26 Luglio 2009

BEYNEU – NUKUS

La sterrata migliora sensibilmente nel tratto che si spinge verso la frontiera ad una settantina di chilometri da Beyneu. Immersi nella steppa che si spinge infinita verso l’orizzonte proviamo l’ebbrezza della libertà ….quella che ci consente di spaziare in ogni direzione senza ostacoli, virtualmente liberi di uscire dalla sterrata per dirigerci ovunque un nostro impulso voglia portarci. Sulla strada incrociamo solo pochi camion ed inaspettatamente i quattro ragazzi inglesi fermi in sosta accanto alle loro biciclette. Incontrarli in azione dopo averli conosciuti sul traghetto diretto ad Aktay è quasi un evento. Ci fermiamo per un saluto e due foto, poi ci lasciamo, ognuno ad inseguire i propri sogni ed i propri obiettivi di viaggio…..quando dopo qualche chilometro il vento inizia a soffiare con raffiche violentissime e mulinelli di polvere si sollevano lontani ci chiediamo come quei ragazzi possano sopportare tante avversità. Ancora qualche chilometro e finalmente traguardiamo le scatole di mattoni che ospitano gli uffici doganali presso i quali siamo sommersi dalla sabbia sottile come borotalco che spinta dal vento oscura completamente il parabrezza di Asia. Chiudiamo in fretta i bochettoni dell’aria dai quali escono fiotti di polvere ed aspettiamo immobili che l’emergenza sia passata prima di scendere a sbrigare le veloci formalità doganali di uscita. Gli stessi desolati edifici di mattoni coperti da lamiere che incontriamo dopo un centinaio di metri segnano la frontiera uzbeka che superiamo in breve tempo senza problemi….è la prima volta nel corso del viaggio che riusciamo a passare una frontiera in meno di un’ora!…. adesso siamo liberi di proseguire sulla strada recentemente asfaltata che come tracciata col righello vediamo perdersi in un punto nero davanti a noi. Tutto attorno l’orizzonte libero della steppa ora più sabbiosa è interrotto solo dai tralicci della linea elettrica che seguono la ferrovia parallela alla strada ed alle pap-line, A malapena l’aria condizionata di Asia riesce a smorzare il caldo torrido che ci avvolge anche oggi come da settimane…qualche scoiattolo color miele attraversa l’asfalto scuro ed i dromedari brucano come sempre i ciuffi di erba secca. A dispetto dei loro colleghi africani sono visibilmente in gran forma, grassi e bellissimi nel loro incedere lento ed hanno le gobbe segnate da una corta criniera scura che ne rimarca il profilo sullo sfondo della steppa assolutamente identica per colore alle loro setole. Traguardiamo Kungrad e poi Khodzheili nei pressi della quale scorgiamo una collina color miele rivestita di minareti e cupole turchesi delle moschee che anticamente vi furono costruite….rimandiamo la visita a domani concentrandoci invece sul raggiungimento del nostro obiettivo che troviamo oltre la verdeggiante oasi generata dal fiume Amudaya. Si tratta di uno degli affluenti del lago Aral quasi completamente prosciugatosi a causa dello sfruttamento dell’acqua per la coltivazione del cotone in questa regione semi desertica. E’ già quasi buio quando raggiungiamo l’hotel Nukus nell’omonima cittadina triste e fatiscente, famosa per il museo che casualmente ospita….cena in hotel con le difficoltà di comunicazione ormai note. Di stampare un menu in inglese non se ne parla neanche!

27 Luglio 2009

NUKUS

Ci svegliamo con il solletico fastidioso che ci procurano i puntini rossi sulla pelle….le odiose zanzare esistono anche in quest’area dell’Asia! La camera per quanto ristrutturata di recente è piuttosto dozzinale, soprattutto se vista alla luce del sole splendente di questa già calda mattinata. I pochi arredi sembrano provenire dal mercato più economico che la Cina possa offrire a questi paesi, tra i più poveri della ex unione sovietica. Usciamo poco dopo la bizzarra colazione che prevede oltre alla tazza di tè o caffè, un uovo ed un wurstel…. siamo diretti all’unica attrattiva di Nukus ovvero il famoso Museo Savitski. Tempio dell’arte moderna e contemporanea russa è soprannominato il “Louvre du desert” per la vastità e l’importanza della collezione ospitata. Iniziamo la visita dalla sede distaccata che espone al primo piano una cospicua collezione di quadri. Le salette pullulano delle tele che il fondatore ovvero Mr Savitski sottrasse numerosissime alla censura del KGB. Una piccola percentuale dell’enorme produzione degli artisti non allineati con i dettami ed i canoni estetici del regime sono esposte alla rinfusa nelle calde salette e nei corridoi. Sottratti alle fiamme o all’occultamento in umidi magazzini, eccoli coloratissimi appesi di fronte a noi. Estremamente vari i soggetti e le tecniche di realizzazione, così come il periodo storico nel quale sono stati eseguiti….dagli anni ’20 agli anni ’90 dello scorso secolo. Nature morte e paesaggi, autoritratti e ritratti …. ma c’è una piccola saletta che contiene un tesoro di grafica costruttivista che adoro e che mi ricorda l’adorato Lissitzky. I pezzi migliori della collezione sono esposti nel grande edificio inaugurato nel 2003 dal “presidente” Karimov. Tra i capolavori spiccano quelli di alcuni nomi noti dell’avanguardia russa degli anni ’20 e ’30 come la Popova e Fal’k…..ma vi sono esposti anche oggetti dell’artigianato locale reperiti da Savitski tra i pezzi più antichi presenti sul territorio. Al termine della visita, mentre stiamo uscendo soddisfatti dal museo, incontriamo casualmente una giovane francese che lavorerà per un mese all’interno della struttura. Ci racconta di essere alle prese con la famosa registrazione che viene rilasciata dagli hotel per ogni giorno di permanenza in Uzbekistan o deve essere effettuata presso gli uffici competenti per chi come lei risiede presso privati. Essendo ospite presso un’amica del luogo andrà nel pomeriggio all’ufficio immigrazione nella speranza di poterla effettuare…..quando le raccontiamo brevemente quanto successoci ad Aktay ci dice che non c’è da aspettarsi altro se non la corruzione dai dipendenti statali che guadagnano solo 30 $ al mese. Rientriamo in hotel sotto il sole cocente delle 13…le strade deserte così come i marciapiedi sconnessi. E’ quasi apocalittica questa cadente città…..le aiuole dei giardini sono prive di vegetazione ed infestate di lucertole e dalle fontane non sgorga una goccia d’acqua…..i gradini sono rotti così come i muretti che dovrebbero contenere le aree verdi. Camminiamo cercando l’ombra dei pochi alberi lungo la strada del rientro poi ci separiamo….Vanni va in banca a cambiare gli euro nella moneta locale mentre io ripiego in gran fretta verso la camera aria condizionata. Quando dopo una mezz’ora Vanni rientra, ha in mano la scatola di cartone di un bollitore elettrico – che bella idea – gli dico immediatamente – avevo proprio voglia di bere un tè -. Sorridendo vuota sul letto il contenuto della scatola….una decina di mazzette di Sum cadono sulla coperta. Sembra incredibile ma qui in Uzbekistan una banconota da da 2000 Sum equivale a ad 1 € e cambiare 500 € equivale ad avere in cambio 10 mazzette di banconote da 1.000 Sum ‘, il taglio più alto….e pagare il conto al ristorante equivale a dover contare circa 40 banconote. Con la borsetta piena raggiungiamo il taxi parcheggiato di fronte all’hotel che ci porterà a Mizdakhan, la collina sacra che sorge a circa 20 km da Nukus e che contiene alcune delle 100 moschee che vi furono realizzate attorno al XIV secolo. Rimangono alcuni antichi mausolei, una moschea eccessivamente manipolata dai restauri ed una grande necropoli di tombe più o meno costruite…..alcune costituite da semplici cancellate di metallo che definiscono il rettangolo di pertinenza contenente il tumulo. Complessivamente interessanti queste architetture ci offrono un assaggio di ciò che gusteremo nei prossimi giorni quando visiteremo le capitali della via della seta. Sulla strada del rientro ci fermiamo al bazar ad osservare tutte le possibili merci esposte compresi brutti tappeti sintetici e tessuti a macchina riproducenti enormi fiori piuttosto kitch. Anche Vanni sarà qui domani mattina, al riparo del suo ombrello blu, per vendere la ferraglia che si è portato dall’Italia….finalmente ho capito il vero obiettivo di quel trasporto eccezionale, le tre casse di morsetti e vecchi trapani verranno vendute qui al bazar…. non lo avrei mai immaginato! La breve sosta al ristorante per un tè diventa divertente per via dei camerieri che armati di palette schiaccia mosche inseguono minacciosi gli insetti che si aggirano nella sala…..per il tempo che vi dedicano sembra che questa attività sia preponderante rispetto a quella di servire i clienti. Alla reception incontriamo poi la ragazza francese del museo….rimbalzata qui dopo la visita all’ufficio immigrazione. Ci racconta che le regole sono cambiate e che nessuno può essere ospitato da privati….il soggiorno in hotel è l’unica soluzione possibile per gli stranieri che vogliano transitare qui in Uzbekistan. Morale….controllo totale dei turisti e business per gli hotel statali a scapito dei privati….no comment!

28 Luglio 2009

NUKUS – KHIVA

Ancora sole e cielo azzurro reso diafano dal calore che sprigiona il deserto che stiamo attraversando. La comoda strada asfaltata che stiamo percorrendo taglia longitudinalmente l’Uzbekistan diretta a Bukara …. ai due lati le dune di sabbia camuffate sotto ciuffi di rovi disegnano lievi pendii che si alzano in un paio di occasioni a disegnare catene montuose in miniatura e di colore marrone scuro. Se si tratti anche in quel caso di sabbia o roccia o terra rimane un mistero. Poco dopo ecco profilarsi un’antica fortezza di fango che occupa la spianata superiore di un promontorio conico….visto dalla nostra prospettiva il muro perimetrale cilindrico della fortezza sembra confondersi con il suo basamento naturale sul quale inevitabilmente finirà con lo sciogliersi dilavato dalla pioggia….solo poche finestrelle interrompono la parete continua. Dopo il pittoresco avvistamento la strada si avvicina fino a lambire l’ampia oasi generata dal fiume Amudaya che si apre qui in un ampio delta. Si tratta di una delle aree più fertili dell’Uzbekistan, per questo motivo la via della seta aveva come tappa obbligata Khiva, l’antica città sorta sul lato meridionale del fertile territorio. La raggiungiamo deviando dalla direttrice e superando la cittadina di Urgench…..poi spingendoci tra le strade di campagna e superando i tanti ponti sui canali minori raggiungiamo infine il ponte di chiatte che copre l’ampio fiume Amudaya. Ancora on the road verso Sud per una mezzoretta ed è fatta, ecco sfilare di fianco a noi le antiche mura di fango della cittadella fortificata di Khiva che racchiudono il centro storico di Ichan Quala, ricostruito quasi interamente in epoca sovietica. L’impatto è stupendo….se non fosse per le pur vecchie auto circolanti sulla strada, sembrerebbe di aver fatto un tuffo in un passato remoto. Poco dopo, dalla finestra al primo piano dell’hotel Malika osserviamo la bella porta Ovest inquadrata dalle due torri cilindriche in mattoni chiari e poco oltre, tozzo e colorato il minareto incompiuto che è divenuto l’emblema della città. Particolarissimo proprio per la sua forma tozza e per la bellezza delle semplici texture geometriche che si sovrappongono nei toni del turchese sulla sua superficie è il monumento più riprodotto della città. Nonostante il caldo soffocante del primo pomeriggio, la bellezza di questo luogo è un invito ad uscire e così protetti dall’ombrello blu entriamo in questo scrigno di tesori a noi ancora sconosciuti con la golosità tipica di chi per più di un mese ha visto solo chiese. Capitale del kanato di Khiva nel XVII secolo, conserva più di sessanta monumenti tra cui il palazzo reale nel quale entriamo dopo l’acquisto del biglietto che rende accessibile per due giorni l’intero patrimonio storico….anche se con qualche eccezione. Ciò che colpisce, al di la dei restauri eccessivamente patinati di molti monumenti è la bellezza delle ceramiche che li rivestono, e le particolarissime pilastrature che sostengono le travi delle coperture. Sono di legno intagliato in ricami piccoli e chiaroscurati ed hanno una forma slanciata leggermente affusolata verso l’alto…..appoggiano su un cilindro di metallo, isolato dallo zoccolo inferiore di pietra da un cerchio di pelle di cammello che li preserva dall’attacco degli insetti. Sono bellissimi, snelli e dal design davvero originale! Li vediamo stagliarsi sullo sfondo di piastrelle disegnate a motivi floreali nei toni dell’azzurro nella moschea estiva del Palazzo Reale… una enorme nicchia rettangolare accessibile dalla breve scala anch’essa rivestita di piastrelle dipinte, completamente aperta su uno dei lati lunghi verso il cortile reso chiaro dagli edifici di mattoni color sabbia che lo delimitano. Gli stessi pilastri rappresentano il pezzo forte della Moschea Djuma…..una foresta di bellissimi pilastri intagliati, tutti diversi tra loro, a sostegno della copertura a grandi cassettoni di legno. Dopo aver soddisfatto per un paio d’ore la nostra sete di architettura uzbeka, la cui espressività sembra generata dalle contaminazioni dell’arte indiana, cinese e naturalmente araba, ripieghiamo in hotel spappolati dal caldo. Quando verso le 18 usciamo nell’illusione di un pò di fresco, raggiungiamo la porta Nord accanto alla quale una ripida rampa inclinata ci permette di salire sulle mura per una suggestiva passeggiata lungo il perimetro della cittadella. Camminiamo accanto al muro merlato che flette in corrispondenza delle torri circolari, calpestando la terra cruda del terrapieno che sviluppandosi in un ampio rettangolo abbraccia l’intera città storica. Siamo soli lassù a goderci lo spettacolo fatto di cupole, minareti e portali che emergono colorati dal monocromo tessuto urbano….sotto di noi il piano inclinato del bastione di terra che funge da contrafforte alle mura sinuose. Poco dopo siamo di nuovo a passeggiare tra le stradine affollate di prodotti dell’artigianato locale, a godere della brezza che segue il tramonto mentre la città pian piano va spegnendosi. Ci assestiamo in un piccolo ristorante all’aperto che occupa una piazzetta vista minareto….nel corso della serata diversi turisti si avvicendano ai tavoli, noi ci spostiamo solo quando la luna è già alta nel cielo.

29 Luglio 2009

KHIVA

Puntiamo persino la sveglia per essere fra le stradine del centro storico prima che il calore le renda impraticabili…..ma con tutta la buona volontà usciamo solo dopo le nove con i cappellini appena acquistati sulla testa. Iniziamo con la visita alla Moschea Djuma le cui foto scattate ieri non rendono la bellezza di quella selva di pilastri….non è facile avere la luce giusta in un luogo come questo dove l’oscurità dello spazio interno si contrappone alla luce accecante che entra dall’apertura rettangolare al centro del soffitto. Ma dopo un paio di inutili tentativi rinuncio e salgo la ripida scala a chiocciola del minareto il cui paramento esterno di mattoni chiari è interrotto da anelli di ceramiche verdi. Che fatica….i gradini sono alti in media quaranta centimetri e nonostante proceda china in avanti ogni tanto mi capita di sbattere la testa su una trave di legno in posizione non proprio ergonomica. La fatica è infine premiata dalla bellissima vista delle decine di cupole verdi gonfie come mongolfiere sugli edifici storici, i cortili delle madrasse, le ceramiche colorate di azzurro ed all’orizzonte l’oasi verdeggiante che circonda la città a perdita d’occhio. Claudicante seguo Vanni alla visita del Palazzo Tosh Houli….splendido per la ricchezza delle decorazioni parietali su ceramica a disegni blu e bianchi. I soggetti sono fiori stilizzati e disegni geometrici della tradizione araba….rivestono l’intera superficie delle logge che si affacciano sul cortile rettangolare. Un solo pilastro di legno chiaro è posto al centro dell’apertura delle alte logge i cui soffitti di legno a cassettoni, colorati a tinte accese, rappresentano l’unica variazione cromatica al bianco e blu dominante. Mentre poco dopo ci dirigiamo verso il Mausoleo Pahlavon Mahmud, Vanni che è un acuto osservatore delle dinamiche tra le persone, vede una strana cosa che mi indica. Un signore anziano dalla caratteristica lunga barba bianca, ovvero un Aksakal come vengono chiamati qui gli anziani influenti la cui autorità è riconosciuta dalla comunità, è in compagnia di un signore vestito all’occidentale. Stanno cercando di ottenere del denaro da un fotografo del luogo che non vuole cedere il malloppo. Nel corso della passeggiata ne vediamo diversi di questi signori barbuti con cappellino quadrato in testa e pastrano lungo fino ai piedi chiuso davanti da un solo bottone. Si aggirano in gruppo per il centro storico e portano con sé dei sacchetti di plastica pieni di denaro….se si tratti del pagamento del pizzo o del modo quantomeno originale di riscuotere delle tasse legittime rimane un mistero. Soddisfatti della passeggiata e già al limite di sopportazione del caldo che già alle 11.30 si fa sentire più rovente che mai, ripieghiamo in hotel per una lunga siesta nell’attesa dell’escursione con guida alle 15.30. Andiamo a visitare le antiche fortezze di fango risalenti al VI sec. che sorgono sulle rare alture nel deserto che circonda la cittadina di Boston, una settantina di chilometri da Khiva. Peccato che la nostra guida sia un ragazzo sgradevolissimo che finisce con l’inquinare il piacere dell’avvistamento di ciò che rimane delle antichissime Qala emergenti dalle sabbie del deserto…..chissà se Buzzati si ispirò ad una di esse per scrivere il suo capolavoro. Il principio è lo stesso degli edifici africani di banco….uno strato di fango misto a paglia riveste gli alti muri di mattoni crudi. Ne visitiamo un paio vicinissime….la più alta è anche la più imponente per le dimensioni dello spazio racchiuso dalle mura estremamente dilavate del perimetro punteggiato di torri circolari delle quali rimangono solo le basi. Quelle che dovevano essere le feritoie sono ormai delle fenditure oblunghe che segnano con tagli verticali la cinta muraria color miele. All’interno lo spazio rettangolare della piazza d’armi è completamente vuoto, desolato….muoviamo qualche passo cercando di immaginarlo popolato di guerrieri in divise tradizionali…chissà com’erano….forse come quelle dell’esercito di terracotta di Xian? Saliamo una piccola montagnola creatasi per l’afflosciamento di una parte del muro perimetrale ed osserviamo la bellezza della piana desertica che si spinge senza confini verso il nulla. Quasi a ridosso della prima, su una collina più bassa sorge la seconda fortezza del complesso Ayaz Qala….più piccola, compatta e di forma circolare. Nei pressi un gruppo di yurte rappresentano un allettante richiamo per i turisti meno esigenti di noi. Liberati della presenza del ragazzo torniamo dentro le mura di fango della cittadella di Khiva dove ci accomodiamo allo stesso tavolo del ristorante di ieri nella piazzetta che ormai consideriamo nostra….la simpatica signora Galima che lo gestisce ci propone i suoi squisiti manicaretti come i ravioli di carne, del tutto simili a quelli cinesi ma serviti con una crema di yogurt facoltativa….poi l’imperdibile shashlik, lo spiedino di carne macinata e speziata fissata attorno allo spiedino piatto e cucinato sulle braci. Infine i fagottini di sfoglia triangolari ripieni di verdure bollite carne e spezie e cucinati al forno….strepitosi. La luna ci accompagna infine nella breve passeggiata verso l’hotel.

30 Luglio 2009

KHIVA – BUKHARA

Lasciamo Khiva dopo aver dato una doverosa sbirciatina alla necropoli dei Khan che governarono la città. Le ceramiche nei toni del verde rivestono la cupola dell’edificio principale ed il tamburo slanciato. All’interno del giardino si aprono i mausolei dove le ceramiche dipinte in azzurro e bianco rivestono ogni superficie, comprese le volte a tutto sesto ed i sepolcri….anche qui a maggior lustro corrisponde maggior magnificenza della tomba. Visitiamo un atelier che propone in vendita ai turisti tappeti annodati a mano ed un museo che espone mirabili gioielli ed un paio di banconote risalenti al periodo d’oro in cui venivano stampate sulla seta, poi quasi a malincuore saliamo a bordo di Asia allontanandoci dalla ormai familiare Ichan Kala, scrutata in ogni sua madrassa, mausoleo o moschea. Il deserto è ad attenderci subito dopo l’oasi…. che continuiamo a seguire percorrendo l’arteria principale verso Est. Increspato da basse dune ricoperte di ciuffetti di vegetazione impolverata….invade talvolta parte della carreggiata in un bizzarro contrasto tra l’asfalto nero ed il colore chiaro della sabbia. Distese che sembrano infinite segnano il nostro procedere verso Bukhara, importante centro commerciale dell’antica via della seta che raggiungiamo a metà pomeriggio. Immersi nei 44° di oggi usciamo quasi subito curiosi di esplorare le meraviglie che racchiude quest’antica città e di assaporare il ritmo lento così come i profumi dell’oriente. L’hotel Malinka è nel cuore del centro storico….adiacente ad una piazzetta che contiene un giardino alberato …. fresco preludio alle “cupole del commercio” come sono chiamati gli antichi spazi ombreggiati da cupole contenenti piccoli bazar. Quello accanto all’hotel fu costruito all’incrocio di due strade ora pedonali….è coperto da una grande cupola costolonata le cui nervature a spirale formano un disegno in rilievo sull’estradosso di mattoni a vista….unica nota cromatica la copertura di ceramica verde della piccola lanterna costruita sulla sua sommità. Questa è la prima suggestiva architettura che ammiriamo compiaciuti dopo aver mosso pochi passi dall’hotel. Attraversiamo il piccolo bazar ravvivato dai tappeti esposti e dai prodotti tipici dell’artigianato locale che i mercanti propongono con voce squillante e ci dirigiamo verso la piazza principale, la Lyabi Hauz al centro della quale c’è una grande vasca rettangolare piena d’acqua alimentata da uno stretto e sudicio canale. Le vasche di cui Bukhara è piena rappresentavano l’unica risorsa idrica dei suoi abitanti nonché il veicolo delle pestilenze dovute alla scarsa igiene nella quale versavano … tombate dai sovietici per evitare la strage e riaperte solo recentemente, rappresentano la peculiarità di questa città che ci piace fin dalle prime battute della nostra esplorazione. La vasca attorno alla quale stiamo passeggiando è piena di acqua densa color verde oliva….attorno ad essa una fila di grandi alberi di gelso dalle chiome talvolta chine verso il basso per il peso del tempo, ombreggiano i tavolini dei bar affollati di gente… sono intere famigliole vocianti o gruppi di signori anziani intenti a chiacchierare o a giocare a carte mentre sorseggiano dalla loro imperdibile tazza di tè. Su uno dei lato corti della piazza si impone la facciata di una madrassa il cui grande portale di ingresso è rivestito di ceramiche mirabilmente dipinte nei toni dominanti del blu e bianco ma anche con qualche colore accesso a descrivere i bellissimi pavoni posti nei due angoli superiori del grande rettangolo. Ai lati del portale le due file di nicchie coronate in alto da archi appuntiti, più basse ed ancora rivestite di ceramiche dipinte, segnano il ritmo delle celle dedicate all’accoglienza degli allievi della scuola coranica che si aprono all’interno del cortile. Continuiamo la passeggiata verso un’altra scuola coranica in posizione defilata rispetto alla prima….per raggiungerla camminiamo per le stradine di un quartiere popolare che sembra abitato solo da vivaci bambini che vedendoci diversi non fanno che dirci – hallo -. Le stradine sono di terra battuta e gli edifici bassi vi si fronteggiano a pochi metri di distanza, quasi senza forma. Un adulto ci saluta gentilmente e ci indica la strada….tutti sanno dove stiamo andando! Al contrario della madrassa vista poco fa nella piazza che riproduceva la tipologia tipica delle scuole coraniche timuridi, ovvero del periodo di Tamerlano, questa di Chor Minor, piccola e compatta sembra un castelletto turrito. Quattro minareti circolari si alzano dal volume cubico della madrassa….sono coperti in alto da cupole turchesi ed inquadrano la cupola centrale…..semplicemente favoloso! Rimaniamo a lungo in contemplazione di questo piccolo capolavoro di architettura mentre il sole va scomparendo dietro i bassi edifici del quartiere…fino a quando le ombre sempre più lunghe finiscono con l’inghiottirlo. Sulla via del rientro vediamo il tipico pane dell’Asia centrale a riempire il cesto di una bicicletta. Ha le dimensioni di una pizza rigonfia sul bordo come una ciambella ed è decorata con forellini a forma di fiore. Gli strumenti di metallo che servono alla decorazione sono in vendita nelle bancarelle dei mercati, accessibili all’acquisto per tutte le famiglie che fanno da sé questo alimento basilare in quasi tutte le diete del mondo. Le pagnotte sono belle ma non poi così buone….piuttosto secche ed insipide pensiamo quando dopo un pò cerchiamo di ammorbidirle nel sugo di verdure ordinato nel ristorante Minzifa, un bel posticino del quartiere ebraico dalla cui originale terrazza godiamo di un fantastico tramonto rosso.

31 Luglio 2009

BUKHARA

Il cielo coperto ci regala qualche grado in meno….come inizio è incoraggiante! l’hotel invece ci sorprende con la hall piena di signori in cafetano e fez bianchi e gilet marrone…. i loro occhi scuri sembrano segnati da una riga di kajal e qualcuno ha la barbetta lunga ed appuntita come quella di una capretta. Tutto sommato non hanno l’aria truce e danno un tocco di folklore all’hotel. Strano vederli qui….in un paese ex sovietico dove le madrasse così come le moschee furono convertite per altri usi e dove qualsiasi credo religioso fu sempre scoraggiato. Invece eccoli qui ad affollare la reception per la consegna delle chiavi….ovviamente nessuna donna li accompagna. Usciamo rapidamente ed in taxi raggiungiamo il primo di una lunga serie di capolavori architettonici del passato illustre di questa città che fu importante centro islamico nonché capitale fin dal X secolo del regno Samanide e dal XVI del khanato di Bukhara. Gli splendori dell’antico regno Samanide sembrano essere tutti concentrati nel piccolo Mausoleo che il fondatore della dinastia fece costruire in mattoni cotti. Si trattava in quel tempo di un materiale costruttivo assolutamente nuovo, introdotto in Asia proprio nel X secolo quando il mausoleo fu realizzato. Con queste premesse il mausoleo si colloca come una sorta di prototipo della nuova tecnologia le cui potenzialità sono espresse attraverso virtuosismi che apprezziamo osservandolo. A pianta quadrata e sormontato da cupola la sua particolarità è il tipo di posa dei gruppi di mattoni che inclinati rispetto alla superficie muraria creano eleganti chiaroscuri con disegni sempre diversi nei vari elementi architettonici. La complessa texture muraria, piacevolissima anche nello spazio interno, consentì di realizzare l’edificio senza l’impiego di ceramiche variopinte ad amplificarne la bellezza. Un altro edificio incantevole anche se molto diverso per funzione, dimensione e periodo storico è la Moschea Bolo Hauz del XVIII secolo. L’ambiente coperto dedicato alla preghiera è preceduto dalla moschea estiva caratterizzata da un ordine gigante di eleganti pilastri di legno intagliato. Lo spazio aperto estremamente slanciato è coperto da un soffitto a cassettoni di legno dipinti a disegni geometrici con colori sgargianti così come i capitelli intagliati con il classico motivo del cielo arabo. Il porticato si riflette ampio nell’acqua stagnante della vasca antistante…..sotto gli alti pilastri e nello spiazzo che precede la vasca vi è un grande fermento di persone al lavoro, stanno allestendo con tappeti e moquette verde la moschea estiva che accoglierà il raduno di musulmani in preghiera delle ore 13. Capiamo che si tratta di una giornata particolare per l’islam e la colleghiamo alla presenza in hotel dei simil talebani. Continuiamo il tour tra le meraviglie del passato, immersi tra cupole turchesi, grandi portali decorati con piastrelle dipinte, archi ad ogiva, slanciati minareti, le mura bastionate della cittadella ed una magnifica torre dell’acqua con decorazioni decò nella fascia superiore a palloncino. Gli abitanti della città superano di gran lunga i turisti ….. le signore sfoggiano abiti a disegni coloratissimi mentre le più giovani sono tutte vestite all’occidentale. Gli uomini sono meno appariscenti ma talvolta indossano strani copricapi quadrati. Molti bambini in fasce sono usati a volte come esca per chiedere l’elemosina ai turisti….che tristezza. Polvere, calore, cupole turchesi, mattoni e bancarelle piene dei prodotti artigianali più o meno tipici ma fabbricati chissà dove….primi fra tutti i famosi tappeti Bukhara che transitano dalla città ma non vengono prodotti qui….e poi i bellissimi Suzani. Sono rettangoli di varie dimensioni di tessuto colorato e ricamato a grandi disegni floreali. Con i Suzani vengono confezionati cuscini, copriletti o tovaglie, ma sono così inflazionati sulle bancarelle dei mercati lungo le strade della città che non ci stimolano all’acquisto….e poi ne possediamo già uno, un cuscino acquistato in Turchia anni fa. Acquistiamo invece una lunga fascia tessuta a mano con disegni colorati nelle sfumature dei marroni e dei rossi….quelle stesse fasce che vengono montate in diagonale sulle pezze di feltro delle yurte. Anche Vanni si lancia nell’acquisto di tre paia di gemelli trovati rovistando in una scatola di cartone nel negozio di un antiquario. Dopo lo shopping ripieghiamo in hotel per una siesta….e nella frescura della camera ripensiamo alla giornata di oggi , le immagini delle meraviglie viste ben impresse nella nostra memoria. Quando al tramonto varchiamo di nuovo la soglia dell’hotel Malinka è per girovagare ancora un pò lungo le strade pedonali a quest’ora libere dalle bancarelle degli ambulanti ma sempre più affollate dei locali a passeggio o indaffarati a fare qualcosa, come per esempio vendere le brustoline. Dopo le chiese, le moschee e le scuole coraniche Vanni si impunta sulla visita della sinagoga che si trova nel ghetto adiacente la piazza principale. E’ così grande il suo desiderio di vedere questo modesto edificio povero di fronzoli che temo una conversione per overdose cristiano-islamica!….ma tutto è ok e quando ne usciamo salutiamo il custode senza particolari richieste se non quella di poter coccolare il suo bel gattino nero. Nell’intento di trovare refrigerio al caldo ancora intenso scegliamo per la serata uno dei tavolini della piazza Lyabi Hauz oggi piena di gente in festa e del fumo dei barbecue dei numerosi ristoranti che lavorano a pieno ritmo. Ci accomodiamo sotto le fronde degli antichi gelsi in prossimità del bordo vasca dal quale partono zampilli d’acqua su tutto il perimetro. Nel tutto esaurito dei ristoranti intere famiglie o gruppi di ragazzi o ragazze condividono l’ottimo cibo anche con i gatti che numerosi e grassotteli passeggiano tra i tavoli degustando qualche boccone di shish kebab….qualche ragazzo si tuffa nell’acqua fetida della vasca lanciandosi dal tronco piegato di un albero che vi sporge….altri semplicemente passeggiano curiosi tra i tavoli alla ricerca di eventuali conoscenti. Calati nella vivacità di questa serata di festa apprezziamo la semplicità e la piacevolezza dei locali, i profumi di questa antica città e perché no, il coraggio dei tuffatori!

01 Agosto 2009

BUKHARA – SAMARCANDA

L’hotel Malika Prime è nuovissimo ed in posizione strategica nel centro di Samarcanda che raggiungiamo alle 14.30 dopo quattro ore di viaggio sulla strada a tratti dissestata ma complessivamente ampia e comoda. La sensazione avuta entrando in città è quella di una metropoli con grandi viali alberati dove l’anonimo tessuto urbano fatto di grandi condomini senza fascino sembra evanescente. Una grande statua in bronzo di Tamerlano occupa lo spartitraffico vicino all’hotel che con nostra sorpresa è molto confortevole e con un tocco di folklore che non guasta….finalmente un grande letto dove poterci abbracciare e per lo stesso costo di 50€ anche la ringhiera di legno intagliato nel terrazzino che si affaccia sul viale tranquillo…..poco oltre il Mausoleo di Rukhabad, il più antico e sobrio della città la cui volumetria armoniosa fu realizzata in mattoni chiari a vista. A pianta quadrata e con un’alta cupola posta sul tamburo ottagonale, occupa l’angolo di un ordinato giardino pubblico…..unico elemento decorativo una fila di ceramiche colorate che inquadrano in un ampio rettangolo la piccola porta ad ogiva….davvero piacevole. Proseguiamo a piedi verso il vicino Registan, il monumento del XV secolo divenuto il simbolo della città. Il centro monumentale è costituito da tre maestose madrasse completamente rivestite di ceramiche colorate nei toni del blu, bianco turchese e cobalto, gli enormi portali si affacciano sulla piazza ora occupata da un palcoscenico ovale dove gruppi di giovani ballerine provano la coreografia dello spettacolo del 25 agosto. Gli ampi portali sono inquadrati da coppie di alti minareti piastrellati a motivi geometrici nei toni dell’azzurro, mentre al centro di ogni madrassa un’alta cupola assolutamente turchese si delinea contro il cielo azzurro. I cortili interni delle madrasse, ampi come piazze ed ingentiliti al centro da alberi frondosi, sono delimitati da stecche di bassi edifici continui che articolati in due file sovrapposte di archi ogivali contengono le porte di accesso alle celle degli allievi delle scuole coraniche ormai destinate ad altro uso. Anche qui ogni superficie è rivestita da una profusione di ceramiche quasi esagerata….alcune formano disegni a mosaico policromo, altre invece sono dipinte a formare disegni geometrici o floreali….non mancano naturalmente le scritte in arabo in alto sui grandi portali. Contrariamente a quanto si può credere non riportano versetti del corano bensì enfatizzano la magnificenza delle architetture sulle quali sono collocate….una sorta di pubblicità all’architetto che le aveva concepite e fatte realizzare. Una coppia di tigri ruggenti nell’atto di inseguire due capre in fuga sono dipinte negli angoli superiori di uno dei grandi portali….soggetto davvero particolare se si tiene conto che l’islam ha sempre scoraggiato la rappresentazione di figure animali o umane nelle varie espressioni artistiche….. che si trattasse di tappeti o dipinti murali indifferentemente. La varietà dei motivi decorativi è perfino prolissa e passeggiare all’interno dei cortili è un pò come percorrere un grande caleidoscopio in continuo mutamento. Il Registan era il centro pulsante della città, la piazza teatro della vita dei cittadini di Samarcanda, il luogo dove si svolgevano i mercati, si portavano i neonati per ricevere una benedizione e quello dove venivano eseguite le pene di morte o le punizioni corporali dei peccatori. Questa stessa piazza è ora il simbolo della desolazione, uno sterile monumento affollato solo dei turisti paganti che vi possono accedere e dei venditori di artigianato che occupano le celle ai piani terra di quelle che furono le scuole coraniche. E’ in uno di questi bazar che Vanni si esprime oggi in una contrattazione serrata degna di un maestro…..Mentre io sono intenta a scattare foto lui entra a curiosare assecondando l’invito dei commercianti e finisce con l’invaghirsi di una coppia di vecchi samovar di alluminio battuto a mano. Chiede il prezzo e fa la sua offerta innescando così un meccanismo di corteggiamento da parte del commerciante che si protrae per una mezz’oretta con inseguimenti, attese, rilanci e facce disperate, rituale che si svolge in modo dinamico mentre passeggiamo nei cortili del Registan. Alla fine la spunta Vanni che con 50€ riesce ad ottenere i due pesanti samovar inseriti in una sporta di plastica per il trasporto in hotel. Sulla via del ritorno mi concedo ancora una sosta al bel Mausoleo Guri Amir del XIV secolo la cui cupola rigorosamente nei toni del turchese ha la particolarità di essere mossa da nervature. Il linguaggio architettonico e decorativo è sempre lo stesso….un grande portale rettangolare che inquadra l’ampia apertura ogivale, dà accesso all’ambiente quadrato del mausoleo. Una coppia di minareti inquadrano la facciata, ogni superficie è rivestita da una profusione di ceramiche, anche le complesse volte a cielo tipiche del linguaggio decorativo arabo. Quando la sera usciamo di nuovo optiamo per il ristorante Platan che in questo caldo sabato sera pullula di clienti che si esibiscono anche in una rissa…..mangiamo benissimo ma anche in questo caso sarebbe divertente conoscere la lingua locale!

02 Agosto 2009

SAMARCANDA

Mustafà, il nostro tassista di ieri sera, ci accompagna al mercato domenicale di Urgut sfrecciando sulla sua vecchia 124 Lada per tutti i 25 km che ci separano dalla cittadina famosa appunto per la vivacità del suo mercato. Già nei pressi il traffico è quasi bloccato….decine di pulmini Daewoo occupano la strada affollata di gente…. inutili le barriere di cemento messe al centro per scoraggiare l’attraversamento pedonale. Conquistiamo a fatica il parcheggio divertiti nel vedere le signore alzare leggermente i colorati camicioni lunghi fino ai piedi per scavalcare agili la barriera di cemento. Il grande mercato è articolato in spazi all’aperto e bazar coperti….vi si vende ogni cosa in abbondanza, dai prodotti alimentari tutti all’abbigliamento e la calzoleria….ferramenta, tappeti e tanto altro. La cosa interessante è la qualità di certi prodotti….i cappellini per esempio rappresentano un indicatore del gusto. Il cappello maschile tradizionale ad esempio è quadrato e si alza di poco sulla testa….solitamente nero a ricami bianchi è indossato soprattutto dagli anziani che vediamo passeggiare nel caos degli stretti passaggi compresi tra le file di bancarelle. Le varianti femminili dei copricapi che vediamo esposti sono in oro e argento di tessuto lucido con catenine in tinta penzolanti dalla protuberanza centrale. In fondo alle catenine sono fissate medagliette leggere, probabilmente di plastica. Un altro copricapo, se così possiamo definirlo, è una sorta di coroncina con un pennacchio colorato al centro della fronte….vengono in mente gli ornamenti dei cavalli del circo. Anche i tessuti, come quelli degli abiti indossati dalle signore, sono variopinti a colori vivaci, spesso decorati con paillettes luccicanti o fili e decorazioni arabescate dorate. I cappotti invernali tradizionali sono dei maxi pastrani di velluto blu o viola con ampie decorazioni dorate applicate sul davanti….quelli più moderni da signora hanno la cintura in vita ed il peluche rosso o nero sul collo. Insomma nulla di interessante da acquistare, nemmeno i tappeti che sembrano confezionati a macchina e con fibre sintetiche…ma ci viene l’acquolina in bocca di fronte alle montagnole di formaggio morbido ed alle cataste di pagnotte tonde tradizionali. Quando dopo un’ora usciamo dalle nuvole di fumo dei kebab e dal carnaio di corpi semoventi, Mustafà ci mostra i suoi acquisti affermando contento che qui costa tutto la metà. Rientriamo a Samarcanda per una doccia e poi usciamo subito per visitare qualche altro imperdibile edificio antico. Ci spostiamo in taxi lungo i viali alberati di questa città troppo nuova e troppo grande e dove non sembra esistere un luogo nel quale passeggiare piacevolmente immersi in un contesto storico. Certo gli edifici sacri del XIV e XV secolo sono strepitosi anche se ampiamente ricostruiti, ma sono come isole immerse nel liquido insapore della città nuova. La grande moschea così come il meraviglioso mausoleo Bibi Khanum dimensionato come se dovesse ospitare un gigante ed il complesso Shah-i-zinda i cui piccoli mausolei ospitanti le spoglie femminili della discendenza di Tamerlano sono il susseguirsi di piccoli capolavori che si affacciano su di un percorso pedonale in salita. Cupole, portali ed elementi decorativi molto ricercati sono rivestiti di ceramiche nei toni del verde e del blu a rappresentare la perfezione delle forme armoniche, un angolo meraviglioso paradigmatico delle antiche glorie di questa città che fu una delle più importanti della via della seta.

20 Gennaio 2008

SAMARCANDA – TASHKENT

A parte la bellezza della montagna che valichiamo in mattinata….priva di vegetazione ma dal colore intenso di erba bruciata dal sole, il viaggio di oggi verso la capitale non colpisce certo per la bellezza del paesaggio né per quella dei centri abitati che attraversiamo. Dopo la leggera frescura che Samarcanda ci aveva regalato ripiombiamo con Tashkent nella canicola più soffocante….ma quasi a consolazione di ciò occupiamo una confortevole camera all’hotel Markazij per soli 100€ al giorno. Incredibilmente meno caro del 5 stelle di fronte, questo ex Sheraton vendette allo stato uzbeko nel 2005 quando in seguito alla sanguinosa repressione di una pacifica manifestazione popolare ad Andijan, la multinazionale decise di abbandonare il paese. Raggiungiamo poco dopo Sogdiana Travel, l’agenzia di viaggi che si occuperà del reperimento dei visti che ancora ci mancano per proseguire il nostro viaggio lungo la famosa strada del Pamir. La signora Miriam che dirige l’agenzia ha l’aria determinata e l’atteggiamento sicuro di chi sa il fatto suo…. dopo aver consultato telefonicamente i partner delle ambasciate risponde con precisione alle nostre domande, non ultimo il corrispondente dell’agenzia in Tagikistan che ci fornirà lo speciale permesso per poter accedere ai territori dell’altopiano. In pochi giorni riusciremo ad ottenere i tre visti mancanti ma sarà complicato lasciare Asia in Kirghizistan ….nessuna certezza di ritrovarla al nostro ritorno, anzi l’assoluta certezza che non sarà più li ad aspettarci oltre alle innumerevoli complicazioni burocratiche per lasciarla in sosta. Già domani pomeriggio avremo il visto tagiko e poi a seguire quello del Kirghizistan e del Kazakistan di nuovo nell’eventualità di lasciare Asia ad Almaty. Come ingannare il tempo per cinque o sei giorni qui a Tashkent rimane un mistero….ma di andare nella valle di Fergana senza i passaporti originali non se ne parla nemmeno. E’ l’area geografica più controllata dalla polizia perché vi risiedono le frange islamiche più integraliste del paese e con pulsioni eversive….dice Miriam. L’inutile ricerca di un bancomat funzionante che ci dia un po di dollari, dato che gli hotel rifiutano sia la carta di credito che la moneta locale, ci porta in prossimità di una serie di piccoli ristoranti dagli arredi tematici piuttosto bizzarri. Scegliamo quello arabo per via degli strumenti musicali che attendono solo i musicisti della band, posizionati nell’ampio marciapiede con tavolini in uno dei quali ci accomodiamo. Trascorriamo una piacevole serata ascoltando musica ed assaggiando i manicaretti piuttosto gustosi del menu arabo, circondati da favolose ragazze bionde in abiti da sera.

04 Agosto 2009

TASHKENT

Quando mi sveglio Vanni ha già tentato inutilmente di prelevare dollari nel nostro hotel ed in quello di fronte…..mi preparo in fretta e raggiungiamo in taxi una banca…..sembra un viaggio della speranza! Come previsto per eseguire l’operazione di prelievo con carta di credito è necessario esibire il passaporto originale che noi abbiamo lasciato a Miriam per ottenere i visti, quindi ripieghiamo all’ambasciata italiana per avere informazioni sulle procedure per lasciare Asia qui in Uzbekistan. E’ Ivano ad accoglierci, un attechée dell’ambasciata gentile e simpatico che parlando scopriamo essere un caro amico degli amici di Vanni che vivono in Kenia. Finisce in una lunga e simpatica chiacchierata sui vari personaggi residenti a Diani comprensiva di aneddoti divertenti….chi lo avrebbe mai detto quanto a volte piccolo sia il mondo! Per quanto riguarda Asia Ivano ci sconsiglia di lasciarla qui….piuttosto in Kazakistan dove, dice, sono avanti anni luce. Miriam intanto si fa sentire al telefono dicendo che il visto tagiko arriverà con un giorno di ritardo, cioè domani, ma poi ritratta alla nostra richiesta di avere una fotocopia timbrata dall’ambasciata per poter andare alla Fergana. I passaporti saranno pronti nel pomeriggio…..Che casino! Dato che ancora non abbiamo visto nulla della città ed è ancora presto per andare a ritirare i passaporti all’agenzia, usciamo a bordo di Asia e ci dirigiamo alla scoperta dei complessi monumentali della capitale tutti concentrati in un’area a Nord della città vecchia. Isolati all’interno di un’area articolata in ordinati giardini senza alberi ed ampie piazze queste madrasse sembrano nuove fiammanti così come la moschea ed il mausoleo del complesso Khast Imom. Le cupole spiccano azzurre sulle volumetrie sobrie realizzate in mattoni chiari…..unico edificio di un certo fascino è il mausoleo di Abubakr Kaffal Shoshi del XVI secolo. Di dimensioni modeste sembra galleggiare sospeso alla cupola sull’alto tamburo ceramicato. La piacevolezza della città sembra piuttosto risiedere nei grandi parchi ritagliati nel tessuto urbano più recente, dove i grandi edifici sovietici quasi scompaiono nascosti dalle file di alti alberi. Una città verde ed ordinata questo è ciò che colpisce di Tashkent…..ovvero ciò che l’ha resa brutta agli occhi di chi ne ha visto la trasformazione che ne ha quasi cancellato nel tempo la matrice storica. Ancora nei pressi del complesso monumentale piuttosto deludente ci fermiamo incuriositi dalla bellezza di un edificio di modeste dimensioni senz’altro realizzato in periodo sovietico. La sua forma a spirale lo rende davvero originale mentre le strette finestre verticali che corrono sull’articolato perimetro ne enfatizzano la scansione volumetrica….ricorda molto il progetto del monumento di Tatlin per la terza internazionale. Il giardino con fontana sull’altro lato della strada è invece la casa di un gruppetto di cicogne che vi circolano tranquille o vi riposano accovacciate sul prato. Verso le quattro del pomeriggio raggiungiamo l’ufficio di Miriam dove i nostri passaporti sono pronti per il momentaneo ritiro….ma abbiamo molte domande da fare per riuscire ad incastrare i tempi dei due visti ancora mancanti ed allo stesso tempo accorciare il più possibile il nostro soggiorno in città….si sa che Vanni dopo un pò scalpita ed anch’io mi sarei fermata più a lungo altrove. L’emergenza, ora che abbiamo riavuto i passaporti, è quella del reperimento di denaro presso una banca….anche se le Visa autorizzate sembrano essere già tutte chiuse a quest’ora e Vanni sempre più agitato diventa insopportabile. In realtà potremmo fare tutte le cose con calma e goderci il viaggio serenamente….nessun datore di lavoro ci rimprovererebbe per un eventuale ritardo al nostro rientro in Italia, ma Vanni deve sempre correre a costo di innervosirsi inutilmente al primo contrattempo….che dire….è fatto così! Ritroviamo un pò di serenità solamente la sera, quando dopo una breve passeggiata raggiungiamo il ristorante siriano Al Delfin su Malyasov Street, caldamente raccomandato dalla guida. I caratteristici divani ovvero le piccole piattaforme rialzate con tavolino al centro, coperte di cuscini e tappeti, occupano il perimetro dello spazio antistante il ristorante e sono già pieni di fumatori di narghilè. Ci accomodiamo ad un tavolo tradizionale al centro dei fumatori, tutti giovani del luogo, e godiamo del profumo dolce del tabacco alla mela che arriva fino a noi e degli ottimi piatti della cucina araba tra cui il purea di melanzane, i falafel, le polpette di carne, spezie e nocciole ed i fagottini agli spinaci, il tutto arricchito delle fragranze delle spezie che tanto amiamo.

05 Agosto 2009

TASHKENT

Vanni è già all’agenzia per riconsegnare i nostri passaporti ancora prima dell’apertura delle nove. Il prelievo di dollari ormai è fatto e così possiamo tranquillamente cederli di nuovo per la consegna di oggi all’ambasciata kazaka. Quando dopo un’oretta rientra in hotel mi dice che le cose sono cambiate di nuovo…l’agenzia dice che è meglio prendere prima il visto del kirghizistan che ci sarà rilasciato domani pomeriggio, quindi quello kazako. Che confusione, non si capisce nulla ! In questo paese le regole sembrano cambiare continuamente e con esse anche la disponibilità dei consoli a timbrare i visti. Nella tarda mattinata usciamo per una visita veloce alla torre della televisione che si erge altissima poco oltre l’hotel Intercontinental sulla Amir Temur street. Bella ed ipertecnologica sembra un enorme satellite appoggiato su un tripode metallico. Nonostante la sua originalità non siamo stimolati a salire….non vedremmo che verdi chiome in questa città piena di parchi e viali alberati. Proseguiamo l’esplorazione avvicinandoci all’Amir Timur Publik Garden, sede di diversi teatri, aiuole fiorite, alti alberi ed uccellini cinguettanti…oltre che di un paio di grandi gazebo all’ombra dei quali ci riposiamo bevendo un tè….a quest’ora il caldo è davvero spossante. Con una breve passeggiata raggiungiamo il Mustakilik Maidoni, lo spazio dedicato alla celebrazione del potere politico del dittatore Karimov che ha fatto costruire la sede di un senato fantoccio proprio accanto alla sua ampollosa residenza. Specchi d’acqua con fontane zampillanti si alternano a rettangoli di prato in un disegno di arredo urbano fin troppo ordinato. Colonnati leggermente flessi in esedre sulle cui trabeazioni trovano posto sculture di cicogne argentate…tutto questo è Mustakilik Maidoni, un angolo di città dedicato all’auto celebrazione del potere che si esprime attraverso un rigore quasi maniacale, assolutamente vuoto di contenuti e piuttosto sterile. Ripieghiamo in ritirata in hotel dove il confort dell’aria condizionata ci fa rinvenire….e dove troviamo il tempo per le nostre piacevoli coccole. Poi arriva la telefonata di Miriam che urgentemente ci invita a raggiungere il suo impiegato Emil all’ambasciata kirghiza….il giovane console vuole vederci in faccia ed intervistarci prima di accettare i nostri documenti. Raggiungiamo la vicina ambasciata ed attendiamo il nostro turno in compagnia di Emil…..poi il console, adagiato sulla poltroncina dietro un ampio vetro, ci pone qualche domanda. Indossa un paio di jeans ed una tshirt lilla, e vuole conoscere la dinamica dei nostri futuri spostamenti nel suo paese…..aggiunge anche che il pagamento della soprattassa dell’urgenza non ci consentirà di avere i passaporti prima di venerdì perché domani l’ambasciata rimarrà chiusa come anche noi leggiamo in bacheca….strano che l’agenzia non ne fosse informata. Ma c’è anche una buona notizia….il giovane console dice che il visto del Kirghizistan ci darà accesso anche al Kazakistan anche se limitatamente alla regione di Almaty. Perfetto…lasceremo l’auto proprio lì ! Emil si mostra perplesso e dice che verificherà l’informazione presso l’ambasciata kazaka…..speriamo che l’esito sia favorevole ! …..così lasceremo Tashkent sabato mattina ed entreremo direttamente in Tagikistan dalla tanto anelata valle Ferghana. Rientriamo in hotel a piedi, passeggiando tra le case basse di questo quartiere popolare all’ombra degli alberi frondosi che segnano un lato della strada. Passeggiando rivediamo il ristorante Delfin di ieri sera in versione diurna, coloratissimo di cuscini e tappeti ma privo di clienti…..del resto sono solo le cinque del pomeriggio. Il ristorante Bistrò rappresenta la piacevole sorpresa di oggi…..ci accomodiamo in uno dei pochi tavoli del giardino dove gustiamo gli ottimi spaghetti ed i dolci europei…..fondant di cioccolato ed il crème caramel naturalmente! Coccolati dall’atmosfera avvolgente, dal servizio impeccabile e dalla candela accesa sul tavolo, ascoltiamo i due bravi chitarristi che propongono brani di musica spagnola e portoghese, defilati in un angolo del giardinetto. Tutti i piatti che necessitano di una cottura al forno vengono introdotti nel forno a legna da un giovane cuoco orientale che vi cucina anche il pane, preparato poco prima di servirlo. Serata piacevolissima e con una luna piena che fa sognare…..la intravediamo tra le fronde degli alberi attorno a noi.

06 Luglio 2009

TASHKENT

Approfittiamo dell’ennesima giornata a Tashkent per visitare il museo di belle arti che oltre ad essere ospitato in un bellissimo edificio degli anni’60, propone nei suoi quattro piani espositivi una quantità considerevole di opere di vario genere e provenienza. Iniziamo con l’osservare i reperti archeologici provenienti dalle città storiche dell’Uzbekistan….pezzi di ceramiche appartenuti ad antiche madrasse, colonne di legno intagliato da Khiva, un bellissimo affresco senza datazione così come diverse piccole sculture di satiri in argilla. Intere sale sono rivestite di antichi tappeti e suzani ricamati a mano, gioielli ed abiti tutti mirabili esempi della ricca produzione artigianale di queste regioni spazzata via da quasi un secolo di regime. Salendo ancora di un piano troviamo antichi dipinti provenienti dalla Russia e dall’Asia centrale e qualche falso Canaletto così come qualche statua attribuita al Canova ma che è impensabile possa essere uscita dallo scalpello del grande scultore italiano. Favolose invece le tele delle avanguardie russe dello scorso secolo tra cui due bellissimi Lentulov, due Kandinsky, un Falk ed un Rodschenko che ci ripagano a fatica delle due ore e mezza di visita. Poi ancora mirabili esempi di arte iperrealista russa ed infine due sale dedicate all’arte giapponese e cinese nelle varie epoche. Poi litighiamo….ovvero è a me che scende la catena. Un amico italiano mi telefona rispondendo alla mia richiesta di aiuto….mi fornisce cortesemente un nominativo cui fare riferimento per una sistemazione sicura di Asia ad Almaty durante l’anno di sosta previsto. Annoto tutto su un foglietto di fortuna, appoggiata ad un antico pianoforte a coda che forse non andava nemmeno sfiorato e quando Vanni vede che scrivo Business Center Granit mi dice di chiedergli se è lo stesso Business Center Granit di Modena. Senza dare molta importanza a Vanni continuo a scrivere e poi saluto Bob ringraziandolo per la cortesia. Immediatamente dopo aver riagganciato Vanni mi attacca con un’acidità esemplare quasi urlandomi che dovevo chiedere se quel nominativo di Almaty faceva in qualche modo riferimento a Modena. Immaginando che Bob non avesse ulteriori informazioni da darmi mi sono sottratta all’inutile verifica…..ma poi mi è scesa una catena infinita. Preferendo rimanere sola per il resto della giornata scelgo di rilassarmi passeggiando sotto il sole cocente che arroventa anche il Parco Navoi. Ma a nulla vale il tentativo e di relax non se ne parla proprio quindi mi siedo all’ombra di un albero dove fumo nervosamente una serie di sigarette. Il mio umore non cambia nemmeno nel corso della serata o almeno non sensibilmente, nemmeno dopo la gustosa pizza consumata al Bistrò.

07 Agosto 2009

TASHKENT

Esordiamo con un sopralluogo all’ambasciata kazaka per recuperare i moduli di richiesta dei visti, ma ciò che troviamo è una fila immensa di uzbeki, soprattutto donne con bambini, nonostante manchino solo pochi minuti alla chiusura degli uffici. Siamo qui in attesa davanti al cancello chiuso controllato da un poliziotto piuttosto bonario nonostante l’arma che indossa, perché il nostro contatto all’ambasciata italiana ha spezzato una lancia in nostro favore contattando il consolato kazako. Con questa spintarella e se riusciremo a presentare i passaporti completi di moduli e foto nel pomeriggio, otterremo i visti lunedì anziché tra dieci giorni come prospettatoci dall’agenzia Sogdiana Travel. Passaporti che al momento non abbiamo ma che ci saranno rilasciati verso le 16.30 di oggi dall’ambasciata kirghiza. Vista la fila invalicabile telefono ad Emil per sapere se in agenzia hanno i moduli per il Kazakistan…..la risposta positiva ci vede attraversare la città per raggiungere la sede dove Emil ci aiuta nella compilazione e ci congeda dandoci appuntamento alle 16.15 presso l’ ambasciata del Kirghizistan dove lui ritirerà i passaporti consegnati due giorni fa. Considerando che non possiamo sbagliare la consegna di oggi pomeriggio e tenuto conto delle file che sempre accompagnano gli orari di apertura al pubblico delle ambasciate, decidiamo di separarci raggiungendo con molto anticipo io l’ambasciata kazaka e Vanni quella kirghiza….per tenere il posto ed essere i primi all’apertura. Arrivo in taxi poco dopo le 15…ovvero due ore prima dell’apertura. Davanti al cancello chiuso non c’è nessuno ma dietro l’angolo un gruppetto di signore aspettano sedute all’ombra in compagnia dei loro bambini, una di loro tiene in mano un foglio di carta sul quale immagino sia scritta una lista di nomi. Valuto se andare a segnarmi ma poi decido che non si fanno liste all’ombra di fresche frasche, quindi mi piazzo davanti al cancello e non mi muovo nemmeno quando il poliziotto arriva e mi saluta riconoscendomi. Vedendo che ho in mano i moduli di consegna mi fa capire parlando in russo che l’apertura del pomeriggio è riservata alla consegna dei visti e non alla ricezione delle richieste. Gli spiego in una lingua che lui non capisce che l’ambasciata italiana ha preso accordi diversi e che i nostri nomi sono stati segnalati all’impiegata dell’ufficio visti. Vanni mi raggiunge poco dopo le 16…..lo vedo arrivare con i passaporti in mano ma con l’aria inspiegabilmente alterata….eppure tutto sta andando secondo i nostri piani! Mi racconta che quando alle 15 ha raggiunto l’ambasciata kirghiza, Emil era già là in attesa…..stupito del suo arrivo ed un tantino imbarazzato per il fatto che i nostri passaporti li ha tenuti lui e non l’ambasciata come ci aveva fatto credere. Essendo al corrente della nostra sofferenza nel dover rimanere forzatamente a Tashkent avrebbe potuto restituirceli nell’attesa di consegnarli oggi pomeriggio, consentendoci così di andare altrove per almeno un paio di giorni. Che stronzi questi dell’agenzia! Insomma alle 17 entriamo seguiti dal coro di proteste delle signore con lista e consegniamo pratica e passaporti. Lunedì pomeriggio alle 17 saremo liberi di uscire dalla capitale….ancora tre giorni all’alba! Per la cena…dato che siamo degli incorreggibili abitudinari, torniamo al ristorante siriano. El Delfin è comodo e piacevole e la breve passeggiata che richiede per raggiungerlo dall’hotel ci costringe almeno a fare due passi. I clienti sono numerosi anche questa sera…..soprattutto intenti a fumare il narghilè comodamente distesi sulle Tapchan, le caratteristiche piattaforme ricoperte di cuscini. Per variare almeno sul menu sperimentiamo nuove squisitezze come i Kuddi, polpette speziate con nocciole tritate, e l’imperdibile hummus di ceci. Finalmente sereni per il fatto che fra due giorni avremo ottenuto anche l’ultimo visto necessario per proseguire il nostro viaggio, gustiamo l’atmosfera rilassata e la temperatura perfetta di questa serata di luna piena mentre da lontano arrivano le note di un concerto live.

08/10 Agosto 2009

TASHKENT

Due giorni di tedio trascorsi a visitare un paio di musei, il bazar, una moschea e le architetture del regime….le più belle ed elaborate naturalmente, caratterizzate da geometrismi virtuosi ed accattivanti dove il progetto conquista per l’originalità del risultato architettonico. Decisamente migliori dei recenti ed anonimi edifici voluti da Karimov per autocelebrarsi….tutti decisamente bianchi ed imponenti ma privi di un disegno progettuale che susciti interesse nell’osservarli e che non reggono il confronto con l’altissima torre della televisione nella quale torniamo a curiosare. Il design originale la fa sembrare un enorme satellite appena atterrato. E che dire della facciata flessa e rivestita con un frangisole labirintico dell’hotel Uzbekistan, o dell’edificio circolare nei pressi del bazar….tutti mirabili esempi di architettura costruttivista sovietica che volentieri ci fermiamo a contemplare. la sera del nove chiedo a Vanni di farmi una sorpresa scegliendo lui il ristorante….almeno per variare dai soliti due nei quali rimbalziamo da giorni. Vanni ha sempre delle ottime idee quando stimolato ed il ristorante giapponese che raggiungiamo in taxi è decisamente un’ottima scelta. Improvvisamente proiettati in un ambiente minimalista con giardino zen ci sentiamo come dopo un vertiginoso salto nello spazio-tempo. Godiamo della bella serata scandita dai filetti dell’ottimo sushi nonché del servizio impeccabile del ristorante Izumi ( 18 /a Kakhara Street Tel 150 99 49 – www.caravangroup.uz ) che ci fa l’ulteriore sorpresa di un conto salatissimo. Ma non è finita qui… un’ ulteriore devastante sorpresa mi attende al risveglio….crampi addominali ed una leggera febbre mi costringono a letto per l’intera giornata mentre Vanni in splendida forma si sacrifica ad andare solo a ritirare i passaporti in ambasciata. Rimangono un mistero i motivi che hanno spinto Emil a telefonare in hotel ben due volte per sapere se avevamo ottenuto i visti del Kazakistan….alle 13 ed alle 22….davvero strano per un impiegato di un’agenzia viaggi con la quale abbiamo concluso i nostri rapporti venerdì pomeriggio in seguito al rilascio del visto kirghizo. Avendo del tempo da perdere iniziamo a fantasticare sulla vera natura di Emil….forse un agente del KGB che insospettitosi dei nostri interminabili viaggi, dei quali gli abbiamo ampiamente parlato, vuole tenerci sotto controllo. Alla seconda telefonata Vanni gli racconta compiaciuto qualche bugia….dicendogli che non avevamo ancora ottenuto i visti e che avevamo abbandonato l’idea di andare nella valle di Ferghana, la patata bollente uzbeka. Ancora lasciando la fantasia libera di immaginare iniziamo a sospettare che abbiano messo delle cimici nella nostra camera….ma dove? Mentre consumiamo il riso in bianco e l’hamburger comodamente distesi sul nostro lettone facciamo qualche ipotesi….nei paralumi o dietro la testata del letto? Poi mollemente ci abbandoniamo al sonno.

11 Agosto 2008

TASHKENT – FERGHANA

Mi sveglio abbastanza in forma per partire, quindi alle 10, dopo una breve telefonata ad Emil per informarlo che abbiamo i visti e che andiamo a Ferghana, così tanto per non crearci inutili problemi, fuggiamo da Tashkent inseguendo un taxi fino ad immetterci sulla strada diretta a Kokand e poi a Ferghana. Dopo una trentina di chilometri di strada perfettamente asfaltata e piatta come il paesaggio circostante iniziamo ad avvistare la catena montuosa che dovremo valicare per entrare nell’ampia vallata. Nessun albero sui rilievi color nocciola, solo ciuffetti di rovi secchi che spuntano dalle rocce sottostanti. Saliamo lentamente fino a raggiungere quota 2130 metri per poi scendere di nuovo nella valle più fertile dell’Uzbekistan famosa per diversi motivi. Prima di tutto per l’allevamento dei bachi e la conseguente produzione della seta, poi per le frange integraliste dell’islam che sembrano concentrate proprio in questa regione e famosa anche per la sanguinosa repressione del 2005 quando ad Andijan la polizia di stato uccise migliaia di cittadini che stavano manifestando pacificamente contro il governo. La valle è così ampia da rendere invisibili i suoi confini naturali….adagiata tra le alte catene montuose del Kirghizistan nel quale si incunea, ne osserviamo i campi coltivati e le non poche ciminiere….già perché una delle caratteristiche della valle è anche il suo alto tasso di industrializzazione. E’ proprio una fabbrica, ma particolarissima, il luogo prescelto per la prima sosta di oggi…oltre a quella necessaria del posto di blocco di polizia all’ingresso nella regione. A Margilon, una cittadina che raggiungiamo verso le 16 sul fondo della valle, c’è una filanda nella quale l’intero processo di produzione della seta viene fatto secondo i criteri tradizionali ovvero senza macchinari elettrici. Si chiama Yodgorlik Silk Factory ed entrarvi ha il sapore dell’ingresso in un altro tempo. Accolti con una cortesia squisita veniamo guidati nei vari edifici del complesso dove si svolgono le diverse fasi della produzione. Iniziamo dai preziosi bachi che vengono allevati da tutte le famiglie di agricoltori della valle e forniti alle aziende che producono il prezioso filato. I bachi sono bozzoli bianchi oblunghi e lanuginosi….se mossi si sente qualcosa di duro, come un sassolino che si muove sbattendo al suo interno. E’ l’insetto preventivamente lessato affinché non danneggi il bozzolo con un foro d’uscita che interromperebbe la continuità del prezioso filo sottile quanto quello di una ragnatela. Ne vediamo a decine di questi “sassolini” …. raccolti in una ciotola vicina ad un grande paiolo pieno di acqua fumante. I bozzoli vengono bolliti per un paio d’ore quindi si afferra un lembo della lanugine che costituisce l’involucro e se ne ricavano 1200 metri di filo sottilissimo, quasi invisibile. Ventisette sovrapposizioni formano un filo di seta adatto a formare un tessuto…..quindi da un bozzolo si ricavano in media quattro metri di filo….sembra una lezione di matematica! Le signore che lavorano in questo primo laboratorio hanno smesso di lavorare alle quattro ma acconsentono a mostrarci le fasi del processo che partendo dalla bollitura finiscono con i rocchetti pieni di seta color avorio, immersi nell’acqua per il lavaggio che rende il filo estremamente soffice. Paioli fumanti, rocchetti, dipanatoi, bozzoli, cadaveri di insetti e odore di brodo rancido….sembra l’antro delle streghe, ed il risultato una particolare forma di magia. Vestite in abiti colorati, i visi dai lineamenti orientali e la pelle leggermente ambrata, queste signore sono le più anziane della catena produttiva, le salutiamo per passare al padiglione successivo dove le matasse di seta vengono tinte, questa volta da uomini….alcune in tinta unita altre invece a tratti per creare nuvole di colore sul tessuto. In quest’ultimo caso gli addetti seguono un disegno preciso e chiudono con nastri di plastica i gruppi di filo che devono rimanere bianchi o di un altro colore…tutto sembra basarsi sulla lunghezza del filo che sarà lavorato al telaio. I colori naturali sono il giallo ricavato dalla cipolla ed il blu ricavato da un vegetale…rosso e nero sono invece artificiali. Ciò che non ci è chiaro è il disegno del colore delle matasse, ovvero la logica che lega le partiture di colore del filo al mélange dei tessuti finiti. Si parte da uno schema rigorosamente matematico per arrivare a nuvole di colore nelle strette fasce di tessuto fatto a mano sui telai. La stanza lunga e stretta nella quale entriamo ora contiene solo due file di telai di legno decorati con fiori dipinti. Vi si respira un’atmosfera quasi magica per queste ragazze sorridenti che tessono a ritmo serrato sedute sulle strette panche di legno. Pigiano con i piedi pedali di legno ed abbassano contemporaneamente con la mano un pomello penzolante davanti a loro che fa sfrecciare le spole dell’ordito. I gruppi di fili inclinati delle decine di trame che si incrociano davanti a noi sembrano festoni colorati ed i fiori dipinti sui telai rendono l’ambiente squisitamente femminile e vagamente bucolico. Passiamo poi al reparto tappeti che vengono annodati a mano da pazienti ragazze…..una di loro è intenta alla realizzazione di un tappeto commissionato da un cliente russo. Tre metri per due che per lei significano due anni di lavoro….una tragedia doversene separare una volta finito, penso io….è come se una parte della tua vita se ne andasse con lui. Non potrei mai fare tappeti ! Usciamo con qualche acquisto, pochi rispetto ai potenziali souvenir che avremmo potuto acquistare qui…..ma non è facile scegliere fra le sgargianti fantasie di moda da queste parti….per fortuna c’è una bella sciarpa gialla tinta unita che piace tanto a Vanni. Una volta usciti dalla factory raggiungiamo la cittadina di Farghana dove un paio di hotel non hanno camere disponibili. Il taxista però ha in mente qualcos’altro e ci accompagna in periferia in un hotel senza nome, di regime ma pulito…..i due lettini sono larghi appena 80 cm ed il divano cinese è terrificante, ma 35.000 sum, ovvero 18 € rappresentano un costo minimo mai toccato prima di oggi.

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