25 Flores Island
24 settembre 2015
KUPANG – LARANTUKA
Pius e Regina sono seduti sul divanetto della reception quando li incontriamo per la colazione insieme. E’ stata una loro idea, un modo carino di soddisfare la curiosità di Regina che vuole sapere in compagnia di chi sarà Pius quando lo immaginerà in viaggio. Molto diverso da come lo avevo immaginato Pius mi è piaciuto subito anche per le contraddizioni presenti nella sua esile figura. Sembra un Rasta ma è un ex seminarista ed è stranamente nato ad Ointasi, il paese nel quale abbiamo vissuta una delle più belle esperienze. Magrissimo e con gli occhi grandi, il suo sorriso risalta sulla pelle scura, non alza mai il tono della voce persino troppo basso, sembra timido ed ha paura di sbagliare. Poi seduti al tavolo di fronte alle nostre colazioni, nonostante la babele di idiomi iniziamo a conoscerci e ci congediamo infine avendo le idee abbastanza chiare di ciò che ognuno di noi ha voluto mostrare di sé agli altri. Salutata Regina non resta che raggiungere il porto dove sbrigate le formalità percorriamo il piazzale ed affrontiamo il difficile imbarco. Il caos è tutto concentrato nella stiva del ferry e l’imbarco di Asia sembra un’operazione difficile. Tutto e tutti si muovono contemporaneamente verso il portellone aperto, i passeggeri, le merci, i venditori ambulanti, le auto, i camion ed i motorini. La confusione in stiva è talmente esasperata da sembrare paradossale, qualcuno si starà chiedendo come faranno i mezzi ad entrare se nessuno si disperde salendo in coperta? Eppure anche Vanni viene incoraggiato come gli altri autisti a spingersi in retromarcia contro ai corpi di chi osserva senza arretrare se non all’ultimo momento, come i parabordi che aspettano l’urto per contrastare la spinta. Sono le persone che trascorreranno la notte su cartoni stesi sotto i camion e che volendo essere certi del loro spazio non si muovono, e sono gli ambulanti che vendono stuoie, cibo pronto, snack, frutta e fazzoletti di carta piazzati alla base delle scale. Al volante di Asia Vanni esegue le manovre fino ad incastrare l’auto in un angolo che sembrava improbabile, poi come una presa in giro arriva l’ordine di uscire per fare entrare due camion sbucati dal nulla e viene quindi reindirizzato in un parcheggio più comodo accompagnato dagli sberleffi, e le grasse risate vomitate da quei corpi a pochi centimetri da lui. Infine siamo dentro, il portellone viene chiuso e riaperto un paio di volte per fare entrare i passeggeri ed uscire gli ambulanti ritardatari, e finalmente partiamo. Pius è riuscito a trovare per noi una cabina e ci accompagna in quella abitualmente occupata dai due macchinisti che l’hanno ceduta per 700.000 rupie. Mentre ci accomodiamo scalzi nel loro personalissimo nido Amien e Latif afferrano in fretta i vestiti appesi all’attaccapanni e poco altro lasciando a noi il frigorifero pieno, il gallone d’acqua ed il loro necessario per la vita a bordo. I materassi sono ergonomici ma la cabina è un simpatico involucro color salmone disseminato di effetti personali. Non resta che oltrepassare la porta per godere della brezza e muovendo due passi in coperta osservare la vita di bordo a partire dai due grandi tavoli sotto la pensilina attorno ai quali alcuni passeggeri sono riusciti a sedersi per mangiare. Una signora ha smontato i contenitori impilati e sta mettendo sui piatti di alluminio il pranzo per la sua numerosa famiglia, riso, pesce fritto e verdure lessate, altri portano alla bocca il tipico riso condito avvolto in coni di carta gialla, altri osservano il mare o giocano con il cellulare, Vanni e Pius stanno continuando la loro conoscenza. Ingolosita vado in cerca di cibo nel livello inferiore dove dovrebbe esserci un piccolo bar oltre il dormitorio. Attraversarlo è come percorrere il set di un film drammatico per i giacigli a castello dove la gente è serenamente stesa che sembrano far parte della ricostruzione cinematografica di una camerata di un campo di concentramento. L’assenza di cibo fresco giustifica il successo degli ambulanti alla partenza ma i noodles liofilizzati con l’aggiunta di un pò di acqua calda sono buoni e sfamano. Estraniandoci poi dal contesto familiarizziamo con l’equipaggio entrando timidamente nel ponte di comando dove all’iniziale distacco si è presto sostituita la cortese curiosità fatta di reciproche domande e sorrisi abbozzati. Sono tutti gentili e puliti e per contrasto diventano il nostro paradiso. Il secondo step di approccio parte dalla macchina fotografica con le inquadrature in posa del comandante ed i secondi che si avvicendano al timone. Solo loro, io e Vanni con loro, solo Vanni e poi giù nel ventre caldo del ferry, la sala macchine di Amien che avendo saputo delle foto ci invita sudato ma con il sorriso felice a seguirlo nel frastuono assordante dove i riflettori illuminano a giorno i due potenti motori verniciati di fresco che risaltano come gioielli nella sala. Sul ponte di coperta, stesi sulle stuoie molti stanno già dormendo anestetizzati dal vento fresco della notte in mare, altri sono seduti a chiacchierare, tutti hanno l’aria stanca per il lungo viaggio non ancora finito. Alle quattro Pius bussa alla porta, stiamo entrando nel porto di Larantuka e dobbiamo scendere in stiva per prepararci allo sbarco prima dell’attracco. Sottocoperta le persone sono accavallate, sedute sugli scalini, appoggiati ovunque. I visi provati dal disagio ed i cartoni ancora stesi sotto i camion tra i rigagnoli di pipì che calpestiamo per raggiungere Asia, uscire e poi dimenticare.
25 settembre 2015
LARANTUKA
Il tè all’alba accompagnato da banane fritte in pastella ci sveglia definitivamente. Seduti all’ombra della breve tettoia che precede la nostra camera al Lesthari Hotel, sentiamo arrivare tutta l’energia di questo nuovo inizio, come se Timor fosse stata per noi solo il prolungamento di Timor Leste e la premessa del nostro arrivo in territorio indonesiano. Siamo in compagnia di Sandy, il cugino del proprietario dell’hotel che noleggia una barca da crociera di legno, una specie di piccolo caicco che viaggia tra le isole di Bali, Lombok e le minori di grande bellezza. Una possibilità per vedere dalla migliore prospettiva le isole, gli atolli ed avvicinarsi a queste barriere coralline di grande bellezza. Vanni ne è quasi convinto ma poi si limita a prendere nota del contatto. Non è tempo di programmi a lunga scadenza ed il piacere del nostro viaggio è legato alla casualità dei suoi possibili sviluppi. Vanni intanto è sparito con Pius in cerca di fusibili ed io andrò tra poco a cercare l’attrezzatura per lo snorkeling. Sandy mi accompagna gentilissimo anche alla chiesa Portoghese della quale va fiero ed a passeggio lungo le piacevoli strade della piccola Larantuka che in leggera pendenza collegano il mare alla foresta retrostante. Dai negozi che si prolungano ad occupare parte dei marciapiedi spuntano le teste velate di vivaci signore musulmane che fanno cenni di saluto ed orientano lo sguardo verso i prodotti in vendita. Molti passano urlando Mister, good morning Mister, solo i bambini sanno che io invece sono una miss e lo pronunciano piano, quasi sussurrandolo timidamente. L’episodio più divertente della giornata è arrivato nel tardo pomeriggio quando salendo in auto al belvedere Vanni attento come un segugio vede un ragazzino accovacciato sul bordo strada mentre taglia i capelli ad un suo coetaneo. Sono in prossimità di un quartiere periferico dove le case di legno e bambù sono distribuite tra la Vegetazione rigogliosa. La vista seppur suggestiva del mare dall’alto non è così interessante da trattenerci a lungo e Vanni è già oltre, tra quei ragazzi che raggiungiamo con una veloce discesa. Seduto sul bordo della strada, là dove l’asfalto finisce, la sua barba bianca è presto distribuita come il sale sulle braccia scure del ragazzino con le forbici. Non è stato semplice convincerlo, titubante di fronte alla barba ed alla pelle chiara, ma l’operazione decolla e la professionalità emerge. Sono arrivati in molti ad assistere allo spettacolo, le donne, i ragazzi ed i bambini del villaggio ridono, scattano foto, si divertono. Una signora molto più concreta parla di dollari, un’altra parla di un ingaggio a Roma, ma il quattordicenne continua senza esitare, muovendosi agilmente accovacciato di fronte alla barba di Vanni ora in brodo di giuggiole… si ferma, valuta e poi attacca con le sue forbici per concludere al meglio la sfida che ha raccolto. E’ una festa per tutti e tutti ne usciamo soddisfatti, io per le foto, Vanni per l’aver creato una situazione insolita ed avere la barba tagliata alla perfezione, il barbiere bambino per il lauto guadagno ed il riconoscimento del suo talento, tutti gli altri per il divertimento del momento e per quello che seguirà nei racconti. Ceniamo in una tavola calda nel mercato di fronte all’hotel. Un tavolone e due panche coperte da un telone di plastica, una vetrinetta di pesce fresco che mangeremo arrostito con il contorno di riso ed una Bintang large alla spina.
26 settembre 2015
LARANTUKA – MONI
La Flores Hwy attraversa longitudinalmente le montagne dell’interno collegando Larantuka a Labuan Bajo e costeggia il mare solo in corrispondenza di un paio di località che sappiamo essere lontane da ogni tentazione di sosta.
Il manto stradale perfetto ci consente di godere del bel paesaggio comprese le rare apparizioni di superfici blu in lontananza che ci ricordano che di un’isola appunto si tratta. Montuosa come tutte le isole di origine vulcanica ne vediamo alcuni coni ben definiti ricoperti della rigogliosa vegetazione tropicale che si aprono in vallate di risaie di un verde così brillante da ingolosire. Vanni è in forma al volante accanto a me e Pius riposa in silenzio nel sedile posteriore “sacrificato” dal suo voluminoso zaino, le macchine fotografiche e le giacche che non hanno trovato posto altrove. Nel retro dell’abitacolo di Asia infatti le poche valigie sono state incastrate da Vanni secondo una composizione impeccabile attorno alla ruota di scorta ed al malandato inutilizzabile pneumatico senza cerchione che occupano buona parte dello spazio disponibile.
Ci distrae dal contesto il suono di tamburi che incalza sempre più forte con l’avvicinarci al centro abitato di Maumere dove nel cortile di una scuola la scolaresca è impegnata con le prove generali di una parata con banda e majorettes. Forse solo per interrompere la monotonia del viaggio e recuperare l’uso delle gambe decidiamo di fermarci a dare un’occhiata. La banda al completo posa volentieri in vista dello spettacolo ma i piccoli esclusi dalle prove alle quali partecipano solo come spettatori si scatenano e scavalcando il muretto accerchiano l’auto ed assediano Vanni rimasto a bordo.
Intanto la strada si muove sinuosa salendo e scendendo in curve a gomito e tornanti parabolici e sovrastando piccole vallate di meravigliosi palmeti che fanno sognare almeno quanto le piantagioni di cacao. In corrispondenza delle cime più alte, vicine a gruppi di casette di legno e paglia le fave scure e irregolari del cacao sono stese ad essiccare sopra teli di plastica appoggiati sull’asfalto dei bordi strada, sono le ultime di una stagione di raccolta ormai agli sgoccioli e ad ogni accenno di pioggia le fave vengono spostate con pazienza in sacchi di plastica. La produzione ora è orientata sui chiodi di garofano che emanano anche a distanza il loro buon profumo.
Dopo 220 km di curve e di montagne, alle quattro del pomeriggio ci fermiamo al Daniel Lodge di Moni. Solo tre camere gestite dal simpatico proprietario che ci consiglia un bagno rinfrescante sotto la vicina cascata prima della cena al ristorante Santiago dove consumiamo l’ottima cena condita con olio di oliva che trovato qui sembra un miracolo.
Rientriamo in tempo per assistere al raccapricciante divertimento di un gruppo di ragazzi imbecilli che stanno uccidendo dei polli afferrandoli al collo e poi gettandoli per terra. Mi fermo, urlo un paio di inutili insulti e proseguo in lacrime fino alla camera con bagno sporco come da tradizione.
27 settembre 2015
MONI – ENDE
A nanna alle otto di sera e sveglia alle tre e mezza di notte, è stato questo il necessario sacrificio per assistere al miracolo delle acque turchesi di uno dei tre laghi del vulcano Kelimutu.
E’ ancora notte quando usciamo dal tepore del nostro letto per salire sull’auto del nostro accompagnatore locale, un signore basso e magrissimo avvolto in un tubo di morbido tessuto che lo fa sembrare un elfo. Nonostante il buio pesto di questa notte senza stelle e senza luna il nostro autista guida con la sicurezza di chi ha in memoria ogni curva della ripida strada ed in trenta minuti ci conduce al parcheggio del parco nazionale dal quale parte il sentiero immerso nell’oscurità.
Mi incammino sola facendomi strada con l’aiuto della torcia che disegna un alone di luce piuttosto debole ma che resiste per l’intera passeggiata attraverso la foresta che precede la roccia immacolata delle tre caldere. La notte mi emoziona ma la luce lontana di un’altra torcia mi rilassa così come la relativa vicinanza di Vanni, Pius e l’elfo distanti solo del tempo di una sigaretta. L’illusione di essere arrivata tra i primi sparisce di fronte ai tanti venditori ambulanti già seduti sui gradini del belvedere, con i loro thermos di bevande calde e le colazioni a cui nessuno ha pensato. Infine vediamo delinearsi neri i contorni in risalto degli speroni di roccia rischiarati dall’aurora appena iniziata, poi le nuvole rovinano lo spettacolo coprendo i raggi incidenti del sole all’alba che avrebbero resa la superficie del lago come una tavola di un turchese intenso e innaturale. Non sapendo quanto magico sarebbe stato quel colore nelle condizioni favorevoli del cielo limpido osserviamo soddisfatti la bellezza del paesaggio e di quell’acqua azzurra e iridescente di fronte alla quale rimaniamo a lungo in attesa di un miracolo.
Lasciato il Daniel Lodge ci avviamo poi verso la città di Ende a soli cinquantacinque chilometri di distanza e diverse ore di viaggio per la strada bloccata da una frana e la deviazione che facciamo per raggiungere un bel villaggio tradizionale circondato dalla rigogliosa vegetazione della foresta. Una volta raggiuntala impieghiamo poi ore per trovare il centro città, Vanni dice che ce ne sono due, Pius dice che il centro non c’è ed il ragazzino in moto cui abbiamo chiesto ci accompagna in un bar sulla spiaggia, lunga e nera che si spinge sul mare bianco di questo nuvoloso tardo pomeriggio.
Contento della birra che gli abbiamo offerto non molliamo il ragazzino fino all’ora di cena quando grazie alla sua pazienza troviamo in un colpo solo il centro di Ende ed il ristorante Roda Baru con le sue pietanze fredde ed il Moto GP a tutto volume. L’hotel SYifa non è più tranquillo del ristorante ma è il Wi-Fi che fa la differenza e la simpatia di chi ci ha accolti. Stiamo bene.
28 settembre 2015
ENDE – BAJAWA
La bella sorpresa di oggi è a Nord di Ende, oltre il vulcano a strapiombo sul mare che segna il limite della città, è la costa che seguiamo per quarantacinque chilometri. La strada è bellissima con le sue alte costiere a strapiombo e le curve che si susseguono senza sosta come in una pista che non si chiude mai. Ma il regalo dura poco e senza accorgercene siamo di nuovo all’interno, là dove l’isola scompare per tornare ad essere montagna, i vulcani si aprono in piccole vallate scoscese e le curve di livello sono disegnate dai gradoni delle risaie. Poi i tornanti si impennano fino al valico del vulcano più alto, dove il cielo si copre di nuvole nere, piove e la temperatura si abbassa drasticamente. Non va meglio sui mille metri di Bajawa dove il freddo ha riempito anche la nostra camera nel B&B Happy Happy, il bozzolo color lilla pulito e con i soffitti alti. Bena è il villaggio tradizionale nei pressi di Bajawa che si trova quindici chilometri più a valle della strada principale, sorto sulle pendici del cono perfetto del vulcano che lo sovrasta altissimo e potente. Adagiato sul fazzoletto di terra sottratto alla foresta che sembra fagocitarlo, il villaggio si articola in due stecche di capanne che convergono a imbuto verso lo sperone di roccia sullo sfondo. Sono tutte uguali ed accostate a dente sul terreno in leggera pendenza che salendo verso il fondo crea lo scenografico effetto prospettico che rende il villaggio particolarmente bello. Le capanne sono costituite da due camere rettangolari di legno sovrastate da bellissimi tetti alti e sproporzionati nella volumetria complessiva. Sono di paglia rasata e scura e salgono incurvandosi come due onde che si fronteggiano. Il bambù tagliato in senso longitudinale e montato come una copertura di coppi forma l’originale tetto delle logge antistanti. Come da tradizione animista le capanne si distinguono in femminili e maschili attraverso le piccole figure collocate in cima al tetto. Al centro delle due stecche ci sono gli elementi simbolici dei clan familiari ancora differenziati per forma e significato in base ai sessi. La casetta per il femminile ed il grande ombrello di paglia per il maschile sono decorati con bassorilievi e disegni che rappresentano ulteriori, indecifrabili simboli. Ogni evento è celebrato con il sacrificio di animali ed il tributo base per la costruzione di una nuova capanna è di cinque bufali il cui sangue viene spruzzato attorno e sull’altare del sacrificio. Qui a Bena risiedono i capi di nove clan ovvero di nove villaggi vicini ed in occasione della grande cerimonia annuale del ventiquattro dicembre che raccoglie in questo luogo l’intera popolazione animista indonesiana su questo altare vengono uccisi ben cento bufali. Per distrarmi mi dedico alla fotografia, cercando di cogliere tutto il fascino di quelle anziane signore in abiti tradizionali, ma ogni volta che incrocio i loro occhi penso a quante uccisioni devono aver visto nel corso delle loro eterne vite. E’ quasi buio quando ancora infreddoliti per il diluvio di Bena rientriamo al B&B, e sembra già notte quando entriamo al ristorante Lucas scelto solo per l’aspetto invitante delle sue luci calde e subito escluso per la qualità del servizio e del cibo.
29 settembre 2015
BAJAWA
Le terme sono nei pressi del villaggio di Bena, per questo il capotribù conosciuto ieri si è offerto di accompagnarci in vista di una ricompensa in cambio del disturbo. Indossa un pareo colorato tessuto a mano ed il suo machete infilato nella cintola, ci spiega Pius, sottolinea la sua importanza nella gerarchia del clan di appartenenza. Anche per questo oltre che per la riconoscenza che gli dobbiamo lo assecondiamo cedendogli il posto accanto a Vanni. E’ timido e quasi impacciato come chi non è solito spostarsi in auto, ma la foresta gli appartiene ed è con una sorta di autocompiacimento che ci conduce lungo il breve sentiero che scende dalla strada verso il ruscello. A turno entriamo nel micro spogliatoio di canne isolato sulla terra battuta, poi muovendo qualche passo incerto ci sediamo nell’acqua tiepida e veloce cercando un incastro tra i sassi levigati e un ancoraggio per non essere portati via dalle piccole rapide. Vanni si diverte abbandonandosi alla corrente fino alla spiaggetta più a Valle, Pius che si vergogna della sua magrezza rimane sempre immerso nello stesso punto mentre io cerco il massaggio più efficace per drenare la cellulite. Il capo tribù invece rimane seduto su un pietrone fuori dall’acqua e non sapendo cosa fare guarda la bella signora che sta facendo il bucato nel ruscello di acqua fredda poco più a monte. Poi scendiamo a piedi sul bordo del ruscello per vedere le balze che disegnano delle pozze arcuate meravigliose circondate dalla foresta che vi si protende. Poi tutto il piacere svanisce di fronte ai noiosi megaliti che troviamo dopo una lunga ricerca sparpagliati tra l’erba secca. Vedendoli capiamo perché nessuno nel villaggio è riuscito a darci indicazioni precise sul sentiero da percorrere per raggiungerli, se non il signore anziano che ci ha accompagnati senza entusiasmo di fronte a queste pietre grigie appuntite raccolte a gruppi, gli altari sui quali venivano fatti i sacrifici. E’ il rotolo di carta igienica appoggiato sul tavolo del ristorante cinese a farci ritornare il sorriso, il lungo tovagliolo alternativo che fa passare in secondo piano l’orrore della zuppa color brodo slavato, densa e scivolosa come i sassi del ruscello.
30 settembre 2015
BAJAWA – RUTENG
Ruteng dista circa 120 km e quattro ore di viaggio. Partiamo a metà mattina aggirando il grande vulcano Inerie che ora si mostra nelle nuove prospettive disegnate dalla strada sinuosa mai percorsa. La sua sagoma sprofonda incerta dietro i rilievi in primo piano e poi scompare inghiottita dalla foschia densa della foresta ancora umida di pioggia. Poi dopo un tempo che sembra infinito il breve passaggio lungo la costa di Aimere ci restituisce il piacere del rettilineo e del mare la cui linea perfettamente orizzontale ci appare ora come la realizzazione di un sogno e la scogliera appena intravista lo scorcio più suggestivo della nostra vita nonché l’indice del nostro esaurimento. Una famiglia di macachi approfitta del viavai per mangiare ciò che i viaggiatori divertiti lanciano dai finestrini. Sono molto graditi anche i nostri mandarini che prima sbucciano con cura ed i biscotti che qualcuno già sazio tiene sotto il braccio come un giornale. La sosta causata dai lavori in corso per liberare la strada da una frana di roccia sveglia Pius sempre più a suo agio sul sedile posteriore ed offre a noi la possibilità di fare due passi. L’inconveniente per gli automobilisti si è trasformato in un business per gli ambulanti che hanno allestito probabilmente nei giorni scorsi delle bancarelle provvisorie, e per quelli che arrivati sui motorini con le vetrinette smontabili hanno offerto ai malcapitati il cibo caldo. Come mosche bianche abbiamo attirato l’attenzione di una banda di ragazzini che pur non offrendo nulla in cambio hanno sfruttato la situazione per elemosinare denaro. Le mani aperte sui finestrini semichiusi curiosi di vedere il potenziale tesoro appoggiato sul sedile posteriore e nel bagagliaio e poi all’opera nel cercare di aprire con discrezione lo sportello posteriore che avevo chiuso vedendoli dallo specchietto retrovisore. Il vantaggio in questo caso è che è bastato un urlo per farli scappare. Raggiungiamo la città in pochi minuti e con lei la nostra camera nella sede della congregazione di Santa Maria Berdukacita, spartana e con il crocifisso di fronte al letto stranamente matrimoniale. L’obbligo del rientro prima della chiusura del cancello alle nove di questa sera è funzionale alla colazione in refettorio tra le sei e le sette e trenta di domani mattina, prima che le consorelle inizino a studiare su quegli stessi tavoli. Ma il vincolo non pesa perché a Ruteng la vita si addormenta a quell’ora. Ora però c’è fermento attorno ai barbecue sul bordo strada dove il fumo si spande ed i phon o i ventilatori accesi ravvivano le braci. Infine raggiungiamo lo “Spring Roll”, l’ottimo ristorante indicato a Pius dalle giovani suore che a giudicare dall’entusiasmo dimostrato nel vederlo ed allo scambio di numeri di telefono che ne è seguito deve avere in passato fatto strage di cuori. Pius piace.
01 ottobre 2015
RUTENG – LABUAN BAJO
Il cartello di divieto di accesso là dove avremmo dovuto svoltare ed il conseguente malumore di Pius al mio rifiuto di procedere hanno segnato l’esordio di questa giornata spesa per raggiungere la città di Labuan Bajo, sulla costa occidentale dell’isola di Flores. Il ricordo dei filmetti di Sandokan e la perla di Labuan per quanto scontato arriva spontaneo, come il sollievo di aver raggiunto un obiettivo importante e con lui il mare. Da qui partirà tra qualche giorno il traghetto per Sumbawa, la prossima isola della lunga catena indonesiana, domani invece dal pontile di un hotel ancora da trovare partirà il motoscafo per la piccola isola Seraya Besar, il regalo di Vanni per il mio cinquantaduesimo compleanno, non l’isola ovviamente ma il soggiorno nell’omonimo Resort. Intanto però non abbiamo prenotazioni per l’hotel in città e nessuno risponde ai pochi numeri di telefono a nostra disposizione, non resta che collegarci a internet per qualche minuto e cercare su booking una possibile sistemazione. Il Waecicu Beach Inn è fuori città, sulla breve spiaggia contenuta tra basse scogliere ed i coni dei due vulcani al largo rendono magnifica la vista dal suo giardino fiorito. Allora perché siamo gli unici ospiti dell’hotel? Il motivo arriva percorrendo le passerelle di legno che portano alle camere, le cui assi vanno calpestate nel punto giusto per evitare che si rovescino ed in generale per l’incuria nel quale versa questo hotel con vista. La gentile accoglienza ed il sole al tramonto miracolosamente sceso tra i due vulcani hanno poi allontanato ogni perplessità, così come la cena in terrazza in compagnia di Augustino, il simpatico amico nonché ex collega di Pius che avrebbe potuto essere il nostro interprete se non avesse accettato il lavoro all’ambasciata indonesiana a Roma. Bella serata.