14 Tagikistan
12 Agosto 2009
FERGHANA – ISTARAVSHAN
Il sole splendente, lasciamo presto il nostro hotel che nel frattempo ha svelato il suo nome alquanto sinistro….Shark! Vaghiamo immersi nel paesaggio bucolico della vallata, tra campi coltivati, alberi da frutto, piccoli corsi d’acqua e tranquilli villaggi….un bel salto rispetto al paesaggio prevalentemente desertico che ha caratterizzato fin qui il territorio Uzbeko. Lungo le strade strette ma perfettamente asfaltate incrociamo qualche carretto trainato da un mulo o da un cavallo….il cavaliere in groppa e la moglie accovacciata tra la paglia, protetta da un fazzoletto che la nasconde completamente facendola sembrare un ingombrante fagotto….ed i pulmini Daewoo stipati di persone che rappresentano l’unico mezzo di trasporto pubblico e forse l’unica nota stonata oltre a noi in questo contesto completamente dedicato alla natura. Il traffico non è certo intenso in queste strade secondarie che conducono a Khojand…..dopo un’oretta arriviamo alla frontiera del Tagikistan….fermi al confine uzbeko per i controlli di rito, non c’è nessun altro che noi. Strano…normalmente ci troviamo accodati a file di automobili e camion in sosta. Al primo stop vengono timbrati i passaporti senza che nessuno ci chieda le famose registrazioni obbligatorie degli hotel, poi ci fermiamo al controllo doganale e qui iniziano i dolori. All’ingresso in Uzbekistan avevamo dichiarato di avere 200 $ a testa…..in uscita Vanni, in vena di calarsi nel ruolo del turista onesto dichiara di averne 2500. – PROBLEMA – dice il doganiere alla vista delle due dichiarazioni, di entrata e di uscita, firmate da Vanni. Capiamo presto che a loro non interessa se abbiamo le ricevute di prelievo bancomat con Visa e Mastercard….per loro che guadagnano 30 $ al mese, 2500 $ rappresentano una bella cifretta ed il reato connesso è esportazione di valuta. Per fortuna siamo all’ombra e gli agenti sono simpatici….ma rimaniamo bloccati almeno un’ora per cercare di risolvere il problema. L’idea è di uno di loro….strappano la dichiarazione di Vanni e gliene fanno firmare un’altra per 200 $ e 900 €…ora ci sono tutte le premesse di un arresto per avere dichiarato il falso…ma per fortuna almeno questo non accade. Segue uno scrupoloso esame con cani antidroga dell’auto scaricata di ogni cosa, quindi il controllo dei bagagli al metal detector e successivo stivaggio del tutto. Non paghi del tempo che ci hanno fatto perdere finora, che per loro è stato in fondo un passatempo, ci requisiscono una cassetta di musica del festivalbar, la seconda ceduta gratuitamente a poliziotti, poi iniziano a giocare con il binocolo di Vanni che tutti loro provano con vivo interesse. Dopo due ore raggiungiamo l’adiacente frontiera tagika dove ancora una volta siamo soli in balia dei doganieri. Ce la caviamo però in tempi più ridotti, senza le perquisizioni approfondite che temevamo…..ma il binocolo interessa molto anche qui e addirittura il capo vorrebbe acquistarlo in cambio di dollari sonanti. L’unica musicassetta superstite, che faceva parte con le altre due del corredo di Asia, è al sicuro dentro la mia borsetta dove nessuno ha mai guardato…..avrei potuto avere una P38 che nessuno se ne sarebbe accorto. Paghiamo 40$ per l’auto e siamo liberi di raggiungere Khojand. L’ingresso in Tagikistan ci regala un paesaggio incantevole fatto di basse catene montuose che sembrano modellate nella creta tra le quali si inserisce un lago color turchese…bellissimo. Il sole crea poi un magnifico gioco di ombre sulle increspature delle dorsali che prive di vegetazione mostrano le fasce di colore dei minerali che contengono, dal bruno al mattone al giallo in un arcobaleno terroso che gratifica la nostra vista. La strada perfettamente asfaltata almeno quanto quelle percorse nella bucolica valle Uzbeka, ci conduce fino a Khojand, la seconda città del Tagikistan per dimensioni ed importanza. Ne percorriamo l’ampia Lenina street fino a raggiungere una banca per il necessario prelievo di valuta locale, il somani….ma sono solo le tre del pomeriggio e fermarsi in questa città senza fascino avrebbe il solo scopo di poter trovare un hotel decente….troppo poco. Proseguiamo allora verso Istaravshan, che la guida definisce uno dei centri storici meglio conservati della nazione, nella prospettiva di poter fare fra qualche ora una bella passeggiata per le vie del centro bordate di edifici in mattoni crudi e fango e punteggiate di moschee e mederse di un certo valore storico. Quando arriviamo sono da poco passate le diciassette…..il sole tinge di colori caldi la cittadina e la collina sulla cui sommità vediamo ergersi un edificio che da questa prospettiva sembra una moschea coronata da una bella cupola di ceramica blu scuro. Affascinata dall’insolito colore dopo tutte le cupole turchesi, verdi e azzurre viste finora propongo di raggiungerla subito dopo il reperimento di un hotel per la notte….ricerca che ci impegnerà per le tre ore successive. Delle tre sistemazioni che la guida propone non ce n’è una praticabile. Il primo hotel che raggiungiamo è chiuso e gli altri due sudici fino alla nausea, con aloni neri sulle pareti accanto alle brande, le moquettes a pois per via delle macchie di sporco quando non a brandelli e le toilette maleodoranti e lerce quando non con il sanitario pieno di crepe e con parti mancanti…dimenticavo di citare l’assenza di finestre nelle camere del bel posticino vicino al bazar. Propongo di lasciar perdere e di dormire in tenda così avremo il tempo di visitare il centro storico nel quale non vedo l’ora di immergermi, ma Vanni non si rassegna e chiede ad un taxista di accompagnarci nel miglior hotel di Istaravshan…..per farla breve il taxista ci riaccompagna in due dei tre “hotel“ già visti, poi ad un terzo fuori città, così nuovo che non è ancora stato inaugurato….ovviamente chiuso! Disperato quanto noi Mohamed, che per cameratismo ha svelato il suo nome, ci propone di prendere una casetta nel sanatorio Lenin, a qualche chilometro dalla città ma piacevolmente immerso nel verde e con un enorme busto di Lenin appoggiato sulla collinetta adiacente l’ingresso. Mi accompagna all’ufficio di ricevimento ospitato in una bella casetta dipinta di bianco e azzurro a metà del vialetto alberato del sanatorio. Una signora anziana in camice bianco da infermiera dice che c’è uno chalet disponibile in fondo al vialetto che ci costerà 50$….a questo punto è Mohamed ad arrabbiarsi per via del costo eccessivo. A lui lo stesso chalet costerebbe 5$ brontola a denti stretti….ma che dire, è tardi ed abbiamo già perso un’ora in sua compagnia nella ricerca di una sistemazione. La signora ci accompagna a visitare la location, molto più carina all’esterno che non negli interni trasandati, per non dire del bagno dove l’ultimo ospite non ha nemmeno tirato l’acqua nel water. Sfinita accetto nonostante la pulizia sommaria ed il costo dello chalet, ma di cenare in sanatorio non se ne parla neanche ci comunica la signora che continua a parlare al suo cellulare. Avvisato della buona notizia Vanni percorre il vialetto con Asia ma poi viene bloccato a metà strada. La signora mi raggiunge in compagnia di un anziano signore in vestaglia da camera….è un ospite del sanatorio nonché insegnante universitario di inglese ora in pensione, tradurrà per noi la novità dell’ultimo momento….ovvero che l’inquilino del nostro chalet sta arrivando da Dushanbé e dovremo quindi cercare altrove…per esempio nel sanatorio in città dove Mohamed pazientemente ci accompagna. Sono già quasi le otto di sera quando dopo aver ispezionato l’appartamentino scassato, inserito nella bella struttura del sanatorio purtroppo in disfacimento, accettiamo di prenderlo per 40$. Infine un ragazzo del luogo ci accompagna in un ristorante tipico dove stanchi mangiamo il nostro shish kebab nella speranza che non ci venga una dissenteria feroce…..poi a nanna nei due lettini microscopici in camere separate. C’è una bella luna là fuori e le fronde degli alberi dell’ampio giardino immerso nell’oscurità si agitano appena.
13 Agosto 2009
ISTARAVSHAN – DUSHANBÈ
Come da chiari accordi presi con Vanni impieghiamo le prime ore di oggi per la visita della città antica. Esordiamo raggiungendo l’edificio costruito sulla cima della collina la cui cupola blu ed i minareti sui due lati della facciata ci avevano illusi si trattasse di un edificio sacro. E’ invece un grande portale commemorativo costruito nel 2005 nel luogo dove sorgeva un’antica fortezza e che osservato da vicino rivela oltre alla giovane età anche il suo scarso fascino….il vantaggio è che da questa posizione rialzata possiamo vedere dove si trova il centro storico e individuare anche l’ azzurrissima cupola timuride della sua madrassa più antica risalente al XIV secolo che emerge dai bassi edifici color fango. Scendiamo addentrandoci nel labirinto di strade sempre più strette e polverose ed infine ci fermiamo per chiedere dove si trovi la Moschea Hauz – i – Sangin. Il consiglio del gentile signore intervistato è quello di proseguire a piedi lasciando l’auto all’ombra dell’unico albero di questa piazzetta in terra battuta….ma la sua gentilezza non si limita a questo. Ferma un bambino di cinque o sei anni che sta passando e gli chiede di accompagnarmi alla moschea mentre Vanni rinunciatario mi aspetterà in macchina. Camminiamo uno di fianco all’altro sulla terra chiara della strada, in assoluto silenzio per l’impossibilità di capirci e soprattutto per la sua incredibile timidezza che gli impedisce anche di abbozzare un sorriso. Intanto sui due lati della strada sfilano le pareti color fango delle case, interrotte solo da qualche porticina chiusa per nascondere alla vista dei passanti i cortili sui quali si aprono le modeste abitazioni. Il bambino si ferma senza entrare di fronte alla Madrassa Abdullatif Sultan, mi indica con il dito teso l’alto portale e scappa via. Entrata nel piccolo giardino mi accolgono gli schiamazzi di un gruppetto di bambini che giocano urlanti…dev’essere l’ora della ricreazione! L’edificio è piuttosto semplice e di modeste dimensioni, niente a che vedere con le patinate madrasse di Bukhara o Samarcanda, ma il portale ceramicato è piuttosto bello, così come la cupola ed il fatto che sia in uso ed affollato di bambini scatenati rende l’atmosfera piacevolissima. In compagnia di un altro bambino, forse il figlio di uno dei maestri della scuola coranica al quale chiedo informazioni, raggiungo la Moschea Hauz – i – Sangin del XIX secolo….lungo la strada profumo di pane appena sfornato e gruppi di signore nascoste dentro lunghe tuniche variopinte che raccolgono l’acqua dentro ai secchi attingendola dai rudimentali rubinetti pubblici presenti qua e la. La moschea ha pregevoli soffitti di legno dipinti a colori vivaci ed un simpatico custode che mi regala una saporita mela appena raccolta dall’albero del giardino. Dopo circa un’ora raggiungo Vanni in pensiero perché temeva mi fossi persa, poi dopo qualche acquisto presso l’emporio di un’anziana coppia che usa ancora il pallottoliere per fare i conti e nel quale è bene controllare la data di scadenza dei prodotti in vendita, partiamo con l’ambizioso obiettivo di raggiungere la capitale che dista da qui 270 km di strada per lunghi tratti in pessime condizioni e con ben due valichi da superare a quota 3378 e 3373 metri….insomma sarà dura! Partiamo alle dieci percorrendo verso Sud la strada ben asfaltata fino a Shahristan, poi iniziando a salire l’asfalto lascia presto il posto ai crateri circondati però da incantevoli montagne prevalentemente rocciose che si spingono alte verso il cielo. Non siamo soli, I tagiki guidano come pazzi a bordo di camion e di vecchie 124 Lada che non si sa come riescono egregiamente a salire la strada in costante pendenza fino a raggiungere i 3378 metri del primo passo. Noi procediamo tranquilli, incantati dai bellissimi paesaggi della catena dei monti Fan che vogliamo goderci senza fretta. Incantevoli per la varietà di forme e colori in contrasto con il verde acceso dei corsi d’acqua che dalla cittadina di Any seguono la strada fino alla capitale. I fondovalle ci concedono qualche tratto di asfalto immacolato e diversi cantieri ancora aperti nei quali numerosi operai cinesi sono al lavoro. Ponti metallici, case di fango immerse nel verde dei pochi prati tra le rocce, una vecchia gru abbandonata nelle basse acque di un lago color giada, sovrapposizioni di speroni rocciosi….rossi, grigi, giallastri, cime appuntite striate di neve, oasi improvvise di alberi verdissimi…..questa natura esuberante, al massimo della varietà e della bellezza, finisce per conquistare anche me distraendomi dalle fatiche del viaggio. I villaggi che attraversiamo nei fondo valle sono punteggiati di piccoli edifici fatti di sassi montati a secco ed animati della presenza dei locali che si spostano rigorosamente a dorso di mulo indossando il loro immancabile cappellino nero….le signore seguono sempre a piedi, nascoste dai foulard ed infagottate nei loro camicioni variopinti. Impetuosi corsi d’acqua trovano la via stretti alla base degli alti canyon, poi scompaiono inghiottiti dalla roccia che qua e la scivola in invitanti piattaforme orizzontali che ne lambiscono il corso….l’ideale per un tuffo. Verso le quattro del pomeriggio conquistiamo la seconda cima a quota 3373 metri dove sostiamo per un doveroso sguardo alle catene montuose i cui profili frastagliati si susseguono a perdita d’occhio in un bianco e nero appena smorzato dalla foschia. Quando raggiungiamo la bellissima 602 dello Hyatt Regent di Dushambé sono già le otto di sera. Stanchi per le dieci ore di viaggio ininterrotto ed impolverati come poche volte nella vita, ma felici per aver goduto della bellezza dirompente di questo territorio tagiko, ci tuffiamo nella vasca da bagno e poco dopo contattiamo l’agenzia Pamir Tour alla quale Myriam di Tashkent ha fatto riferimento per l’ottenimento del GBAO il permesso necessario per accedere alla regione del Pamir. Con nostra sorpresa nessuno all’agenzia ha sentito parlare di noi….perplessi, per non dire altro, raggiungiamo il ristorante dell’hotel dove letteralmente rinveniamo di fronte agli elaborati manicaretti ed all’ottimo vino italiano Folonari…..poi sveniamo sul nostro lettone.
14 Agosto 2009
DUSHANBÈ
Dedichiamo la giornata al reperimento del GBAO per il quale esordiamo con una serie di telefonate…..ad Alisher della Pamir Tour che conferma di non avere documenti pronti per noi e che ci consiglia di richiamarlo alle 14.30…ed a Miryam in contatto con il corrispondente a Tashkent di Pamir Tour che conferma che i nostri documenti sono pronti a Dushambé. Saliamo persino le nove rampe di scale di un edificio fatiscente al n°14 di Ismaili Somoni street dove all’interno 64 dovrebbe trovarsi l’ufficio di Pamir Tour….ma non c’è nemmeno una scritta sulla porta di legno chiusa e nessuno risponde al campanello. Poi però ne esce una ragazza di nome Zarina che ha in mano le fotocopie dei nostri passaporti…..dice di averli ricevuti da Tashkent solo ora ed ha fretta di raggiungere l’ufficio competente per farci avere il GBAO in giornata…..Miryam deve averla martellata di telefonate. Approfittiamo del pomeriggio libero per andare a vedere il famoso Buddha dormiente in terracotta conservato al Museo Nazionale di Antichità, poi torniamo in hotel sfuggendo ai 40°C di oggi nonostante gli 800 metri di quota. Alle 17 arriva finalmente Alisher a consegnarci i due GBAO che ci costano 40 $ l’uno….ma non ha guide disponibili che possano accompagnarci per il tour del Pamir, quindi lo congediamo e ci accordiamo invece con Akmal, il garzone dell’hotel al quale Vanni aveva già chiesto se poteva darci qualche suggerimento circa il reperimento di una guida. Infine si offre di accompagnarci….conosce tre dialetti ed i luoghi che visiteremo, è una bontà di ragazzo, educato e leggermente timido. Partirà con noi domani mattina alle nove, ci dice, ma come farà con il suo lavoro all’hotel? ……. probabilmente si darà ammalato!
15 Agosto 2009
DUSHANBÈ – TAWILDARA
Come previsto Akmal rinuncia. Quando lo raggiungiamo, poco oltre il parcheggio dell’hotel all’angolo con la strada principale, lo vediamo in compagnia di un ragazzo mingherlino, Boris, che lui ci propone in sostituzione. E’ un suo caro amico, dice che sono come fratelli ed inoltre Boris è una guida professionale nata a Kharugh, il capoluogo della regione autonoma del Badakhshani Kohi la cui sigla è GBAO. Kharugh è anche una tappa obbligata per chi come noi voglia intraprendere il viaggio lungo la Strada del Pamir….il fatto che Boris vi sia nato è in qualche modo una garanzia che sappia almeno guidarci fin lì. Ancor più timido di Akmal, Boris è in questi primi momenti così introverso che non riusciamo nemmeno a capire se ci sarà simpatico oppure no….e poi come fidarsi?…potrebbe essere un narcotrafficante, in fondo è proprio sulla Strada del Pamir che viaggia l’oppio prodotto in Afghanistan, e mentre Akmal aveva come referenza quella di lavorare per lo Hyatt Regent, Boris è per noi un emerito sconosciuto! Non avendo scelta, dato che desideriamo partire subito e la Pamir Tour non ha guide disponibili, accogliamo Boris a bordo di Asia e andiamo tutti insieme al mercato ad acquistare l’olio per l’auto e l’acqua da bere, poi alla pompa di benzina per il pieno di diesel, quindi ci avviamo lungo la strada assolata asfaltata solo per i primi 90 chilometri. Il paesaggio ci appare fin dalle prime battute meno interessante di quello incantevole dei monti Fan, verso il confine uzbeko…ma in fondo il nostro obiettivo è ancora lontano e solo fra qualche giorno inizieremo a vedere le prime montagne del “tetto del mondo” , quando dopo aver raggiunto Kharugh ci sposteremo verso Est attraversando valichi oltre i 4000 metri di quota. Per il momento partiamo dagli 800 metri di Dushambé e saliamo gradualmente lungo il fondovalle che ospita uno dei numerosi fiumi di questa regione ricca delle acque dei ghiacciai ancora in fase di disgelo. Sembra un controsenso osservando le montagne brulle attorno a noi. Come previsto subito dopo la cittadina di Abigarm, l’asfalto quasi scompare lasciando il posto ad una strada sconnessa ma pur sempre abbastanza larga da procedere comodamente nonostante i numerosi camion cinesi che, non si sa come, riescono a superare curve a gomito e tornanti….per non parlare dell’ardua deviazione con guado in corrispondenza di un ponte crollato. Dopo sette ore di viaggio senza sosta, alle 17 circa, stanchi morti per il disagio dei continui sobbalzi e del caldo torrido , decidiamo di fermarci in prossimità del piccolo villaggio di Tawildara. Raggiungere l’obiettivo che ci eravamo proposti, ovvero il paesino di Qalaikhum dopo il passo di Khaburabat a 3250 metri di quota ed a 90 km da qui, significherebbe viaggiare ancora tre o quattro ore ed arrivare probabilmente con il buio. Ci fermiamo in una locanda gestita da un signore anziano ma vispo che indossa l’immancabile cappellino nero. E’ tutto piuttosto sporchino qui, compreso l’anziano signore che ci porta un paio di teiere appoggiandole sul tradizionale piano rialzato che funge sia da tavolo che da giaciglio indistintamente. Poco dopo arrivano anche i nostri piattini di carne tagliata a pezzetti e due pagnotte rotonde, le stesse viste in Uzbekistan, che il gestore letteralmente lancia sul canapé nel quale ci siamo nel frattempo accomodati. All’ombra degli alberi godiamo della leggera frescura e del cibo così scarso da non saziarci. Ogni tanto qualcuno di passaggio si ferma per trovare un po’ di ristoro….Intanto la figlia del gestore vestita con un lungo abito colorato ed i capelli nascosti da un foulard porta a spasso i suoi due piccoli figli ed una signora giovane dal viso ossuto, è ferma qui da quattro giorni con la suocera ed un bel numero di figli….aspetta il marito che tornerà con il pezzo di ricambio per l’auto in panne. Posso capire quanto sia disperata….considerando anche la sua magrezza esagerata che la fa sembrare anoressica. Mentre assaggiamo le poche cose che ci vengono date Boris ci racconta che dieci anni fa questo luogo fu l’epicentro di una sanguinosa guerra civile che partorì 50.000 morti in queste aree già poco abitate, senza sortire nessun risultato positivo per la gente che non voleva passare da un regime ad un altro falsamente patinato di democrazia. Il presidente di allora è ancora al potere e non esiste un partito di opposizione…aggiunge anche che la notizia della guerra fu celata al resto del mondo. E’ piacevole viaggiare con Boris….studia economia all’università e sogna di specializzarsi con un master negli USA….è educato, discreto, ma assolutamente non una guida tanto che per arrivare qui ha dovuto chiedere informazioni un paio di volte. Il vantaggio di averlo con noi risiede nel fatto che conosce i dialetti locali e può quindi chiedere ai passanti indicazioni circa la strada da seguire ed è lui a portare i nostri passaporti ai poliziotti per la registrazione, nei numerosi posti di blocco dove sostiamo lungo la strada. Poco dopo il tramonto, dopo aver giocato a backgammon e lavato Asia, siamo già in tenda a cercare di dormire nonostante il frastuono dei camion di passaggio sulla strada sconnessa….poi improvvisamente nel corso della notte ci svegliamo infreddoliti, la temperatura è scesa di diversi gradi…..siamo a 1800 metri di altitudine. Boris intanto dorme su uno dei tre canapé riparati dalla tettoia di questo “motel” senza camere.
16 Agosto 2009
TAWILDARA – KHARUGH
Ci svegliamo poco dopo l’alba e verso le sette facciamo colazione in compagnia di un numeroso gruppo di camionisti cinesi che occupano il canapé accanto al nostro. Dopo un veloce sopralluogo nella latrina sull’altro lato della strada, lasciamo la locanda e la strada completamente occupata dai camion in sosta dirigendoci verso il passo in cima al quale un controllo militare ci blocca per qualche minuto. Siamo a 3252 metri di altitudine e sulle scure cime che vediamo attorno a noi ci sono strisce di neve grigiastra che creano un curioso effetto zebra ma che i militari mi vietano di fotografare. Dopo Qalaikhum il paesaggio si fa più interessante….. seguiamo il fondovalle solcato dal fiume Panj le cui acque scure e turbolente definiscono da questo momento e fino a Kharugh il confine afghano. Le cime che sfiorano i 5000 metri svettano alte su entrambi i lati del canyon che talvolta si apre in strette vallate verdeggianti ospitanti piccoli villaggi. Le piccole case scatolari sono del colore della terra, perfettamente mimetizzate con le montagne che le sovrastano imponenti…. il tetto piano leggermente aggettante sui quattro lati le rende del tutto analoghe a quelle di banco viste in Africa e sono immerse nella vegetazione che cresce rigogliosa grazie al fiume. I villaggi sulla sponda afghana, che guardiamo con curiosità solo perché presenti sul territorio più famoso del mondo per le guerre, le morti e la determinazione dei suoi abitanti, sono collegati tra loro da una stretta pista che vediamo seguire tutto il corso del fiume larga non più di 50 cm….lo spazio appena sufficiente per percorrerla a dorso di mulo o a piedi con una certa scomodità quando la roccia prominente la fa scivolare nel fiume che normalmente la lambisce. Collegati dalla sola pista questi villaggi sarebbero completamente isolati dal resto del mondo se non fosse per i numerosi ponti pedonali che li collegano al territorio tagiko ed alla strada che stiamo percorrendo con un certo impegno. Attraversando il villaggio di Barauintar ci fermiamo alla ricerca di un negozio dove comprare qualcosa da mangiare….per esempio un pacchetto di biscotti che proprio perché introvabili ci appaiono irrinunciabili. Appena fermi un paio di bambine si avvicinano all’auto porgendo due piatti contenenti qualche mela selvatica….senza esitare le compro tutte pur di vedere un sorriso felice sui loro bellissimi visi. Ci spostiamo all’ombra di un albero ed iniziamo a sgranocchiare le succose mele tanto per prendere un pò di riposo dopo le sette ore di viaggio ininterrotto….che stanchezza, l’obiettivo finale è a cinque ore da qui! Di fermarsi prima non se ne parla…inseguiamo il miraggio di una doccia nel lussuoso Serena Inn Hotel di Kharugh ed anche Boris non vede l’ora di vedere la nonna che abita ancora nel villaggio dove lui è nato, a pochi chilometri dalla capitale amministrativa del GBAO. Le esplosioni provenienti dal territorio afghano, che sentiamo rimbalzare nella gola in una eco assordante, ci convincono definitivamente a proseguire. Montagne rocciose si sovrappongono ad altre sui cui pendii si leggono i classici rettangoli di paglia già tagliata accanto ad altri ancora da lavorare….sono molto alti rispetto ai villaggi sul fiume e ci chiediamo, osservando i covoni che punteggiano i villaggi, dove trovino l’energia per arrampicarsi fin lassù a lavorare….per forza sono così molesti! I centri abitati che attraversiamo in territorio tagiko sono affollati di persone a passeggio….le donne, nei tradizionali abiti sgargianti, indossano le scarpe buone della domenica con un tacchetto civettuolo, gli uomini invece sono spesso con la camicia bianca, i pantaloni scuri e l’immancabile copricapo quadrato nero. Alcuni si spostano a dorso di mulo….sono gli anziani che non si rassegnano a salire sulla bicicletta, altri invece guidano le vecchie 124 Lada…..ma sulla strada sono diverse le Prado e le Land Cruiser che ci superano, nuove fiammanti….I ricchi ci sono anche qui, forse legati al narcotraffico o vicini al potere politico…oppure ricchi per volontà divina come l’Aga Khan che ha fatto costruire l’hotel lussuoso nel quale arriviamo dopo 12 ore di viaggio. Non nascondo di essermi sentita come sotto sequestro nelle ultime quattro ore…..poi appena entrata nella bellissima camera scoppio stremata in un pianto liberatorio, ma una bella doccia ed una abbracciatona sistemano tutto. Ceniamo nell’elegante piccola sala da pranzo di questo hotel che ha solo sei camere….oltre a noi solo una coppia di adulti di nazionalità indefinibile dato che parlano tra loro in tedesco, inglese e spagnolo indifferentemente. La cena è ottima, insaporita da cardamomo e coriandolo che adoriamo, così come perfetto è il servizio ed il calore discreto di questa saletta piuttosto ambient arredata con mobili antichi e favolosi suzami ricamati a mano appesi alle pareti color avorio. decidiamo di rimanere a kharugh anche domani per recuperare un pò di sano relax.
17 Agosto 2009
KHARUGH
Quando appena svegli apriamo le tende della porta finestra accanto al letto vediamo in primo piano le rose colorate del giardino sul prato verde poi il fiume che scorre impetuoso, la montagna rocciosa in territorio afghano ed uno scampolo di cielo azzurrissimo inquadrato nello spigolo libero in alto. Ancora coperti dal soffice piumone bianco tergiversiamo in pò prima di andare nella saletta per la colazione dove due grandi finestre inquadrano le alte montagne che definiscono la vallata…. che buongiorno meraviglioso! Alle nove Boris è puntuale nella hall. Indossa uno strano copricapo nero tutto ricamato a mano a colori vivaci….quando ridacchiando gli chiedo il motivo di questo new look mi risponde che è per il lutto di sua nonna, morta due giorni fa. Ci congediamo brevemente dandogli appuntamento a domani mattina….quindi approfittiamo della giornata libera per andare alla scoperta della città, a qualche chilometro dall’hotel. Ordinata ed immersa nel verde Kharugh vanta la più importante università del Tagikistan grazie ai fondi stanziati da Aga Khan, nella cui camera da letto abbiamo dormito la scorsa notte. Iniziamo con due passi nel bazar affollato ma ordinato dove acquistiamo un chilo di marasche squisite, poi andiamo al museo davvero poco interessante e pieno di animali impagliati tra cui tre aquile che avremmo preferito vedere volteggiare in cielo. Dopo un paio d’ora siamo già in hotel, seduti sulle poltroncine bianche di vimini nel giardino ombreggiato dagli alberi. Osserviamo il fiume grigio di terra scorrere verso valle ed i bambini afghani pescare sull’altra riva….che pace! Ceniamo in camera mentre la luce naturale va lentamente spegnendosi sulle rose sempre meno colorate del giardino.
18 Agosto 2008
KHARUGH – ALICHUR
Lasciamo quasi a malincuore la bellissima camera ed il bel paesaggio che inquadra la sua finestra e dopo la colazione con vista, poco prima delle nove siamo pronti a ripartire in compagnia di Boris che è arrivato puntuale senza il buffo cappellino. Seguiamo la strada quasi perfetta verso Est in direzione Murgab attraverso i paesaggi incantevoli dell’ampia valle di Gunt dalla quale possiamo osservare le lontane altissime cime innevate, così appuntite da sembrare piramidi. Poco dopo il villaggio di Jelandy i 4272 del passo di Koi Tezek segnano l’ingresso nell’ampio altopiano dal quale le montagne sembrano essersi ritirate, lontane. Le sfumature colorate nei toni dei rossi dei viola e dei gialli di queste alture, così come quelle che continuiamo a vedere fino a Bulunkul, si stagliano contro il cielo azzurrissimo e completamente sereno creando paesaggi di una bellezza strepitosa. E’ l’esordio dell’altopiano del Pamir, incorniciato dalle lontane cime innevate e disseminato di incredibili laghetti turchesi, probabilmente salati a giudicare dalle striature bianche sulle frange frastagliate del loro perimetro. E’ proprio per vedere uno di questi laghi, lo Yashil – kul, che facciamo una breve deviazione su una sterrata che raggiunge dapprima il villaggio di Bulunkul e poi il fantastico specchio di acqua turchese incastonato in un contesto lunare nelle tonalità chiare dell’ocra e del nocciola. E’ così bello e le brevi spiagge di sabbia bianca così invitanti se non fosse per il vento forte e la temperatura precipitata verso il basso qui sul tetto del mondo. Una passeggiata lungo la pista ci consente di contemplare con calma questo gioiello della natura selvaggia e dirompente che ci circonda come un miracolo. Tornati sulla strada maestra proseguiamo ancora pochi chilometri fino ad avvistare altri laghetti salati nei pressi di Alichur, un villaggio cresciuto nel bel mezzo dell’altopiano costituito da poche case basse e con il tetto piano. Sono del colore della terra sulla quale sorgono come scatole appoggiate, talvolta verniciate di bianco….ma poi ecco la strana moschea ricavata all’interno di una yurta…..chiusa. Essendo già le cinque del pomeriggio decidiamo di fermarci presso una famiglia a bere un tè caldo ed anche per chiedere se possiamo dormire presso di loro questa notte… se dormissimo in tenda con questo vento forte e gelido finiremmo assiderati. Entriamo così nel cortile delimitato da un muro continuo e ci avviciniamo alla casa, bassa quanto il muro di cinta e colorata di bianco. Ci viene incontro presentandosi il signor Tagaepek….indossa il tipico cappellino del Pamir, di feltro bianco, ricamato e bordato di nero che sporge alto sulla testa attribuendo al signore che lo indossa un’aria buffa da puffo. Esattamente come quelli in vendita nelle bancarelle delle principali città turistiche dell’Uzbekistan, è diviso in quattro falde due delle quali leggermente allungate a formare una piccola visiera. Il viso bruciato dal sole e dal vento, il signor Tagaepek ha gli occhi leggermente a mandorla ed il sorriso buono….ci invita ad accomodarci all’interno della casa dove sua moglie Jenia sta filando la lana e la figlia sta facendo i compiti. La signora ha il viso molto grazioso, indossa una vestaglia di pile a grandi fiori rosa ed un foulard in testa legato dietro che le nasconde in parte la fronte. Ci sorride cortesemente mentre ci accomodiamo a sedere sui soffici cuscini. Sono appoggiati sulla pedana rialzata che occupa quasi interamente la stanza rettangolare d’ingresso rischiarata da una grande finestra rettangolare che inquadra il cortile. Di fronte alla porta d’ingresso una stufa metallica scatolare brucia a pieno ritmo le radici dell’unico vegetale che riesce a crescere qui con la sua piccola chioma legnosa di forma emisferica….tra poco il nostro tè sarà pronto. La figlia è graziosa almeno quanto la madre dagli occhi della quale traspare una calma ed una tranquillità esemplari….indossa anche lei il foulard sulla testa e prima di uscire ne sistemano un altro a coprire naso e bocca lasciando libera solo la fessura dalla quale sporgono gli occhi a mandorla…..qui il sole può davvero ustionare ! Mentre io e Boris ci riscaldiamo bevendo una tazza di tè fumante, Vanni è fuori a piedi in esplorazione tra le case del villaggio. E’ durante la passeggiata che vede abbandonate a terra le corna della pecora di Marco Polo dalla caratteristica forma allungata e ritorta. Tornerà poco dopo per caricarle su Asia con l’aiuto di Boris….speriamo che nessuno se ne accorga in frontiera…. ma come sarà possibile, queste corna sono enormi! La cosa buffa di Vanni è che pur non essendo un cacciatore né avendone l’indole adora raccogliere trofei di caccia e pelli. I due teschi completi di corna che Tagaepek gli mostra a terra nel cortile lo tentano moltissimo e solo la prospettiva di un arresto lo trattiene dal fargli un’offerta per la coppia. La cena è pronta verso le otto….tre pesciolini fritti che il figlio ha pescato nel fiume qui vicino, gustosissimi ma accompagnati da nient’ altro che un pezzo di pane…..del resto è impensabile poter avere verdura o frutta da queste parti! Seduti sulle stuoie colorate del piano rialzato di legno, mangiamo per primi, afferrando i pesci con le mani e addentando appetitosamente il magro bottino di questa sera….poco dopo viene acceso il generatore e la stanza si illumina dell’unica lampadina e della immancabile tv davanti alla quale la famigliola si dispone allineata ad osservare mentre intingono dei pezzi di pane in una ciotola di yogurt zuccherato….che simpatici! Un paio di giacigli vengono preparati per il nostro pernottamento sul pavimento della camera adiacente. Due strati di materassini coperti da un lenzuolo sdrucito ed una grossa imbottita appoggiata sopra….vestiti di tutto punto come siamo dopo poco stiamo bene, ma il letto è troppo stretto e la coperta sembra non coprire entrambi quindi Vanni decide di dormire in tenda….non so come farà a sopravvivere!
19 Agosto 2009
ALICHUR – KARAKUL
Mi sveglio all’alba stranamente accaldata e sazia di sonno. Boris dorme ancora a qualche metro da me e la tenda nella quale dorme Vanni è ancora ermeticamente chiusa….la vedo dall’ampia finestra alle mie spalle. Leggo qualche pagina della guida e poi mi riassopisco fino alle otto, quando tutti ormai svegli prendiamo la colazione nella stanza di ingresso. Partiamo dopo aver dato 100 somoni (15 €) a Tagaepek come compenso per il nostro pernottamento e dopo averlo caldamente ringraziato per l’accoglienza squisita e per il cappellino Tagiko che a tutti i costi ha voluto regalare a Vanni per il suo compleanno. Partiamo ancora immersi nella distesa dell’altopiano delimitato dalle montagne lontane ed ancora incantevoli. Con il sole ancora alto in cielo arriviamo a Murghab dopo un paio d’ore di strada in ottime condizioni. La cittadina è piuttosto estesa ed occupa una buona fetta della vallata…..le case scatolari rigorosamente ad un piano sono caratterizzate dalle ampie finestre e dal colore bianco…mimesi perfetta per l’inverno quando la neve rende tutto bianco come le case. Dovremmo rimanere giusto il tempo di una sosta tecnica, ma finiamo col fermarci più di un’ora che trascorriamo nell’attesa di vedere i rubini che a Vanni è venuto il desiderio di acquistare…..peccato che siano troppo piccoli quelli che Boris riesce a reperire. In seconda battuta siamo fermi perché Boris deve trovare un taxi disposto a seguirci fino a Karakul, o meglio fino al confine con il Kirghizistan punto nel quale ci congederemo da lui che ripartirà verso Dushambé. Non esistono mezzi pubblici che si spingano oltre Murghab, quindi il taxi si rende necessario per Boris che deve garantirsi il rientro. La ricerca non dà risultati accettabili per entrambi, quindi ci congediamo a malincuore da lui e proseguiamo. Stranamente ci sentiamo soli….in fondo Boris non diceva mai una parola e non conosceva nemmeno le strade da seguire….ma era un buon trait d’union con la gente del posto che parla una lingua tutta sua, un dialetto sconosciuto alla maggior parte dei tagiki a meno che non siano nati qui. Abituati alla sua presenza discreta, avremmo voluto proseguire con lui questa bellissima escursione sull’altopiano dove l’aria è così pura da colorare il cielo di un azzurro intenso e dove le cime più alte sono coperte da ghiacciai lontani. Siamo a quota 3576 metri qui a Murghab ed i giganti che ci circondano svettano oltre i 6000 metri. Infine lasciamo la vallata disseminata di case basse e di yurte circolari e ancora sulla M41 ci spingiamo verso Nord. La strada in buone condizioni non ci da problemi nemmeno quando ci arrampichiamo sui 4655 metri del passo Ak – Baital dal quale osserviamo il territorio cinese protetto da una fascia di rispetto di 15 chilometri in seguito alla posa della recente palificazione che vediamo…..certo non è bello vedere del filo spinato in un contesto naturale così incontaminato. L’avvistamento di qualche simpatico animale vivacizza le due ore e mezzo di viaggio fino al fantastico lago di Karakul….sono dei vivaci lemuri dal pelo fulvo che ritti sulle zampe posteriori ci osservano curiosi, semi nascosti dalle protuberanze del terreno ai bordi della strada. Il lago, di un blu iridescente si estende ad occupare un grande avvallamento circondato da cime innevate…..si creò in seguito alla caduta di un meteorite alla bella quota di 3914 metri. L’acqua stranamente salata colora di bianco le sue propaggini esaltando ancora di più il suo colore intenso. Sono io alla guida nel breve tratto di strada che ci separa dal villaggio e dalla “home stay” che ci ospiterà per la notte….Vanni improvvisamente non si è sentito bene e nell’ora che segue è confuso e non ricorda nulla. La casa nella quale soggiorniamo è ad un piano, costituita da una serie di camere comunicanti tutte rivestite di tessuti e tappeti colorati. La stanza di ingresso è quella dove si mangia, seduti sulla pedana rialzata coperta di tappeti, e contiene stranamente anche un lavandino con acqua corrente….il primo che vediamo da queste parti….ma la sua collocazione in questo spazio “pubblico” rende impossibile poterla usare per lavarsi…se non le mani. La latrina è esterna, a pochi metri dalla porta d’ingresso, ed il nostro letto costituito da una serie di materassini sovrapposti appoggiati a terra. Vanni vi si accomoda subito mentre una ragazza dai lineamenti mongoli gli prepara un riso lessato….povero amore, è ancora molto confuso. Mangio qualcosa con gli altri ospiti tra cui due giovani belgi che stanno facendo il giro in bicicletta….piatti tipici ovviamente, serviti in porzioni microscopiche….bucatini insaporiti con una idea di carne ed una torta salata a strati di sfoglia con un vago sapore di cipolla….Poi a nanna, all’arrivo del buio l’intero villaggio si addormenta.