06 Luglio 2010

KOSH AGACH – OLGII

Stanchi per la lotta contro l’insonnia combattuta nel corso della notte in tenda ci congediamo di buon mattino da Anna e Fabio, scattiamo qualche foto agli edifici che definiscono la piazza principale controllati a vista dalla centrale statua di Lenin, poi partiamo diretti alla frontiera. Le montagne ci seguono a distanza fino al confine russo dove rimaniamo in paziente attesa insieme ai pochi altri viaggiatori del nostro scaglione…. dopo un primo controllo dei documenti infatti il cancello per proseguire agli uffici doganali viene aperto dopo trenta minuti circa. Sono soprattutto kazaki con voluminosi bagagli a mano in visita ai loro parenti rimasti ad occupare la regione Nord occidentale della Mongolia. Anche senza interprete ce la caviamo benissimo dato che alcuni impiegati parlano inglese ed i moduli da compilare sono tradotti in una lingua comprensibile….. certo sono tutti molto seriosi e vagamente ostili questi russi, mai un cordiale sorriso ad increspare le loro labbra …. che differenza rispetto ai mongoli che raggiungiamo poco dopo! Dopo aver compilato una miriade di moduli e schivato alcuni impiegati che volevano imporci di cambiare presso i loro sportelli i rubli rimasti ad un cambio sfavorevolissimo varchiamo finalmente dopo due ore la sbarra finale oltre la quale incontriamo Uchka, il nostro interprete mongolo. Sorridente, magro e molto giovane ci viene incontro con l’entusiasmo di chi ha aspettato il nostro arrivo per più di ventiquattrore, il tempo perduto nella riparazione della balestra ci ha fatto mancare l’appuntamento di ieri nel pomeriggio… poco dopo confessa che se non ci avesse visti arrivare nemmeno oggi domani mattina sarebbe partito per Ulaan Baatar nonostante gli accordi con Vanni fossero che avrebbe aspettato fino al 7 compreso. Lo avevamo immaginato abbastanza robusto da poter aiutare Vanni in un eventuale cambio pneumatico, invece Uchka è esile e delicato come chi ha trascorso la sua vita sui libri o davanti al computer…. ha 23 anni, potrebbe essere nostro figlio. Come annunciatoci da Anna e Fabio alle strade russe in ottime condizioni si sostituiscono presto le sterrate che qua e là si ramificano in dedali di piste che seguono talvolta direzioni diverse …. impossibile sapere quale sarà quella giusta se non affidandosi ai punti cardinali e sperare, oppure chiedere ai nomadi avvicinandosi alle gher nelle quali abitano, ma non troppo vicino. Anche se le recinzioni non esistono a delimitare un’area di pertinenza delle caratteristiche capanne circolari bianche nelle quali i nomadi asiatici vivono è buona educazione rimanere in posizione defilata anche per non essere attaccati dai loro cani da guardia dei quali Uchka ha una giustificata soggezione. Anche il paesaggio è cambiato e la catena dell’Altai, che avevamo vista connotare il territorio in immagini montane in senso stretto, con abbondante vegetazione e le alte cime innevate lontane all’orizzonte, si è via via ammorbidita ed ha perso completamente la vegetazione. I rilievi così scoperti mostrano quasi esibendola tutta la loro varietà orografica e cromatica….. sfumature in decine di verdi e di marroni si alternano in caleidoscopi che conquistano quasi come colature che dalla cima dei rilievi raggiungono le morbide ampie vallate sottostanti. Vediamo anche un gruppo di yak dal pelo lunghissimo e le immancabili gher a punteggiare di bianco le vallate, riunite talvolta in gruppi familiari…. alla tenda dei genitori si aggiungono spesso quelle dei figli sposati e così via. Ogni gruppo di yurte corrisponde ad una famiglia allargata ci spiega Uchka…. ma ciò che colpisce è la bellezza del paesaggio nel quale è come essere dentro una favola, o dentro un deserto policromo dove la sabbia è la terra resa policroma dai minerali e dall’erba fresca là dove il suolo lo consente. Questo paesaggio da sogno ci accompagna fino ad Olgii, la prima cittadina che incontriamo dopo il confine, ne vediamo le case e le gher bianchissime fin da lontano favoriti da una lieve altura che ce la mostra. La cittadina è là ad occupare la piccola parte di un’ampia vallata circondata da rilievi che si increspano in rocce scure o chiare…. è come se fossero qui riassunte tutte le varietà orografiche più accattivanti del pianeta. La morbidezza dei raccordi che come scivoli si adagiano nella vallata lo fanno assomigliare ad un deserto…. una sorta di Akakus libico fatto di picchi rocciosi che si innestano nella massa di sabbia sottostante, qui verde dell’erba che la ricopre. Olgii è una cittadina di montagna piuttosto alla buona ma con un’ ampia piazza centrale dominata da una piccola coloratissima stella rossa posta in cima ad un obelisco bianco. Gli edifici che vi si affacciano sono bassi e lontani mentre gli unici emergenti dal tessuto urbano sono i tre che contengono gli hotel disponibili, uno più devastato dell’altro naturalmente, compreso il Duman che favorito dalla Lonely Planet ha nella suite lusso un letto matrimoniale piccolissimo e trasuda squallore da ogni angolo….. bravissimi nel realizzare la loro abitazione tradizionale, la yurta, i mongoli sono invece piuttosto maldestri nel costruire qualsiasi altra cosa. Ben lontani dagli standard occidentali gli hotel che vediamo prima della scelta definitiva offrono pochi vantaggi rispetto alla nostra tenda sul tettuccio di Asia…. tra cui l’essere caldi ripari nelle notti fresche anche in piena estate ed avere talvolta un bagno ad uso esclusivo. La nostra lusso dell’hotel Bastau ha il bagno ritagliato in un angolo della camera e lo scaldabagno che ci fornirà acqua calda quando tra un’ora e mezza sarà a regime. Nell’attesa mi riposo mentre Vanni esce con Uchka a caccia di un paio di pantaloni. Quando li rivedo Vanni indossa un paio di pantaloni militari cinesissimi la cui linguetta della cerniera si rompe al primo colpo. Gli stanno benissimo però ed in mancanza di alternative vanno più che bene. Usciamo poco dopo per raggiungere il ristorante turco nel quale mangiamo discretamente…. ma niente birra, qui sono tutti musulmani!

07 Luglio 2010

OLGII – KHOVD

Il lettone del Bastau con la sua generosa imbottita ci ha fatto dormire benissimo ed alle otto quando la luce ha invaso la camera Vanni è sceso per la colazione mentre io mi sono riappisolata in vista dell’arrivo del tè verde fatto con le mie bustine parigine…. almeno per la colazione ci trattiamo bene! Partiamo dopo il necessario rifornimento di carburante ….. non incontrando centri abitati per centinaia di chilometri ma solo piccoli gruppi di gher, è meglio partire belli pieni. Lasciamo Olgii tranquilla come la avevamo lasciata e ci avviamo verso un’altra cittadina della Mongolia occidentale, Khovd che raggiungiamo a metà pomeriggio dopo aver viaggiato cinque ore sulle piste che attraversano ancora le meravigliose montagne dell’Altai, sempre magiche e particolari. Il cielo si copre a tratti di nuvole mantenendosi sempre parzialmente coperto, intanto il sole filtra dove riesce a bucare lo strato denso e grigio andando a colpire a casaccio brevi superfici inclinate. Una specie di marmotta attraversa la pista scappando dai falchi che volteggiano sempre più bassi, yak, cavalli, carcasse di animali morti ed una carovana di cammelli che hanno ormai interamente perduto il loro lungo pelo invernale e che si muovono in fila indiana senza accompagnatore. Incontriamo anche gruppi di nomadi che si muovono verso Khovd a dorso di cavallo portando con loro un seguito di ronzini che parteciperanno alla grande festa nazionale del Naadam, sacra per tutti i mongoli nomadi e non. La festa si animerà di competizioni in armonia con la tradizione guerriera mongola più antica come le corse di cavalli, le gare di lotta libera, sport nazionale, ed il tiro con l’arco. Quella che vedremo noi si svolgerà a Khovd il 9 ed il 10 prossimi. Alle tre del pomeriggio la cittadina ci accoglie desolata più che mai….. pochi brutti edifici si affacciano sulle strade deserte mentre la periferia è occupata dalle gher dei nomadi che spiazzati dalla moria di bestiame nel corso dello scorso inverno particolarmente rigido si sono avvicinati all’agglomerato urbano in cerca di qualche lavoro da fare. La camera lusso dell’hotel Buyant non è male rispetto a quella di ieri sera, spaziosissima e con un grande soggiorno ha le finiture che si può aspettare qui nel cuore della poverissima Mongolia ed ha anche le lenzuola sporche così come preannunciato dalla lettura delle caratteristiche su entrambe le nostre guide di viaggio, ma dopo averle fatte sostituire è perfetta. Passeggiamo brevemente fino alle antiche mura Manchu ormai quasi completamente disciolte nella periferia di questa città sempre più desolata e quasi apocalittica. Un salto al mercato coperto per acquistare frutta altrove introvabile e della farina e burro per Uchka che ha in mente una ricetta speciale. Dice che è impensabile poter mangiare lo stesso cibo dei nomadi quando ci fermeremo presso di loro a dormire in una gher, ma non capisco nemmeno cosa potrà fare con farina e burro. Per questa sera ci va bene, la cena nel ristorante dell’hotel è abbondante e squisita e poi a letto presto. Per una repentina variazione di programma domani andremo verso Nord a visitare il lago Uvs popolato da zanzare ed uccelli acquatici.

08 Luglio 2010

KHOVD – ULAANGOM

Ci svegliamo presto nella camera ora visibilmente squallida, accaldati dal sole che ci colpisce velato solo dalla tenda sottile alla finestra….. per continuare a dormire servirebbe una mascherina a tenuta stagna. Forse per questo nonostante gli incantevoli paesaggi mongoli attraversati finisco col desiderare ancora il deserto , e la nostra tenda sul tettuccio di Gazelle. Ma sto sbagliando atteggiamento, ne sono consapevole….. dovrei proseguire il nostro viaggio evitando la tentazione dei confronti con i luoghi che più ho amato. Il nostro desiderio di conoscere quanto più possibile il nostro pianeta andrebbe assecondato nel migliore dei modi, ovvero senza nostalgie. Questa mattina però mi viene da pensare con un certo trasporto all’Africa come meta piacevole a 360° …. l’Asia è difficile, soprattutto viaggiando nei paesi che fecero parte dell’Unione Sovietica la cui dittatura ha lasciato tracce profonde ancora visibili nei volti mesti delle popolazioni, persino talvolta nei mongoli che si distinguono tra gli altri per un buonumore endemico. Basta osservare dove vivono le persone per avere un calo di umore…. meglio una capanna allora, o una casa di fango piuttosto che due camere in un casermone grigio e fatiscente. Per quanto osservato fin qui la Mongolia continua a mixare la tipologia primitiva rappresentata dalla gher all’edificio triste…. speriamo che infine vinca la tradizione ! In questa splendida mattina di sole puntiamo verso Nord e come meditato ieri sera ci avventuriamo verso la cittadina di Ulaangom vicinissima al lago più grande della nazione…. l’Uvs Nuur. La pista si snoda attraverso incantevoli paesaggi montuosi che ci sorprendono con forme e colori sempre diversi, li osserviamo dalle ampie vallate che percorriamo sobbalzando apprezzandone le chiare morfologie ben visibili per la totale assenza di vegetazione …. proprio quello che preferisco! Si ha così una percezione precisa della conformazione del territorio, quasi come se stessimo sorvolandolo o ne osservassimo un modellino tridimensionale…. senza confusione i rilievi sfilano uno dopo l’altro, neri, verdi, rossi o chiari e talvolta si sommano in strane prospettive creando sorprendenti effetti di colore. E poi lo spazio enorme nel quale questi giganti sono calati ci restituisce il grande senso di libertà, vero obiettivo del nostro peregrinare….. siamo così felici ora che anche guadare un piccolo corso d’acqua diventa uno scherzo da ragazzi ed il procedere è così piacevole da ispirare Vanni in un pensiero che riporto – Asia si fa largo nel nulla seguendo passo dopo passo l’ombra sul terreno che la sua amica aquila, regina del cielo, le indica. – Questo angolo di mongolia è un vero schianto, che felicità! Le vallate verdi di erba fresca sono punteggiate qua e là delle tipiche capanne bianche e delle greggi di pecore e capre sempre inseparabili custodite da uomini a cavallo. Uchka ci spiega il motivo del particolare sodalizio recitando un detto mongolo …. – le capre hanno sempre freddo e le pecore offrono loro il tepore dei corpi nei gelidi inverni, per contro le pecore non sanno riconoscere l’erba più buona e così escono a pascolare in compagnia delle capre -. Abbiamo già percorso metà della strada in programma per oggi quando ci avviciniamo ad una gher isolata su un leggero pendio per verificare se non siamo finiti fuori strada…. Per sgranchirmi le gambe seguo Uchka verso la giovane sorridente signora uscita dalla gher incuriosita dal rumore dell’auto che ci invita a seguirla all’interno della sua dimora e ci offre una tazza del tradizionale tè salato al latte. L’interno è pulito e molto colorato, alcuni tappeti ricoprono l’impiantito di grosse assi di legno verde mentre gli elementi radiali che sostengono i feltri di lana nel perimetro sono arancioni così come il mobiletto opposto alla porta sul quale sono esposte alcune immagini religiose. I dettagli coloratissimi si stagliano sul bianco candido dell’involucro costituito da uno strato di feltri di lana protetti sia all’interno che all’esterno da tessuti bianchi impermeabili che garantiscono alla lana di rimanere asciutta e quindi di non emanare il caratteristico odore sgradevole e pungente quando bagnata. Rendono solidale il telo esterno tre grosse corde scure realizzate intrecciando il pelo di yak e fissate sulla parte cilindrica dell’involucro a circa trenta centimetri l’una dall’altra, proprio come nella yurta dove dormiremo questa notte nella periferia di Ulaangom, gentilmente messaci a disposizione dai simpatici parenti di Uchka. Per via della grande festa del Naadam che inizierà domani gli unici due alberghi della cittadina sono pieni ed avremo così finalmente l’opportunità di dormire in una di queste caratteristiche e piacevoli capanne, peccato che non si trovi sperduta in uno dei magnifici paesaggi attraversati oggi bensì all’interno di un recinto di legno che ne contiene tre. Di ritorno dal ristorante nel quale abbiamo cenato in compagnia della giovane coppia che ci ospita decidiamo di dormire nella nostra tenda su Asia dove cullati dal vento forte scivoliamo presto in un profondo sonno ristoratore.

09 Luglio 2010

ULAANGOM

Che caldo questa mattina ! Fuori dal nostro guscio rovente le tre gher riposano immobili, nessuno si è ancora svegliato. Impolverati come quando ci eravamo coricati scendiamo dalla tenda e con l’acqua di una bottiglia iniziamo a lavarci dopo un sopralluogo alla latrina stretta tra il recinto ed una porta di legno, due assi di legno divaricate sopra un buco nel terreno. Come possa questa gente vivere senza acqua corrente né fognature pur mostrandosi pulitissimi e felici rimane un mistero…. sono davvero bravi. Le due bottiglie di acqua che abbiamo a disposizione sono state acquistate da Vanni poco fa….. presso il pozzo che un signore ha monopolizzato costruendo la sua gher nelle immediate vicinanze. I compensi che pretende in cambio della fornitura non sono alti ma rimane il fatto che l’acqua dovrebbe essere un bene di tutti…. a maggior ragione qui dove la povertà è di casa…. Vanni lo ha trovato casualmente, seguendo il flusso di signore munite di secchi che si muoveva in processione in quella direzione. Fatto sta che dopo una sciacqua siamo pronti per andare alla festa del Naadam che si svolgerà nello stadio del paese verso il quale ci muoviamo a bordo di Asia in compagnia del giovane padrone di casa oggi vestito in abiti tradizionali ed il figlio che parteciperà alla gara di corsa con il cavallo…. uno scricciolo di dodici anni che ne dimostra la metà. Nonostante siano solo le nove lo stadio è già affollato …. le tribune di legno rivestite di persone a sedere circoscrivono il campo di erba alta nel quale sono stati montati alcuni ripari per la giuria. Intanto vicino all’ingresso gruppi di persone vestite negli abiti tradizionali caratteristici delle varie etnie si stanno organizzando in file regolari per sfilare lungo il perimetro del campo aprendo così ufficialmente i festeggiamenti. Signore dai copricapi appuntiti hanno i visi incorniciati dalle file di perline che oscillando lasciano intravedere i lineamenti orientali e le labbra colorate di rosso…. sono bellissime nei loro abiti ampi e colorati, e sorridono felici di essere state scelte a rappresentare la loro tribù. Accanto a loro i rappresentanti maschili vestono più sobriamente con camicioni lunghi fino ai polpacci legati in vita da fusciacche di seta arancioni o gialle, ai piedi indossano stivali enormi con leggeri disegni in rilievo…. non mancano i vigili del fuoco i vigili urbani ed i doganieri così come i campioni di lotta del passato che ormai anziani indossano vestaglie di seta decorate sul petto con numerose medaglie. Dopo un tempo imprecisato sono tutti pronti per sfilare fra l’erba alta…. ci sono anche le diverse corporazioni di lavoratori e c’è anche il cugino di Uchka che tiene alta la bandiera della banca nella quale lavora. Mentre il corteo è già tutto in movimento iniziano le gare di lotta libera, lo sport nazionale mongolo. I lottatori indossano pantaloncini aderenti ed un copri spalle a manica lunga il tutto raccordato da una corda legata sotto il petto. Alcuni di loro hanno l’aria di essere invincibili, grandi e muscolosi nonostante le pancette evidenti che debordano sotto la corda tirata…. altri hanno l’aria truce, ma poi tutti si librano in una armoniosa danza propiziatoria che simulando il volo di un uccello funge da saluto alle autorità…. sono bellissimi ! Le gare continuano tra la confusione del pubblico assolutamente indisciplinato che si muove vociante tra le bancarelle spuntate dietro le tribune che offrono in vendita di tutto, dai ravioli fritti alle bibite alle saponette … ci sono anche i bari che con i dadi scuciono denaro ai ragazzini che tentano ingenuamente la sorte. Raggiungiamo “casa” verso l’una… ci fermiamo solo il tempo sufficiente a caricare la moglie del cugino di Uchka ed i due neonati, poi con Asia piena di mongoli ci avventuriamo verso il lago seguendo una pista polverosa e trafficata. Stiamo andando a vedere la famosa corsa dei cavalli che ha svuotato la cittadina, ce ne rendiamo conto osservando le centinaia di auto parcheggiate che rivestono parte dell’ampio pendio nel quale si svolgerà la competizione, o meglio le diverse gare la cui precisa dinamica però ci sfugge… Ciò che salta all’occhio sono invece i cavalli che passeggiano ovunque mescolandosi a moto ed auto, e la folla che cerca di sottrarsi al sole rovente indossando cappellini, proteggendosi con ombrelli o cercando l’ombra delle auto. Parcheggiamo e ci ritroviamo presto al centro di un mare di auto, impossibile sottrarsi all’intera cerimonia ! Ci raggiungono intanto gli altri familiari che vivono nelle tre gher e che finiscono col colonizzare definitivamente Asia che se ne ritrova piena in ogni sua parte interna ed esterna, per non parlare del binocolo sequestrato senza appello da Uchka e suo cugino. Avevo letto sulla guida Polaris che i mongoli pur rispettando la proprietà privata non si fanno nessun problema ad usufruirne anche sfacciatamente…. è tutto vero! Arrivato il momento della gara alla quale parteciperà Munkhajargal ( felicità eterna ) il dodicenne di famiglia tutti scendono a guardare, compresi i neonati e la nonna che si portano sul limite della pista…. ed è il primo premio! Quando alle otto di sera rientriamo alle gher a bordo di Asia siamo in undici compresi i due neonati, la polvere fin dentro le orecchie ma felici per questa giornata davvero insolita, una sorta di tuffo nel folclore mongolo con la virtuale partecipazione al primo premio, La delusione arriva verso le nove, quando usciti per un giro di ricognizione in cerca di un ristorante troviamo tutti i portoni chiusi… troppo tardi? Oppure ancora tutti bloccati su alla corsa dei cavalli?…. districarsi da quel nodo di auto non deve essere stato facile per molti…. come per gli amici di Peter, un ragazzo belga che incontriamo solo soletto al pub e col quale condividiamo delle terribili tagliatelle precotte…. senz’altro di produzione cinese! La fortuna di Peter è stata quella di essere sceso dal lontano campo di gara con la sua moto senza troppi ostacoli, così come per noi avere avuto una sola auto davanti alla nostra. Quando rientriamo all’interno di una delle tre gher gli uomini festeggiano ancora il vincitore con vodka e la carne arrostita di un capretto sacrificato al momento…. cantano e ridono e quando la mattina mettiamo fuori il naso dalla nostra tenda nella quale ora dormiamo benissimo li vediamo gironzolare ancora ubriachi nel piccolo cortile.

10 Luglio 2010

ULAANGOM – BARUUNTURUUN

I nostri ospitanti sono già attivi in vista della premiazione di oggi quando lasciamo le gher salutando i pochi rimasti ovvero le donne e gli ubriachi naturalmente. Ma prima di lasciare la città Uchka ci chiede di accompagnarlo per una operazione che durerà solo pochi minuti…. così dopo aver acquistato le ultime due bottiglie d’acqua rimaste nel negozio torniamo là dove lo avevamo lasciato, lungo la strada nei pressi di una staccionata di assi di legno che segnano con il loro andamento continuo il bordo della strada… quando lo vediamo arrivare trafelato ci racconta che i parenti lo avevano posto di fronte alla scomoda scelta di pranzare con loro oppure bere una tazza di tè rovente…. insomma le trappole dei parenti si assomigliano in tutti i paesi. Partiamo infine prendendo la pista che inizia subito fuori città e che si spinge verso est avvicinandosi al lago Uvs che però non sfiora mai…. nonostante il labirinto di piste Uchka riesce sempre a trovare la giusta direzione nonostante non sia mai stato prima da queste parti…. consulterà segretamente una sfera di cristallo?…. io mi sarei persa decine di volte! Le pendici dei monti Altai ci accompagnano scure e lontane fino a scomparire inghiottite dalla steppa che ci regala ampi spazi, qualche duna di sabbia lontana e cammelli accovacciati a terra in cerca di un pò di fresco. Il cielo azzurro è impreziosito da qualche nuvoletta bianca, il caldo è torrido e la polvere tanta. Nei duecento chilometri percorsi oggi in sei ore di viaggio su piste piene di buche incontriamo solo due moto ed un’auto di locali che si muovono nella direzione opposta ed alcuni falchi in volo ma poi eccoli anche appostati ai bordi della pista così vicini da poter essere ammirati in ogni dettaglio così come la coppia di gru slanciate e grigie in compagnia dei loro piccoli. Seduto sul sedile posteriore Uchka canticchia ogni tanto melodie dolci con un filo di voce, poi verso le 16 arriviamo nel villaggio di Baruunturuun dove decidiamo di fermarci… continuare significherebbe percorrere ancora centotrenta chilometri di piste senz’altro malmesse per arrivare al prossimo villaggio chissà a che ora. Nonostante il villaggio non sia molto più che un pugno di case in mezzo alla steppa vi troviamo un affittacamere , il nostro rifugio per la notte. Il miraggio di una doccia finalmente dopo tanti giorni svanisce immediatamente dopo essere entrati nel cortile che fronteggia il vecchio edificio ad un solo piano, quando vedendo in un angolo il cabinotto della latrina capiamo che di acqua corrente non se ne parla nemmeno….. anche se ancora non puzziamo come capre una doccia inizio a sognarla la notte, anche solo per il conforto di sentire l’acqua scivolare sulla pelle… ma niente, anche questa volta useremo qualche salvietta umida. Il problema non è tanto l’assenza di acqua corrente quanto la mancanza di uno spazio privato dove spogliarsi e lavarsi integralmente anche con l’acqua minerale…. magari questa sera approfitterò dell’oscurità del cortile per farmi un bidet. La decisione di dormire anche questa notte in tenda arriva osservando le dimensioni dei letti della pensione, larghi non più di 60 cm…. ed anche Uchka preferisce piantare il suo igloo vicino alla nostra Asia, così tanto per dormire vicini…. Ci confessa di non aver quasi mai dormito solo e l’idea di esserlo questa notte, unico ospite della pensione, lo spaventa. Approfitto della sosta presto per fare un bucato di calzini nel catino arrugginito pieno dell’acqua verdastra del fiume che la signora riluttante mi porge lamentando che l’acqua costa e non va sprecata…. se il lavaggio senza troppi risciacqui mi impegna abbastanza l’asciugatura è una certezza considerando il vento che soffia costantemente da quando siamo entrati in Mongolia ed il sole che scalda molto qui a quota 1500 metri. Mangeremo ciò che la signora ha rimediato dopo una ricognizione in dispensa…. riso e spezzatino di magro di carne …. il grasso è finito dato che i mongoli ne sono ghiottissimi. Alla fine la carne è così dura che la usiamo come esca per attirare vicino a noi i falchi che ora volteggiano golosi poco oltre il cancello e che poi planano sul gustoso bottino… così ci siamo tolti il dubbio che i rapaci si nutrano di sole prede vive…. anche il manzo cotto e duro sembra andare benissimo!

11 Luglio 2010

BARUUNTURUUN – NOMROG

Poco dopo l’alba dopo esserci lavati con la poca acqua messa a disposizione tra una protesta e l’altra dalla padrona di casa partiamo verso Tes. E’ il primo villaggio che incontreremo fra 120 km molto prima di raggiungere il lago Telem in direzione Sud-Est, ambizioso obiettivo di oggi a 300 km da qui. Le vallate che attraversiamo offrono sempre scorci incantevoli e sempre diversi tra loro, come le creste rocciose che emergono lontane dalle ampie vallate in un particolare effetto acquerello tipo stampa cinese dove le cime più lontane sfumano semi nascoste dalla foschia. Un incanto che fa pensare al “Signore degli Anelli” e che percepiamo in tutta la sua estensione, come se noi piccoli esserini ci spostassimo dentro un grande modello tridimensionale della crosta terrestre con montagne molto ben modellate e colorate delle meravigliose sfumature dei minerali…. come se la perfezione che ci appare fosse difficilmente attribuibile alla realtà e piuttosto il risultato di un magico artificio…. e tutto senza aver fumato niente di strano! Dalle creste rocciose siamo poi passati alle dune di sabbia coperte da un leggero manto erboso, e poi sorpresa delle sorprese addirittura popolate da macchie di abeti. La pista come sempre disastrata ci fa arrivare a Tes dopo quattro ore di viaggio alla velocità media di 30 km/h. Una specie di conquista per noi che viaggiamo senza certezze avendo come unici riferimenti i rilievi che cerchiamo di far combaciare con quelli della carta stradale e la posizione del sole che ci offre un sicuro riferimento direzionale. Dopo Tes troviamo un cartello stradale, il primo qui fra le lande desolate della Mongolia … le tre frecce bianche su campo azzurro indicano direzioni diverse ma un cartello senza nomi a cosa può servire? A nulla. Continuiamo di tanto in tanto a chiedere indicazioni presso le gher dalle quali Uchka torna sempre sorridente…. in questi territori poco battuti dagli stranieri i nomadi mongoli svolgono con cortesia e disponibilità la funzione sostitutiva dei cartelli stradali! Dopo Tes il paesaggio cambia ancora e da sabbioso diventa verdissimo con enormi vallate ricoperte di erbe profumate e fiori selvatici colorati…. le montagne fanno da sfondo, sempre mutevoli e magnifiche. Sono per noi una novità invece i cumuli di pietre circondati da altre pietre disposte in cerchio che scorgiamo poco distanti dalla pista stagliarsi sul verde del prato…. sono le antiche tombe degli Unni ci spiega Uchka mentre la mente cerca di ripescare qualche ricordo dalle lontane lezioni di quinta elementare. La figura più esterna può variare dal cerchio al quadrato a seconda del ruolo militare di chi vi fu sepolto tra il II ed il I sec. a.c. Aquile e gru, cavalli e cammelli, capre e pecore per non parlare dei topolini che per sfuggire ai predatori vanno sempre di gran fretta…. insomma un viaggio nel paradiso anche oggi… ma poi la mancanza di una doccia da troppi giorni unita al raffreddore di Vanni finiscono con l’inquinare il buonumore e col far emergere tensioni stupide e fuori luogo…. ma come, siamo in paradiso e ci facciamo il muso? Quando arriviamo nel villaggio di Nomrog sono già le cinque del pomeriggio e Vanni guida senza soste da nove ore su scomode piste piene di buche…. siccome il lago Telem dista ancora 20 km ovvero circa un’ora di viaggio e da informazioni raccolte non offre strutture ricettive, decidiamo di fermarci qui, nel cortile di una pensione non migliore di quella di ieri ( Delgersaichan – 98100409 – 50991120 ). Un paio di litri d’acqua è tutto quello che abbiamo per lavarci in tre, nel cortile e senza la possibilità di spogliarci. Nonostante la calorosa ospitalità del padrone di casa Vanni è così di cattivo umore che non viene nemmeno a cena nella locanda dove io ed Uchka assaggiamo il piatto tipico, unica possibilità di nutrirci in questo villaggio poverissimo senza nemmeno l’energia elettrica. Sono tagliatelline preparate al momento e cotte nel sugo di carne di montone e patate, molto asciutte ma saporite e buone. Alle sette siamo già in tenda a cercare, ognuno a modo suo, un pò di conforto prima di dormire.

12 Agosto 2010

NOMROG – TERHIYN TSAGAAN NUUR

Dopo nemmeno una mezz’ora di viaggio vediamo prendere forma sulla nostra destra il lago Telmen la cui superficie blu segue il profilo delle basse montagne che lo definiscono …. ma poiché siamo appena partiti non abbiamo ancora maturato il bonus valido per una sosta presso il nostro inflessibile Vanni già proiettato nel raggiungimento di un altro lago a 300 km da qui, il lago Bianco come banalmente tradotto dalla difficile parola mongola Terhiyn Tsagaan nuur. I paesaggi sempre mutevoli nella costante montuosa ci sorprendono ancora per la loro bellezza come nel tratto compreso fra Tosontsengel ed il villaggio di Ih-Uul dove la vallata è segnata dal fiume che vi scorre aprendosi in diverse ramificazioni. Magnifici possenti abeti spuntano dal prato verde che si alza fino a rivestire le montagne circostanti mentre gruppi di yak dal lungo pelo che li fa assomigliare a mucche in abito da sera si spostano brucando parallelamente alle immancabili greggi di pecore e capre, altrove gruppi di cavalli selvatici improvvisano brevi galoppate verso i pendii assolati. Gli yak che vediamo impiegati come animali da traino legati a carretti di legno offrono lo spunto a Uchka per approfondire l’argomento, scopriamo così che con il loro pelo vengono confezionate le corde che trattengono i feltri di lana delle yurte ed i calzettoni impermeabili per l’inverno mentre la loro carne così come il latte non vengono commercializzati ma consumati dai pastori che li allevano. Il piacere del viaggio viene amplificato dal profumo intenso delle erbe aromatiche che rivestono la vallata e dalle aquile bellissime che volteggiano nel cielo…. che paradiso! Dopo Ih-Uul la strada verso Tsahir migliora in alcuni tratti sensibilmente consentendoci di procedere alla bella velocità di 60 km/h…. un vero record che consente a Vanni di inserire la quarta marcia per la prima volta dopo giorni. Sono già le sei del pomeriggio quando raggiunta Tsahir chiediamo indicazioni per raggiungere i campi gher turistici che si trovano sul lato Nord del lago Terhiyn Tsagaan. La punta Est si trova a 60 km da qui e se proseguissimo lungo la strada principale dovremmo poi tornare indietro di qualche chilometro puntando verso Nord dal villaggio di Tariat mentre la pista diretta ci consentirebbe di risparmiare un pò di strada…. ma finiamo col sbagliare pista perdendo circa un’ora solo in questo e solo dopo le sette riusciamo ad azzeccare la pista giusta che si rivelerà però un inferno. Buche con fango, valichi rocciosi, guado di profondi ruscelli e poi inizia a piovere mentre il cielo ormai all’imbrunire è praticamente buio. Sconfortata da tutto ciò e dalle dieci ore di viaggio mi sembra di vivere una situazione apocalittica…. la pista sempre più pericolosa ci riserva tonfi pazzeschi ed il rischio costante di affondare nel fango …. poi il profilo del lago finalmente raggiunto sembra snodarsi all’infinito seguendo la costa frastagliata, ce l’abbiamo quasi fatta! Sono già passate le otto di sera quando sotto il nubifragio raggiungiamo il Maikhan Tolgoi Tourist Camp ( Tel. +976 99119730, +976 99089730, +976 99093339, +976 99223334. www.terikhjuulchin-tours.mn info@terikhjuulchin-tours.mn ). Un ragazzo chiuso nel suo maxi kway afferra i nostri trolley e ci conduce di corsa alla gher. Sostenute dall’esile struttura di legno color arancio raccordata in alto da un profilo ad anello i teli di feltro di lana sono rivestiti sia all’esterno che all’interno da involucri di tessuto impermeabile bianchissimo. Tra i due pilastrini che sostengono l’anello trova spazio la stufa metallica che il ragazzo provvede ad accendere con qualche legnetto. I nostri letti sono sui due lati della stufa mentre sul fondo dell’ambiente circolare c’è un tavolino con due sgabelli. Mentre aspettiamo che la stufa faccia il suo dovere asciugando il nostro nido dall’umidità di questa serata uggiosa andiamo al ristorante del campo per la cena che inaspettatamente comprende una insalata mignon servita come antipasto …. una sorta di piccolo miracolo qui nel cuore della Mongolia dove la cultura nomade estremamente radicata prevede la totale dedizione all’allevamento del bestiame. La doccia che facciamo subito dopo la cena è un’altra piacevolissima coccola che ci godiamo con il sorriso sulle labbra, felici di esistere e di essere qui, al centro di quello che fu per un istante il grande impero di Gengis Khan. I guai arrivano poco dopo, quando Vanni cercando di riattivare il fuoco ormai estintosi nella stufa trasforma la nostra gher in una sauna soffocante …. abbiamo così l’immediata dimostrazione dell’efficacia di questa antica tipologia abitativa anche nei mesi invernali quando la temperatura esterna scende fino a 50° sotto lo zero. Impossibile resistere …. fuggiamo fuori, protetti dall’ombrello nella speranza che nessuno ci veda…. che ridere! Solo dopo un’oretta riusciamo ad infilarci nei nostri sacchi a pelo …. dormire fuori non è pensabile visto il numero di ragni con i quali condividiamo la nostra gher.

13 Luglio 2010

TERHIYN TSAGAAN NUUR

A compensare il lungo viaggio con sorpresa finale di ieri oggi rimaniamo nei paraggi spostandoci solo di un paio di chilometri verso Est, in un campo gher più spartano ma con una bella vista sul lago oggi risplendente al sole. Con sorpresa scorgiamo macchie di stelle alpine qui chiamate “montagna bianca”, sui prati del Parco Nazionale Tehriyn…. non le vedevo da 35 anni ed è un piacere ritrovarle su questi declivi incontaminati. Ma la vera attrazione del parco è il vulcano spento che vi spunta e verso il cui cratere saliamo attraverso il ripido sentiero oggi molto affollato di visitatori locali. Sembra quasi un percorso della speranza dato il numero di Ovoo carichi di offerte che incontriamo lungo la salita…. sono cumuli di sassi attorno ai quali è di buon auspicio compiere tre giri dopo aver gettato tre sassi di qualsiasi dimensione raccolti lì attorno….. ma poi ecco che proprio sulla cima del cratere ce n’è uno particolarmente grande contenente anche bastoni e sciarpe blu propiziatorie, biscotti e banconote inseriti nel cumulo di pietre e sassi che formano la montagnola sacra….. retaggio dell’antica cultura sciamanica non potevano mancare in questo luogo speciale per l’energia che vi si espresse secoli fa attraverso il magma sgorgante dalle profondità terrestri….. Conquistata la cima ripagano dello sforzo la bella vista sulla vallata e sul lago più oltre e poi le varietà di fiori selvatici e di piantine grasse di dimensioni infinitesimali aggrappate a gruppi sulle rocce laviche…. il tempo di caricarci anche noi dell’ energia del vulcano ed assistiamo ad una rissa tra ubriachi nel parcheggio dove raggiungiamo Asia. Sono tanti i mongoli che abbiamo visto finora ubriachi fradici fin dalla mattina ed ora un gruppetto di giovani barcollanti si affrontano a spintoni. Uchka invece non tocca l’alcol. E’ buddista come la maggior parte dei mongoli e questo oltre ad averlo reso una persona molto pacata e sensibile lo ha anche preservato dal cadere nella trappola della dipendenza da vodka, una vera piaga qui in Mongolia. Rientriamo al campo gher poco prima di un acquazzone che osserviamo dalle ampie vetrate del ristorante mentre facciamo progetti per il proseguimento del viaggio… In vista dell’arrivo di Gaia e Fabio che ci raggiungeranno fra qualche giorno per proseguire insieme attraverso il Gobi dovremo prenotare con un certo anticipo i campi gher se non vorremo rimanerne fuori…. è il tour più gettonato della Mongolia e nonostante la nostra riluttanza a calarci in questa nuova veste di viaggiatori super organizzati dovremo proprio cedere. Uchka spinge in questo senso con validi argomenti ed anche noi ci rendiamo conto che per offrire ai ragazzi le migliori strutture di accoglienza di cui dispone il mercato dagli standard anche molto bassi dovremo muoverci al più presto. Ma cosa sono questi quattro ossicini semi nascosti dalle carte geografiche sparse sul tavolo? Le avevo già notate qualche giorno fa ed ora pur di rimandare la pianificazione del tour chiedo delucidazioni ad Uchka…. sono caviglie di capre e si usano in diversi modi, per esempio per simulare una complessa corsa di cavalli o per prevedere il futuro. Per la sua particolare anatomia l’osso mostra quattro diverse figure sui lati di appoggio e così può essere letto come capra, pecora, cavallo o cammello. A seconda delle combinazioni che si hanno lanciando quattro ossicini si hanno vari gradi di fortuna… con un massimo per i quattro cavalli o per le quattro figure diverse. Trascorriamo il resto del pomeriggio a verificare quanto saremo fortunati lanciando gli ossicini sul tavolo di legno scuro, solo Vanni si sottrae…. perché mettere in discussione la sua assodata fortuna? Ceniamo come sempre prestissimo, non avendo voglia di fare una passeggiata a cavallo non rimane poi molto da fare se non osservare il già familiare paesaggio circostante e così ci tuffiamo presto sui piatti tipici che consistono in straccetti di carne ai peperoni serviti con riso lesso ed un brodo di carne con pezzetti di montone e tagliatelle di sola farina ed acqua cotte preventivamente a vapore…. gustosissime. Né frutta né verdure a parte i peperoni che come le patate fanno parte della dieta tradizionale mongola….. ci racconta Uchka che gli unici alimenti dei pastori nomadi sono la carne, il riso, il sale e l’acqua, questo giustifica l’alto livello di grassi nel loro sangue che li fa ammalare già verso i 30/40 anni. Se aggiungiamo alla cultura profondamente nomade la perplessità legittima relativamente ai prodotti alimentari che arrivano dalla Cina, ovvero tutta la frutta e la verdura che si può trovare per esempio nei mercati della capitale, salta fuori una dieta poverissima di fibre e di vitamine…. poveri mongoli! Quando dopo il tramonto ci ritiriamo per la partita a backgammon della buonanotte la luce non funziona ed è inutile farlo notare alla signorina che gestisce il campo perché dopo cinque minuti siamo di nuovo avvolti dalle tenebre….. del resto con i cavi appoggiati sul prato ed i fili a penzoloni ovunque è già un successo se non andiamo a fuoco per un corto circuito…. così come il cielo questa sera carico di stelle.

14 Luglio 2010

TSAGAAN NUUR – TSETSERLEG

Verifichiamo poco dopo il risveglio che al Tsagaan Camp non funziona nemmeno l’acqua corrente con conseguente impraticabilità dei bagni …. per nulla stupiti ci arrangiamo con i soliti mezzi di fortuna…. in fondo abbiamo fatto la doccia solo due giorni fa! Ma il bello arriva quando nonostante i disservizi del campo la signorina che lo gestisce pretende anche di essere pagata in dollari, 15 $ a testa per noi due turisti contro i 10.000 Tugrik per Uchka, l’equivalente di 5 $. Chiudiamo la faccenda dopo un breve battibecco pagando 45.000 Tugrik ma accollandoci per contro la presenza di una delle signorine del campo in auto per un passaggio fino a Tsetserleg. Conquistiamo il villaggio di Tariat dopo una decina di chilometri di guadi e sobbalzi sulle piste che sfiorano il lago, piene di insidiose rocce nascoste dal fango….. ma non è ancora nulla…. impieghiamo ben sei ore per coprire i 180 km che ci separano dall’obiettivo, sulle piste che si snodano terrose nel verde intenso della steppa come sinuosi serpenti che vediamo aggrovigliarsi lungo i lievi pendii o valicando le verdissime montagne senza alberi. Le gher sparse qua e là, solitarie ed immutate sono per noi l’equivalente dei desk informativi…. e poi capre, pecore cavalli e gli yak con il loro gonnellone di pelo vaporoso. Dopo tre ore la nostra ospite inizia ad innervosirsi lamentandosi con Uchka della nostra velocità da lumache…. se avesse preso un altro fuori strada a quest’ora avrebbe già raggiunto Tsetserleg dice ed anche un pulmino pubblico non impiega più di quattro ore per coprire la stessa distanza…. che stronza! Come se non pesasse anche a noi saltare in continuazione sulle buche di queste piste terribili che corrono parallele alla strada ancora in costruzione ed accessibile solo per bravi tratti di pochi chilometri! Nel primo pomeriggio raggiungiamo finalmente l’Hotel Zamchin di Tsetserleg dove la signorina scende senza salutare né tanto meno ringraziare. ….. immagino che non sia mai salita prima di oggi su un’auto ammortizzata con balestre per giunta rotte! Vanni si è accorto che abbiamo rotto tre fogli di balestra anche nell’anteriore sinistra, dev’essere stata la pista di qualche giorno fa …. quella da lacrime! Carichiamo il meccanico che casualmente si trova proprio di fianco all’hotel e andiamo al mercato a caccia di balestre originali anche se usate che però non troviamo…. desiderosa d’altro lascio il gruppetto e me ne vado a perlustrare la cittadina spoglia e desolata, ma che contiene un antico monastero buddista sopravvissuto indenne alle distruzioni staliniane. In fondo ai marciapiedi con buche lungo la strada principale raggiungo il cinquecentesco complesso monastico Zayain Gegeenii Sum ora adibito a museo dove prima di entrare mi imbatto in una anziana eccentrica signora hawayana che mi rimprovera per non essere ancora andata a visitare il paradiso terrestre nel quale vive…. ma ora sono qui ed entro affascinata dalla incantevole architettura dell’antico tempio. Sono soprattutto i preziosi dettagli a riportarmi alla Città Proibita di Pechino dove rimasi affascinata dai dettagli antropomorfi e dagli spioventi leggermente arricciati dei tetti. Serie di animaletti di dimensioni decrescenti sembrano scivolare anche qui verso il basso lungo le linee di displuvio…. sono piccoli cervi rivisitati con dettagli sospesi tra fantasia e realtà, così come i leoni dagli occhi troppo sporgenti collocati a coppie sui lati dell’ingresso o sparsi nel giardino. I tetti a pagoda estremamente elaborati esaltano con i colori gli elementi strutturali del tetto che finiscono col diventare forti elementi decorativi di “tetti scultura” così come i pannelli di legno intagliato a motivi floreali che costituiscono i fronti degli edifici. L’enfasi decorativa caratterizza ogni superficie e là dove non sono gli elementi scultorei ad esaltare gli elementi architettonici, sono i dipinti a descrivere ed a raccontare soggetti a me del tutto sconosciuti che proiettano in un mondo mitologico lontano così squisitamente orientale da incantarmi, così onirico ed intrigante da aver sempre suscitato un forte ascendente sugli artisti occidentali di ogni epoca. Peccato che il museo-tempio versi in uno stato di preoccupante degrado…. e che dire della cassiera che non parla una sola parola di inglese e che non ha nemmeno due spiccioli per il mio resto…. Apre il chiavistello di un portone intagliato e coloratissimo e mi fa entrare nelle sale del museo dove l’oggetto che più mi colpisce è una scacchiera dove gli alfieri sono dei cammelli ed i pedoni una fila di pecore. Dall’alto della collinetta retrostante che raggiungo percorrendo la lunga scalinata che conduce alla maestosa statua del Buddha in marmo bianco, vedo tutta la cittadina, comprese le numerose gher che adattatesi al disegno dell’urbanistica locale formano isolati disegnati come ricami sui leggeri pendii circostanti. Dopo un virtuale viaggio nel viaggio stimolato dalla torta al cioccolato consumata nella inglesissima Guest House Fairfield, raggiungo i miei prodi dal meccanico dove Vanni si mostra visibilmente soddisfatto del lavoro ormai agli sgoccioli. I fogli di balestra appena montati e fissati con il fil di ferro che appartenevano ad una vecchia Uaz, fanno di Asia sempre più un ibrido piuttosto che una Land Cruiser con leggera sofferenza di Vanni …. ma almeno potremo proseguire sereni fino ad Ulaan Bataar, dalla cui sede Toyota non arrivano però notizie incoraggianti…. ci sono prenotazioni fino a dicembre! Confidando sull’arguzia di Vanni sono certa che lasceremo la capitale con Asia in perfetta forma…. Intanto arriva un forte acquazzone a spegnere il calore intenso di oggi e si cena in hotel…. gli inglesi del Fairfield non accettano clienti dopo le 18…. peccato perché il menu comprendeva una serie di piatti a base di verdure che iniziano a mancarci terribilmente. Finiamo col mangiare le solite tagliatelle in brodo! Doccia calda dalle 20 alle 23 nel bagno del Gamchin in linea con il degrado generale dell’edificio …. in Mongolia l’acqua calda è razionata.

15 Luglio 2010

TSETSERLEG – ULAAN BAATAR

Colazione al Fairfield perché la cuoca dell’hotel non si è presentata all’appuntamento delle otto e poi si parte verso Karakorum, che non vedremo ora, e poi Ulaan Bataar che sono curiosissima di vedere per via dei pareri molto contrastanti raccolti finora qua e la. Circondati dal paesaggio verdissimo flesso in ondulazioni sempre più delicate ci troviamo proiettati in spazi senza confini che odorano di libertà infinita…. ed anche la strada migliora o meglio diventa percorribile, finalmente completata nel tratto che va da poco dopo la cittadina di Tuvshruuleh fino alla capitale, a parte una decina di chilometri di interruzione dopo il villaggio di Lun. Certo le yurte viste dalla strada asfaltata hanno un sapore diverso e ci appaiono quasi dissonanti rispetto al progresso che avanza con questa strada voluta e finanziata dalla Cina per avere un collegamento veloce con i mercati europei. Lontani ormai da giorni dagli affascinanti e selvaggi paesaggi della catena dell’Altai, non ci resta che tuffarci nell’enorme capitale che si mostra fin dalla periferia intasata di auto che si muovono lente in flussi disordinati. Non sembra particolarmente bella questa metropoli abitata da 1.200.000 mongoli, molti dei quali alloggiati nelle yurte che avvolgono il nocciolo edificato dai russi a partire dal 1924. Prima di allora la città popolata di nomadi si muoveva periodicamente spostandosi di qualche decina di chilometri alla ricerca di terreni più salubri e meno sfruttati. Un esordio davvero originale per una città! Raggiungiamo l’hotel Corporate dopo circa un’ora…. ospitato in un edificio di undici piani piuttosto modesto che non giustificano le sue cinque stelle ha invece gli interni all’altezza di un design hotel piuttosto sofisticato…. che meraviglia…. finalmente la doccia calda non sarà razionata! Le finestre della nostra camera al nono piano ci regalano una magnifica vista sulle montagne che circondano la città e sulle cui pendici la periferia si arrampica lontanissima con casette dai tetti colorati. Qui sotto invece c’è un vecchio isolato da riqualificare….. mi diverto a fotografarlo inosservata con zoomate invadenti che cercano di coglierne il fascino decadente ma che per Vanni hanno piuttosto il sapore del disastro, una sorta di Hiroshima dopo l’atomica, dice. Un commento in linea con il suo umore ora teso e nervoso….. da qualche giorno tende a fissarsi su cose assurde come la “tartare di carne” che vuole avere a tutti i costi anche se non contemplata dal ricco menu del ristorante dell’hotel dove invece mangiamo benissimo e con molte verdure nel piatto!

16 Luglio 2010

ULAAN BAATAR

Mi sveglio sola nel lettone largo più di due metri….. Vanni è partito presto con Uchka per la missione Toyota ed io ho una gran voglia di esplorare la città ancora avvolta nel mistero. Armata dell’inseparabile macchina fotografica mi avvio con entusiasmo verso la vicina piazza principale mescolandomi tra la vivace folla, chiassosa e indisciplinata quanto gli autisti che puntano i pedoni sulle strisce come se fossero birilli…. tanto vale attraversare ovunque ed in gran fretta…. è chiaro fin dal primo incrocio che i pedoni qui non godono di diritti di precedenza ed anzi sembrano i bersagli preferiti degli automobilisti anche se sobri! Raggiungo indenne la grande piazza circondata da edifici troppo bassi alcuni dei quali disegnati nei preziosi geometrismi del razionalismo ed altri nell’immancabile stile neoclassico di regime. Proporzionati alle dimensioni della piazza sono l’enorme statua in bronzo di Gengis Khan ospitata in una nicchia del palazzo presidenziale vagamente postmoderno ed il bellissimo grattacielo a forma di vela, leggermente defilato ma che caratterizza la skyline del centro urbano…. una sorta di tour Eiffel mongola di grande impatto. Dopo aver girovagato un pò la sensazione è quella di essere in una città non bella ma che contiene delle belle cose come i favolosi lampioni anni ’70 che seguono i marciapiedi di alcune strade, o l’edificio del Palazzo della Cultura con la sua perfetta scansione di pilastri trapezoidali e perché non la piccola torre scatolare sulla cui superficie giganteggia una bottiglia di coca cola rossa con le relative bollicine. Anche il vicino Museo Nazionale di Storia Mongola è ospitato in un bell’edificio di stampo sovietico razionalista…. un compatto parallelepipedo di mattoni con grandi riquadri di pietra bianca che ospitano bassorilievi tematici. All’interno le vetrinette riflettenti ed illuminate con tubi al neon ospitano gli abiti tradizionali delle numerose tribù mongole…. alcuni abiti femminili hanno elaboratissimi colletti che si alzano rigidi sopra la testa, altri hanno maniche così lunghe da sfiorare il ginocchio. Sono tutti molto belli così come i curiosi copricapo ed i gioielli…. c’ è anche il guanto che indossò l’unico cosmonauta mongolo della storia! Quando verso sera Vanni rientra nella nostra confortevole camera mi parla delle peripezie affrontate per sostituire le balestre di Asia presso l’affollata sede Toyota. Una volta capito che seguendo il normale iter avremmo lasciato U. B. fra sei mesi, Vanni ha raccontato al direttore della sede che Asia era attesa alla casa madre in Giappone per un reportage fotografico in quanto auto storica con una bella storia di viaggi alle spalle…. che genio! Domani mattina Asia sarà pronta con i suoi fogli di balestra originali montati così come le sospensioni ed i blister dei quali non c’è più traccia dopo le dure piste mongole e lo Svaneti della Giorgia! Dovrebbe essere contento e invece no…. è stato tutto il giorno in piedi ad aspettare e controllando il lavoro si è accorto che stavano montando i fogli di balestra a rovescio…. tutte le tensioni esplodono infine al ristorante dell’hotel di fronte alla tartare che chiede anche questa sera porgendo alla cameriera il foglietto che gli ho tradotto in inglese. Ma ecco che quando la tanto agognata tartare gli viene servita non va ancora bene e la rispedisce indietro perché tagliata troppo grossa…. In seguito allo spiacevole alterco che ne scaturisce la decisione è presa, partirò con il primo volo disponibile per l’Italia ….. inutile il suo tentativo di riconciliazione, con lui ho chiuso!

23 Gennaio 2008

ULAAN BAATAR

Inutile dire che al risveglio sono ancora furiosa ma poi, improvvisamente carinissimo, Vanni finisce col sedare in parte le mie serie perplessità sul continuare questo viaggio insieme. Risolve del tutto la disarmonia che ancora sento la visita al meraviglioso monastero Choijin Lama, vicinissimo all’hotel. Costruito nel cuore pulsante della città in stile cinese tra il 1904 ed il 1908, vi si cala come un angolo di paradiso, con i suoi cinque templi a pagoda immersi nella vegetazione, coloratissimi all’interno ed armoniosi all’esterno, con i tetti arricciati verso l’alto ed i numerosi piccoli animali sulle falde. Una serie di grandi sculture di cartapesta rappresentano le divinità buddiste con occhi sporgenti e corone di teschietti sulle grandi teste. Numerosi Buddha dorati riflettono la luce degli interni mentre affreschi così macabri da divertire decorano le volte descrivendo le pene dei dannati…. in fondo tutte le religioni si assomigliano! Rimango all’interno del tempio principale abbastanza a lungo da sentire il suono lieve delle campane mosse dal vento ed il canto di un musicista che accompagna il suono del suo liuto con suoni gutturali …. insomma mi riprendo perfettamente coccolata dalla bellezza e dall’armonia di questo luogo così lontano dalla città frenetica nel quale è inserito. Questa sera cambiamo menu e ristorante…. ormai riappacificati gustiamo le ottime pietanza del ristorante “La Veranda”, luogo piacevolissimo anche per la vicinanza al bellissimo monastero Choijin Lama che continua ad emanare i suoi balsamici effetti fino ai nostri comodi divani rossi.

18 Luglio 2010

ULAAN BAATAR

E’ domenica oggi e quindi Vanni non lavora. Un salto al vicino teatro per l’acquisto dei biglietti dello spettacolo di questa sera poi in taxi, quello regolare chiamato dall’hotel perché gli altri dicono possano riservare spiacevolissime sorprese, raggiungiamo il monastero Gandan Khiid…. uno dei più importanti della Mongolia …. scopriamo presto il perché. L’imponente edificio principale ha i muri chiari leggermente strombati alla maniera tibetana ed accoglie al suo interno una meravigliosa scultura dorata alta 26 metri, quanto l’intero edificio. Ipnotizzati dalla bellezza dell’armonioso colosso che incarna il Buddha della felicità seguiamo il flusso dei fedeli in preghiera che si muovono in senso orario lungo il circuito perimetrale. Sui due lati dello stretto passaggio trovano posto centinaia di cilindri di ottone che i fedeli fanno ruotare pregando, l’atmosfera è piuttosto suggestiva ed il Dio della felicità perfetta che ammiriamo da ogni angolazione possibile è assolutamente super. I cilindri ruotano anche all’esterno del tempio dove raccolti in strutture di legno, i mulini di preghiera, emettono lievi fruscii mentre espandono l’energia nell’universo intero…. il segreto è nel loro contenuto. Al loro interno infatti trovano posto i testi sacri scritti in lingua tibetana e quindi incomprensibili ai mongoli…. la rotazione dei mulini di legno espande però simbolicamente nell’aria la preghiera che i testi contengono e che i mongoli non potrebbero mai recitare…. comodo no?…. così tutti possono pregare, muti ed analfabeti compresi. Ancora attorno al tempio si trovano gli Stupa, i piccoli templi sacri ai quali fare riferimento per le preghiere, talvolta colorati e con immagini dipinte tratte dall’iconografia buddista. C’è un gran fermento di fedeli oggi ed i cilindri di ottone continuamente ruotati diffondono un brusio leggero che è come una carezza. Gli echi del tempio si sviluppano sui lati della strada che scende verso il centro della città dove in bassi edifici sgangherati vi sono i guaritori e le farmacie alternative legate alle pratiche sciamaniche e buddiste che convivono in armonia completandosi a vicenda. Camminando lungo le lame d’ombra aderenti gli edifici raggiungiamo il Museo di Scienze Naturali famoso per gli scheletri dei dinosauri e le loro uova ritrovate nel deserto del Gobi, poi è già l’ora dello spettacolo di musica e danze tradizionali al Teatro d’arte drammatica che si trova nei pressi dell’hotel…. L’edificio è in stile neoclassico con elementi architettonici in rilievo che emergono bianchi sull’intonaco rosso, vi assistiamo ad uno spettacolo appassionante fin dalle prime note emesse dal famoso liuto mongolo partorito da una cultura che ha sempre considerato il canto e la musica come fondamentali nella vita di ognuno fino a raggiungere i virtuosismi che stiamo ascoltando. Note profonde e gutturali si mescolano alle melodie degli strumenti in armonioso duetto mentre i cantori ed i musicisti solisti sfoggiano oltre alle voci strepitose anche gli abiti tradizionali che ci appaiono come delle piccole opere d’arte…. peccato che il pubblico prevalentemente mongolo quindi indisciplinato e cagnarone abbia finito col distrarci con vocii insistenti e fuori luogo…. ma poi scopriamo che la signora che non ha mai smesso di parlare per tutto lo spettacolo è americana…. che dire! La giornata non è ancora finita…. Uchka arriva puntuale alla fine dello spettacolo per condurci a cena in un ristorante che sarà una sorpresa e dove arriverà anche la moglie che abbiamo invitato, ma poi quando arriviamo al Mongol Hotel, un complesso turistico realizzato sulla falsariga dell’antica Karakorum, con la moglie arriva tutta la famiglia. Persone squisite con le quali trascorriamo una serata piacevolissima nel ristorante nuovo e semi deserto che propone piatti di cucina internazionale, cinese e mongola. La serata termina con una serie di regali che ci vengono consegnati dalla madre di Uchka come da tradizione…. una bottiglia di vodka, due confezioni di tè nero da frantumare nel mortaio, un sacchetto di formaggio secco perché il latte è un alimento sacro della cultura nomade ed un borsellino di pelle che contiene tutte le banconote di piccolo taglio come portafortuna…. sono stati davvero carini!

19 Luglio 2010

LA PARTENZA DALL’ITALIA DI FABIO E GAIA:

Ferrara ore 8.30, prendo lo zaino e mi incammino verso casa di Gaia dove mi aspettano lei e la Lella che ci accompagnerà all’aeroporto di Venezia, direzione Ulaan Baatar !!
Sono emozionato ma soprattutto curioso di cosa mi aspetterà nei giorni seguenti, per me è la prima volta che faccio un viaggio così lungo in aereo e che vado in una parte del mondo così lontana dalla mia terra cui sono molto legato. Arriviamo finalmente all’aeroporto, salutiamo la Lella ed andiamo verso l’entrata, finalmente facciamo il check in, imbarchiamo le valigie e Gaia non fa altro che ripetere – speriamo che le nostre valigie arrivino ad Ulaan Baatar!- io le dico di stare tranquilla che tanto non ci sarebbero stati problemi. Andiamo a mangiare un trancio di pizza, facciamo un giretto e ci imbarchiamo per Mosca dove è previsto lo scalo per fare il cambio di aereo. Il viaggio in aereo è andato abbastanza bene ma ci servono un pranzo disgustoso….. pollo e pasta con verdurine. Lo si mangia perché si ha fame poi io crollo in un sonno profondo e mi sveglio quando stiamo per arrivare a Mosca. Una volta scesi siamo obbligati a rimanere all’interno dell’aeroporto che tra l’altro è immenso, passiamo una specie di frontiera e andiamo verso la nostra uscita per imbarcarci per Ulaan Baatar. Tempo che Gaia fumi una sigaretta io mi bevo una birra e aspettiamo per l’imbarco in ritardo di trenta minuti. Gaia sempre in pensiero per le nostre valigie, finalmente partiamo. Ci servono la cena questa volta ottima, uno spezzatino con della pasta. Ci prendiamo anche due bottiglie di vino in più, Gaia mangia anche il dolce che dice essere stato molto buono. Tutti e due visto che fuori c’è buio e non c’è nessun panorama da osservare crolliamo nuovamente nel sonno e ci svegliamo alle 6.30 della mattina quando con l’aereo siamo sopra il territorio mongolo. Noi siamo seduti nella corsia centrale e allunghiamo la testa per vedere il paesaggio fuori dai finestrini…. siamo riusciti ad intravedere delle montagne e verdi praterie, non facciamo che dire – che bello!-

19 Luglio 2010

ULAAN BAATAR

Sono arrivati i ragazzi! Quando rientrando dall’aeroporto Vanni mi sveglia è felicissimo nonostante la stanchezza per la sveglia prestissimo…. la prospettiva della condivisione con loro di una parte del nostro viaggio dà ad entrambi una sferzata di energia ed anche di leggera responsabilità nel proposito di farli stare bene e di mostrare loro il meglio di questa città il cui primo impatto non è proprio di grande effetto. E’ così che dopo la gioia di un bell’abbraccio ed una mezz’ora spesa per un’ abbondante colazione in hotel esco con loro per una visita al monastero Gandam Khiid oggi decisamente meno affollato. Dopo aver baipassato il tentativo di imbroglio del taxista pur regolare che a metà strada ha azzerato il tassametro per giustificare una tariffa arbitraria, ci avviamo verso l’imponente tempio con doppia copertura a pagoda in stile tibetano, sempre quello che contiene la grande statua di Megjid Janraiseg il “Dio che guarda ovunque” ospitato nel “monastero della felicità perfetta”, il cui corpo in acciaio e rame rivestito da una bella doratura rilucente che lo avvolge, dovrebbe contenere al suo interno gemme preziose e gli immancabili testi sacri. I cilindri della preghiera frullano un pò meno oggi, ma riusciamo finalmente a vedere qualche monaco. Vestiti del tradizionale abito rosso due file di monaci bambini occupano i lati di un piccolo tempio adiacente, recitano litanie mentre suonano piatti di ottone e trombe…. non sembrano molto convinti di ciò che fanno proprio come i loro colleghi adulti che si distraggono presto con le bottigliette di aranciata che sono state loro donate da un fedele. Manca il suggestivo pathos che avevo percepito nei templi buddisti in Cina, ma forse si trattava allora di attori ben pagati dal governo comunista nell’intento di offrire ai turisti una visione distorta del paese…. comunque va detto che recitavano davvero bene! Immersi nella canicola del mezzogiorno riconquistiamo l’hotel con una bella passeggiata e mentre i ragazzi svengono sul loro lettone sfiniti dalla stanchezza io accompagno Vanni ed Uchka al mercato dell’auto per recuperare alcune viti e l’olio…. è come entrare in un girone dell’inferno non privo di un certo fascino dove centinaia di continers distribuiti a casaccio in un grande piazzale offrono in vendita parti di auto demolite ….. vi si trova di tutto …. dai motori alle marmitte, dai volanti alle immancabili balestre… Vanni visibilmente conquistato da tanta abbondanza e felice di essere nel suo elemento si perde ad osservare cercando ciò che gli serve …. due viti particolarissime che infine trova. Fa da sfondo alla nostra prima serata insieme la terrazza del ristorante “La Veranda” dove godiamo del buon cibo e del tepore piacevolissimo di questa serata…. per la prima volta stiamo bene in maglietta anche dopo il tramonto.

19 Luglio 2010

L’ARRIVO A ULAAN BAATAR DI FABIO E GAIA:

Qui in Mongolia ci sono sei ore in più rispetto all’Italia, quindi siamo atterrati alle sette. Andiamo a prendere le valigie dopo aver compilato i moduli dei quali non sapevamo nulla e per i quali ci siamo fatti riprendere dai poliziotti alla frontiera dell’aeroporto…. avevamo troppa voglia di scoprire la Mongolia! Andiamo a prendere i bagagli ma l’unico nastro trasportatore ha almeno vent’anni ed è vecchissimo, è così che mi fingo un impiegato dell’aeroporto spostando i bagagli che si incastrano e impediscono lo scorrimento di quelli che li precedono. Morale? …. solo la valigia di Gaia non è arrivata!! E’ disperata poverina, infatti quando usciti dall’aeroporto c’è Vanni ad accoglierci ( si vede che è contentissimo ) Gaia scoppia in lacrime mentre Vanni la incoraggia…. domani dovremo tornare a recuperarla.

30 Gennaio 2008

ULAAN BAATAR

Consumiamo la giornata girovagando per la città a caccia di souvenir che però non soddisfano nessuno di noi per la loro scarsa qualità, probabilmente made in China. Persino le famose scarpe da ginnastica All Star non hanno lo stesso look di quelle che si trovano sul mercato italiano…. ma29 anche il prezzo è decisamente diverso. Rientriamo con un magro bottino cui fa eccezione il bel poncho di cachemire che avevo adocchiato nel foyer del teatro e che indossato da Gaia fa la sua bella figura. Di vedere lo spettacolo folcloristico i ragazzi non ne hanno proprio voglia e poi viene loro incontro il black-out che costringe il numeroso pubblico in attesa sotto il porticato dalle alte colonne…. ceniamo benissimo al Bistrò Francais dove l’ambiente avvolgente e rilassante ci fa sentire come a Parigi.

21 Luglio 2010

ULAAN BAATAR – BAGA GADZRIN

E’ sempre con una leggera sofferenza che si lasciano hotel confortevoli nella prospettiva di sistemazioni spartane al limite della decenza ma il richiamo del deserto del Gobi è forte e l’entusiasmo di tutti noi alle stelle. Usciamo dalla capitale seguendo la strada dell’aeroporto finché all’asfalto si sostituisce l’avventura delle verdi montagne che affrontiamo questa volta con l’aiuto del GPS di Uchka e dei suoi vaghi ricordi. Non deve essere semplice destreggiarsi fra le numerose piste che si sviluppano come un reticolo sul territorio, né scegliere fra due possibilità ad un bivio quando gli unici riferimenti sono i punti cardinali suggeriti dalla posizione del sole, ma a volte Uchka sembra non essere mai stato qui. L’entusiasmo dei ragazzi di fronte ai paesaggi mai visti si mescola alle incertezze di Uchka smorzando le tensioni che immancabilmente ne derivano, e così dopo diverse soste fatte per ammirare qualche vallata particolarmente bella così come le lontane yurte e gli Ovoo rituali attorno ai quali anche noi ruotiamo tre volte lanciando i tre sassolini come vuole la tradizione, troviamo infine la pista giusta con l’aiuto delle indicazione dei rari personaggi che incontriamo avvicinandoci alle loro gher. Ci fermiamo anche quando Gaia con un grido di entusiasmo ci fa capire che quelli la fuori sono i primi cammelli della sua vita….. in compagnia della sua Nikon sempre pronta allo scatto dà sfogo alla necessità di fissare le immagini che diventeranno i suoi ricordi…. forte di questa complicità approfitto anch’io dell’improvvisa grande disponibilità di Vanni alle lunghe soste per i nostri safari fotografici per immortalare le mandrie di cavalli al galoppo e le decine di falchi in volo o immobili in attesa fra i ciuffi d’erba, così come le greggi di capre seguite dai mandriani a cavallo che rappresentano, oltre ai bellissimi paesaggi, gli aspetti più insoliti e suggestivi del nostro viaggio di oggi che sembra non avere mai fine su queste piste che percorriamo per otto ore a coprire solo 270 km. Quando infine arriviamo al nostro campo gher è già metà pomeriggio ed il calore è ancora fortissimo…. l’assenza della stufa per ovvi motivi suona per noi come la garanzia di non dover dormire fuori cedendo alla curiosità di vederla accesa… non si sa mai! Manca ancora la ciliegina sulla torta, rappresentata dalla particolare formazione di roccia granitica vista dipinta nella sala ristorante… la raggiungiamo puntando la prua sull’unica montagna visibile, ancora inseguendo piste dentellate nell’ampio territorio che ci contiene come piccole formiche. Il profumo intenso delle erbe aromatiche che ricoprono la vallata entra a solleticare il nostro olfatto, poi quando ormai la lunga montagna è stata raggiunta e percorsa quasi interamente a valle, Uchka dice che dobbiamo fermarci….. chissà cosa ha riconosciuto …. Ci arrampichiamo per un breve tratto sulle rocce arrotondate dall’erosione fino a raggiungere un piccolo Ovoo, poi ecco la sorpresa che arriva come un colpo di scena. Spostando una piccola pietra quadrata Uchka rende visibile un foro nascosto sulla superficie orizzontale della roccia, e calando un bicchierino fissato in fondo ad un bastone ci porge l’acqua della quale ora è pieno…. ma non è ancora finita ….. al mistero della presenza di quest’acqua dentro la roccia si aggiunge quello dei suoi poteri curativi…. sembra infatti che possa guarire dalle malattie agli occhi…. Ci sottoponiamo al rito bagnando gli occhi con il magico liquido che per quanto ne sappiamo potrebbe essere stato infettato attraverso il bicchierino da qualche malato che lo abbia toccato…. poi andiamo oltre fino a raggiungere un edificio diroccato immerso in una formazione rocciosa da favola dove il granito modellato dall’erosione si mostra in forme bitorzolute variamente sagomate che si alzano dallo zoccolo compatto. Il piccolo edificio del quale rimane ben poco fu usato come monastero da due monaci che vi abitarono oltre un secolo fa…. ed ora sembra piuttosto disturbare la perfezione di forme di questo luogo disseminato di piccoli Ovoo che si stagliano contro il cielo, manufatti che quasi si confondono con le protuberanze naturali modellate dal vento nel corso dei millenni. Rientriamo al campo gher Erdene – Ukhaa ( Lo 105°52’23” – La 46°16’55” ) ancora immerso nel calore…. ma non ci appare così bello come Uchka lo aveva descritto per convincerci ad andare… uffa!

22 Luglio 2010

BAGA GADZRIN – TSAGAAN SUVRAGA

La sveglia suona per tutti alle 6.30 come deciso da Vanni, solo io vengo miracolosamente risparmiata fino alle 8 quando i ragazzi spazientiti gli chiedono cosa stia aspettando a buttarmi giù dal letto. Puntiamo decisamente verso Mandalgovi dove ci fermiamo per un paio di saldature ai supporti della tenda fissata sul tettuccio di Asia. Raggiuntala vediamo una cittadina polverosa e senza attrattive se non questa officina a cielo aperto dove sotto il sole cocente un giovane fabbro si presta ad eseguire il lavoro…. ormai è un classico che i supporti della tenda si rompano e dopo l’avventura del Sahara che ci ha visti ricorrere ad una corda per fissare il guscio al portapacchi di Gazelle è ora il turno di Asia che dopo migliaia di chilometri di buche ed effetto greder ha infine ceduto. Che caldo…. la temperatura aumenta fino a sfiorare i 40°C quando pronti per ripartire puntiamo la nostra prua verso Sud. Siamo sulla pista principale segnata in rosso sulla carta stradale, niente più falchi o capre a rompere la monotonia del viaggio, ma gruppi di cammelli che sempre più numerosi ci introducono al deserto del Gobi nel quale ci caliamo pian piano fino a trovarci in spazi senza più limiti visibili….. nel nulla cosmico come ama chiamarlo Vanni, modulato nelle sfumature dei gialli, dell’avorio e del verde impolverato della vegetazione che riesce a sopravvivere nonostante la lunga siccità estiva. Gaia intanto accusa i sintomi di una brutta infezione intestinale che l’ha messa ko…. il calore, la polvere ed i disagi del viaggio non l’aiutano certo a riprendersi, così approfittiamo dell’ennesima indecisione di Uchka per spingerci fino al villaggio di Tsogt Ovoo a caccia di una farmacia. Sono già le 17.45 quando finalmente la troviamo e noi tutti praticamente disintegrati per le otto ore di viaggio nel caldo torrido….. ne usciamo con un bel bottino di medicine ed un ubriaco molesto attaccato alla portiera aperta posteriore lato Uchka. Non molla la presa nemmeno quando Vanni esasperato affonda il piede sull’acceleratore balzando in avanti per un paio di metri…. l’ubriaco ora urlante è ancora lì attaccato e vuole da noi una bottiglia di birra. A nulla valgono i 1000 T che gli mettiamo in mano, gli occhi vitrei, pretende una bottiglia. Uchka completamente bloccato non reagisce….. è Vanni a scendere. Lo afferra per un braccio allontanandolo da Asia, gli mette in mano i 1000 T e ripartiamo ancora agitati per l’incidente. Qualche nuvola scura ci regala una piacevole ombra nei 17 km che ci separano dal campo, modulando la distesa leggermente ondulata in accenni di dune con complicazioni cromatiche davvero accattivanti. Ogni tanto i pneumatici affondano nella sabbia regalandoci sprazzi di emozioni passate, altre volte salgono arrampicandosi in improvvisi rilievi dei quali nemmeno ci eravamo accorti. Infine arriviamo nel campo gher del quale Uchka ci aveva parlato come del peggiore di tutto il tour del Gobi…. sarà perché è immerso in questo nulla che a noi piace da impazzire o per la squisita ospitalità dei proprietari ….. così come per la pulizia impeccabile dei bagni e delle lenzuola…. rappresentando per noi l’obiettivo finalmente raggiunto dopo nove ore di viaggio faticoso, siamo felicissimi di essere qui al “Gobi Stupa” ( tel. 9959 8466 – 9959 8592 – 9583 9953. 44°34‘29.9”N 105°38‘44.6”E ). Anche Gaia sta meglio dopo il giro in cammello e la doccia fatta con un filo d’acqua….. la cuoca ci delizia poi con una cena squisita che vede l’immancabile insalata russa accanto al pollo arrosto ed un bel piatto vegetariano a base di peperoni per me. Intanto si è alzato un bel venticello del quale godiamo a lungo mentre osserviamo la luna quasi piena che si impone incontrastata alla nostra attenzione ed i lampi lontani di un temporale senza pioggia…. che felicità essere qui! La totale assenza di ragni rende poi le nostre gher insuperabili …

23 Luglio 2010

TSAGAAN SUVRAGA

Gaia sta troppo male per ripartire così approfittiamo della piacevolezza del luogo per riprendere fiato un po’ tutti mentre l’ instancabile Vanni si proietta almeno con la fantasia su nuovo obiettivo da raggiungere…. la miniera d’oro attorno alla quale si è steso fin da ieri un alone di mistero alimentato da Uchka. Pare che centinaia di disperati in cerca di fortuna abbiano costruito le loro gher nei pressi di questa miniera e che scavino disposti a tutto in cerca di qualche pagliuzza …. Uchka è spaventato all’idea di raggiungere quel luogo del quale non si conosce nemmeno la posizione precisa ….. L’informazione più certa è che si trova in un raggio di 50 km attorno a Tsagt Ovoo. Dice di aver visto un servizio in tv relativo a questi avventurieri che vengono soprannominati Ninja dagli stessi locali… ciò che immaginiamo ascoltando il suo racconto è una miniera molto simile a quella vista in Mali, dove la falda aurifera viene raggiunta scavando in verticale fori circolari e proseguendo poi in orizzontale fino ad esaurimento della vena. Mancano nel suo racconto i colori e l’allegria dell’Africa così come il senso di ospitalità e la spensieratezza che avevano reso quella nostra avventura in Mali una divertente scampagnata …. da qui non usciremmo integri dice Uchka spaventato! Poco dopo la colazione siamo tutti in costume da mare per far fronte alla canicola nel migliore dei modi possibili….. in processione continua tra una gher e l’altra per due chiacchiere o una partita a backgammon arriva nel bel mezzo della noia un suggerimento della signora del campo per risolvere il malessere di Gaia con un rimedio tradizionale mongolo che consiste nel mettere al sole una bacinella di acqua fino a scaldarla per poi bagnare con quell’acqua la testa ed i piedi, rimedio al quale Gaia rinuncia da brava occidentale. La testa avvolta nelle magliette bagnate cerchiamo tutti di trovare sollievo al calore sordo che si alza dal deserto in aliti roventi, il silenzio rotto solo dal rumore secco degli ossicini di capra con i quali i bambini del campo stanno giocando. Quando nel tardo pomeriggio raggiungiamo la strepitosa “Stupa Bianca” ad una decina di chilometri da qui, sto malissimo anch’io ed a fatica resisto senza crollare di fronte alla straordinaria bellezza di questa lunga ed articolata falesia bianca alta circa una trentina di metri ed erosa in formazioni cilindriche che sprofondano verso il bassopiano sottostante. Arrivando in auto non ci eravamo resi conto del baratro non segnalato poco più avanti ….. considerando come guidano qui in Mongolia chissà quanti sono precipitati là sotto con l’auto spinta a tutta velocità nel vuoto …. Ci avviciniamo a piedi al limite della falesia per osservare il profilo articolato e le sfumature cromatiche delle montagnette che si sviluppano come dune compatte nella piatta distesa sottostante e che rendono il paesaggio di una bellezza straordinaria dove la natura non si è risparmiata esibendosi in sfumature dal rosso al viola al bianco dalla base alla cima delle dune, al bianco totale della falesia che le contiene delimitandole verso Est come a segnare il confine fisico fra due territori completamente diversi, quello piatto ed anonimo punteggiato di ciuffetti impolverati dal quale siamo arrivati e quello ondulato e variopinto che vediamo trenta metri più in basso. E’ ufficiale…. sono anch’io vittima di un colpo di calore…. del resto oggi il caldo torrido non ha ceduto al fresco della sera nemmeno dopo l’imbrunire!

24 Luglio 2010

TSAGAAN SUVRAGA – DALANZADGAD

Grazie a qualche compressa di Imodium questa mattina siamo pronte per ripartire … cosa che facciamo verso le 8.30, quando desiderose di scoprire altre bellezze del Gobi saliamo su Asia per dirigerci verso Dalanzadgad, una cittadina impolverata ma fin troppo tirata visto il luogo nel quale si trova, il profondo sud del Gobi. La raggiungiamo in poco più di due ore seguendo la pista che si snoda nel paesaggio infinito di questo deserto di sassi rinverdito dei soliti ciuffetti che vi spuntano. Offrono la misura del benessere di questa cittadina i prodotti in vendita in un piccolo negozio del mercato tra cui le pesche, le banane e strane pere sferiche esposti con religiosa cura …. altro segno di sviluppo la banca che cambia anche gli euro! I dolori iniziano quando uscendo dalla cittadina Uchka non azzecca la pista giusta per raggiungere la famosa Yolyn Am, la bocca dell’avvoltoio, nonostante le indicazioni fornite dal benzinaio … e così è tutto un chiedere ed un aggiustare il tiro rimbalzando da una pista all’altra per 50 km nel corso dei quali Vanni dà segno di essere diventato isterico, sempre incazzato urla anziché parlare…. e dire che non era così e le decine di situazioni analoghe vissute nei viaggi precedenti erano sempre affrontate con il giusto distacco e senso di avventura… Infine a metà pomeriggio conquistiamo la sbarra d’ingresso al parco dalla quale proseguiamo serpeggiando tra i bassi rilievi che introducono alle alte pareti rocciose ma dopo circa sei chilometri foriamo! Si può facilmente capire la reazione di Vanni, nervoso fin da questa mattina e che vedevo ogni tanto fare le corna con le mani strette sul volante….. non ci sono parole per descrivere la tensione dei primi 30 secondi …. poi grazie anche all’aiuto di Fabio ed Uchka in un tempo che sembra breve siamo a percorrere gli ultimi due chilometri di pista in un saliscendi che ci porterà nella stretta vallata chiusa tra gli alti speroni che rappresenta l’imboccatura della gola. Fabio e Gaia proseguono a cavallo mentre io ed Uchka ci incamminiamo tra i cespugli di menta fiorita ed i cespugli di incenso, quegli stessi che seccati e bruciati sprigionano il loro profumo nei templi buddisti. Stiamo seguendo il corso del ruscello che scorre segnando la valle sempre più stretta mentre lassù nel cielo, oltre le cime rocciose che svettano bitorzolute oltre i 2500 metri si aggirano gli avvoltoi in ampie ed armoniose volute. In due chilometri raggiungiamo la parte più stretta della gola le cui pareti sembrano sfiorarsi sopra i residui del nevaio che in inverno supera i due metri di altezza rendendo inaccessibile il passaggio. Chissà come dev’essere affascinante il paesaggio sommerso dalla neve e chissà se gli avvoltoi si alzano in volo anche quando la temperatura dell’aria scende a sfiorare i -50°C…. Avevo letto così bene di questo luogo che ne rimango delusa, rispetto al ricordo di altri luoghi analoghi visti qua e là questa gola sembra piuttosto normale a parte la presenza di venditori mongoli di souvenir, e poi il mio cuore è ancora rapito dal fascino dell’incredibile Stupa Bianca vista ieri. Quando dopo un’oretta torniamo sui nostri passi Vanni sembra aver recuperato il buonumore di sempre…. dico sembra perché quando poco dopo essere ripartiti Uchka si mostra ancora incerto sulla pista da seguire la tensione a bordo è da coltellate! Ci salva l’arrivo al meraviglioso “Lodge Three Camel” nei pressi di Havtsgayt che Uchka è riuscito a prenotare non si sa come…. Arriviamo piuttosto tardi poco dopo aver avvistato le lontane yurte bianche del campo con al centro un enorme edificio che sembra un’astronave. Senza nemmeno vedere la gher deluxe ci accomodiamo nelle bellissime standard, ampie e ben arredate con letti di legno dipinto da una piazza e mezzo, mobiletto e tavolino coordinati…. lenzuola candide ed un bel ragno sul cuscino di Vanni. I bagni comuni sono un capolavoro….. ricavati nel fresco interrato dell’edificio di pietra con copertura a pagoda che ospita il bar, sono anch’essi completamente rivestiti di pietra scura e sono pulitissimi e profumati. L’accappatoio in camera poi ci commuove quasi quanto l’ottima cena a base di verdure fresche coltivate nelle serre qui accanto….. infine godiamo dello spettacolo della luna piena comodamente seduti nelle poltrone di pelle sulla terrazza, contiene anche un piccolo telescopio che ce ne rimanda una immagine dilatata e nitidissima…. davvero una bella oasi questo Lodge, peccato non aver la forza di sfruttare appieno il lettone finalmente comodo per due coccole….. sono a pezzi!

25 Luglio 2010

DALANZADGAD – KHONGORYN ELS

Apriamo gli occhi con la consapevolezza che il viaggio di oggi sarà difficile come annunciato ieri da Uchka con argomentazioni inconfutabili relative alla pista che dovrebbe presto ricoprirsi delle rocce della catena di montagne che attraverseremo e che fanno parte del Parco Nazionale di Gurvan Saikhan, le stesse che contengono la gola degli avvoltoi vista ieri. Con questa premessa e con la sosta obbligata dal gommista a Bulgan decidiamo di partire alle otto…. i chilometri che ci separano dall’obiettivo di oggi dovrebbero essere solo 160, ma la possibilità di dover procedere per lunghi tratti ai 20 km/h ci costringe a prepararci in fretta e senza storie. Copriamo i primi 30 km di comoda pista in trenta minuti ma dopo la sosta dal gommista a Bulgan sul GPS di Uchka i chilometri ancora da percorrere anziché essere diminuiti sono lievitati a 250! Per fortuna si tratta di un errore ed anche la pista che attraversa la catena montuosa si rivela assolutamente comoda a parte il fastidioso effetto grader che ci fa vibrare e quasi andare in risonanza insieme ad Asia ed a tutto il suo contenuto. Miracolosamente poi oggi non sbagliamo nemmeno una volta e così a mezzogiorno siamo già sull’altro versante del valico, fermi su un cocuzzolo ad osservare il cordone di dune che per la foschia sembra ancora lontanissimo. In pochi minuti invece arriviamo al campo Gobi Discovery. Due chiacchiere con un gruppo di turisti ed un pasto veloce, di salire sulle dune non se ne parla fino al tramonto, il momento più bello per le piacevoli sfumature rosate delle quali si colorano le dune. Finalmente vedo Uchka felice di non avere mai sbagliato strada…. proprio ieri sera mi aveva confidato che avendo sempre accompagnato gruppi con autista non si era mai troppo preoccupato di memorizzare le piste che percorrevano, ed il suo Gps mongolo non è propriamente uno strumento di precisione…… del resto come potrebbe esserlo in un territorio segnato da reticoli di piste dove ognuno può liberamente seguire la sua personalissima strada inventandosela sul momento? Avendo ancora qualche ora di pausa prima dell’avvicinamento alle dune ne approfittiamo per due coccole nonostante ci siano 40° all’interno della nostra gher….. praticamente un tentativo di suicidio! L’ombra della ventilata tettoia rimane il luogo più gettonato dai turisti anche per il pranzo …. da qui si può ammirare il paesaggio ora visibile in ogni dettaglio. Nonostante le diverse esperienze già maturate nei meravigliosi deserti africani ci troviamo qui di fronte ad un paesaggio assolutamente originale che vede le dune chiare coronate in alto dalla catena montuosa scurissima ed estremamente sfaccettata. In primo piano invece, oltre le gher del campo si stende un prato verde che seguendo un corso d’acqua si spinge fino alla base delle dune, come un immenso tappeto soffice dove pascolano i pochi cavalli ed i cammelli. Dopo una lunga siesta dentro la gher infuocata usciamo in missione ed a bordo di Asia ci allontaniamo lungo la pista che corre parallela alle dune distanti qualche chilometro….. nasce un equivoco. Uchka intende portarci alle dune più alte che vediamo laggiù in fondo, Gaia ed io invece siamo attratte dai movimenti morbidi di queste più vicine e così ci fermiamo in mezzo alla pista. Vanni incazzato per l’incomprensione ci molla sulla pista mentre noi ci incamminiamo verso quel cordone che sembra di poter toccare con una mano, di sabbia ora leggermente più scura per la luce smorzata delle sei del pomeriggio. Con le magliette bagnate in testa ci avviamo in ordine sparso verso l’obiettivo illusi che la bottiglietta d’acqua possa coprire il fabbisogno di ognuno di noi per l’intera passeggiata che ci vede in un primo momento attraversare le basse dune di sabbia compatta rivestite di una rada vegetazione impolverata. Dopo una mezz’oretta ci troviamo di fronte ad un canyon sul cui ampio fondo si alternano aree paludose color verde acceso e la sabbia rossa bagnata dalla lama d’acqua che vi scorre sinuosa. Una sorta di barriera naturale che superiamo scendendo ed affondando i nostri piedi nudi nella melma nascosta da un sottile strato d’erba dal quale escono centinaia di insetti come impazziti dalla nostra fastidiosa presenza, e le piccole rane scure che saltano da un escremento all’altro degli animali che si sono abbeverati qui. Camminiamo ancora per una trentina di minuti fino ad arrivare ad una fascia di erba alta e verdissima…. le nostre dune ancora lontane da noi come un’ora fa. Decido che è ora di fermarci nonostante la scelta si riveli assolutamente impopolare presso i ragazzi, soprattutto per Fabio che stizzito si allontana e chiude ogni comunicazione. Sentendomi responsabile di Gaia e conoscendo le insidie del deserto , l’acqua quasi terminata nelle nostre bottigliette e l’obiettivo ancora lontano, ritenendo di aver fatto la scelta giusta, poco dopo le sette di sera iniziamo a percorrere a ritroso la nostra strada, mentre le dune alle nostre spalle si animano di un chiaroscuro che le rende meravigliose….. amo il deserto! Sono la prima a raggiungere Vanni fermo fuori dall’auto ed al suo frizzante “ciao amore mio” rispondo con un laconico “acqua”! Assolutamente disidratata afferro la bottiglia e ne ingurgito mezzo litro senza ancora sentirmene sazia, mentre il sole viene inghiottito da una sorta di alone denso che avanza da Sud alto sull’orizzonte…. Uchka ipotizza si tratti di una tempesta di sabbia in arrivo ed ha ragione. Il tempo di rientrare al campo e di fare una doccia e si scatena un inferno…. la sabbia sparata in ogni direzione dal vento fortissimo …. è la prima tempesta di sabbia della nostra vita e sentendoci al sicuro qui nel campo ne siamo piuttosto divertiti. Diventa così un gioco uscire dalle docce per affrontare il breve tratto fino alla gher e poi di nuovo al ristorante con la testa protetta da un ampio asciugamani…. e che strana cosa vedere la luce della luna piena gialla di polvere! …. la tempesta ha reso questa serata indimenticabile.

26 Luglio 2010

KHONGORYN ELS

Dedichiamo la mattinata alla scalata della duna di sabbia, la più alta di questo deserto che si sviluppa sulla superficie piuttosto contenuta di 1200 km e di cui questo rappresenta il fronte più alto. Sono già le nove quando i ragazzi intraprendono la ripida salita dei 300 metri dapprima procedendo sui crinali più bassi e poi affrontando la parete quasi verticale per la quale si aiutano anche con le mani. Vanni li ha osservati con il binocolo in ogni step della loro impresa mentre io ho cercato di imitarli cedendo però ad un terzo della dura salita dove sono crollata affondando nella sabbia soffice e calda…. che piacere mi da essere immersa in questo elemento, e soffermarmi a lungo a contemplare dall’alto la distesa sottostante contenente anche Vanni accanto ad Asia. Finisco con l’osservare anch’io i nostri eroi già quasi sulla cima dell’alta duna ora bianca della luce del mezzogiorno….. è proprio così che si sentono Fabio e Gaia, per aver sopportato oltre la fatica ed il caldo anche la perplessità se non la paura legata alle vibrazioni dell’ultimo tratto ed il rombo della sabbia che sembrava dover franare sotto di loro una volta conquistata la cima. Finalmente contento anche Fabio perde il cipiglio del bimbo al quale è stato tolto il giocattolo e riappare radioso e felice dell’impresa condivisa con Gaia. Dopo l’immancabile siesta del pomeriggio ecco arrivare puntuale alle 18.30 il cammelliere che ci accompagnerà alle dune qui di fronte, le più vicine al campo. E’ un ragazzo mongolo di una trentina d’anni ed il suo viso abbronzato abbastanza bello da meritare di comparire nelle numerose foto che gli scatto con un certo piacere. Con un bel sorriso aperto e fiero ci aiuta a montare in sella mentre ci spiega i nostri ruoli che Uchka traduce….. impossibile approfondire la nostra reciproca conoscenza dato che l’unica parola comprensibile ad entrambi è “stop”. Nonostante si tratti di una esperienza da turisti ci divertiamo come bambini di fronte a qualche improvviso scatto dei nostri animali e godiamo del piacevole incedere mentre il sole sempre più basso smorza il calore ed esalta le forme della meravigliosa sequenza di dune nelle quali siamo ora immersi attraverso sinuose lingue d’ ombra che si stagliano sulla sabbia chiara mossa in leggere ondine e sulla già scura catena montuosa che fa da sfondo. Rapiti dalla bellezza che ora è anche sotto ai nostri piedi, riassunta in forme perfette ed assolutamente immacolata, rimaniamo immersi nel piacere fino a quando il bel cammelliere ci invita a risalire appoggiando i nostri sederi doloranti tra le due gobbe…. a malincuore eseguo l’ordine mentre considero che è sempre troppo poco il tempo che dedico al deserto!

27 Luglio 2010

KHONGORYN ELS – ONGIYN MONASTERIES

Il caldo è già insopportabile quando prima delle nove partiamo con destinazione Bayandzag attraverso la pista che punta a Nord verso la catena montuosa Bayan Borin Nuruu e che scivola poi sulle pieghe lievi di una pianura senza confini…..siamo ancora sulle piste di terra secca e polverosa il cui effetto grader continua a mandarci in vibrazione insieme ad Asia. Il progetto di massima del nostro tour del Gobi prevedeva la sosta di un giorno a Bayandzag ma stanchi delle delle lunghe sieste roventi in gher decidiamo di andare oltre subito dopo averne visto la bellissima falesia rossa variamente erosa in speroni infuocati che irradiano sui nostri corpi tutti i 50°C di oggi. Rientro esanime in auto dopo soli quindici minuti di sopralluogo, rossa infuocata anch’io come le rocce là fuori…. certo la bellezza di questa formazione rocciosa avrebbe meritato una lunga sosta comprensiva di un tramonto lì sotto la falesia per ammirarla nella sua massima intensità cromatica. Invece ripartiamo quasi in fuga verso il Nord abbandonando questa meravigliosa e poliedrica regione del Gobi, popolata di cammelli e cavalli, di lucertole e di volpi selvatiche ….. e che dire delle sterminate pianure verdi dei ciuffetti di vegetazione che riescono a sopravvivervi…. ed i rilievi rocciosi, le falesie policrome variamente erose in spettacolari sculture naturali e quella superficie di sabbia magicamente stretta fra la catena di montagne scure e la vegetazione verdissima alimentata da una sorgente sotterranea…. complicato dalle ombre delle rade nubi di oggi il profilo dei bassi rilievi che inseguiamo salendo ci appaiono come piramidi bianche e nere o come cappelli che terminano in bitorzoli appuntiti. Sabbia ed erbe, rocce vive o pendii ricoperti di verde, l’unica costante sono anche oggi le bellissime gher bianche sparse qua e la, solitarie o raccolte in piccoli gruppi familiari presso le quali oggi non ci fermiamo nemmeno una volta per prendere informazioni…… Uchka è diventato così bravo con il suo Gps che non ha più bisogno di sfidare la pazienza dei feroci cani da guardia! Quando nel tardo pomeriggio seguendo una pista serpeggiante entriamo in un gruppo di rilievi arrotondati che si sviluppano attorno ad un ruscello abbiamo raggiunto l’ambizioso obiettivo dell’Ongiyn Khiid. Del complesso degli antichi monasteri sono rimaste solo le basi dei muri ed i pochi reperti ospitati in un piccolo museo, tutto il resto, ovvero i due monasteri collegati da un ponte sul fiume fu distrutto dal regime comunista in piena rivoluzione culturale. La posizione che scelsero allora i monaci buddisti è così piacevolmente avvolta dalle colline che un gruppo degli stessi ha provveduto a ricostruire di recente un piccolo tempio nello stesso luogo. Al suo interno, sotto le statue dorate di Buddha le ciotole argentee sono piene di offerte, grano farina ed acqua…. I colori sono ovunque ed un complicato disegno di fiori sale lungo le quattro colonne a fondo rosso che sostengono il tetto a pagoda…… strumenti musicali e nastri colorati ovunque. Poco prima del buio raggiungiamo il nostro campo gher dotato di ogni comfort compreso un bel numero di docce, la sauna ed un grande ristorante. La novità vera sono le gher costruite con una struttura di legno lamellare fissa e finestrelle di vetro attorno alla torretta che in barba alla tipologia classica spunta verso l’alto come una corona. Meno arieggiate di quelle tradizionali vi si dorme immersi nel caldo soffocante.

28 Luglio 2010

ONGIYN MONASTERIES – KARAKORUM

Ancora una partenza presto per il lungo viaggio verso Karakorum, la capitale di Gengis Khan che fu distrutta dopo appena un centinaio di anni dalla sua fondazione. Il paesaggio sempre più verde ci regala vallate perfette anche nei profumi che emanano le erbe che le rivestono….. poi arriva dall’Italia la notizia delle gravi condizioni di salute di mio padre e così tutte le nostre energie sono concentrate da questo momento sull’organizzazione di un veloce viaggio di rientro in capitale e poi in Italia…. che peccato dover lasciare questo viaggio a metà…. e rinunciare alla compagnia di Gaia e Fabio, piacevolissimi compagni di viaggio che rimarranno soli fino al giorno del loro volo di rientro previsto per il primo di agosto. Fuori dai finestrini di Asia che si muove veloce verso “casa” ora non c’è più nulla….. una patina di grigia tristezza rende come invisibili ai miei occhi quelli che erano stati gli imperdibili scorci da fotografare di questa piacevolissima ed avvolgente Mongolia.

29 Luglio 2010

dal diario di Gaia e Fabio

Ulaan Baatar

Di ritorno ad Ulaan Baatar di nuovo!! Sono passati esattamente dieci giorni da quando abbiamo lasciato la capitale e ci siamo diretti verso la Mongolia selvaggia. Visitando questa terra ho capito una cosa: l’infinito esiste. Abbiamo percorso ogni giorno chilometri e chilometri abitati solo da maestose montagne ed immense praterie avendo come meta un campo gher circondato anch’esso esclusivamente dalla natura. Raramente la nostra strada si è incrociata con quella di qualcun altro….. a rendere eccezionali questi paesaggi che già di loro sono stupendi, c’erano mandrie di cavalli selvaggi, cammelli, pecore e capre….. con una disposizione casuale e disordinata gli animali sembravano come delle piccole macchie sulle gigantesche montagne. La cosa pazzesca della Mongolia è la varietà di panorami che riesce ad offrire. Si passa dal deserto di sabbia con dune e cammelli a verdi praterie senza quasi rendersene conto, poi dalle praterie ai deserti di roccia rossa custoditi da stranissimi grilli e fastidiose farfalle. Il nostro autista come al solito ha scelto il meglio da farci visitare. La disposizione per il viaggio è sempre stata questa: al volante sempre e solo papà, al suo fianco Ale che poco prima dell’arrivo in un punto leggeva e studiava tutte le informazioni utili relative a quel luogo…. dietro Fabio, io ed Uchka con scelta del posto casuale quanto accurata: – io voglio stare vicino al finestrinooo! – Ancora più dietro cioè nel bagagliaio la montagna di valigie che ci hanno accompagnato fino ad ora. Alcuni tratti di “strada” sono veramente stati faticosi ed interminabili ma per fortuna io e Fabio stuzzicandoci e giocherellando facevamo passare il tempo. Infatti il tempo è passato, fra tre giorni torneremo a casa anche se mi sembra di essere arrivata qui ieri. Tra domani e dopodomani io e Fabio ci faremo una bella scorpacciata di cultura mongola andando a visitare musei, monasteri, teatri e chi più ne ha più ne metta. Devo dire che pensare di tornare al solito tram tram mi mette un po’ d’angoscia….. qui sto così bene! Adesso sono le 16.00, papà è andato alla sua amata Toyota accompagnato dal suo fedele Uchka, a pensarci bene loro due mi ricordano vagamente Don Chisciotte e Sancho Panza, sono andati a depositare l’auto perché domani mattina all’alba Ale e papà torneranno in patria per sistemare alcune faccende importanti lasciandoci in questa metropoli da soli, anzi con Uchka, quindi è come se fossimo soli, a girovagare tra smog e polvere. Speriamo di cavarcela anche senza la loro colossale esperienza di viaggiatori! Fabio sta dormendo come un ghiro e dire che aveva appena finito di dire: – uffa non riesco a dormire perché non ho sonno!! –

30 Luglio 2010

Ulaan Baatar

Ieri è stato il primo giorno da soli ad Ulaan Baatar e tutto sommato non ce la siamo cavata per niente male. Sveglia alle 10.40 e ancora mezza addormentata con gli occhi ancora da stropicciare mi ritrovo la colazione in camera con Fabio nelle vesti di un cameriere. Finita la prima colazione Fabio decide di andare ad usufruire della spa situata al primo piano con sauna, bagno turco e la possibilità di fare i massaggi. Io rimango in camera a rigirarmi ancora un po’ nelle coperte. Per pranzo decidiamo di andare alla mitica “Veranda” dove mangiamo benissimo accompagnati da una bottiglia di vino. Dopo il dessert la nostra meta è il Monastero Choijin Lama che purtroppo ha ancora il portone principale chiuso e così demoralizzati gli giriamo attorno sperando che ci sia una seconda entrata e infatti la troviamo! …. a dire il vero sembra proprio questa l’entrata principale. Paghiamo i biglietti ed incominciamo a girovagare per il tempio, mento in alto e bocca spalancata osserviamo tutto con molta attenzione e mentre sto facendo delle foto una guardiana mi incita ad entrare nel tempio che sta custodendo. Stranamente la ragazza parla benissimo l’inglese e le chiedo se ha voglia e soprattutto se può farci da guida per tutto il monastero…. acconsente ed il nostro tour guidato incomincia. Quando alle 17 abbiamo finito di visitare tutto la guida ci informa che proprio in quel momento sarebbe incominciato lo spettacolo del Tempio con danze e musiche mongole, attori che interpretano gli Dei del tempio e contorsionisti. Entusiasti ci sediamo e ci godiamo lo spettacolo…. ma poi ecco che sono già le 18.30….. noooo…. il teatro! Prima di andare a pranzo eravamo passati per acquistare i biglietti ma la biglietteria era chiusa e adesso per l’ennesima sera non riusciamo ad andare a vedere lo spettacolo folcloristico. Convinti che sia il destino che ci impedisce di assistere a questo benedetto spettacolo ci avviciniamo all’edificio che si trova di fianco al teatro, è una birreria molto carina circondata da maxischermi dove passano solo concerti di grandi star. L’ora della cena si avvicina ma io non mi sento molto bene…. l’acidità di stomaco mi sta uccidendo ma riesco lo stesso a mangiare due fette di pizza che Fabio mi lascia nel piatto, dopo di che crolliamo a letto sommersi dalle coperte.

31 Luglio 2010

Ulaan Baatar

Alle cinque della mattina con ancora il buio fuori squilla il telefono…. è Uchka che è venuto a prenderci per portarci all’aeroporto…. ma oggi è il 31… e noi partiamo il primo agosto! Svegliati malamente dalla telefonata con molta fatica continuiamo a dormire aspettando la mattina.

01 Agosto 2010

Ulaan Baatar – Ferrara

Siamo partiti da poche ore per il ritorno in patria e già mi sento male. L’aereo è pieno di italiani, è come se fossi già a Milano. Ancora non risento dell’alzata violenta alle 4.45 della mattina, strano, dovrei essere già svenuta sulla mia strettissima poltroncina. Per la felicità di Fabio sto usufruendo del suo portafoglio per comprarmi qualcosa al duty free….. dicono che la shopping therapy faccia bene all’anima. Purtroppo il viaggio non è dei più tranquilli: alla nostra destra ci sono una mamma ed un papà venticinquenni con al seguito un bambino metà mongolo e metà occidentale, alla nostra sinistra ci sono una mamma ed un bambino di colore, qualche posto più indietro c’è un bambino russo di qualche anno più grande…. per fortuna non si sono ancora scatenati e spero non lo faranno mai. Mi mancherà la Mongolia, è stato un bellissimo viaggio alla scoperta di nuovi posti neanche mai immaginati, di una cultura che per quanto sembri strana è affascinante ed antica …. e poi i mongoli sonomolto ospitali e anche se non sanno chi sei ti accolgono e ti fanno entrare nella propria casa a bere del latte di cammello…. quest’ultima cosa non l’ho provata direttamente ma mi è stata riferita da fonti certe!
Qualche ora dopo.
Siamo saliti sul secondo aereo per la tratta da Mosca a Milano. Forse siamo un pò in ritardo sulla tabella di marcia. Hanno appena servito il pranzo, uno schifo schifoso. Io e Fabio abbiamo già programmato la cena di questa sera…. ormai da giorni ho l’acquolina in bocca…. o andiamo a mangiare una buona pizza o andiamo alle “Civette” così stiamo sul sicuro. Del pranzo ho mangiato solo pane e burro e ogni volta che d’ora in poi mangerò burro mi verrà in mente mio padre che mi dice sempre – No tu il burro non lo mangi perché ti fa male! – Ah ah ah! Mentre lui non stando mai male ne mangia a quintali cosparso da tonnellate di sale. Tornando al nostro ritorno… siamo seduti al 8b ed 8c, proprio nella prima fila dell’economy dove hai giusto lo spazio per spiare ed invidiare quelli che sono seduti in prima classe. Mhhh! Oltre ad essere segregati in economy abbiamo anche la fortuna di essere serviti e riveriti da una russa culona e biondona che ci prova con Fabio e lui cosa fa per farmi incazzare? Sta al gioco ma adesso gli arriva un manrovescio che la voglia di ridere e scherzare torna ad Ulaan Baatar!


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