18 Dicembre 2008

MOPTI – BOBO DIOULASSO

Alle 8, dopo una bella colazione a base di succo di mango, partiamo diretti a San, la cittadina a 200 km ad Ovest di Mopti dalla quale devieremo verso la frontiera del Burkina. Ancora un breve scroscio di pioggia, poi leggere schiarite accompagnano i primi chilometri del lungo viaggio di oggi…così come l’eccitazione legata all’idea che tra poche ore lasceremo il Mali…per quanto molto amato. La nostra inestinguibile sete di novità, la scoperta di luoghi mai visti ai bordi di strade mai percorse ci esalta ed il Burkina, per noi terra ancora vergine, ci fa già sognare. La brousse è sempre incantevole, così come i villaggi e le piccole moschee di banco che sembra debbano liquefarsi al prossimo acquazzone. Donne, bambini, animali, taxi brousse, camion ed automobili…la vita freme nel paese tutto sommato ricco che stiamo lasciando. Quello che invece raggiungeremo tra un centinaio di chilometri è il 3° più povero del mondo. Al bivio proseguiamo ancora per una cinquantina di chilometri senza problemi, poi l’asfalto, nel tratto tra Kimparana e Yorosso si fa pieno di buchi fino a scomparire del tutto…. e di conseguenza la nostra velocità media scende a 25 km/h. Le due frontiere sono dislocate in edifici in muratura lontani l’uno dall’altro…al primo posto di blocco esibiamo il Carnet de passage, poi dopo un paio di chilometri, il libretto e la patente, poi dopo un chilometro ancora, finalmente mostriamo i passaporti….stessa procedura, ma in ordine inverso, per entrare in Burkina dove però ad ogni sosta siamo assaliti dai venditori ambulanti di latte fresco e cestini di paglia…che fatica! All’aumentare della povertà aumentano le rappresaglie da parte dei locali per avere denaro, non necessariamente in cambio di qualcosa per noi del tutto inacquistabile. Avanzando verso Bobo il paesaggio si trasforma riempiendosi di una vegetazione rigogliosa tra la quale riconosciamo solo i manghi enormi ed i banani….la botanica non è il nostro forte….e tutte le altre grandi chiome verdi rimangono per noi un mistero! Siamo entrati nella fascia climatica sub tropicale africana e questo angolo del Burkina sembra esserne il manifesto. Nelle radure ai lati della strada vediamo montagnole bianco latte che sembrano enormi ricotte rovesciate….sono mucchi di cotone appena raccolto, una delle attività più remunerative dell’area. Entriamo in città, dopo aver percorso un centinaio di chilometri dal confine, attraverso la strada che da Nord raggiunge il centro dell’agglomerato. Qui si trova l’hotel “Auberge” che abbiamo scelto perché considerato il migliore dalla nostra guida e con il vantaggio di avere un ristorante di qualità al suo interno. Una grande voliera con pappagalli grigi, forse per il tedio di essere ingabbiati, segna l’ingresso dell’edificio a tre piani segnato in facciata da nicchie ad arco in corrispondenza dei terrazzi. A Vanni ricorda il Taj Mahal di Mumbay ma, lontano dal raggiungerne il fascino, sembra comunque una buona sistemazione considerando anche il costo contenuto di 31.000 Cfa. La camera è pulita, il bagno grande e l’arredamento di legno datato anni ’70. Il terrazzo affaccia sulla corte interna dov’è la piscina ed un paio di palme. Aria condizionata, tv e zanzariera a coprire il letto….necessaria visto il numero di zanzare che ci hanno attaccato fameliche durante la cena consumata in un tavolo accanto alla piscina. Finalmente un dessert ci viene proposto a fine pasto…..che meraviglia le banane flambé!

19 Dicembre 2008

BOBO DIOULASSO

Bobo Dioulasso, dove la sirena chiama i fedeli alla preghiera! Partiamo per un tour della città con Mohamed che puntuale arriva al nostro tavolo alle 10.30. Il primo obiettivo è la Grande Moschea, bellissima ed in stile sudanese. Fu costruita nel 1880 dall’intera popolazione della cittadina, allora grande quanto un villaggio. Alla realizzazione di questo capolavoro, ora patrimonio dell’umanità, parteciparono proprio tutti, animisti, griot e musulmani, in assoluta armonia. Nella volumetria bassa spiccano i due minareti rastremati verso l’alto e trafitti dai caratteristici bastoni di legno. Sulla loro sommità un uovo di struzzo è posto a simboleggiare il colore bianco dell’islam, ma svolge anche la funzione di parafulmini…..tutto fa brodo. Il resto dell’edificio, quello che accoglie i fedeli, non è molto alto, ma è caratterizzato all’esterno da possenti lesene addossate al muro perimetrale che hanno la funzione di contrafforti. Terminano in alto con la classica forma ad ogiva che suggerisce il dilavamento dell’acqua, ma sono protetti con coperture di argilla che impediscono alla pioggia di sciogliere il muro sottostante. La moschea è bellissima e già affollata per la preghiera del venerdì, non ci rimane che osservarla dall’esterno assaporandola nelle diverse prospettive, poi ci dirigiamo nella vicina città antica. Dislocati nei diversi quartieri, animisti e musulmani vi convivono allegramente, sostenendosi reciprocamente in caso di necessità in un rapporto di estrema tolleranza nonché di buon vicinato. Entriamo nel quartiere animista attraverso uno stretto varco. Distanti poco più di un metro, le pareti di fango delle case scatolari sui due fronti delimitano il vicolo angusto ed assolato. Alcune case sono crollate, distrutte dalla pioggia estiva, altre sono in fase di restauro, altre ancora sembrano disabitate. Trattandosi del quartiere vecchio di un paese poverissimo il decoro non è certo la priorità dei suoi abitanti, e le fognature sono un lusso, quindi ruscelli di liquidi scuri e maleodoranti scorrono al centro degli stretti vicoli, assieme alla spazzatura che ne viene sospinta. Mohamed ci conduce poi in un luogo speciale…..una stanzetta con due porte prospicienti ed una panca in muratura che corre lungo il perimetro interno. Un sedile più piccolo, costruito di fianco ad una delle porte, rappresenta il luogo dove siede il capo del consiglio. Lì accanto è costruito un feticcio, ovvero una montagnola di argilla addossata all’angolo tra le due pareti, e ricoperta delle piume delle galline sacrificate. Il foro praticato in basso rappresenta una specie di bocca della verità, il cui funzionamento ci viene spiegato. Se un ladro si rifiuta di riconoscere la propria colpa di fronte al consiglio, gli viene imposto di introdurre la sua mano nel foro. Nel caso sia effettivamente innocente non gli succederà nulla, ma in caso contrario la malasorte colpirà lui e la sua famiglia….è prevista anche la morte! Mohamed, pur essendo musulmano, sostiene che funziona davvero! Addossata alla parete esterna di questa sorta di tribunale, un ammasso di argilla terminante a punta, rappresenta il feticcio che protegge l’intera comunità. Anche in questo caso le piume di gallina sono conficcate nell’argilla e chiazze bianche di caolino spruzzato sul feticcio, tengono lontani gli spiriti cattivi. Ci racconta che quando una gallina viene sacrificata, il suo sangue viene sparso sul feticcio, e con esso le piume che così vi si impastano. Il quartiere animista ha anche un’area dedicata alla produzione della birra di miglio. E’ una sorta di cucina economica di argilla annerita dal fumo, nel quale sono inserite giare di terracotta che contengono un liquido in ebollizione. Sotto la base di argilla il fuoco viene alimentato continuamente dalle signore che lavorano qui, per tre giorni, dopodiché la birra è pronta. Sotto il sole cocente ci spostiamo nell’adiacente quartiere musulmano, diviso dagli altri quartieri da una fascia di rispetto di qualche metro. La casa più antica della città è qui davanti a noi, bella nella sua volumetria morbida tipica dello stile sudanese, ma inaccessibile per una visita. Il quartiere Griot che raggiungiamo poco dopo, non è molto diverso da quelli finora visti, se non per l’assenza totale di persone lungo i suoi vicoli. Pare che i signori griot, oltre ad essere pregevoli cantastorie nonché i portavoce di messaggi a lunga e breve distanza, insomma la versione antiquata dei nostri telefoni, siano anche estremamente gelosi delle loro donne e che per questo l’ingresso al quartiere fosse vietato persino al capo del villaggio. Le signore del resto sono famose per la loro bellezza e per le acconciature elaborate delle quali vanno fiere…..c’è una spiegazione per tutto! Entriamo nel quartiere dei fabbri e ne usciamo poco dopo aver fatto una visita al laboratorio a cielo aperto dove due anziani al lavoro stanno ritagliando una vecchia lamiera per farne delle statuette souvenir. Anche qui in Burkina i fabbri, ovvero i forgeron, sono tenuti in grande considerazione per via del loro ruolo di guaritori attraverso l’uso delle piante. La visita alla città antica termina con il sopralluogo ad un laboratorio artigianale dove un gruppo di giovani si occupa della lavorazione del bronzo con il metodo della cera persa. Rientriamo in hotel camminando sotto il sole cocente dell’una, il rischio di prenderci una insolazione è altissimo! Doccia, siesta ed una bella chiacchierata con Pierangelo Destefanis (pierdeste@yahoo.it – tel. 78413820 ), un signore di Cuneo che lavora da tempo su progetti di ONG in Africa, che in vena di chiacchiere mi impedisce di scrivere il mio diario in tranquillità. Di nuovo in compagnia della nostra piacevole guida, raggiungiamo l’interessante Museo della musica, piccolo ma ben fornito di strumenti musicali tipici dell’Africa occidentale. Alcuni sono davvero originali, tutti realizzati con fibre naturali, legno o calebasse e pelle animale. I loro suoni accompagnano i riti tribali o il lavoro delle donne, nel tentativo di renderlo più piacevole e dare un ritmo ai movimenti ripetuti per esempio quelli legati alla preparazione del burro di karitè o della farina di miglio. Altri ancora servono ad annunciare una guerra o un pericolo. Ce n’è uno che simula il ruggito del leone…..e che viene usato dalle madri stanche di sentir piangere i loro figli. Gli animisti usano due campanacci per entrare in contatto con gli spiriti dell’aldilà ed in seguito per curare i malati…..un bel filmato ce ne mostra l’utilizzo. Torniamo alla moschea per visitarne gli interni, a quest’ora privi di fedeli. L’impianto è lo stesso di Gao, grossi pilastri sostengono la copertura e definiscono i corridoi nei quali i fedeli si inginocchiano a pregare. Saliamo al tetto attraverso una stretta scala in muratura e dall’enorme terrazza godiamo della vista ravvicinata dei due minareti trafitti dai bastoni che si delineano slanciati verso il cielo. Una serie di bassi muretti stondati in alto scandiscono la superficie piatta del tetto e servono a convogliare l’acqua piovana verso all’esterno. Ciò che di curioso colpisce la nostra attenzione sono i coperchi di argilla lavorata che chiudono le prese d’aria della moschea……basta sollevare per aprire. Quando usciamo è quasi l’ora della preghiera, una breve conversazione con il custode della moschea per l’acquisto di una tavoletta coranica di legno, poi Vanni e Mohamed entrano a pregare mentre io aspetto in auto, assaltata dai bambini che cercano in ogni modo di danneggiare Gazelle. Da tempo Vanni aveva la curiosità di entrare in una moschea in preghiera…..ed ora finalmente ce l’ha fatta! Per rimanere in tema scegliamo per la cena un ristorante davvero particolare…. è gestito da suore che alle 21.30 in punto sospendono ogni attività e, ferme tra i tavoli, iniziano a cantare l’Ave Maria. Si chiama “Eau Vive” ed e’ in Rue de la Fosse, a due passi dell’hotel…ne valeva la pena non solo per la bizzarria dell’interruzione canora, ma per la qualità del cibo davvero squisito e del vino, uno Chablis strepitoso. Torneremo alla loro sede di Roma dove andai più di 20 anni fa……

20 Dicembre 2008

BOBO – BANFORA – BOBO

Partiamo prima delle 8 per evitare le ore più calde nella nostra escursione di oggi a circa 80 km da Bobo. Si tratta del famoso Domes de Fabedougou, uno dei fenomeni naturali più interessanti del Burkina. Si tratta di rocce immerse tra i campi di canna da zucchero, erose in modo bizzarro. Siamo a pochi chilometri da Banfora. Le rocce stratificate ed erose dall’acqua e dal vento, hanno assunto la forma di guglie che ne ha condizionato la scelta del nome….Duomo. Saliamo in cima ad un roccione per ammirare il paesaggio davvero suggestivo attorno a noi….e la Costa d’Avorio a qualche chilometro da qui, oltre la striscia verde dei campi di canna da zucchero. Raggiungiamo le vicine cascate percorrendo un viale di antichi e giganteschi manghi in fiore. Ci arrampichiamo sul ripido sentiero per avvicinarci alle cascate d’acqua, non certo imponenti, ma piacevoli perché articolate in più salti e laghetti. Sono le 11.30 ed il calore già insopportabile, quindi decidiamo di rientrare dopo un breve passaggio nella polverosa cittadina di Banfora, e l’acquisto in un mercatino lungo la strada, delle gustose noix de caju, gli ottimi anacardi. Le signore, colorate, sorridenti e dalle bizzarre acconciature, espongono i loro prodotti dentro a bacinelle di latta….ne approfitta anche Mohamed acquistando un pò di Ignam che qui in campagna costa decisamente meno! Ceniamo ancora all’Eau Vive….la voglia di Camambert persiste.

21 Dicembre 2008

BOBO – GAOUA

All’alba il cerchio arancione spunta dal tetto di fronte, oltre la piscina….è sempre una bella emozione vederlo, forse perché i nostri ritmi ci impediscono di vederlo dalle finestre di casa nostra? Oggi, dopo la parentesi romantica della levée du soleil trovo di nuovo conforto nel sonno tra le braccia di Vanni. Salutiamo cordialmente Mohamed che ci da un paio di indicazioni sulla strada da prendere, e lasciamo la città già in fermento e ancora polverosa. Percorriamo la strada nazionale N1 verso la capitale fino a Pa, poi deviamo sulla N12 diretti a Gaoua attraversando una miriade di villaggi di terra cruda dai caratteristici fienili, analoghi a quelli a fungo visti nei paesi Dogon in Mali, ma che presentano a volte piccole variazioni, per esempio la pianta quadrata o la copertura fatta con una stuoia sagomata a cono. Ancora montagnole di cotone bianchissimo appena raccolto, e molti incendi tra le sterpaglie della brousse. Bambini e donne ai bordi della strada camminano tenendo in equilibrio sulle loro teste bacinelle di alluminio contenenti qualcosa di indecifrabile raccolto in uno straccio. Non sembrano affaticate nella loro marcia sotto il sole cocente, per noi insopportabile. Arriviamo al villaggio di Gaoua quasi non riconoscendolo, per via delle case sparpagliate che sembrano negarne la dimensione di centro abitato. Sono le 13 quando entriamo nella reception dell’hotel Hala….. Papa, un amico di Mohamed, è là ad aspettarci steso su un divanetto. Ci saluta ancora assonnato. La camera è pulitissima, con aria condizionata e zanzariera….non lo avrei mai detto a giudicare dall’aspetto esterno di questo dimesso hotel. Papa ci propone di partire subito per l’ escursione ad un villaggio Lobi….prendiamo il tempo di una doccia ed una coca cola ghiacciata e andiamo. Seguiamo la strada che dal villaggio va verso Batié, quindi dopo una ventina di chilometri di strada rossa, in prossimità del villaggio di Gbomblora deviamo a destra per una pista stretta e tortuosa fino a Sansana, nel cuore della brousse. Il popolo dei Lobi arrivò in questa parte del Burkina nel 1700. Fuggivano dai potenti Ashanti del Ghana e trovarono qui una terra abbastanza fertile per fermarsi. L’etnia Lobi è composta da sette clan rivali, talvolta in guerra tra loro, per questo li si definisce popolo guerriero dedito all’agricoltura ed all’allevamento del bestiame, come se queste due caratteristiche fossero secondarie rispetto alla prima. Quando combattono lo fanno con arco e frecce avvelenate…..ma anche con i feticci che sono la base della loro religione animista. Il villaggio non si vede in distanza…..la sua posizione è stata scelta proprio per renderlo invisibile agli eventuali nemici, quindi a valle e non sul pendio lieve disegnato dalla collina vicina. Il villaggio è una famiglia….nessun altro può farne parte. Le case che lo compongono sono disposte in un ampio cerchio, lontane le une dalle altre una cinquantina di metri…..sono il risultato dell’accorpamento di corpi scatolari che, ad un solo piano, creano una volumetria articolata dagli ampliamenti successivi ….una nuova stanza viene aggiunta quando una nuova moglie viene acquisita, o meglio acquistata in cambio di buoi e montoni, oppure viene aggiunta quando i figli di 14 anni, troppo grandi per dormire ancora con la madre, conquistano uno spazio tutto loro adiacente al primo. Altra particolarità delle case Lobi è nell’aspetto della muratura eseguita in banco, un impasto di fango, paglia e sterco animale. L’impasto viene messo in opera per strati alti circa 50 cm leggermente spanciati in basso. Sagomato con le mani a creare lo spessore della parete di una decina di centimetri e successivamente levigato. Gli strati vengono aggiunti l’uno sull’altro quando quello sottostante essiccato ha raggiunto la durezza necessaria per sopportare il peso di quello successivo. Il risultato è che le fasce ben visibili delle successive sovrapposizioni , sottolineano la marcata orizzontalità della costruzione e le spanciature, come un motivo decorativo, la rendono esteticamente piacevole. Siccome gli animali entrano nella sala principale della casa che viene usata come stalla oltre che come sala di ricevimento, la porta di ingresso è sagomata sul disegno della forma animale, quindi rastremata verso il basso. Un leggero ricciolo è stato sagomato ad ingentilire i due stipiti della porta che viene sempre aperta verso Ovest, la direzione opposta a quella degli antichi nemici Ashanti che arrivavano da Est. I granai, elemento fondamentale di questo popolo dedito all’agricoltura, sono costruiti in parte all’esterno dell’abitazione ed in parte all’interno, perché nel caso il nemico arrivasse e incendiasse i granai esterni, rimarrebbero sempre le granaglie custodite e protette nella casa. La loro forma è a pianta quadrata rastremata verso l’alto e coperta da un tetto di paglia a forma di cono. Affinché nemmeno un grano di miglio vada perduto, sotto la struttura di bastoni di legno che tiene sollevato dal terreno il granaio, è stato collocato il pollaio. Diviso al suo interno in tre settori verticali per raccogliere i diversi cereali costituiti da miglio, sorgo e mais, è accessibile solo dall’alto attraverso una scala intagliata in un tronco di legno e terminante a forcella. Quando una donna vuole attingere dal granaio, deve calarsi al suo interno…comodo no? I granai interni all’abitazione sono accessibili dal tetto piano che viene usato per essiccare le pannocchie che verranno successivamente sgranate e depositate. Le cinque case che visitiamo sono affollate di bambini di tutte le età, chiedo a Papa il motivo di tanta progenie nonostante la povertà evidente di questa gente. La risposta che immaginavo arriva puntuale….i bambini sono la ricchezza di queste famiglie, nella misura in cui lavoreranno i campi, e, nel caso delle bambine, saranno cedute ad un marito in cambio di animali. Ne sa qualcosa il nostro Papa che per sposare la ragazza che ama e dalla quale ha avuto una bambina che ora ha 4 anni , dovrebbe dare in cambio alla famiglia dell’amata, 6 montoni e 4 buoi! I bambini più piccoli sono nudi, o vestiti di un filo di cuoio appena sotto i fianchi, ornato con piccole conchiglie bianche appese. Alcuni sono malati, hanno chiazze chiare sulla pelle e sulla testa, tra i capelli tenuti corti ed una bambina ha un orecchio ed un lato della bocca, pieno di piccoli insetti. In periodi di vacche grasse i Lobi prendevano una decina di mogli per avere da loro molti figli…..considerando le epidemie che li avrebbero decimati, ne sarebbero comunque rimasti abbastanza per garantirsi un buon tenore di vita. Ora che le vacche non sono poi così grasse, si limitano a prenderne cinque. Sono sorridenti, brutti e sporchi questi Lobi che a volte sembrano decomporsi sotto la loro pelle. Ogni casa ha un feticcio, consistente in una montagnola di argilla con due buchi al posto degli occhi, bastoncini, molte piume di gallina ed oggetti variabili…..un pezzetto di stagnola, un ossicino o una collana. Rappresentano gli antenati che proteggeranno la casa….ce ne fosse uno per la protezione dei cagnolini…..mai visti più malandati di così! Attorno alla casa c’è qualche maialino, faraone e polli smilzi, vasi di argilla, bacinelle di alluminio e secchi di plastica…a volte si cucina fuori! Entriamo nell’ambiente quasi completamente buio della sala principale…..un lato è riservato al ricovero degli animali durante la notte, l’altro agli eventuali ospiti o agli anziani. Il soffitto basso ci costringe a camminare chini, a meno che non si voglia dare una craniata contro i rami che costituiscono la struttura del solaio….certo non è semplice per noi procedere. Sulla parete di fondo tre aperture oblunghe, alte runa ventina di centimetri rispetto al pavimento di terra battuta, danno accesso a tre camere illuminate da una piccola presa d’aria sul soffitto. Sono le camere delle tre mogli ed hanno la particolarità di avere addossato ad una parete tutto il vasellame di argilla e alluminio che rappresenta la ricchezza della donna che lo possiede e che viene usato solo in occasioni speciali. Ogni camera ha un piccolo ambiente adiacente a cielo aperto dove ci si lava e che mette in comunicazione con il tetto piano. Una casa labirintica insomma, semi buia e con il soffitto troppo basso. Piccole aperture sono praticate sulle pareti perimetrali….poche per evitare di rendere vulnerabili queste case fortezza, e piccole da lasciar passare solo la freccia da scoccare al nemico. Alla seconda casa che visitiamo incontriamo una anziana signora…..Papa dice che ha 150 anni, ma come credergli? La sua particolarità, oltre all’età è quella di avere il caratteristico tappo di avorio inserito tra il labbro superiore e l’attaccatura del naso. Questo cilindro di un centimetro di diametro, fa si che le labbra carnose siano protese in avanti come il becco di una papera…povera signora….per fortuna è l’unica donna ad averlo! Si presta timida ad un paio di foto che le ho pagato in anticipo…ma non alza mai la testa. Capisco il suo imbarazzo e non insisto. La nostra visita termina alla casa del capo…il fondatore del villaggio, ovvero il padre o lo zio degli abitanti della piccola comunità. E’ la più grande e la più articolata nel labirinto di camerette con “servizio doccia”. Il progetto scaturisce dalla fantasia del capofamiglia ed in questo caso sono leggibili alcune varianti, per esempio un piccolo sporto sopra la porta di accesso, sostenuta da bastoni. Alcune donne lavorano, un bambino suona uno xilofono primordiale formato dalle consuete piastre di legno ma appoggiate sopra le calebasse di varie dimensioni. Adagiato sopra un piccolo solco nel terreno che funge da cassa di risonanza…..è un gioiellino, per la qualità del suono che ne esce. Rientriamo al tramonto percorrendo a ritroso il sentiero serpeggiante e poi la sterrata piena di pedoni che tornano dal mercato. Ceniamo in hotel gustando gli ottimi piatti libanesi proposti dal cuoco burkinabè.

22 Dicembre 2008

GAOUA

Dedichiamo la mattinata alla visita di un paio di case vicine al confine con la Costa D’Avorio, abitate dai feticheur……animisti carismatici iniziati al culto degli antenati, la cui attività è sospesa tra la chiaroveggenza e le pratiche legate alla cura dei malati attraverso pozioni e sacrifici. Per avvicinarci al luogo prescelto percorriamo la N12 verso Sud fino a Kampti, poi deviamo seguendo la sterrata verso Djigoue. Quando dopo un breve fuoristrada tra i campi di miglio ci fermiamo, siamo alla casa del feticheur di Kwkwera. L’edificio, del tutto analogo di quelli visti ieri, è affollato all’esterno di feticci di argilla con sembianze umane. Al posto degli occhi due piccole conchiglie, le teste sagomate con un accenno di orecchie, naso e bocca. Sono i feticci degli antenati con il quale il feticheur è in contatto. Prima di iniziare la visita vera e propria, circondati da bambini curiosi e vocianti, Papa ci spiega in cosa consiste l’animismo, cosa sono i feticci e quale è la loro funzione. Gli animisti credono nell’esistenza di Dio, ed in quella degli spiriti degli antenati…..les ancetres…. che svolgono la funzione di intermediari tra Dio ed i loro discendenti, viventi sulla terra. I feticci sono la rappresentazione degli antenati…..quando vengono impiegati si caricano della loro forza ed aiutano gli esseri umani intercedendo per loro presso Dio. Il feticheur è un uomo di particolare talento e sensibilità che può entrare in comunicazione con gli spiriti degli antenati. Questo talento può essere tramandato di padre in figlio oppure essere acquisito attraverso un rito di iniziazione che avviene in seno a più villaggi con cadenza biennale. Ci si rivolge al feticheur quando si ha un problema fisico o dell’anima. Il malato deve prima purificarsi lavandosi il viso con una speciale acqua preparata dal feticheur e posta su un particolare trespolo di legno, poi viene fatto accomodare in una capanna apposita e gli vengono somministrate le pozioni che il feticheur ha preparato con l’aiuto degli antenati. Se si tratta di una donna rimarrà in cura per 4 giorni ( numero femminile ) se uomo invece solo 3. Se il paziente ha trovato giovamento dalle cure, tornerà a casa con la pozione che continuerà a prendere. Se guarirà dovrà tornare e lasciare il vaso che conteneva la pozione in un angolo vicino ai feticci che lo hanno guarito. Un paio di statue di argilla sedute sopra la porta d’ingresso, proteggono il tetto piano dove si svolgono le funzioni più importanti della casa. Sulla sua superficie si fanno essiccare le granaglie, e vi si svolgono i sacrifici propiziatori prima di depositare i cereali nei granai. I piccoli muretti che riproducono in alto la scansione interna della casa sottostante, segnano sul tetto le aree dedicate alle varie mogli. Ognuna di loro starà nella sua zona in compagnia dei suoi figli….per mangiare e per i racconti che seguono la cena. Questo rigore è messo in atto per evitare che i bambini possano partecipare ad eventuali battibecchi tra le mogli. Il feticheur, al quale stringiamo la mano, ha il viso buono e gli occhi che esprimono intelligenza e sensibilità. Ci sorride e ci invita ad entrare…..vuole mostrarci il suo tesoro…..la camera dei feticci. E’ una stanzetta minuscola dove a fatica entriamo in quattro attraverso la piccola apertura rialzata da terra. Ci sediamo su piccoli sedili di legno che ci separano dal suolo solo di pochi centimetri e rimaniamo incantati di fronte alla magia delle statuette, ammucchiate nello spazio angusto della camera ed illuminate dal cono di luce che entra da un foro sul soffitto. Rannicchiati contempliamo quella meraviglia fatta di legni intagliati in forme talvolta appena accennate, elementari ma incisive. La luce zenitale amplifica il chiaroscuro e rende talvolta sinistri i visi dai lineamenti aguzzi ed i seni allungati delle figure che vediamo tutte per via delle loro diverse dimensioni. Piume di gallina sono sparse un pò ovunque, così come le piccole conchiglie bianche, i cauris, ovvero l’antica moneta africana lasciata come compenso agli antenati che non conoscevano certo le banconote del Franco dell’Africa Occidentale. Il fascino di questo luogo ci conquista, così come l’emozione stimolata dalla vista delle statuette. Questo piccolo tempio animista trasmette serenità e magia…..ce ne stiamo per un pò seduti a chiacchierare ed a porre domande…..si sta così bene qui dentro, sembra di essere nell’antro di Mago Merlino…..o meglio nella casa delle bambole del feticheur Lobi. Il benessere che gli antenati di altri infondono anche su di noi ci fa capire l’origine delle guarigioni o il desiderio da parte dei Lobi di entrare qui a porre domande sul loro futuro. Lasciamo il luogo sacro uscendo a fatica attraverso la stretta apertura, indossiamo le nostre scarpe ed usciamo definitivamente anche dalla casa. Ci congediamo dal guru e dalla famiglia con un sorriso, una stretta di mano ed una foto che Papa insiste a voler scattare. Ma non è finita qui. In auto raggiungiamo la casa di un secondo feticheur in località Bandjarà. E’ il figlio ad accoglierci, colui che erediterà dal padre il titolo e le capacità mediatiche…. fa entrare me e Papa nell’abitazione e senza esitare ci conduce alla “chambre au fetiches”. Vanni si astiene, dopo la preghiera in moschea e la prima visita di oggi, deve averne a sufficienza della spiritualità locale. Entro, preceduta dal feticheur in erba, nella prima sala che odora di letame…..è così buio che sbatto due volte la testa nei bassi legni del soffitto….camminare china non mi è servito molto! Dalla sala principale accediamo alla stanza del padrone di casa e da lì alla piccolissima camera dei feticci attraverso la solita scomoda apertura. La luce arriva ancora dall’alto….fioca ma sufficiente ad illuminare le figure scure e silenziose dei feticci di legno. Così come le gettonate religioni occidentali ed orientali, anche l’animismo ha creato una tipologia standard riconoscibile a tutti, il luogo sacro sede delle celebrazioni dei suoi riti. In questo luogo le persone si fermano, come noi ora, ad esternare i propri problemi ed a porre domande agli antenati. Appesi al soffitto un paio di recipienti sferici cosparsi di piume contengono le pozioni da somministrare ai bisognosi….le cordine tese dall’alto verso il basso rappresentano i successi, il ringraziamento per un consiglio andato a buon fine. L’assenza del feticheur toglie un pò di fascino alla visita…..la magia di quell’omino basso e dagli occhi vivaci di questa mattina, era importante almeno quanto quella dei feticci….ora lo percepisco chiaramente. Lasciamo il solito obolo di 1.000 Cfa e chiudiamo la parentesi feticci…..almeno per il momento. Tornando verso Gaoua ci fermiamo a Tabili per osservare gli scultori di feticci al lavoro. Sono tre seduti sulle radici, all’ombra di manghi frondosi che lasciano cadere dai rami formiche rosse particolarmente affamate…..come facciano a trascorrere le loro giornate sempre nel timore di essere pizzicati da una di loro, proprio non riesco a capirlo. Ci sediamo ad osservare, anche noi sotto la pioggia di formiche…..in pochi minuti una nuvola di bambini arriva a mostrare il lavoro dei padri contenuto in sacchi di plastica. Decine di seggiolini e piccoli feticci di legno chiaro, questi ultimi piuttosto interessanti…..ma Vanni desidera vedere qualcosa di speciale ed a breve gli viene mostrato un ciondolo d’avorio, un amuleto appartenuto ad un chasseur, come protezione dagli animali selvaggi. Ne avevamo visti alcuni nel museo di Bamako…questo è davvero bello….lo acquista. Soddisfatti per l’interessante visita di oggi e per i feticci ed amuleti acquistati, rientriamo per una doccia ed un passaggio di tintura di iodio diluita con acqua a mani, piedi e calzini…..non si sa mai! Alle 16 Papa è di nuovo sotto la tettoia dell’hotel per accompagnarci al villaggio di Dzikandu, dove le abitazioni fortificate dei Lobi si sviluppano in parte su due piani, spingendo al massimo le potenzialità delle strutture di fango…quasi un virtuosismo costruttivo. Come torrette coperte con coperture a cono in fibre vegetali, le camere al primo piano sono accessibili dal terrazzo….dall’esterno sembrano dei piccoli fortini. Le donne stanno cucinando la birra di miglio che sembra essere la bevanda nazionale…..un pò di sballo non dispiace nemmeno a loro! Per farla viene sacrificato una parte del raccolto, ma l’effetto di questa bomba in fermentazione è assicurato. Dopo la ricognizione al villaggio torniamo a Gaoua per assaggiare la famosa birra di miglio…..ormai siamo curiosi di provarla. Papa conosce un posticino dove vanno i locali a degustarla….è proprio la che siamo diretti. A giudicare dal numero dei recipienti nei quali ribolle il nettare biondo, direi che si tratta della distilleria del paese. La quantità minima acquistabile è di due litri e ci viene portata dentro una tanichetta di plastica che prima doveva contenere olio per auto. Due mezze calebasse scavate sono i recipienti che useremo per bere la bevanda tiepida, acidula e ribollente per via della fermentazione ancora in atto. Mai bevuto nulla di simile prima d’ora! Il sapore non è male, ma dopo due piccoli sorsi l’acidità di stomaco è alle stelle e noi scalpitiamo per uscire. Papa, che non si è sottratto ad una bella bevuta, è barcollante quando poco dopo lasciamo il localino sempre più animato di persone vacillanti e rissose……ma poi vuole a tutti i costi offrirci un drink…ne fa una questione di onore, per ricambiare quelli offerti da noi in questi due giorni….. ma in hotel costerebbe troppo, così ci invita a seguirlo in un altro angolo del villaggio, sulle tre sedie collocate nello spiazzo adiacente alla discoteca a quest’ora deserta. Due chiacchiere ed una Fanta, poi si torna in hotel dove assaggiamo ancora l’ottimo Chakchouka libanese…..una ratatouille con uova cucinate forse al forno sopra le verdure. Che squisitezza!

23 Dicembre 2008

GAOUA – OUAGADOUGOU

Stiamo riconsegnando le chiavi alla reception quando vediamo Papa venirci incontro. Si propone con una insolita richiesta….trasportare a Ouaga un pacco per un amico. Andiamo insieme a recuperare il pacco del quale Vanni chiede giustamente di vedere il contenuto…. risponde che non c’è problema e con sorpresa dopo aver percorso 500 metri ci fa cenno di fermarci in prossimità di una bancarella al bordo della strada. Vi si vende uno strano tubero, l’igname, che ha l’aspetto di una enorme patata dalla buccia scura. A Ouagadougou, dove siamo diretti, quell’ortaggio costa il doppio, dice Papa…..non c’è nessun pacco, solo un paio di bacinelle colme di quel tubero da caricare su Gazelle. Pesano come pietre questi ignam, ne carichiamo una quindicina alla rinfusa sul sedile posteriore….e lo salutiamo, il suo amico verrà a prendere l’omaggio all’hotel La Palmeraie dove siamo diretti. La scelta dell’hotel è stata azzeccata, ce ne rendiamo conto entrando nel suo giardino rigoglioso che ospita pochi bassi edifici….non sembra certo di essere nel cuore pulsante di una caotica capitale africana…..l’idea è piuttosto quella di essere approdati in un’ oasi silenziosa all’interno di un parco nazionale. La camera è spaziosa, pulitissima e arredata con qualche oggetto di artigianato locale….raffinata e dal sapore autentico….ci piace. Felici di essere approdati finalmente in un hotel confortevole e non drasticamente spartano, usciamo in taxi diretti all’ambasciata del Niger per i visti e qualche informazione sulla sicurezza dell’itinerario che ci siamo proposti di fare per raggiungere il Camerun. Il tempo di attesa di tre giorni per i visti ci sembra eccessivo ma non abbiamo alternative….e poi tra due giorni è Natale e pur essendo i cattolici in Burkina una minoranza, il 25 è festa per tutti….ogni scusa è buona per festeggiare! All’ufficio informazioni la signora in eleganti abiti tradizionali ci rassicura confermandoci che il Sud del paese è tranquillo…..solo l’Air a nord di Agades è inaccessibile per via dei ribelli tuareg ancora belligeranti dal 2006. Per quanto riguarda i paesi confinanti che dovremo attraversare per arrivare in Camerun, ci suggerisce di verificare a Niamey la migliore tra le due sole opzioni possibili…. Nigeria e Chad se la giocano alla pari in termini di sicurezza. Pianificare un viaggio in Africa è più o meno come dover risolvere un difficile rebus….dove l’intervento di una buona dose di fortuna può essere determinante sul buon esito del viaggio. In taxi raggiungiamo ancora un paio di luoghi del centro caotico ma di un certo fascino per via di qualche edificio di pregio di recente costruzione. Si tratta di uno stile che ho potuto osservare solo nelle capitali africane, caratterizzato da forti geometrismi e da rivestimenti inusuali con piastrelle. Ceniamo al ristorante Le Verdoyant sull’avenue Dimdolobsom. Come spesso accade nei ristoranti italiani delle ex colonie francesi, il cuoco è francese e questo giustifica forse gli spaghetti scotti di Vanni, ma le mie lasagne sono una squisitezza. Rientriamo in hotel ancora a bordo del taxi di Salif che abbiamo eletto nostro autista personale….meglio non rischiare con passeggiate serali…..i banditi potrebbero essere in agguato….dice lui!

24 Dicembtre 2008

OUAGADOUGOU

Sulla scia del relax che genera il risiedere in un luogo piacevole ed avvolgente, ci svegliamo piuttosto tardi rispetto ai nostri orari africani, e solo alle 9.30 siamo alla colazione…. nel cuore del giardino adorno di sculture, vicini alla piscina. Poco dopo usciamo con Salif a bordo di Gazelle…..andrà con Vanni da un meccanico per sistemare l’aria condizionata. Io ne approfitto per un passaggio fino al salone di estetica consigliatomi dalla signorina alla reception, dove l’operazione di ceretta, manicure e pedicure mi occupa per più di tre ore….un tempo enorme considerando che mani e piedi mi vengono fatti da due ragazze che lavorano contemporaneamente….ma c’è un vantaggio….ciò fa si che io possa fare un pò di spionaggio nel salone acconciature, mettendo a nudo il mistero dei capelli lisci e lucidi di quasi tutte le signore africane, viste a capo scoperto, in Mali ed in Burkina. I loro capelli estremamente crespi, vengono fatti sparire in una treccia a spirale aderente al cuoio capelluto….su di essa vengono cucite strisce di capelli sintetici della lunghezza e del colore desiderati…. fino a coprire tutta la testa…..mentre le osservo sorrido nel constatare che anche le africane non scherzano sul tempo che dedicano alla cura della loro immagine, anche loro una qualche fregaturina dalla moda e dai media se la sono presa! Consumiamo l’aperitivo in hotel comodamente seduti vicino alla piscina. Sommersi dalle fronde delle piante che la circondano, giochiamo a backgammon nell’attesa dell’ora di cena….Ouaga non è proprio quel genere di città che stimola alle passeggiate, per via della caoticità del centre ville, e poi perché non c’è proprio nulla da vedere. Ceniamo in hotel….oggi e domani le suorine del ristorante Eau Vive, con nostra sorpresa presente anche qui a Ouaga, sono in gran festeggiamenti e non ci pensano proprio di preparare da mangiare agli estranei!

25 Dicembre 2008

OUAGA – TIEBELE’ – OUAGA

Partiamo di buonora dopo aver consumato l’ottima colazione a base di pain au chocolat e croissant che sembravano usciti da una pasticceria parigina. Ci avviamo lungo le strade semi deserte della capitale in festa e dopo un paio di informazioni raccolte dai passanti troviamo la strada per Po, verso il confine con il Ghana. Percorriamo 145 km di asfalto, a tratti in cattive condizioni, immersi nella brousse affollata di alberi e di piccoli villaggi dalla tipologia insolita. Il Burkina è una grande miniera di tipologie abitative primitive perché nel suo territorio sono presenti diverse etnie fortemente caratterizzate per modalità costruttive ed estetiche dei loro insediamenti. Dopo le particolarissime abitazioni Lobi ecco che qui, ai bordi della strada, le concessioni, ovvero i nuclei abitativi familiari, si sviluppano a cerchio attorno allo spazio del cortile comune. Ogni concessione è costituita da un numero variabile di capanne circolari coperte di paglia. Sono disposte sul perimetro dello spazio circolare e raccordate da alti muretti a definire l’ambito privato della famiglia che vi abita. L’elemento comune delle varie concessioni è che ogni nucleo abitativo accoglie i membri di una intera famiglia allargata, comprensiva di figli, nonni, cugini, zii….Ciò non stupisce poiché la FAMIGLIA è l’unico forte referente dell’individuo africano. Non gli ideali, né le religioni, la famiglia è, nel bene e nel male, l’unica forte entità alla base di ogni pulsione individuale della società africana. Raggiunto il centro di Po, abbandoniamo l’asfalto avventurandoci lungo la sterrata di 31 km che ci porterà a Tiebelé, il villaggio capitale dell’etnia Gourounsi, famoso per le sue case colorate. Ne raggiungiamo la periferia senza difficoltà e con esso il viale alberato che introduce al nucleo vero e proprio….ma poi un gruppo di ragazzi che occupa quasi tutta la carreggiata ci costringe a fermarci. Barricati all’interno di Gazelle abbassiamo leggermente il finestrino per sentire cosa vogliono da noi. Un ragazzo si propone di accompagnarci alla famosa casa del capo del villaggio….la più grande e la più bella, quindi sale a bordo e guidandoci tra i campi di miglio già raccolto ci conduce fino ad un gruppetto di persone che se ne stanno tranquilli all’ombra di un grande albero, vicino all’ingresso del complesso abitativo. Siamo arrivati. La nostra guida si chiama Bernard, ha 23 anni, la pelle molto scura ed un sorriso che lo fa sembrare più simpatico di quanto non sia in realtà. Appena scesi da Gazelle, Bernerd inizia a darci qualche informazione relativa al luogo esterno alla concessione dove vediamo alcuni uomini intenti a conversare. Sono seduti su piani di legno appoggiati a basamenti di pietra o terra. E’ il luogo dove i soli uomini si ritrovano soprattutto nelle ore fresche della sera a conversare, mentre le donne rimangono all’interno dell’articolato nucleo abitativo collegato all’esterno da una stretta apertura….l’ingresso attraverso il quale entriamo. Il complesso che ci si apre davanti è ampio ed articolato in diversi piccoli edifici posti in ordine apparentemente sparso…è il luogo nel quale vive una sola famiglia. Un pò come se noi vivessimo con i nostri parenti, più o meno prossimi, in un condominio ad uso esclusivo….cugini, nonni, zii, fratelli, nipoti tutti insieme appassionatamente…una follia! In quel caso avremmo comunque la chance di poter chiudere a chiave la porta del nostro appartamento….qui invece non esistono nemmeno le porte, le varie unità sono accessibili da chiunque voglia intrufolarvisi e gli spazi all’aperto sono quelli nei quali alla fine si trascorre la maggior parte della giornata…più o meno insieme. La particolarità evidente è che è che i muri esterni delle singole unità costruite in banco, sono colorate nei toni del rosso, nero e bianco. I colori sono deboli perché dilavati dalle piogge,ma torneranno perfetti a febbraio, quando poco prima dell’inizio della stagione delle piogge, le signore di casa provvederanno a ridipingerli. La scelta dei colori non è casuale….il rosso ed il bianco sono i simboli della forza e della purezza….così come quella dei disegni che sono il risultato della geometrizzazione degli elementi fondamentali per la vita del gruppo. La pianta del miglio diventa così una sorta di spina di pesce, la pesca è stilizzata nel reticolo della rete, settori triangolari di calebasse formano cornici geometriche e così via per decine di elementi decorativi. I disegni dipinti corrono lungo tutto il perimetro dell’unità, solitamente neri su fondo rosso o bianco. Le donne curano l’aspetto estetico delle abitazioni in una sorta di rito che compiono tutte insieme dopo aver preparato i colori con ingredienti naturali…..il caolino per il bianco, la laterite per il rosso ed il catrame per il nero. I simboli vengono disegnati come buon auspicio, per il raccolto, la caccia, la pesca, mentre gli animali realizzati in bassorilievo una sola volta sulla parete, servono per onorare gli antenati. Lo sciacallo, la tartaruga, il coccodrillo ed il serpente sono i loro simboli. Ma non è tutto qui….caratteristica delle case degli anziani è la forma ad 8, ovvero due cilindri compenetrati di dimensioni leggermente diverse, mentre l’abitazione dei giovani sposi è a pianta rettangolare. Quella a pianta circolare invece è riservata ai ragazzi che stanno per sposarsi. Nell’ambito della concessione trovano spazio anche gli immancabili granai cilindrici o a pianta quadrata….insomma questo luogo è un trionfo di forme e colori! Ci spiega Bernard che anche i Gourounsi sono prima di tutto un popolo guerriero e le loro concessioni sono realizzate con accorgimenti volti a rendere difficile l’accesso ai nemici…a partire dall’apertura di ingresso, stretta ed unica. All’interno della concessione una serie di muretti definiscono gli ambiti più ristretti dei vari nuclei….nei punti ove l’accesso è facilitato, il muretto scende leggermente, ma bisogna pur sempre scavalcarlo quasi sedendovisi sopra per via dell’altezza. Ciò fa si che anche gli animali non possano facilmente entrare od uscire dal cortile di pertinenza. L’ingresso alle abitazioni è decisamente da contorsionisti….la porta è così bassa da doversi flettere sulle ginocchia per poter entrare, e immediatamente dopo c’è un muretto a semicerchio da scavalcare. Mi chiedo come facciano le due vecchiette che vediamo aggirarsi nel cortile. L’interno della casa ad 8 che visitiamo è ordinatissima e le superfici rese lucide dal burro di karitè miscelato all’intonaco. Su un lato della prima camera c’è il mulino, ovvero un piano in muratura sostenuto da un muretto a semicerchio, sul quale sono posate due pietre. Altre due più piccole da strisciare sulle prime, servono a macinare a mano i grani del miglio o delle arachidi. Le stuoie sulle quali dorme l’anziana signora che vive qui, sono arrotolate ed appoggiate in alto su due bastoni orizzontali….accostate al muro ecco le immancabili poteries di argilla, riccamente decorate con incisioni geometriche e colori scuri….strepitose! Se non fosse che arriverebbero solo i cocci, ne prenderei qualcuna da portare in Italia. Dopo aver ammirato il vasellame ci accomodiamo nella stanza adiacente, il secondo cilindro della forma ad 8, che ospita la cucina. Tre pietre a terra formano il focolare, su un ripiano vicino alcuni contenitori sono quelli che saranno usati per la cottura. Rispetto a quelle Lobi queste abitazioni ci appaiono decisamente sofisticate e pulitissime! La visita termina con la vista dell’intera concessione dall’alto di un tetto piano sul quale saliamo attraverso la solita precaria scaletta intagliata nel tronco….mentre sono intenta ad osservare, qualcuno mi parla chiedendomi qualcosa e mostrandomi un quaderno aperto….vuole dei soldi per gli agricoltori del villaggio. Appena usciamo dalla concessione ci troviamo poi con i piedi nel bel mezzo di un improvvisato mercatino allestito dalle signore di casa. Espongono calebasse decorate, e vasellame decisamente scadente rispetto a quello visto all’interno…altri invece ci propongono l’acquisto di un libretto esplicativo della cultura Gourounsi che prendiamo sfiniti dall’insistenza su più fronti. Scappiamo dall’assedio salendo a bordo di Gazelle con Bernard che ci condurrà fino al villaggio di Boungou famoso per il vasellame d’argilla che vi viene prodotto, ma che una volta visto non ci sembra un granché. Sulla strada del ritorno verso Tiebelè è Bernard a perorare la sua causa per avere da noi del denaro per finanziare la scuola del villaggio. Avezzi alle modalità degli africani per ottenere denaro cercando di impietosire i turisti, gli rispondo di lasciarmi l’indirizzo della scuola dove spedirò libri e dizionari ma, come volevasi dimostrare, la boite postale che mi viene data è quella personalissima di Bernard che poi rivenderebbe i libri a quegli stessi bambini ai quali noi avremmo volentieri donato qualcosa. Liquidiamo Bernard dandogli il compenso pattuito di 5.000 Cfa e torniamo verso Ouagadougou, consapevoli di essere stati ingannati anche sulla visita alla concessione del Capo del villaggio che vediamo fotografata sul libretto appena acquistato, grande almeno cinque volte quella vista. Che nervi! Ad aggravare lo stato d’animo, non proprio al massimo per via dei raggiri subiti, è la telefonata di auguri alla mamma di Vanni, che per nulla contenta della nostra felicità ci fa pesare per la millesima volta la sua infelicità legata alla nostra partenza. Decido che con quest’ultima terminano le mie telefonate di saluti alla Germana. Arrivo in hotel frantumata….ma poi tutto passa ed il non ritmo africano ci contagia fino all’arrivo della notte.

26 Dicembre 2008

OUAGADOUGOU

Ci svegliamo prestissimo per assistere alla cerimonia del Moro-Naba che, leggiamo sulla guida, si svolge tutti i venerdì mattina alle 7.15. Salif è a bordo del suo taxi con il motore già acceso, puntuale alle 6.45, saliamo a bordo e in una quindicina di minuti raggiungiamo lo spiazzo antistante il palazzo dell’imperatore dei Mossi. Il piazzale di terra battuta è delimitato lungo il suo perimetro da una fila di alberi ad alto fusto….non c’è quasi nessuno…solo i pochi lettori della guida Lonely Planet che riporta l’orario sbagliato e che come noi non hanno dato ascolto ai suggerimenti dei loro taxisti che non hanno mai visto iniziare la cerimonia prima delle 8….ora nella quale l’imperatore dei Mossi, ovvero il capo tradizionale più potente di tutta la nazione, riceve in questo spiazzo i dignitari più importanti ed i suoi ministri. l’attesa di circa un’ora è piuttosto lunga a quest’ora del mattino, ma ci consente di vedere l’arrivo in auto, in motorino o a piedi degli appartenenti all’etnia più numerosa e potente del Burkina, che vi regnò dal 1500 fino all’arrivo dei francesi colonialisti nel 1850. Ciò che rimane dell’antico regno è la figura dell’ imperatore e l’enorme influenza politica che ancora oggi esercita sul capo dello stato e sulle scelte del paese. I dignitari si salutano tra loro e si siedono a terra in file via via più lontane dall’imperatore a seconda del loro rango. Indossano il tradizionale boubou, l’ampia sopraveste di cotone lunga fino ai piedi, hanno una spadina legata su un fianco ed un copricapo rosso. Ad un certo punto viene condotto nello spiazzo un cavallo bardato con finimenti elaborati e poco dopo arriva il Moro-Naba, vestito con un boubou rosso. Viene sparato un colpo di cannone che ci fa sussultare, poi l’imperatore si ritira e torna poco dopo ma vestito di bianco. Si salutano tutti e la festa per noi è finita….i dignitari invece entrano a corte a bere birra di miglio…..tutto si conclude con una bella bevuta di buon mattino e con il consolidamento di una tradizione che non vuole morire. L’occasione è buona per sottoporre all’imperatore questioni per le quali ci si aspetta un verdetto risolutivo….dispute locali o crimini non gravi. Torniamo in hotel non proprio esaltati per la cerimonia così poco teatrale e devastati per il sonno interrotto troppo presto, quindi trascorriamo il pomeriggio osservando la piscina tra una pagina e l’altra delle guide che consultiamo curiosi. Nemmeno qui, nell’ambiente protetto dell’hotel siamo al sicuro dalle richieste dei locali, e così il nostro oziare è interrotto un paio di volte dai camerieri che si propongono di venire in Italia al nostro seguito….da quando hanno saputo che per entrare occorre essere invitati da un residente, un numero di telefono con indirizzo vale più di una mancia….ma dopo un mese di coesistenza con i locali, ora mi sento così distante da loro da essere assolutamente inattaccabile dai loro piagnistei e dalle richieste di aiuto peraltro del tutto legittime. Perché non cercano di destituire i loro tiranni pretendendo la democrazia e lo sviluppo nella terra dove sono nati? Ceniamo al ristorante Eau Vive, dove le suorine ci viziano con formaggi squisiti e gelati dai sapori inusuali….tamarindo, karité, sesamo ed un misterioso seen.

27 Dicembre 2008

OUAGADOUGOU – ARIBINDA – DORI

Partiamo diretti a Bani, un piccolo villaggio che merita una visita per le sue sette moschee di banco…..L’idea è quella di fermarci a Bani per la notte e tornare domani in capitale perché la strada per raggiungerlo, come vediamo sulla nostra carta stradale aggiornata al 2000, è asfaltata solo fino a Kaya e non conosciamo le condizioni della sterrata che segue. Con grande sorpresa l’asfalto prosegue oltre Kaya, ed anzi migliora…l’ampia carreggiata dal manto impeccabile ci fa supporre che la strada sia stata rifatta di recente…che fortuna! Decidiamo di rivoluzionare i nostri progetti….ci spingeremo fino a Dori, nel Nord Est, e lasceremo la visita della devotissima Bani a domani, sulla strada del ritorno verso Ouaga. Dori è una sonnacchiosa cittadina alle porte del Sahel….la fascia predesertica caratterizzata da paesaggi incantevoli caratterizzati da grandi distese di terreno incolto e polveroso, disseminato di acacie. Dori è di per sé insignificante e non merita una visita, ma è un importante crocevia verso il Niger e le località Nord orientali del Burkina, e ci consentirà di raggiungere gli antichi graffiti di Aribinda. Sconosciuti a tutte le guide in nostro possesso, apprendiamo dell’esistenza di questi graffiti da un depliant del tour operator italiano Harmattan che propone viaggi in Africa davvero interessanti. Certo Aribinda è da raggiungere attraverso una sterrata di 100 km…. e dopo le esperienze recenti in fatto di guide assoldate sul luogo, preferiamo cercare qualcuno che ci accompagni dalla sonnacchiosa cittadina di Dori che abbiamo raggiunto. Mentre ci aggiriamo tra le strade polverose e deserte cerchiamo di scovare un appiglio, un luogo dove poter trovare una guida affidabile. Optiamo per un hotel, l’Oasis, che occupa in parte le casette prefabbricate che Italgas utilizzò nel periodo di realizzazione della bella strada appena percorsa. Il flemmatico custode non può aiutarci, non conosce nessuna guida che possa accompagnarci ad Aribinda….quindi ci fermiamo di fronte al cartello Eau Vive che vediamo sul bordo di una strada. Un giovane ragazzo sta lavando un fuori strada nuovo fiammante….questa è la sede di un progetto sulla malnutrizione in Burkina ci spiega…. Alla nostra richiesta di una guida fa una telefonata e ci invita ad aspettare 10 minuti, il nostro uomo è in arrivo. Dopo 5 minuti arriva un ragazzino…suo fratello…che si presenta come Alì, guida professionale. Dopo esserci accordati per un compenso accettabile di 12.500 cfa, circa 20 €, partiamo imboccando la sterrata che si spinge verso Ovest. Sono già le due del pomeriggio. Dopo aver attraversato diafani territori punteggiati da grandi specchi d’acqua rigogliosi di ninfee, dove gruppi di bambini scatenati, accompagnati da qualche madre, fanno il bagno, arriviamo verso le 15.30 nei pressi di Aribinda. Ci fermiamo in prossimità di un ammasso di rocce scure che raggiungiamo a piedi. Si tratta della montagna sacra….ci spiega Alì….di notte emette un inspiegabile bagliore, ma nessuno scienziato ha mai avuto il coraggio di studiare il fenomeno perché violare questo sacrosanto segreto potrebbe costargli la vita….ci rendiamo presto conto che Alì ha molta fantasia! Gli chiedo dei graffiti e lui ci invita a salire sulla cima della collina….dove dei graffiti non c’è traccia. Iniziamo ad avere seri sospetti circa la professionalità di Alì….ed il tempo stringe. Alle 18.00 sarà buio pesto e Alì ci ha detto che qui non ci sono sistemazioni dove trascorrere la notte. Proseguiamo ancora in auto fino a raggiungere due collinette di roccia granitica le cui morbide curve disegnano il pendio. Scendo con lui e raggiungiamo la cima delle rocce, ma ancora una volta non c’è traccia dei graffiti. Imbestialita gli consiglio di chiedere informazioni ai bambini del luogo che ci stanno seguendo. La prossima collina sarà quella giusta, dice. Per fortuna questa volta è una ragazzina sveglia ed agile come una capretta ad accompagnarci sui graffiti….così anche Alì, come me, potrà vederli per la prima volta! i graffiti sono incisi sulla superficie quasi orizzontale della roccia sulla quale camminiamo, forse per questo motivo sono molto rovinati ed a tratti quasi illeggibili. I disegni sono il risultato della semplificazione di soggetti legati al tema della caccia….un cane, uccelli così stilizzati da essere incomprensibili, grandi punte di frecce che sembrano foglie, alcuni cacciatori a cavallo muniti di lance. Torniamo a valle dopo aver salutato il gruppetto di turisti che dormiranno qui ad Aribinda e raggiungiamo l’auto scendendo dall’altro versante della collina. Vanni ci aspetta seduto a bordo di Gazelle….dice di aver già salutato il villaggio intero che gli è sfilato davanti nell’attesa. Sono le 17.10 ed il sole già basso all’orizzonte, quando ripartiamo verso Dori. Dopo 45 minuti siamo già nella penombra ed a breve Vanni si trova a dover evitare le buche e gli animali che sbucano all’improvviso, nel buio totale. Intanto il ragazzino ha delle pretese…vuole ascoltare la musica, scrocca un paio di sigarette, chiede dell’acqua….se potessi me lo mangerei! Ai lati della pista alcuni fuochi accesi denunciano la presenza di qualche insediamento….incrociamo i fari accecanti di un paio di motorini ed un taxi-brousse ci supera. La tensione sale mentre procediamo nell’oscurità senza nemmeno il conforto del chiarore della luna….è da sciocchi avventurarsi in queste zone dopo il tramonto….gli agguati non sono una mera fantasia dettata dalla paura. Se Alì non ci avesse fatto perdere tutto quel tempo avremmo potuto tranquillamente tornare a Dori prima del crepuscolo! Alle 19 siamo finalmente in città, confortati dalla gente per le strade e dalle poche luci al neon…siamo salvi! Alì ci propone di portarci nell’hotel più nuovo e confortevole di Dori, il “Liptako de Dori”, nel quale ci fermiamo per un sopralluogo….ma che squallore….a parte le lenzuola che sembravano pulite, il resto è così triste e decadente…risalgo in auto col pollice verso….andremo all’Oasis. Le casette prefabbricate sono fuori uso… non ci resta che entrare nella camera altrettanto squallida dopo aver percorso un lungo corridoio impolverato. I bagagli sono già sul tavolino quando ci accorgiamo che le lenzuola sono sporche almeno quanto l’unico asciugamano disponibile in questa che sembra la cella di un carcere. Afferriamo i trolley e ce ne andiamo al Liptako che almeno sembrava più pulito. Ci vengono consegnati due asciugamani, una saponetta e le chiavi della 12. Il problema ora sarà la cena….un ragazzo dell’hotel ci accompagna nell’unico luogo possibile, il ristorante dell’Auberge Populaire che offre anche camere…non voglio pensare in quali condizioni. Siamo gli unici due clienti ad occupare uno dei tavoli di metallo scrostato del cortile buio e polveroso…..il piatto unico è costituito da cous cous, due birre da un litro arrivano dal locale accanto.

28 Dicembre 2008

DORI – BANI – OUAGADOUGOU

Alle sette, disturbati dal rumore di tosse che arriva dalla sala oltre la porta, ci svegliamo. Ci laviamo nel bagno che sembra un capolavoro di cattiva manodopera ed usciamo. I ragazzi dell’hotel hanno allestito per noi un tavolino con la colazione nella sala accanto alla camera…..che gentili. La sorpresa successiva è stata quella di trovare Gazelle perfettamente lavata dal ragazzo che ieri ci ha accompagnato al ristorante. Insomma i ragazzi hanno compensato il disagio dell’hotel ricoprendoci di attenzioni…e per la modica cifra di 17 cfa. Dopo 40 km sulla strada del ritorno verso Ouaga, incontriamo la cittadina di Bani dove questa volta ci fermiamo ad ammirare le famose moschee. Questa volta cerchiamo di non sbagliare rivolgendoci per una guida all’Auberge Fofo, l’unica possibile sistemazione per la notte qui a Bani, nonché quartier generale delle guide alle moschee. Cissé Moussa, il rappresentante delle guide e dei custodi delle moschee, si presenta con un foglietto sul quale c’è scritto il suo nome. Lo assoldiamo, tanto le moschee sono tutte ben visibili anche a noi….sarà impossibile sbagliare anche se accompagnati da un incompetente. Iniziamo la visita dalla più grande e più bella del villaggio. La facciata, realizzata con mattoni di terra cruda, è decorata con motivi geometrici ricavati per sottrazione nella massa muraria della parete… creano un piacevole effetto di chiaroscuro. Cissé ci racconta che l’edificio sacro è stato concepito da un uomo santo di Bani, un profeta insomma che è stato due volte alla Mecca a piedi. Ha sognato di dover realizzare una grande moschea e così, grazie all’aiuto materiale di fedeli provenienti anche dal Niger, Mali e Ghana, ha potuto realizzare il grande progetto. La facciata bassa e larga , ed il minareto cilindrico trafitto dai bastoni ortogonali, sono gli unici elementi di pregio estetico dell’intera costruzione. Nella penombra dell’interno vediamo le arcate susseguirsi fino a coprire l’intera ampiezza dell’ambiente della preghiera, a terra la sabbia sulla quale camminiamo scalzi fino a raggiungere la nicchia semicircolare rivolta a est, poi saliamo la ripida scala che porta al tetto…Per un errore di calcolo l’ultimo scalino è alto circa 80 cm. Dal tetto la vista del minareto è perfetta e ce lo godiamo in tutta la sua volumetria a botte unitamente al paesaggio sublime per le sfumature cromatiche che si complicano verso i rilievi lontani. Alle nostre spalle, sulla collina addossata al villaggio di Bani, sono visibili altre tre moschee quasi distrutte dalle intemperie e sulle quali nessuno ha avuto voglia di intervenire con opere di ricostruzione e restauro. Considerando che il patrimonio artistico rappresenta il richiamo turistico del villaggio che diversamente sarebbe ancora più povero….e che la maggior parte dei suoi abitanti non fa nulla se non lamentarsi della propria povertà….allora chiedo a Cissé perché non intervengono. Risponde che a pancia vuota non si lavora…e che stanno raccogliendo fondi per nutrire e per vestire chi sarà disposto a lavorare. Dopo aver perlustrato i ruderi scendiamo di nuovo e raggiungiamo Vanni camminando lungo le belle stradine coperte di sabbia del centro storico, tra case e granai di banco, bambini, asini e qualche adulto che vi passeggia. Percorsi circa 200 m in auto ci fermiamo per una foto ad un’altra piccola moschea ancora decorata con i motivi geometrici che solcano la facciata. E’ bellissima! Raggiungiamo il nostro adorato hotel La Palmeraie di Ouagadougou verso le 13 e ci tuffiamo nel comfort della nostra pulita e confortevole n°15. Che bello qui…immersi nella natura e con il vantaggio di un ottimo servizio. Un gelatone consumato sotto le fronde, un paio di partite a beckgammon e poi il richiamo di musica live che arriva da lontano. Usciamo dall’hotel per vedere. E’ una festa di matrimonio….che fortuna poter assistere ad un evento così insolito e folkloristico. Due file di sedie di vario tipo sono disposte attorno ad un ampio spazio ovale sulla strada preventivamente chiusa con transenne. La tradizione vuole che questa sia una festa squisitamente femminile, dove gli unici uomini ammessi sono il cameraman, alcuni musicisti e Vanni. La band occupa uno dei due lati corti dello spiazzo libero circondato dalle sedie….le due robuste cantanti in abiti tradizionali intonano, con la loro voce potente, brani musicali tradizionali che ricordano molto quelli del mitico Salif Keita. Le signore del pubblico sono vestite con tuniche impreziosite da ricami ed applicazioni…sono molto eleganti. Alcune di loro stanno sedute ad osservare, altre si muovono danzando in fila, come in una specie di trenino, al seguito della sposa che, vestita di un abito bianco a tubo con ricami in oro ed eleganti sandali con tacchi a spillo, conduce la fila. Si divertono molto le signore…sulle note delle cantanti che si lanciano in acuti a volte un pò azzardati. La festa continua per ore, sempre con la modalità del serpentone sulle note di brani musicali bellissimi che si susseguono senza interruzione. Ceniamo con una pizza squisita al ristorante Verdoyant che questa sera sembra scoppiare di clienti….mentre un topastro fa avanti e indietro accanto al muretto di recinzione, a due passi dai tavoli del giardino….se il gruppo di signore tedesche accanto a noi dovesse accorgersene potrebbe scoppiare un tumulto!

29 Dicembre 2008

OUAGADOUGOU

Vanni esce con intenzioni bellicose nei confronti del console onorario italiano, di nome Eline Giglio, che da cinque giorni non gli risponde al telefono rendendosi irreperibile presso il consolato italiano. E’ quindi il direttore della cooperazione italiana a Ouaga a convalidare con un timbro il fax arrivatoci dall’Aci di Roma che posticipa di 3 mesi la scadenza del Carnet de passage di Gazelle scaduto ieri. Con il nostro taxista Salif andiamo all’ambasciata del Benin per un visto sul passaporto che ci verrà riconsegnato nel pomeriggio, poi in hotel in cerca di un pò di frescura all’ombra della vegetazione. Intanto apprendiamo dal notiziario di Canal + la notizia di un attacco terroristico da parte dei ribelli tuareg maliani ad un presidio militare nella provincia di Segou, nel corso del quale 9 militari hanno perso la vita. La scelta di un luogo lontano dall’Adrar des Inforhas per la rappresaglia tuareg di oggi, coincide con la volontà espressaci dal capo del territorio dell’Adrar di garantire la sicurezza dei turisti in quei territori. La notizia di oggi non sorprende….anche il Niger, a nord di Agades, è del tutto inaccessibile a chiunque per via della stessa ribellione tuareg….muoversi in Africa è decisamente complicato….E’ di qualche giorno fa la notizia di centinaia di morti in Nigeria uccisi nell’ambito di una guerra tra etnie rivali…come anche la notizia di un colpo di stato in Guinea….Israele continua a bombardare la striscia di Gaza…ma per nostra fortuna è a distanza di sicurezza! Trascorriamo il pomeriggio a scattare foto agli edifici recenti del centro, particolari per le geometrie enfatizzate in facciata con elementi aggettanti. In prossimità dell’hotel Indipendente Vanni scende per osservare i prodotti artigianali esposti in baracche lungo la strada…so già che vuole acquistare la maschera del sole che aveva già adocchiato a Bobo Dioulasso. Dopo estenuanti contrattazioni usciamo con due enormi pacchi realizzati con un puzzle di cartoni uniti con nastro adesivo e corda. Contengono un grande sole di legno del diametro di 120 cm ed una maschera stretta e lunga un paio di metri, alla cui base mi ha conquistata la scultura della testa di un’ antilope. Come faremo a trasportarle in Italia rimane un mistero…per il momento sono state collocate nell’abitacolo di Gazelle, appese con cordicelle alle maniglie superiori. Ceniamo ancora al Verdoyant…..la pizza meritava un bis!….nessun topolino tra i tavoli.


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