alto e sottile flesso in un movimento ad arco. Elegante e bello si distingue dagli altri, originali ma stucchevoli ed assolutamente non fotografabili se non elemosinando al militare di turno con la lusinga di poter posare per un primo piano con l’edificio sullo sfondo, oppure rubando una foto da lontano, mimetizzati dietro la siepe. Vanni mi mostra tutto con la soddisfazione di chi sta facendo un gradito regalo … e lo è in questa Libreville che semina noia, lo adoro. Il gran finale arriva più tardi, quando sazi di cibo e di coccole osserviamo oltre la parete vetrata di fronte al letto uno spettacolare temporale, una tempesta magnetica intensa e scoppiettante i cui bagliori che sembrano non interrompersi mai disegnano ombre dentro la scatola che ci contiene, uno spettacolo tra i più belli che la finestra di una camera ci abbia mai regalato, un virtuosismo pirotecnico senza miccia, bello forse come quelli che ispirarono Handel nella composizione della sua celebre sinfonia dedicata ai Fireworks appunto.
16 Gennaio 2008
LIBREVILLE – NJOLÈ
Come quella di due elastici tesi da giorni la nostra energia esplode poco dopo il risveglio per una serie di impegni accumulatisi prima della partenza… un controsenso considerando il tempo che abbiamo avuto a nostra disposizione, ma il momento non è mai stato prima di questo quello giusto! La definizione della prenotazione al Parco Loango, e di due hotel a Lambarené, il ritiro di Gazelle dall’officina Toyota e l’acquisto del soggiorno al Parco Lopé presso il Dipartimento Generale del Parco, il tutto nel brevissimo tempo compreso tra la colazione ed il check out dell’hotel, tassativamente entro le ore dodici. Come sempre la nostra fretta inciampa sul computer del Dipartimento così lento da sembrare malato di malaria, e sul taxista che impiega un tempo infinito per decidere quanti CFA scucirmi. Il trolley è ancora da chiudere. E’ con vero piacere però che predisponiamo il nostro definitivo congedo dal Le Méridien e da Libreville e che affrontiamo nella fuga dalla nostra noia i sussulti degli ottanta chilometri di groviera fino a Kango. Poi il rumore svanisce, l’asfalto diventa liscio e tutto attorno a noi torna visibile mentre proseguiamo in sinuosi saliscendi tra le basse colline inghiottite dalla vegetazione, accanto ai corsi d’acqua che smunti dalla stagione secca scoprono piccole spiagge di sabbia bianca e le rocce scure degli alvei. Qualche centro abitato è cresciuto nei punti più battuti dalle strade principali, altrove gruppi di capanne formano piccoli borghi, in entrambi i casi la strada coincide con il mercato, il luogo nel quale ognuno vende qualcosa, dal quale nessuno sembra lavorare. Il commercio prosegue anche allontanandosi dai centri principali, di fronte ad ogni capanna cresciuta a ridosso della foresta, dove poche radici di manioca, un casco di banano, grappoli di semi di palma raccolti dietro casa, regalati dalla natura rigogliosa, sono appoggiati con semplicità su assi di legno annerito dal tempo, in bilico su bidoni di metallo arrugginito, oppure stesi direttamente a terra. In avvicinamento al Parco Lopé che non raggiungeremo oggi, il nostro ritardo ci regala una sosta a Njolé, il vivace paesino raggrumatosi all’incrocio tra la strada ed il grande fiume. Osservo la riva opposta, la spiaggia di sabbia candida e l’acqua limacciosa che scorre lenta sotto di noi dalla rudimentale terrazza con vista dietro la baracca di legno rosa. Due panche di legno, una birra e qualche parola scambiata con i due signori che stavano confabulando sopra a fogli stampati, la lampadina avvitata ed accesa solo all’imbrunire ed il bel tramonto fanno di questo uno dei più simpatici aperitivi di questo viaggio. Oltre la porta la magnifica vivacità inonda la terra battuta e l’aria vibra attorno alle casse nere che sparano a tutto volume musica disco sul centro abitato. Vanni è a pochi metri dalla mia seconda birra, osserva affascinato Desmond, un ragazzo indaffarato sul cofano aperto di Gazelle. Sostituisce un raccordo elettrico danneggiato con uno recuperato da una lavatrice rottamata. Felice di poter di nuovo colpire a clacsonate gli automobilisti imbranati ed affascinato da Desmond che con pochi mezzi e molta fantasia è riuscito a risolvere il problema, paga senza esitare la fortuna che gli viene chiesta, la genialità va premiata! Una signora obesa e burbera ci accoglie poco dopo al Papaye, l’albergo più pulito del paese dove la camera spoglia ma pulita, con aria condizionata e boiler nel lungo corridoio rosso e avorio ci piace anche se non ci mette abbastanza a nostro agio da farci decidere a togliere le scarpe, infilarci sotto la doccia e poi sotto le coperte, in questi casi ci vuole del tempo per rompere il ghiaccio! La cena è in linea con l’aperitivo e la camera, cambia solo il colore della casetta ed il suo affaccio, non più sul fiume ma in sequenza sul marciapiedi polveroso affollato di gente allegra di birra, sulla fognatura a cielo aperto e la strada a quest’ora non molto trafficata. Spaghetti scotti con carne o pesce ma niente birra per noi ospiti di un oste musulmano.
17 Gennaio 2012
NJOLÈ – PARCO LOPÈ
Rompiamo il secondo foglio di balestre lungo la sterrata in ottime condizioni che deviando dalla RN2 conduce al parco Lopé. Niente di strano, l’effetto grader è deleterio per le auto in via di estinzione! Il paesaggio cambia dopo una cinquantina di chilometri, quando la luce intensa del sole si sostituisce alle tenebre della foresta ombreggiata e scura ed ampie savane svelano morbide ondulazioni finora solo immaginate. I colori sfumano dal delicato verde acido ai toni più scuri della foresta ormai lontana ed un lungo ponte metallico attraversa rocce scure e spiagge bianche lambite dalla corrente del fiume. Infine, calate sull’erba della savana, le poche casette color rosa sbiadito dell’Annexe al sontuoso Hotel Lopé introducono al parco. Ora siamo a bordo di un fuoristrada da safari, sulla testa un paio di cappelli color caki con visiera e copricollo sventolante, ridicoli e rilassati di fronte ad una pozza melmosa dove decine di bufali sono allegramente intenti a ricoprirsi di fango ed un paio di elefanti lontani pascolano incorniciati di alti alberi rossicci. L’avvistamento più emozionante ci sorprende sulla strada del ritorno quando un elefante di foresta avvinghiato ad un arbusto carico di succulente foglie si delinea improvvisamente illuminato dai fari del nostro fuoristrada. Muovendosi infastidito verso di noi mette in allarme l’autista che dopo una breve fuga in retromarcia pone fine allo strano minuetto facendo ruggire il motore e superando di lato. L’elefante è ora alle nostre spalle, la silouette in movimento si staglia nera e magnifica contro la luce dell’auto che segue, si chiama Willy e sta godendosi la libertà da poco conquistata dopo un’infanzia da orfanello cresciuto in cattività. Un gran finale che ci ha lasciato a bocca aperta.
19 Gennaio 2008
LAMBARENÈ
La signora trasandata che mi porge la chiave della n°2 solo dopo aver ricevuto i 25.000 CFA ci introduce all’Hotel Ozigo, africano verace ed incastonato fra gli edifici della strada principale ha pareti sporche, tre preservativi sul tavolino, aria condizionata, un piccolo televisore chiuso dentro una gabbia metallica a prova di furto ed un letto, per oggi andrà benissimo. Il vicino mercato è un imbuto pulsante nel quale mi intrufolo in cerca di un pareo introvabile ma che un disponibile sarto piccolo, magro e con il classico metro al collo è disposto a confezionarmi in pochi minuti, peccato che i tessuti siano plasticosi come le bacinelle che colorano le bancarelle di alcune signore in abiti tradizionali, spudoratamente ostili alla mosca bianca che svolazza da un ombrellone all’altro curiosa di sapere cosa sono quelle piccole pietre grigie e i panetti cilindrici e scuri che accatastati uno sopra l’altro occupano parte dei loro banchetti di legno…. cioccolato? sembra impossibile. Poco oltre, là dove la rampa inclinata scende immergendosi nell’acqua del fiume e l’odore di pesce riempie le narici, alcuni ragazzi battono pesci grandi e squamosi su trespoli di legno. I polpacci nascosti nell’acqua ed i muscoli gonfi per lo sforzo di gesti ripetuti, timidi e curiosi quanto me abbozzano amichevoli sorrisi mentre sbatacchiano i “senza nome”, come li chiamano i locali, ammucchiandoli poi a terra accanto ai miei piedi, molli come invertebrati sono pronti per essere essiccati a cavallo di bastoni di legno accanto ai caimani del Nilo decapitati e già pronti per la vendita …. è questo il luogo dove il mistero dei panetti viene svelato da un paio di labbra gentili in vena di raccontare …. avevo capito bene, si tratta di cioccolato ma di foresta. Si prepara pestando nel mortaio semi di frutti molto simili ai mango, la poltiglia che se ne ricava viene poi cucinata in padella e pressata in cilindri, somigliante a quello in vendita nei supermercati solo per il suo colore bruno, ha il sapore intenso di un concentrato di pomodoro e viene grattuggiato sui “senza nome” secchi e fritti per renderli accettabili a chi non ha molto altro da mangiare …. E’ un pesce povero infatti e poco apprezzato dai locali che preferiscono venderlo ai congolesi che ne vanno pazzi. Arrivato come un flagello dal Chad, aggressivo, goloso di uova e molto prolifico regna incontrastato nelle acque dolci di tutta l’Africa Centrale che ha colonizzato attraverso un ampio reticolo di corsi d’acqua comunicanti. Dopo la lezioncina, con le scarpe incrostate di squame seguo a ritroso la scia di odori che sfumano da quello pungente del pesce secco al profumo delicato della frutta e raggiungo l’hotel ancora presa di mira dagli sguardi torvi delle signore sempre più incazzate.
20 Gennaio 2012
LAMBARENÈ – PARCO LOANGO
L’Oceano Atlantico ha regalato al Parco Loango un magnifico lungo tappeto di sabbia bianca che lo ha reso unico e bellissimo, un obiettivo così stimolante da far passare in decimo piano il lungo viaggio per raggiungerlo lungo i 250 km che da Yombi portano al mare. Particolarmente disastrata, negli ultimi 100 km la sterrata si complica con profondi solchi scavati nella terra sabbiosa dalle piogge dei mesi scorsi e da quelle degli anni passati, un percorso difficile che ci regala comunque il piacere dell’immersione nella foresta, nelle erbe officinali che crescono sui bordi della strada, nei due meravigliosi ragni appoggiati alle foglie di un arbusto, colorati e forse pericolosissimi ed infine il piacere di un giardino botanico creato da un signore delicato e gentile che mi porge un bellissimo regalo, un mazzo di fiori carnosi e colorati che farebbe andare in delirio qualsiasi donna, il più bello, il più pesante e voluminoso che a fatica riusciamo ad inserire nel fuoristrada! Lo spettacolo delle aiuole fiorite è strepitoso ed inutile qualsiasi tentativo di descrivere la bellezza dei rosa, rossi, arancio, verde, bianco e viola che prendono la forma di corolle carnose e rigide o di soffici pon pon e di lunghi becchi appesi a grappolo. E’ sera quando raggiungiamo il Lodge Gavilo già immerso nella penombra che segue il tramonto, appena visibile come la laguna di fronte che sta scomparendo nell’oscurità della notte. Peccato che la lampadina penzolante dal soffitto renda invece visibile lo squallore del bungalow che ci è stato assegnato, decisamente sotto tono rispetto alla piacevolezza del lodge ed alla squisita ospitalità del personale che non potranno compensare il tedioso dormiveglia sulle assi coperte da un materasso troppo sottile, né il disagio per i due ragni neri e carnosi che vivono nella nostra camera. Niente amore ma solo l’incazzatura di aver speso per questa graticola l’equivalente di un comodo giaciglio cinque stelle.
22 Gennaio 2012
PARCO LOANGO
Il paradiso è attorno a noi mentre a bordo della piccola lancia solchiamo la superficie immobile della laguna, l’aria fresca della mattina presto ci dà una sferzata di energia e qualche brivido e la foresta ci raggiunge riflettendosi sull’acqua come su uno specchio. Nessun rumore, solo il silenzio, noi ed il vento fra i capelli mentre esploriamo le propaggini verdi e le secche di sabbia bianca viaggiando lungo gli ampi canali che sfiorano isole di foresta. Il piacere cresce e noi ci abbandoniamo alla forza di questo fantastico paesaggio incontaminato, l’oasi degli animali che vedremo nelle piccole savane nascoste da anelli di vegetazione. Gli approdi sono lungo la costa frastagliata e densa di cespugli debordanti, invisibili fra le radici delle mangrovie, nei piccoli triangoli di sabbia dove la prua si inserisce arenandosi. Oltre la breve salita c’è l’ erba dorata della savana che si snoda ad arco in un lungo tappeto, è cosparsa di sottilissimi steli che ondeggiano radi alla minima brezza, il cibo preferito da elefanti e bufali, la selva che le dà forma è la camera da letto degli animali ed il loro rifugio e la possibilità di vederli è proporzionale al loro appetito che ha un picco nel tardo pomeriggio. Se è vero che gli elefanti brucano per sedici ore al giorno si tratta solo di trovare l’angolo di savana prescelto da alcuni di loro per uno spuntino. Ci sono invece un paio di bufali con il muso a terra e le scapole alte e ben tornite, le corna arricciate verso il dorso hanno sentito il nostro odore ed ora ritti hanno allargato le orecchie e ci osservano. L’emozione cresce quando entrambi si girano verso di noi, curiosi, spaventati o incazzati?… tutte le tre cose in veloce sequenza e così dopo qualche passo incerto ci caricano correndo verso di noi. Sono meravigliosi mentre due nuvole di polvere salgono sotto i loro zoccoli ed i corpi possenti si muovono verso di noi in un galoppo serrato scandito dal rumore di zoccoli che colpiscono il terreno, ma la guida sa come fermarli e scattando verso di loro li spaventa e li disperde … ed ora trottano tranquilli fino a sparire inghiottiti dalla vegetazione. Sono pericolosi solo se feriti, ma come saperlo prima di averli addosso? Al ritorno da una breve passeggiata, nei pressi del nostro approdo vediamo un gruppo di sette elefanti che stanno beatamente deliziandosi con mazzi di erba fresca, le zanne verso il basso, le grandi orecchie che sventolano verso la schiena per scacciare gli insetti e la proboscide che si arriccia verso la bocca carica di ciuffi dorati seguendo lo stesso ritmo lento dei loro brevi passi. Rilassati e rilassanti come un ansiolitico di savana. Il vento a favore unito alla loro miopia ci consente di avvicinarci abbastanza da vedere i due piccoli appena visibili dietro le zampe degli adulti che si muovono in fila dietro al più anziano, maestoso, elegante e lento rispetto ad un potenziale di 60 chilometri orari. Le scimmie sono le protagoniste del nostro safari ormai agli sgoccioli solo al tramonto quando salite in cima alle palme per mangiarne i cocchi si sono poi precipitate verso il basso in discese rocambolesche al grido di un’aquila predatrice…. ad ognuno i suoi nemici!
23 Gennaio 2012
PARCO LOANGO
La lunga fascia sabbiosa ricoperta di foglie e rami sottili protegge la selva dalle mareggiate dell’oceano mentre la bassa vegetazione che vi dimora, condita del sale vaporizzato dalle onde, è per gli animali una dispensa di sali minerali, una farmacia di fronte al mare, il luogo ideale per gli avvistamenti. Per questo siamo qui oggi, a passeggiare sul bianco che scricchiola sotto i piedi, sul largo bagnasciuga deserto in leggera pendenza. Una spiaggia vergine e meravigliosa dove anche il grande parabordo giallo arenatosi diventa un elemento scenografico persino bello, una nota di colore tra le sfumature delicate del paesaggio. Tronchi perduti da navi da carico, tappi di plastica di acque Canadesi e Giapponesi, una zattera di canne di bambù appena visibile tra la sabbia ed imbrigliata in una rete di plastica turchese, belle conchiglie arricciate ed il suono del mare. Ci sono solo un paio di bufali a brucare in questa stupenda infermeria, gli uccelli neri che stanno ripulendo i loro dorsi, le uova di tartaruga nascoste sotto mucchi di sabbia e stranamente uno scoiattolo che per lo spavento corre a scatti sulla sabbia. Gli ippopotami che ci eravamo illusi di veder surfare sulle onde dell’oceano non li ha in realtà mai visti nessuno così come il piccolo caimano del Nilo che la nostra gracile guida dovrebbe afferrare e sollevare fuori dall’acqua, come se ci fosse bisogno di questo per apprezzare l’incantevole parco Loango. Il copione di questa sera prevede infatti la messa in scena di un emozionante spettacolo del quale noi saremo spettatori, la foto più bella del viaggio da mostrare con orgoglio agli amici dice il dott. Ndalia, proprietario del Lodge Gavilo. Il raggiro inizia fin dall’aperitivo, il primo in sua compagnia, che si protrae così a lungo da far slittare la cena di quasi un’ora e prosegue dopo l’emozionante lunga corsa nella laguna rischiarata solo dalla luce delle stelle. Afferrata la sua torcia Aimé inizia poi a recitare il suo ruolo di protagonista gettando fasci di luce sulla costa di una piccola insenatura dove i caimani dovrebbero riprodursi. Gli spot di luce hanno continuato a colpire inutilmente i grovigli di radici di mangrovia per circa un’ora e per rendere più credibile la messa in scena il povero Aimé si è poi esibito in una performance di equilibrismo spingendosi su un tronco flesso verso l’acqua dal quale poter osservare meglio. Assonnati e sollevati che si trattasse solo di una burla rifilataci come regalo di commiato, scherzetto che ci ha risparmiato di assistere ad eventuali spargimenti di sangue, rientriamo gratificati dalla ballade notturna dove visibili sono stati solo il solco chiaro della nostra lancia sull’acqua ed il profilo nero della foresta che abbiamo intravisto scontornato dal cielo. Peccato per la non necessaria presa per il culo e per i 1.600 € spesi per un soggiorno di due giorni e tre notti, bevande escluse.