27 Sumbawa Island
07 ottobre 2015
LABUAN BAJO – BIMA
Sveglia presto e fuga al porto, l’imbarco sul ferry di auto e camion inizierà alle sette, un’ora prima della partenza. Pius interrompe quindi la colazione subito dopo il piatto di frutta e sale sconsolato in auto, forse rimpiangendo Ragina partita ieri per Kupang più dell’omelette rimasta sul piatto. Poi siamo lungo la strada, in alto sul promontorio che porta in città dal quale le isole al largo e la costa frastagliata scandita dai vulcani sfuocano in lontananza. La vista è così bella da giustificare il crescente sviluppo della zona ed i recenti investimenti volti a sfruttarne il potenziale che renderanno anche l’isola di Flores accessibile al turismo. Arrivati nel piccolo piazzale lascio Vanni e Pius impegnati nell’acquisto dei biglietti ed all’imbarco di Asia e mi incammino lungo la strada principale della città che ho visto solo di passaggio e della quale scopro presto il fascino. Vivace e colorata sulla terraferma quanto sul mare protetto dalle piccole isole che la fronteggiano vicine, la città esprime la propria vocazione con un grande porticciolo turistico ed i velieri di legno a due alberi che sullo stile delle navi pirata sono ferme al largo in attesa di clienti. Belle e patinate sembrano appartenere ad un’altra epoca e ad altri mari che non quelli della sonnolenta Flores. Con le poppe ricurve verso l’alto e le vele raccolte sugli alberi sembrano uscite dalle bottiglie di un collezionista e poi appoggiate come suppellettili sulla superficie blu e piatta del mare. Poi seguendo l’odore sempre più intenso arrivo di fronte alle cataste di pesce secco ordinate come texture o sistemate in coni che si allargano sui lunghi banchi di muratura del mercato coperto dove i pochi venditori ed i pavimenti lavati di fresco fanno pensare che le vendite del fresco si sia già concluso …. l’energia riesploderà questa sera, quando i fuochi delle grigliate si infiammeranno accanto ai tavoli di legno ed il fumo invaderà la strada. Le inquadrature del mare e del porticciolo tra i pilastri in fondo all’edificio sono suggestive come l’esplosione di colori di frutta e verdura esposti sul marciapiede a ridosso del muro perimetrale. Sono le signore a vendere, nei loro caffettani sgargianti, sedute al centro dei loro prodotti all’ombra di piccoli ombrelli, incuranti del rigagnolo di acqua sporca e rifiuti galleggianti che scorre accanto a loro. E’ la vista di Pius a distogliermi dalle immagini del mio breve viaggio in città, l’auto è già in stiva e Vanni già in ansia non vorrebbe dover partire senza di me, sono le sette e quarantacinque ma la partenza è già ufficialmente slittata alle nove. Lo raggiungo sul ponte, meglio essere cauti in situazioni di scarsa organizzazione come questa dove l’orario di partenza viene trasmesso sottovoce dalle persone più disparate in un tam tam che si evolve continuamente. Infine dopo aver aspettato i pescatori ritardatari arrivati a singhiozzo per vendere ai commercianti già a bordo, partiamo. Sono da poco passate le dieci, Vanni è su tutte le furie ed il mare è piatto. Dove ci fermeremo per la notte sull’altra sponda è ancora una incognita dato che nessuno risponde all’ unico Hotel di Sape. Mr. Lee è un passeggero cinese che viaggia in seconda classe, coinvolto da Vanni per trovare una sistemazione ha consigliato senza esitare di non fermarci a Sape ma di proseguire fino a Bima, la città nella quale troveremo senz’altro tre letti. Sono già le cinque e un quarto quando dopo sette ore di navigazione scendiamo dal ferry ed il vantaggio di luce per coprire i quarantadue chilometri è di circa un’ora, non molto considerando la media oraria dei precedenti spostamenti. Decidiamo di affidarci al nostro passeggero che seduto accanto a Vanni fischietta ogni volta che ci troviamo in una situazione di pericolo, perdendo infine il fiato e l’uso delle labbra. L’isola Sumbawa ci piace subito, con le sue coltivazioni a gradoni dove alcuni stanno ancora lavorando chini sotto le lunghe ombre dell’imbrunire, e le case di legno a palafitta alternate ad altre semplici e colorate che si aprono a due passi dalla strada. Hanno il sapore decadente di una cultura che come loro si sta disfacendo. Davanti ai grill per forza di cose impolverati c’è il fermento della cena, il fumo delle grigliate e l’odore dell’olio fritto. Ovunque i bambini che urlano scatenati, signori trasandati che oziano, cuociono, vendono alle signore che indossano con eleganza i loro caffettani colorati ed i veli che ne nascondono in parte i capelli. Ci troviamo nella parte dell’isola dove l’islam conservatore si sta radicando con la costruzione di numerose moschee, ne vediamo molte in costruzione, così frequenti da sembrare troppe. Tutto il fermento che precede la sera si riflette sul nostro incedere che diventa lentissimo per evitare i pedoni sul bordo della strada ed i motorini che senza rispettare i sensi di marcia sfrecciano in tutte le direzioni. Infine i carretti di legno trainati da cavalli e muli che trasportano senza fretta persone e merci e gli animali da cortile che vengono lasciati liberi di muoversi ovunque li porti il loro istinto. Tutti sembrano felici. Infine arriviamo a destinazione accolti dal canto del muezzin, stanchi per lo stress della strada di montagna, per l’incessante fischiettare di Mr. Lee e per il suono del clacson usato spesso da Vanni teso ed incazzato per la responsabilità di condurci attraverso quell’inferno, inseguiti dal pericolo che ne deriva necessariamente che rappresenta una bomba ad orologeria che potrebbe scoppiare da un momento all’altro. Quando arriviamo al Marina Hotel è già buio, Mr. Lee si congeda in fretta verde di paura e noi troviamo il meritato relax.
08 ottobre 2015
BIMA
La prima cosa che vedo aprendo la finestra è un grande topastro che si muove velocemente da una parte all’altra della canaletta di scolo tra due edifici vicinissimi, sta probabilmente cercando la sua colazione tra il secchio rosso ed il vecchio canestro di plastica il cui rosa si intravede sotto la patina grigia di sporco. La camera invece nella quale mi sono appena svegliata è perfetta come questo Hotel di nuova generazione confortevole e con wifi, il migliore in città che offre a soli 30€ la delux vista topo. Vanni è uscito presto con Pius per cercare un’ agenzia disposta ad assicurare l’auto, missione già tentata senza successo e per ovvie ragioni necessaria, io invece esco in perlustrazione. Il look non è casuale, per una forma di rispetto verso le musulmane che incontrerò e per non dare nell’occhio indosserò sopra la canotta ed i pantaloni una camicia poco sotto il ginocchio, una sorta di caffettano corto e leggermente velato … pazienza per i capelli rossi ed i vestiti assolutamente bianchi. Poco dopo cammino sui marciapiedi scassati di strade ampie definite dai prospetti lineari di edifici scatolari, spiazzata dall’accoglienza calda e gentile dei cittadini di Bima così diversa dall’ostilità di Kupang che stranamente immaginavo di incontrare. Come se si fosse sparsa la voce molti si avvicinano per salutare e stringere la mano, alcuni fermano i loro motorini per chiedere curiosi la mia nazionalità, altri invece salutano gridando da lontano o sussurrando da vicino il tradizionale – hallo miss / mister – a seconda del loro grado di conoscenza della lingua inglese. In breve sono diventata la fotografa di strada, l’obiettivo sempre disponibile a fissare i loro saluti, i sorrisi e le pose ridicole dei più spiritosi. Persino un conducente di calesse pieno di persone abitualmente utilizzato per il trasporto pubblico, ferma il suo cavallo per consentirmi di fare una bella foto non mossa. Poi alle tre del pomeriggio il suggestivo canto dei muezzin richiama alla preghiera e la strada si vuota, quindi rientro in attesa del secondo round e per le notizie non confortanti di Vanni e Pius. Conquistiamo la cena salendo le ripide scale di cemento fino alla terrazza più alta di un ristorante spartano di fronte al mare. Nero come il cielo, ascoltiamo il suono della risacca che fa da sfondo al mango appena frullato e l’ottimo pesce grigliato.
09 ottobre 2015
BIMA
La cupola azzurra della moschea emerge dal profilo della città piatta come un collage di finestre e muri colorati, il passaggio dalla 315 alla 402 ha dato un significativo cambio di prospettiva ai nostri risvegli che dal cavedio si è dilatata alla città intera. Vanni e Pius sempre più disperati stanno di nuovo rimbalzando da un ufficio all’altro cercando il modo di assicurare Asia, troppo vecchia secondo i locali per poterlo essere. Dalle informazioni raccolte sembra che non si possa assicurare l’auto escludendo vita ed assistenza sanitaria e comunque la polizza non è accessibile ai cittadini stranieri, un ginepraio dal quale si può uscire solo perdenti. Esco di nuovo per godermi la città senza il filtro della macchina fotografica, piuttosto alla ricerca di quella gentilezza che ieri ha soddisfatto il mio seppur modesto narcisismo. Evitando i tombini aperti cammino costeggiando la merce esposta fuori dalle vetrine, materassi e rotoli di tessuti, abiti, e più in alto gli edifici colorati, rivestiti con piastrelle lucide o articolati in complesse geometrie di facciata. Altri ancora sono grandi scatole intonacate senza fronzoli, eventualmente arricchite da manifesti pubblicitari. Tutto questo rende la città vivace ed attraente, veloce nel passaggio da un colore all’altro, da un prodotto all’altro, dal carretto ai motorini imbizzarriti che inventano flussi casuali. Vanni e Pius mi raggiungono a metà pomeriggio, rassegnati ed in qualche modo sollevati dal non sentirsi più le palline del ping pong giocato dagli impiegati degli uffici competenti. Usciamo insieme per il tour di prassi che comprende le visite dei luoghi di interesse, ovvero il Palazzo Museo dove hanno esercitato il loro potere generazioni di sultani fino al 1962. Interessante ma avvolto dalla semioscurità delle persiane chiuse. Poi la visita della città, del mare dall’alto e la breve passeggiata lungo il piccolo molo in costruzione preceduto da un paio di banchetti dove è possibile acquistare qualche bevanda analcolica ed i comodi noodles liofilizzati che si gonfiano a contatto con l’acqua calda aggiunta nel bicchierone di carta. La birretta rimane un desiderio in questo lungomare e nella città tutta dove gli alcolici sono bevuti di nascosto e venduti sottobanco dai ristoratori cinesi che in quanto non appartenenti alla religione islamica possono violarne le leggi, soddisfare gli assetati ed anche per questo arricchirsi.
10 ottobre 2015
BIMA – DOMPU
Il nervosismo di Vanni, malcelato sotto gli occhiali scuri, i baffi e la barba segna l’inizio di questa bella giornata di sole e si gonfia con il passare delle ore per una serie di contrattempi che rallentano e poi bloccano lo spostamento di oggi fino a Dompu. Volendo elencarli iniziamo dal ritardo di 45 minuti di IMAHM, un ragazzo gentile conosciuto in uno degli uffici di assicurazione che vuole assolutamente farci strada fino fuori città. A seguire le due soste ai bancomat senza possibilità di prelievo di contanti. Fatto gravissimo dato che solo alcuni hotels offrono la possibilità di pagare con la carta di credito e poi ancora IMAHM che perde altro tempo fermandosi per un rifornimento di benzina, infine la ciliegina sulla torta che merita il racconto dettagliato. Una decina di chilometri fuori città Vanni che ha la vista di un falco adocchia l’insegna della Banca BRI in corrispondenza di un grande distributore di carburante. Accostiamo per il rifornimento poi Vanni si eclissa dietro la porta vetrata dell’angusto spazio che contiene la macchina infernale, la slot machine dalla quale Vanni non riesce a staccarsi. Quando entro per verificare cosa sia successo, sulla mensolina del bancomat ci sono quattro mazzette di banconote da un milione di Rupie l’una, che mi dice di raccogliere e di mettere nella borsetta. Ma il gioco non è ancora finito. Al settimo prelievo la macchina vince e Vanni perde la Visa. Tragedia. Uscire sconfitto da un bancomat non è da lui e non regge lo scotto. La prima frase che gli esce suona come una minaccia, – torneremo in Italia con il primo traghetto disponibile, non voglio più stare in questo paese di merda -. Interviene Pius che traduce smorzando i toni l’accaduto ai benzinai che rispondono con un numero di telefono. L’addetto arriverà alle quattro del pomeriggio, ovvero tra quattro ore. Propongo l’alternativa di bloccare la carta e di proseguire il viaggio ma dopo aver parlato con un operatore inglese VISA ed avere aspettato in segreteria telefonica almeno dieci minuti, desisto. Si aspetta. Dompu è quasi al tramonto quando ci incamminiamo per due passi in città, è così raro il piacere di passeggiare con Vanni da fare di questo un momento speciale, come l’atmosfera che si respira qui a Dompu che si sta preparando per la cena in strada. Le poche luci illuminano appena le bancarelle di frutta ed il fumo si alza dai grill rettangolari e stretti, con il phon acceso su un lato a tenere vive le braci. Intanto il muezzin ha intonato la sua omelia sparata a tutto volume dalle decine di amplificatori fissati attorno ai minareti della moschea che sfoggia una bella cupola a cipolla dai riflessi bronzei. Sull’altro lato della strada un commerciante lungimirante ne ha in vendita una decina di piccole e colorate fissate in bilico sulla tettoia di lamiere. Lungo la strada principale alcuni edifici costruiti di recente sfoggiano colori e geometrie De Stijl che risaltano sugli altri scatolari e neutri. Ci muoviamo zigzagando tra i grandi tombini aperti su canali di scolo senz’acqua pieni di spazzatura, ed ancora oltre c’è una coppia di poveri vecchietti curvi tra la sporcizia per raccogliere cartoni e plastica, per due soldi e per la sopravvivenza. Dopo un fantastico succo di mango appena frullato rientriamo al Samada per recuperare Pius in lettura. Questo hotel non è probabilmente il luogo migliore dove trascorrere una notte in città ma non avendo avuto modo di raccogliere informazioni ci siamo limitati a seguire il ragazzo in moto al quale abbiamo chiesto e che ha scelto per noi. Il parcheggio protetto e la piacevolezza dell’edificio orizzontale ben curato all’esterno hanno fatto il resto, facendo passare come accettabili anche le camere che di curato hanno solo le serrature. Non asciugamani in dotazione, il materasso che avremmo fatto meglio a non guardare ed il bagno così minimal da non avere nemmeno l’acqua corrente se non dopo la rimessa in funzione della pompa che ogni qualche ora si inceppa. Del tutto analogo il bagno a quelli utilizzati sui ferry, dove l’odore dell’urina era giustificato dall’uso da parte di una moltitudine di persone. Eppure, l’unica cosa che mi ha dato veramente fastidio è stato appoggiare sulla pelle la coperta senza lenzuolo, sporca e dal nauseante odore dolciastro. Il piacere del ricordo di alcuni dei viaggi più avventurosi arriva ogni tanto anche attraverso dettagli disgustosi che solo per questo diventano accettabili.
11 ottobre 2015
DOMPU – HU’U e PANTAI LAKEY
Il ripasso della passeggiata di ieri sera inizia a metà mattina con Pius e si arena al mercato che si snoda lungo una breve strada secondaria del centro compressa dai prodotti stesi a terra. I colori blu e arancio dei parasole si stemperano su tutto ciò che coprono, anche sulle venditrici che hanno disposto le loro merci su vassoi, teli o basse bancarelle di legno e bambù creando involontariamente un meraviglioso caleidoscopio di colori e forme. Sono vanitose queste signore, trasandate ma con stile nei loro vestiti sciupati. Anziane o di mezza età, magre o rubiconde, ma tutte con una gran voglia di divertirsi, ridere e distrarsi dal loro mercanteggiare. Fotografarne una per scelta ha significato doverle immortalare tutte assecondando il loro gioco del quale sono diventata la reporter. Spinta da una all’altra, il mercato diventa una catena di sorrisi, spiritosaggini e corpi in posa, sono un mondo intero queste signore, con le loro scopette che agitano per allontanare le mosche, con i pesci che volteggiano nelle loro mani e che avvicinano al viso come per incorniciarlo. Alcune si piacciono, riconoscendosi nel display, tutte si ridono addosso. E’ già mezzogiorno e Vanni è incazzato per il nostro ritardo quindi ci prepariamo in fretta e ci avviamo verso le onde del mare di Hu’u tra le più potenti e perfette del mondo, quelle che si chiudono solo dopo essere state cavalcate a lungo dai surfisti più virtuosi, noi invece crolliamo di fronte al piccolo portale del resort che inquadra la sabbia grigiastra e le onde lontane.
12 ottobre 2015
HU’U – SUMBAWA BESAR
Sulle note dei brani rock dei Police si consuma la nostra fuga dall’Hotel Anam Gati di Hu’u. Viaggiamo veloci e felici sotto il cielo azzurro di questa mattina iniziata con grinta. Contribuisce al piacere del nostro procedere la bella strada litoranea che inquadra bellissimi scorci di mare azzurro dall’alto della costa scoscesa accanto alla spiaggia. Vanni va così veloce che Pius dal sedile posteriore grida – Ferrari! -. Poi saliamo per valicare un promontorio e ridiamo dei babbuini seduti sul guard rail ed altri che scappano nella foresta… infine arriviamo al Kencana Hotel, 15 km oltre Sumbawa Besar. Isolato su una breve spiaggia privata a Sud della citta, occupiamo il bungalow immerso nella rigogliosa vegetazione tropicale. Venticello meraviglioso e cena ottima. Senza perdere tempo Vanni ha nel frattempo organizzato i nostri prossimi giorni sull’Isola Palau Moyo, trampolino per la visita alla particolarissima Satonda Island.