06 Turchia
15 Giugno 2009
THESSALONICA – EDIRNE
E’ piuttosto tardi quando lasciamo l’hotel…dopo le nostre coccole rese quanto mai necessarie dai brutti sogni di questa notte. Entrambi abbiamo sognato che ci lasciavamo ed al risveglio si è imposta la necessità di cementare la nostra unione anche fisicamente. Che meraviglia ….. perdersi nei sogni e ritrovarsi nella realtà ! Thessalonica è talmente vasta che uscirne richiede un certo tempo, ma il garmin continua a non sbagliare e baipassando i cartelli scritti nell’alfabeto greco ci porta dritti sull’autostrada E95 verso il confine. La strada offre scorci bellissimi sulla costa frastagliata e sulle piccole isole coperte di macchia mediterranea. Attraversiamo un’ampia pianura disegnata a grandi rettangoli delle diverse colture e poi ancora qualche collina fino ad arrivare alla frontiera greca nei pressi di Edirne, la città turca nella quale ci fermeremo. Quando dopo pochi chilometri arriviamo alla frontiera turca, le formalità si complicano leggermente per via della pandemia di febbre suina …quindi dopo aver compilato un questionario sul nostro stato di salute ed atteso fin troppo il timbro sul passaporto, arriva il turno del controllo documenti di Asia che con grande disappunto di Vanni viene registrata sul suo passaporto. Non capisco perché si scaldi tanto….forse voleva tornare in Italia dalla Turchia per votare al ballottaggio elettorale? Siamo stremati quando arriviamo nel centro storico ….un po’ per gli incubi che hanno reso tormentato il nostro sonno, un pò per i tanti chilometri percorsi. Siamo diretti all’hotel Kervansaray ricavato nell’antico caravanserraglio della città. Il taxista al quale chiediamo di accompagnarci non parla che il turco ma mi fa capire che l’hotel è qui dietro l’angolo, a non più di duecento metri. Siccome Vanni si arrabbia sempre quando è stanco e si trova invischiato nel traffico di una città che non conosce, se la prende con me per non aver convinto il taxista ad accompagnarci. Ma l’hotel è davvero qui a due passi, basta trovare il parcheggio giusto ed è fatta. In pochi minuti conquistiamo il parcheggio e la camera 252, al primo piano dell’antico caravanserraglio costruito attorno a due ampie corti. Il loggiato che disimpegna le camere è chiuso da grandi finestre, vi si accede tramite una scala a chiocciola un pò sgangherata e non in linea con il resto dell’edificio in pietra, sobrio ma elegante per via delle aperture ad arco al primo piano e le poche che disimpegnano quelli che erano i vecchi magazzini e le stalle del piano terra. Dopo la doccia siamo fuori, tra le vie del centro affollate di bancarelle, persone dall’aria vivace e dagli abiti colorati …..inseguiamo i minareti della moschea Selimiye, che domina la città fin dal XVI secolo. Fu l’opera più ambiziosa realizzata in pieno impero ottomano dall’architetto Sinam ed è miracolosamente accessibile e fotografabile…..certo devo coprire i capelli con un foulard, ma il piccolo sacrificio vale la bellezza del suo interno la cui cupola centrale sembra immensa ed è tutta dipinta a motivi geometrici nei toni dell’azzurro così come gli altri elementi che ne definiscono la volumetria ….archi, cupole minori, pilastri ed il mihbar, il luogo dove prega l’imam. Un gruppo di giovani ragazze è seduto sul pavimento coperto di tappeti. Facciamo una sosta all’ombra di un albero del giardino che circonda la moschea e poi andiamo ad esplorare il resto del vivace centro storico, ricco di mercatini improvvisati di frutta e frittelle, compresa l’ampia area pedonale dove i locali passeggiano o sostano nei tavolini dell’ampia London Asfalti delimitata da begli edifici antichi a due piani. Alcune fontane zampillanti sembrano abbattere la temperatura ancora alta nonostante siano già passate le 18. Come si sta bene qui ad Edirne, Beviamo la nostra limonata allietati dal suono dell’acqua in caduta e dai profili dei bassi edifici del centro, poi ci spostiamo dal calzolaio per un necessario restauro delle Church di Vanni che intanto si informa sul nome turco delle costolette d’agnello….le pirzola. Nei pressi, una moschea di pietra chiara, più piccola ma con un tocco di contemporaneità, ha visto chiudere il suo porticato esterno con una vetrata portante molto high-tech. Fuggo in hotel sfinita dalla lungaggine del calzolaio che nel frattempo ha anche dovuto interrompere il lavoro per lavare con spazzola e detersivo il pezzo di strada di fronte al suo negozio, dato che anche gli altri esercenti lo stavano facendo. Raggiungiamo il ristorante la Villa per la cena…..un bel posticino sul fiume vicino al ponte di pietra. Mangiamo bene e ci divertiamo anche ad osservare il cerimoniale del rinfresco di un matrimonio nel quale, nostro malgrado, siamo stati coinvolti. La cosa più particolare sono le medagliette d’oro che gli invitati regalano agli sposi…..sono delle spille con un fiocchetto rosso che vengono appuntate nel bavero della giacca di lui ed in un drappo di tessuto bianco che lei porta legato al polso. Ballano, si salutano, mangiano, ridono…insomma si divertono molto ed anche noi con loro, leggermente defilati in un tavolino sul fiume. Che bel ritmo ha la loro musica tradizionale….a fatica mi trattengo dall’intrufolarmi in pista. Bellissima serata.
17 Giugno 2009
EDIRNE – IZNIK
Ci svegliamo stanchi per la scomodità del letto troppo piccolo e cigolante……ma è una bella giornata di sole ed il giardino che vediamo dalla piccola finestra della camera ci dà una piena sensazione di benessere. Usciamo dalle antiche mura del caravanserraglio e dopo l’acquisto di un chilo di grosse ciliegie ci avviamo verso l’autostrada che porta a Istanbul. Uscire dalle città è sempre molto più semplice che entrarvi alla ricerca di un hotel….quindi raggiungiamo senza intoppi la periferia felici della sosta nella piacevole Edirne, comprese le nozze al cui rinfresco abbiamo nostro malgrado partecipato ieri sera. Ormai non si contano i matrimoni cui abbiamo assistito nei nostri viaggi…..tutti così diversi ! Il più divertente che ricordiamo è quello di Ouagadougou in Burkina Faso…..in occasione del quale le signore si erano impossessate di un tratto di strada nel quale si esibivano in danze lente, tutte in fila a formare una sorta di lungo trenino. Ma che buffo poi quello nell’Adrar del Mali, con la sfilata di cammelli in corsa ed i colpi di kalashnikov sparati verso il cielo….ricordando quelli, questo di Edirne è stato molto simile ai nostri a parte il rito di quelle spille d’oro. Ma torniamo al nostro obiettivo di oggi. Ci stiamo dirigendo verso il Bosforo attraverso la comoda autostrada che prosegue oltre Istanbul verso Ankara che però non raggiungeremo oggi. Attraversando il grande ponte sullo stretto dalle acque blu siamo già in Asia…..un momento simbolicamente importante per il nostro viaggio tutto dedicato a questo immenso continente….è come se solo da questo momento il nostro viaggio iniziasse davvero. Interi quartieri di alti grattacieli tutti uguali rappresentano l’espansione di questa città che conta la cifra impressionante di 15 milioni di abitanti. Una città enorme che attraversiamo senza fermarci….la delusione che seguì la visita di qualche anno fa ci è bastata….inutile insistere. In seguito alla foratura di un pneumatico poco dopo Istanbul, usciamo nell’area industriale di una cittadina senza nome e seguendo un signore al quale avevamo chiesto indicazioni raggiungiamo il gommista più vicino. Che gentilezza questi turchi che ci offrono anche un tè nell’attesa che il lavoro su Asia sia concluso ! L’autostrada continua lambendo anonime città che si affacciano sul mar di Marmara di un meraviglioso colore blu cobalto solcato da petroliere e e navi da carico….c’è davvero un bel traffico di natanti in questo mare. Raggiunta Izmit lasciamo la direttrice Istanbul-Ankara per percorrere la stretta strada costiera il cui profilo irregolare segue le rotondità delle colline che sprofondano in quel blu intenso. Ci stiamo avvicinando all’obiettivo di oggi, ovvero la cittadina di Iznik che si affaccia sull’omonimo lago e che fu importante centro politico nel IV sec. quando Costantino la elesse capitale dell’impero bizantino. Allora si chiamava Nicea ed ospitò il consiglio ecumenico della chiesa cristiana. Raggiungiamo la piacevole cittadina dopo aver percorso una scorciatoia impegnativa che ci ha intrattenuti per 40 km con tornanti e ripide salite attraverso i piccoli borghi di montagna dove le case hanno ancora gli steccati di legno ed i fienili e le signore circolano con il fazzoletto ben legato attorno alla testa. Quando ormai siamo nei pressi vediamo dall’alto il lago incastonato tra le montagne e la città che, non avendo più vissuto momenti di particolare gloria dopo il X secolo, non ha molto da offrire se non i pochi edifici storici che rimangono superstiti dei saccheggi che seguirono ad opera dei turchi selgiuchidi. Quando ci fermiamo all’hotel Berlin sono già le sette di sera e noi siamo stremati per i ritmi frenetici di questo nostro viaggio itinerante….la doccia e le coccole finiscono col distruggerci completamente ed a fatica riusciamo a fare due passi in città. A quest’ora le strade del centro sono quasi deserte, solo gruppetti di donne dall’inconfondibile fazzoletto in testa sono sedute fuori dal portone di casa a chiacchierare, spalla contro spalla. Ci osservano curiose e rispondono cortesi ad un cenno di saluto. Raggiungiamo un negozio di ceramiche, per le quali la città è famosa fina dal XV sec., accanto ad un antico hammam. Entriamo. La ragazza che le produce ci spiega che la particolarità delle ceramiche di Iznik è la loro grande resistenza dovuta al particolare impasto a base di quarzo che viene poi magistralmente decorato nel caratteristico colore azzurro, o nel più recente rosso e verde. Sugli scaffali del piccolo ed ordinato atelier troviamo un paio di piatti davvero carini oltre ad una serie di brocche e ciotole di tutte le dimensioni…..il rosso è il colore che più ci piace….forse perché di ceramiche azzurre ne abbiamo viste fin troppe nella nostra vicina Faenza. Il bel ristorante dell’hotel sembra sprecato per questa cittadina così desolata e non particolarmente votata al turismo….e noi siamo gli unici clienti di questa sera. Coccolati dai camerieri zelanti assaggiamo le ottime pietanze che avevamo scelto ancora crude dal banco frigo adiacente alla cucina…..impossibile sbagliare, è come dare una sbirciatina al frigorifero prima di mettersi a tavola…..insomma un pò come essere a casa ! Ottimo il mio spiedino di pesce così come le pirzola di Vanni. Rimarremo anche domani…..voglio convincere mio marito ad una escursione in barca a remi sul lago, anche se già so che non ho speranze.
18 Giugno 2009
IZNIK
E’ talmente raro non dover ripartire subito dopo il risveglio che questa mattina sembra speciale fin dalle sue prime battute ed un ritmo lento mi accompagna nello sbrigare alcune cose necessarie come un piccolo bucato e la scrematura delle foto scattate ieri. Vanni è già attivo….il figlio del proprietario dell’hotel gli ha portato un pneumatico campione che però costa troppo ed ha letto la e-mail di Mahri, il nostro contatto in Turkmenistan, che sollecita l’invio delle copie dei nostri passaporti ed aggiunge che il paese è in quarantena. Per scongiurare l’eventuale pandemia di “febbre suina” nessuno può entrare nel paese…..e solo il primo luglio sapremo se il drastico provvedimento sarà sospeso e se potremo raggiungerne la capitale Turkmenbashi a bordo del traghetto in partenza da Baku. Nel caso l’accesso ci fosse negato dovremo rivoluzionare tutti i nostri progetti di viaggio…..ammesso che gli altri paesi dell’Asia centrale come Uzbekistan, Kazakistan, Tagikistan e Kirghizistan non abbiano adottato le stesse misure per la sicurezza nazionale. Andiamo in città solo verso l’una con una breve passeggiata che ci consente di raggiungere i resti dell’antica chiesa bizantina di Haghia Sophia, motivo della nostra visita ad Iznik…… ma che delusione ! Della chiesa edificata nell’ XI secolo non rimane quasi nulla se non le due cappelle laterali all’abside complete delle cupole, ed i muri perimetrali fin quasi all’imposta del tetto….pochi affreschi pressoché invisibili e qualche metro quadrato della pavimentazione a marmi policromi. Ne usciamo quasi come se non avessimo visto nulla, ma Iznik è una cittadina piacevole e la porta di Istanbul, vista all’inizio della passeggiata, inserita nell’antica cinta muraria del III sec. a.c. è bellissima e ben conservata. Seguendo l’ombra degli alti alberi percorriamo il decumano dell’impianto urbanistico romano, e dando qualche sbirciatina alle vetrine dei piccoli negozi godiamo della tranquillità della cittadina e della presenza dei suoi abitanti che vi passeggiano o sostano nei tavolini dei bar giocando a carte o bevendo il chaj…..semplicemente un tè. Con una breve deviazione dall’asse principale giungiamo all’area urbana che raccoglie i due edifici più interessanti della città, ovvero il museo archeologico ricco di interessanti reperti romani ed ospitato in un bell’edificio che fu l’ Ospizio per Dervisci nel XIV secolo. L’edificio in pietra è caratterizzato in facciata da un bel porticato ed è sormontato da una serie di cupole che lo fanno sembrare galleggiante. L’esposizione dei reperti prosegue in esterno nel giardino, dove fregi, capitelli e sarcofagi tutti risalenti al periodo romano, spiccano bianchi sul verde del prato. Di fronte c’è la Moschea Verde che fu edificata contestualmente all’ospizio. Il suo volume chiaro per via delle lastre di marmo che lo ricoprono interamente evidenzia per contrasto il bellissimo minareto rivestito di un mosaico di ceramiche verde intenso…quasi turchese. L’armonia dei suoi volumi ed il cromatismo deciso della torre ne fanno un oggetto accattivante, il protagonista della grande piazza alberata che lo contiene. Poco dopo, andando alla ricerca dei siti archeologici che si trovano nei pressi di Iznik, ci ritroviamo immersi negli oliveti ed alberi da frutto che circondano la cittadina. Come in una caccia al tesoro, mentre seguiamo le indicazioni dei pochi cartelli segnaletici agli incroci delle stradine di campagna, vediamo spuntare dalle basse chiome verdastre degli ulivi disposti in file ordinate, il famoso Obelisco, stranamente a sezione triangolare. Non poteva esistere un contesto più bucolico di questo, pensiamo mentre assaggiando le ottime pesche staccate da un albero nei pressi, rimiriamo l’oggetto marmoreo consumato dai secoli. Inutile tentare di decifrare l’ iscrizione in latino che compare su una delle superfici…..i ricordi del liceo sono ormai troppo lontani. Rientrando in città percorriamo l’intero lungolago con piccole spiagge ed alti alberi a creare una fascia di verde che lo divide dalla strada e dal centro urbano. Alcune barche a remi sono ferme sul bagnasciuga, gruppi di bambini fanno il bagno in prossimità delle macchie di canne lacustri che spuntano vicine alla riva. Tornando verso il centro ci fermiamo da un gommista dove Vanni mette in atto una simpatica contrattazione, con il gestore ed i presenti che non disdegnano di assistervi, che lo impegna per un tempo che a me sembra infinito. Finisce con l’ottenere quattro pneumatici nuovi a cento euro l’uno ed un tè gentilmente offertomi mentre seduta sugli scalini del condominio di fronte, socializzo in inglese con un gruppetto di bambine di 10 anni curiose di conoscermi. Non conoscono che poche parole, ma vince la curiosità e così una di loro torna di corsa con un vocabolario turco-inglese. Sono simpatiche, intelligenti e curiose….finisce con un gelato collettivo e dei gran saluti di commiato una volta terminata l’installazione dei pneumatici nuovi. E’ già l’ora di cena quando arriviamo in hotel ….. Apo, il cameriere zelante che insiste inutilmente a voler insegnarci alcune parole turche, ci serve un’ottima cena con servizio impeccabile….che bella conclusione per questa piacevolissima giornata trascorsa ad Iznik !
19 Giugno 2009
IZNIK – ANKARA
Ci svegliamo stranamente presto ed alle 10 siamo già a bordo di Asia diretti verso Adapazari. Immersi nelle morbide colline disseminate qua e la di laghetti artificiali che ne segnano le diverse curve di livello procediamo tranquilli godendo del paesaggio sempre più brullo dove le tonalità gialle del grano maturo ed i colori caldi delle rocce e della terra chiara si sostituiscono ai verdi delle larghe foglie del mais. Una volta raggiunta la periferia di Ankara percorriamo 15 km di strada per raggiungerne il centro che peraltro non si materializza in nessun punto preciso. Distribuita sulle basse e brulle colline dell’Anatolia occidentale, sembra cresciuta in modo caotico senza episodi pregevoli che ne rendano piacevole l’esservi. E’ bastato entrare per desiderare di uscirne in tempi brevi, inghiottiti come siamo dal traffico disordinato mentre seguiamo un taxi che ci guida all’ambasciata russa. Mai vista una città più brutta di questa e…..nota dolente, il consolato russo aprirà solo lunedì prossimo. In questo momento consideriamo l’eventualità di rimanere bloccati qui qualche giorno come una tragedia….quindi rimuoviamo tale pensiero e cerchiamo un hotel nei pressi, tanto per non dover tornare nel caos delle auto sfreccianti. Per fortuna l’hotel Midi è decisamente confortevole anche se costoso, ne occupiamo un’ampia camera al secondo piano, ma poi arriva immediata l’altra nota dolente, comunicata dal ragazzo di turno alla reception….. il famoso Museo delle Civiltà Anatoliche, straordinario per l’interesse storico dei reperti esposti, chiuderà alle 17, cioè tra un’ora. Non ci rimane che raggiungere a piedi la vicina torre panoramica dall’alto della quale constatiamo che la città non appare migliore nemmeno da questa prospettiva. Quando usciamo di nuovo sono quasi le 19….ancora presto per la cena, ma non per il concerto di musica di corte ottomana che leggiamo sulla guida svolgersi ogni venerdì sera nella saletta rossa del Museo della Pittura e della Scultura. Arriviamo in tempo per ammirare l’edificio in stile neoclassico anticipato da una elegante statua equestre, e per constatare che il concerto non avrà luogo…..che fare ? Tentiamo una visita alla vicina Cittadella bizantina che però sembra il Bronx di Ankara, con ragazzotti urlanti ed edifici fatiscenti in graticcio di legno. Muoviamo qualche passo lungo il corso principale osservando i tappeti ed i souvenir esposti nei negozi poi torniamo sui nostri passi per raggiungere il casualmente vicinissimo ristorante Boyacizade Konagi consigliatoci come uno dei migliori della città. Entriamo nell’edificio di legno a più piani e salendo le varie rampe di una scaletta stretta e ripida raggiungiamo la veranda dell’ultimo piano le cui vetrate sui tre lati si spalancano sulla città infuocata dal tramonto e sulle colline brulle che la contengono. All’improvviso la città si riempie delle voci dei muezzin che rendono ancor più magico questo tramonto strepitoso. Quando mi capita di sentire i muezzin intonare il loro richiamo alla preghiera capisco la forza dell’islam, così come quella del cattolicesimo ai rintocchi delle campane la domenica mattina. E’ un amore questo ristorante arredato con sofà, tappeti e mobili antichi tradizionali…..ci godiamo il lento avanzare della notte mentre la città si accende di luci colorate così come l’ottima cena. Considerando la piacevolezza della serata direi che abbiamo recuperato la pessima impressione iniziale…..in fondo non è poi tutto da buttare qui in città !
20 Giugno 2009
ANKARA – URGUP
Lasciamo la camera principesca verso le 10 ed in taxi raggiungiamo il museo delle Civiltà Anatoliche famoso per la ricchezza del patrimonio archeologico che contiene, dalla preistoria e poi attraverso le civiltà Atti, Assira, Ittita e Frigia che si sono susseguite nei secoli in territorio anatolico, giustamente definito la culla della civiltà. Quando entriamo nella prima sala che contiene i magnifici bassorilievi ittiti e post-ittiti, ne siamo così conquistati che io inizio a scattare foto in sequenza e Vanni, che giustamente desidera capire ciò che vede, va alla ricerca di una guida che parli italiano e la trova. Sul suo biglietto da visita è scritto: Ancien professeur de francais Muammer Potur. E’ un signore effettivamente piuttosto anziano dagli occhi vispi e odora di cipolla appena tagliata. Proprio come un professore di fronte ai suoi alunni, ci spiega con puntiglio tutta la storia dell’Asia Minore, dagli albori alle varie civiltà che si sono susseguite tra questi due fiumi, il Tigri e l’Eufrate. Tutto nasce qui in Mesopotamia. Sorprende che già 9000 anni fa le signore amassero adornarsi di monili….e che successivamente, nel 2000 a.c. gli Ittiti realizzassero piccoli recipienti a forma di animali, del tutto simili a quelli prodotti dai loro coetanei sudamericani precolombiani….e che nonostante il loro dio Toro si fosse trasformato nel tempo in leone e quindi in uomo, avesse pur sempre conservato le corna come simbolo di potere. Che gli ittiti usassero i gemelli per unire due lembi di tessuto e che il vino, uscito da un vaso a forma di toro divenisse una bevanda sacra. Mentre passeggiamo tra le vetrine che espongono i preziosi reperti il nostro professore ci fa delle domande trabocchetto per verificare se abbiamo capito o se è il caso di darci una strigliatina…..proprio come un professore d’altri tempi! Certo la storia avrebbe finito col piacerci anche ai tempi del liceo se ci fosse stata spiegata in un contesto di questo tipo….ricco dei capolavori del passato che rendono sopportabili le date e le nozioni da memorizzare. Dopo qualche ora siamo di nuovo circondati dalle colline morbide colorate nelle sfumature ocra dell’erba bruciata dal sole e nelle svariate tonalità delle terre, mentre serpenti di verde rigoglioso seguono come oasi sinuose i corsi d’acqua. Una montagna lontana ha la cima ancora innevata…è il vulcano Erciyes la cui cima ancora bianca fa un certo effetto considerando il caldo che fa da queste parti nonostante i 1200 metri di altitudine sui quali stiamo viaggiando. Le particolari formazioni rocciose che caratterizzano la Cappadocia diventano visibili nel tratto di strada che percorriamo da Nevsehir verso Urgup….funghi di tufo bianco in continua erosione che assumono varie forme, più o meno allungate, a cono o a parallelepipedo, con o senza il cappello di basalto nero che ne modifica l’erosione. Le grotte di Urgup ricordano vagamente i Sassi di Matera….la città vi si cala all’interno occupandone in parte le cavità e sviluppandosi poi nella conca compresa tra due falesie di tufo. Cerchiamo Dede Pansion, le sei camere che costituiscono la pensione gestita dalla moglie del professor Muammer. In parte ricavate all’interno delle grotte naturali, le camere sono spartane ma così particolari da conquistarci…..occupiamo la n°4, meno umida di quelle interne. Un piccolo bagno e due lettini, non c’è nient’altro che questo nella stanza bianca di vernice a calce coperta da un’alta volta a botte. Andiamo subito in paese per una ricognizione tattica…. io cerco un Magnum bianco e Vanni una tavoletta scritta a caratteri cuneiformi appartenuta a qualche mercante sumero o assiro. Se ne è innamorato questa mattina al museo ed ora non avrà pace finché non ne avrà una tutta per se. La scrittura cuneiforme risale al 2000 a.c. e fu usata dai commercianti assiri per registrare le proprie transazioni e gli accordi commerciali. Gli scritti venivano incisi su piccole tavolette di argilla e quindi cotte…..per mantenere la segretezza dei contenuti venivano successivamente avvolte in un altro sottile strato di argilla e cotte di nuovo per renderle rigide….che geni questi assiri…..nasce così la posta ed il biscotto ! Erano bellissime quelle esposte nel museo….non esattamente come queste, tutte rotte e senza la preziosa busta di argilla, che ci vengono mostrate da un negoziante trovato dopo una ricerca capillare per i negozi di souvenir della cittadina. Mentre la signora Dede si prodiga in consigli circa un buon ristorante di specialità della zona, economico ma dove non vengono serviti alcolici, noi sappiamo già che opteremo per la bella terrazza nei pressi della piazza principale. Quindi dopo esserci congedati da Dede e dal piccolo terrazzo che si affaccia sulla falesia ora al tramonto…. dopo il fitto chiacchiericcio in francese di reciproca conoscenza, accompagnato da una tazza di buon tè, scendiamo verso la piazza al ristorante. Un rigoglioso pergolato al piano terra e la terrazza ricavata sull’edificio di pietra locale nelle sfumature dell’avorio e del giallo caldo. Ci accomodiamo in un tavolo con vista ed ordiniamo la specialità del luogo…uno stufato di manzo cotto all’interno di una piccola anfora di argilla sigillata sopra il lungo collo da una palla di impasto di pane. Quando il cameriere arriva con l’anforina, toglie il tappo di pane e con qualche colpo di coltello ben assestato ne spezza il collo. Il gioco è fatto ! Il profumato contenuto viene versato in un piatto di portata e servito accompagnato da una insalata di orzo leggermente speziata. Squisito. L’escursione termica a 1200 metri di altitudine si fa sentire e così aumentano i bicchieri di vino bevuti e con esso l’allegria amplificata dalla musica che arriva dal pianoforte nel cortile d’ingresso. Rientriamo poi nel nostro antro che a quest’ora è freddo come una cella frigorifera…..ma poi dormiamo sonni tranquilli nei nostri due lettini. Chissà se Vanni dovrà contendersi con un topino il suo spuntino notturno a base di dolci!
21 Giugno 2009
URGUP – KAYSERI
Prendiamo la nostra colazione sul terrazzino ora assolato. Di fronte a noi le aperture delle abitazioni ricavate nella falesia spiccano come buchi neri nel colore chiaro della roccia o dei pochi muri costruiti in aggetto dalla sua superficie piatta. Di fronte a questa magnifica quinta assaggiamo i manicaretti che la settantenne Dede ha preparato per noi sopravvalutando decisamente il nostro appetito. Si siede anche lei approfittandone per fare un’ultima chiacchierata prima di tornare alla sua solitudine. Vanni è già pronto da almeno 15 minuti quando esco finalmente dalla camera trascinando il mio trolley….due bacini a Dede e partiamo alla scoperta delle meraviglie della Cappadocia puntando verso Goreme…il centro nevralgico per concentrazione di pennacchi rocciosi in continua erosione e di insediamenti scavati nella cedevole roccia tufacea dai primi cristiani che vi abitarono. Sono decine gli edifici sacri risalenti al periodo compreso tra il I sec. e l’XI sec. d.c. presenti nel museo all’aperto di Goreme. Li visitiamo entrando nelle grotte modellate nelle tipologie tipicamente ecclesiali, con colonne, absidi, cupole ed archi che non hanno in questo caso nessuna funzione strutturale. Per la bellezza di alcune di queste chiese affrescate e per il sollievo che la frescura degli interni ci da in contrasto con la temperatura sahariana di oggi, non usciremmo più da questi luoghi sacri. Gli affreschi più antichi sono dipinti direttamente sulla roccia….. di colore rosso, rappresentano croci e disegni geometrici. Le chiese che invece furono affrescate successivamente il periodo iconoclasta illustrano attraverso le immagini i santi, il cristo ed alcuni episodi legati al culto. Quasi sempre i visi delle figure dipinte sono rovinati con incisioni che ne hanno cancellato i lineamenti….del resto siamo in territorio musulmano ed è plausibile che, in un determinato momento storico, questo scempio sia potuto accadere. Dopo la visita alle innumerevoli chiese e cappelle funerarie scavate nella roccia, ci spostiamo di qualche chilometro per vedere le formazioni rocciose dalle caratteristiche forme allungate o coniche. Le più belle sono le “fate” che troviamo a Pasabagi…..di roccia chiara, hanno sulla loro sommità cappelli di basalto a forma di cono. Quasi irreali e così belle da sembrare uscite dalla matita di un bravo fumettista ci fermiamo a rimirarle a lungo, passeggiando lungo il sentiero che corre alla loro base. Dopo l’immersione nel paesaggio bizzarro dell’area di Goreme andiamo a visitare un’altra bizzarria, questa volta assolutamente ipogea…..la città sotterranea di Kaimakli nella quale centinaia di persone abitarono nel periodo compreso tra il VI e l’XI sec. Il sito archeologico, preceduto come di consueto da un percorso pedonale organizzato in bancarelle di souvenir, ci sorprende per una serie di motivi. Per la dislocazione labirintica delle unità abitative per esempio, costituite da vani piccoli e bassi scavati senza spigoli nella roccia. Ognuno di essi è adibito alle diverse funzioni legate all’abitare ed allo stoccaggio degli alimenti…..ma poi non manca la cantina per la conservazione del vino che restituisce a questo luogo tetro una connotazione di gioia necessariamente legata alla vita. Gli angusti cunicoli che collegano le varie cellule fanno riflettere sulle dimensioni degli uomini che abitavano nell’insediamento. Pur non essendo noi dei giganti dobbiamo attraversarli con la schiena protesa in avanti, le gambe flesse sulle ginocchia e le braccia raccolte per non strisciare le spalle sui due lati dei cunicoli, spesso inclinati per collegare i diversi livelli del centro. Pozzi verticali perfettamente squadrati e con fori sui due lati che li rendono percorribili, costituiscono gli elementi del complesso sistema di ventilazione del sito che si sviluppa su cinque livelli visitabili e tre non accessibili al pubblico. Per quanto affascinante non è certo il luogo adatto a chi come noi è anche solo vagamente claustrofobico … la visita è quindi rapida e non proprio piacevole. Senza l’aiuto di una guida che ci conduca attraverso i vari ambienti, seguiamo le frecce rosse cercando di non perderci nel labirinto orizzontale e verticale di scalette e cunicoli che a fatica e molto parzialmente riusciamo a conquistare…quasi un incubo! Stremati per il caldo soffocante, la folla di visitatori e per la fatica delle visite in condizioni non sempre confortevoli, lasciamo la Cappadocia per un piccolo avvicinamento al prossimo interessante sito archeologico che ci attende sul Monte Nemrut a diverse centinaia di chilometri da qui. Per il momento ci spostiamo verso Kayseri a circa 60 km da Goreme, scivolando tra i pendii lievi dell’Anatolia centrale illuminati dalla luce calda di questo tardo pomeriggio. In lontananza di fronte a noi la cima innevata del vulcano Erciyes è il nostro faro….impossibile sbagliare, Kayseri sorge proprio nei suoi pressi. Quando verso le 19 raggiungiamo la reception dell’hotel prescelto, alla richiesta dei passaporti mi sento mancare…..la signora Dede si è dimenticata di restituirceli e noi di chiederli. Arrabbiata come una pantera ed allo stesso tempo distrutta dalla stanchezza comunico a Vanni la devastante notizia. A settant’anni è forse tempo di riposare e non pensare più al lavoro rimugino tra me mentre ritorniamo a Urgup. Trascorriamo le successive due ore in auto ma poi quando ci riproponiamo al receptionist del solito hotel veniamo accolti da un sorriso di incoraggiamento che ci consola almeno quanto la doccia e la cena in terrazza.
22 Giugno 2009
KAYSERI – MALATYA
Quando mi sveglio alle 10 la colazione è pronta sul comodino…. sempre in ritardo la mattina, mi preparo in fretta e partiamo per la seconda tappa di avvicinamento al monte Nemrut con l’obiettivo però di non stancarci troppo viaggiando a lungo pur di arrivare alla meta finale e di fermarci invece a Malatya…..una città non proprio interessante ma comodo trampolino per la visita del sito archeologico che dista dalla città solo una cinquantina di chilometri. Attorno a noi il paesaggio montuoso diventa sempre più brullo e dai bellissimi colori nelle sfumature dei grigi e dei nocciola…..attraversiamo vallate e valichiamo montagne sfiorando talvolta i 1900 metri di altitudine. Asia sempre in forma ci conduce attraverso il paesaggio lunare che ci godiamo passando, inquadrato nel rettangolo del vetro anteriore e talvolta in open air scendendo per qualche imperdibile foto. Le vallate sempre verdeggianti ci regalano talvolta l’avvistamento di gruppi di tende abitate delle popolazioni nomadi….retaggio dell’antica tradizione dei turchi-ottomani che per secoli prima di divenire stanziali si spostavano nei territori dell’Asia minore alla ricerca di animali da cacciare o di frutti da raccogliere. Il magnifico paesaggio dalle tinte chiare dell’Anatolia orientale si incupisce di colpo all’arrivo di un temporale che oscura il cielo con nuvoloni neri….in questo contesto ha quasi il sapore di un’apocalisse ! Dopo il fortunale la nostra attenzione è attirata dalle bancarelle ai bordi della strada che espongono, appese a bastoni orizzontali, strisce trasparenti che trattengono rettangoli di una misteriosa pasta arancione. Ci fermiamo. Il venditore, avvezzo alla curiosità dei turisti è molto disponibile e così ne stacca due pezzetti che ci porge da assaggiare. Il mistero viene dissipato dall’intenso sapore di albicocca che si sprigiona immediato….del resto siamo circondati dai frutteti!…ma che modo originale e pratico per gestire la marmellata! Anziché metterla dentro ai vasetti viene spalmata in spessori di pochi millimetri su pellicole trasparenti, fatta seccare ed è pronta per essere mangiata come una caramella senza dover ricorrere all’uso di cucchiaini ….c’è qualche piccolo sassolino, ma da queste parti non c’è da stupirsene. Quando arriviamo a Malatya il cielo è già completamente schiarito e la città, adagiata tra le montagne lunari, sta per spegnersi alla luce del tramonto. Occupiamo la confortevole suite dell’Hotel Anatolia…il migliore della città se non fosse per la coperta dorata e decorata con lustrini e paillettes sul nostro letto. A cena gustiamo un’ottima peperonata addizionata con qualche fettina di albicocca, il frutto della zona per il quale ogni anno a metà luglio si organizza anche un festival…..certo questa peperonata è magica !
23 Giugno 2009
MALATYA – KAHTA
Il ragazzo della reception che ieri sera aveva caldeggiato la strada breve anche se più accidentata per raggiungere il Monte Nemrut Dagi ora ritratta e senza esitare ci consiglia di seguire la strada più comoda che passando da Adiyaman e Kahta raggiunge l’obiettivo in 250 km. Indecisi sul da farsi percorriamo 5 km in direzione della scorciatoia per poi fare una inversione di marcia e scegliere la via più sicura…..anche perché della prima non c’è traccia sul nostro navigatore ed anche la carta stradale non indica chiaramente il percorso da seguire. Dopo qualche ora di auto sulla strada trafficata e con frequenti rallentamenti per lavori in corso, siamo già pentiti della scelta ed io inizio a pensare alla nostra vacanza come ad una somma di troppe giornate trascorse sulle strade….. dei quindici giorni di viaggio ne abbiamo trascorsi solo due fermi in un luogo…..a Sarayevo ed a Iznik…..per il resto abbiamo fatto visite troppo frettolose e percorso troppi chilometri in pochi giorni. Capisco che a Vanni non interessi vedere il patrimonio artistico culturale dei paesi che attraversiamo, ma è anche vero che per me il senso del viaggio è proprio questo e non mi interessa raggiungere il Kazakistan solo per dire di esserci arrivata o per aggiungere un timbro sul passaporto…. quindi scoppia una discussione che ci fa solo male e che non risolve vista la sostanziale divergenza di opinioni al riguardo. Quando dopo una salita vertiginosa arriviamo nel punto dal quale si prosegue a piedi per raggiungere il sito archeologico, siamo ancora di pessimo umore, ma il paesaggio circostante è così bello dall’alto dei duemila metri dal quale lo osserviamo, che tutto il resto non ha più importanza. La stretta strada bianca che abbiamo appena percorso è laggiù, sinuosa tra le montagne brulle dalle incantevoli sfumature giallo – arancio. Più oltre un cordone di montagne rocciose dalle tinte brune e l’Eufrate, la cui importanza storica conosciamo fin da piccoli appresa sui libri della scuola elementare….troppo presto per capire l’importanza che questo triangolo di terra ha avuto nello sviluppo della cultura anche Europea. Il grande fiume è laggiù, dilatato in forma di lago dalla grande diga voluta da Ataturk, che tra le altre cose ottenne l’unificazione della Turchia e la democrazia laica per il suo paese. Il bacino dell’Eufrate segue un profilo irregolare, incastrato nel paesaggio montuoso dell’Anatolia orientale….. lo vediamo sfumato dalla foschia densa di questa giornata variabile anche climaticamente. Iniziamo la salita a piedi seguendo il sentiero pietroso che sale fino a raggiungere l’alto tumulo conico alla cui base sono le due terrazze…..la Est e la Ovest del grande complesso celebrativo voluto da Antioco I che regnò tra il 64 ed il 38 a.c. a capo dei Commageni. Raggiungiamo con un certo sforzo la terrazza Est, dove una piattaforma di pietra grigia alta un paio di scalini si protende parzialmente a sbalzo sullo strapiombo sottostante. Sul lato opposto, alla base del grande tumulo a ogiva una serie di figure realizzate in blocchi di pietra sovrapposti sono sedute su troni come in attesa del sorgere del sole. Le loro teste sono precipitate al suolo ed ora stanno tutte in fila alla base dei corpi mutilati forse da un terremoto. Le figure rappresentano il leone, l’aquila, alcune figure della mitologia greca come Tiche, Zeus, Apollo ed Ercole ed infine Antioco, il re che concepì lo straordinario complesso. Peccato che a quest’ora del pomeriggio questo lato Est sia in ombra. Ci spostiamo camminando attorno al tumulo per raggiungere la terrazza Ovest ora in pieno sole. Le possenti figure sedute sono ancora più grandi delle altre e le loro teste sono ritte ma non allineate come le precedenti. Grandi ed espressive, giacciono in ordine sparso alla base dei troni ed offrono così stupende prospettive dai diversi punti di vista. Ci sediamo di fronte ai resti su un paio di grosse pietre che dovevano appartenere ai corpi e rimaniamo a lungo in contemplazione di tanta bellezza e dell’incredibile paesaggio circostante che da qui sembra lontanissimo. E’ come essere sulla cima del mondo, eppure 2100 metri sono pochissimi. Scendiamo in seconda la strada ripidissima….e priva di barriere di protezione a violare il paesaggio….raggiungiamo di nuovo Katha dopo circa 50 km di curve che pesano come macigni mentre la tensione a bordo si è solo attenuata. Dopo una lunga ricerca ed una serie di domande rivolte ai passanti raggiungiamo l’hotel Zeus che strada facendo capiamo essere il migliore….non è semplice ottenere informazioni qui dove nessuno parla inglese, ma per fortuna la parola hotel è ormai diventata patrimonio dell’umanità almeno quanto il bel volto di Tiche. Il Zeus non è male, ma i suoi impiegati non brillano per cortesia….soprattutto il ragazzo che mi accompagna a vedere la camera al secondo piano senza usare l’ascensore….sarà forse per non sfigurare di fronte a quei maschi visti lungo le strade che comodamente seduti sui muli lasciano le donne seguire a piedi in lento corteo. Qui dove l’islam è più integralista le più elementari forme di cortesia nei confronti del femminile anche non autoctono sono del tutto negate….ce ne eravamo accorti ieri sera al ristorante di Malatya ,dove il cameriere più anziano ha sempre servito Vanni prima di me. Alle 19 siamo affamati, così raggiungiamo il ristorante di fronte all’hotel dove i clienti ci osservano con curiosità mista a diffidenza, poi quasi scandalizzati alla nostra domanda rispondono che non servono alcol. Mangiamo bene, ma mi rifilano uno shashlik di carne di pecora spacciandomela per manzo…che stronzi….sarei contenta di averli miei ospiti per rifilargli una bella salsiccia di maiale alla traditora !
24 Giugno 2009
KAHTA – BITLIS
Il cielo azzurro di oggi fa da sfondo al nostro lungo viaggio verso il lago Van. Con la pecora ancora nello stomaco percorriamo a ritroso parte della strada di ieri fino al bivio per il monte Nemrut, quindi proseguiamo verso Feribot tra le brulle montagne di questo angolo di Anatolia, punteggiata dal poco verde a ciuffi che riesce a crescervi. Arrivati sul cocuzzolo che precede le due case sul fiume del borgo ci si apre un incantevole scenario. Il fiume Eufrate, dal colore straordinariamente blu segue un percorso sinuoso tra le alte rocce chiare che lo delimitano creando la riva opposta alla nostra. Che spettacolo….l’acqua sembra una superficie iridescente ! Dopo la doverosa sosta in alto per ammirare questo gioco particolarmente pittoresco di roccia ed acqua, scendiamo la ripida stradina che arriva all’approdo fermandoci a pochi metri dall’ombroso pergolato di un baretto sotto il quale aspettiamo l’arrivo del ferry continuando a godere di quel blu e dell’aria tiepida. Mentre poco dopo, seduta a poppa, aspetto sola che il ferry inizi a caricare i pochi mezzi che può contenere, osservo rinfrescata dall’ombra e dalla brezza alcune persone che si muovono sulla riva. Sono un paio di camionisti che indossano i particolari calzoni dal cavallo basso che arriva oltre il ginocchio. Un mix tra una gonna ed un pantalone che hanno l’aria di essere comodissimi e che conferisce a chi li indossa un’originalità che mi piace….del resto trovo molto attraenti gli uomini con le gonne, che si tratti di un pareo o di un caftano. Sulla collinetta di fronte una donna è in compagnia delle sue tre mucche al pascolo…indossa un fazzoletto bianco che le copre la testa e le avvolge il collo, una sottana lunga ed ampia ed uno spolverino che le arriva al ginocchio. E’ grassottella e molto abbronzata…chissà a cosa pensa mentre con un bastoncino spinge le vacche lontane dalla scarpata. Un signore appena salito ha un’aria piuttosto marziale nel suo completo tradizionale color verde ma poi ecco che una striscia di tessuto viola arrotolata sulla testa come un turbante gli conferisce un certo fascino. Il viso ossuto come il suo corpo, la pelle leggermente scura ed i lineamenti marcati gli conferiscono un’aria un pò truce. Partiamo finalmente, risalendo per qualche centinaio di metri le acque dell’ Eufrate contenute in questo tratto da lievi pendii. Inizia poi la corsa verso Diyarbakir nel cui centro storico, “sahir merkezi” sul cartello stradale, ci fermiamo ad osservare le antiche mura di pietra nera ed una chiesa bizantina semi distrutta. L’ultimo tratto di strada per raggiungere Bitlis è il più tosto…un po’ per il caldo intenso che l’aria condizionata di Asia non riesce a smorzare, un po’ per i numerosi cantieri sulla carreggiata che ci accompagnano fino all’Otel Mermer della città. Strada facendo ci siamo divertiti nell’osservare le infinite distese di grano cresciuto sulle morbide colline della fertile Mesopotamia….le montagne dai bei colori caldi come dipinti all’aerografo in sfumature degne di un bravo stilista…. e poi nel seguire le manovre dei due pullman iraniani che si sono esibiti in sorpassi ad alto rischio tra le curve strette della strada in rifacimento…. e poi la chicca. Gli stessi due pullman fermi per una sosta sui due bordi opposti della strada….solo donne vestite di nero e con chador scese dal pullman di sinistra, soli uomini scesi da quello di destra…..che non se ne parli nemmeno di fare pullman misti ! Che delirio queste forme di misoginia scaturite dall’ islam….e chissà quante patologie psichiche avrà generato tra i suoi adepti. L’Otel Mermer è sulla strada trafficata di fronte ad una cava di pietra che domani mattina sarà in piena attività. Pochi comfort ma pulito. Sono già le 18 quando usciamo dalla doccia…..eppure le otto ore di viaggio non sono state sufficienti per Vanni che ora lamenta di non saper cosa fare….- avrei guidato per altre due ore – mi dece mentre lo osservo basita. Il mio pilota scalpita! I curdi dei quali ora siamo circondati, sono più ombrosi dei turchi incontrati finora e decisamente più intransigenti circa il consumo di alcol che da due giorni non troviamo nei ristoranti…..poi questa mancanza di gentilezza nei confronti del femminile inizia a stancarmi….anche questa sera vengo servita qualche minuto dopo Vanni.
25 Giugno 2009
BITLIS – DOGUBEYAZIT
L’acqua del lago Van non è poi così blu come l’avevamo immaginata….rimaniamo entrambi un pò delusi quando la avvistiamo sbucando dalle montagne che circondano il lago….ma non demordiamo. Il lago Van è piuttosto esteso, sulle sue acque salate ed alcaline si affacciano montagne che raggiungono i 4500 metri di altezza…..stiamo parlando di un bacino d’acqua a 2150 metri di quota. Non demordiamo perché il nostro obiettivo vero è sulla piccola isola che si trova di fronte a Gevas……contiene, appollaiata sulle sue rocce, la splendida chiesa armena di Santa Croce risalente al X secolo che non possiamo perdere. Avremo quindi più di una possibilità di vedere il famoso blu del lago percorrendo la strada che lo costeggia a tratti nella sua parte sud ed est. Proprio nei pressi di Gevas, con il sole alle spalle ecco che il colore dell’acqua si fa interessante ed invoglia ad un piccolo bagno …. ma arrivano una serie di nuvoloni neri ad allontanare la tentazione di bagnarci ed a guastare la festa anche nella visita all’isola che raggiungiamo in 15 minuti di traghetto dal primo approdo che vediamo dalla strada nei pressi di Gevas. La chiesa a pianta centrale è coperta al centro della croce dal caratteristico tetto conico appoggiato sul tamburo cilindrico….ma ciò che la rende unica è la ricchezza figurativa dei bassorilievi scolpiti sulla pietra rossastra dei muri perimetrali. Vanni li osserva nei dettagli con il suo binocolo mentre io mi scateno con la macchina fotografica. Sono disegni semplici, ma molto espressivi di animali, che ricorrono soprattutto nelle cornici marcapiano, o scene bibliche nelle quali un cavaliere combatte un leone, o un serpente che si avvolge alla zampa del cavallo…..o pecore inseguite da fiere feroci, o la lotta tra un leone ed un toro. Non potevano mancare Adamo ed Eva accanto al famoso albero e le immagini dei santi con l’aureola perfettamente circolare a negare qualsiasi prospettiva come si addice ai rigidi criteri della rappresentazione iconografica bizantina che impone la vista frontale. L’immagine che più ci colpisce, oltre ai visi scavati e dalle orbite vuote che segnano una parte dell’imposta del tetto, è quella di una caravella sospinta dalla vela rettangolare spiegata contenente quattro marinai, uno di essi ha la testa intrappolata nelle fauci di un grosso pesce, gli altri tre lo tirano dai piedi nel tentativo di salvarlo. Che meraviglia di chiesetta! Osservandola dall’alto di un picco roccioso stagliarsi contro il blu del lago e sulla montagna innevata sullo sfondo sembra un gioiello. Infine piove ed il cielo è plumbeo…..certo non si può rimanere al lago con un tempo così….quindi ci spingiamo a Nord nella speranza di sfuggire alla perturbazione che ci ha colti proprio sul più bello. In avvicinamento al confine con la Georgia ci spingiamo ancor più in territorio curdo verso il monte Ararat che ad un certo punto si impone di fronte a noi enorme e con la cima coperta di neve. Peccato per la foschia e le nuvole che ne coprono la sommità….ma poi che evento essere arrivati ai piedi della montagna resa famosa dalla leggenda di Noè e della sua Arca…..e com’è bella nonostante le avverse condizioni climatiche ! Dopo aver visto le montagne di tutte le forme e colori e le pecore e le capre sull’erba verde nelle piccole vallate, dopo i viaggiatori a dorso di mulo ed i giovani pastori, le donne coperte ed i bambini che raccoglievano il fieno, dopo i fiori selvatici ai bordi della strada in bouquet colorati nel blu, giallo e viola, i controlli dei documenti in posti di blocco militari per via dei curdi con velleità indipendentiste e dopo anche l’Ararat, approdiamo nella cittadina di Dogubeyazit adagiata ai suoi piedi. Il cielo ancora coperto dalle nuvole non scoraggia la visita al vicino palazzo fortezza ottocentesco di Ishak Pasa Saraya. Voluto da un governatore ottomano è arroccato su una collina ad una decina di chilometri dalla città. Lo vediamo da lontano, con il suo bastione possente, il minareto a righe orizzontali e la cupola della moschea sulla quale spuntano ciuffetti d’erba. Abbiamo solo venti minuti per visitarlo…..chiuderà alle 17.30. Un portale riccamente decorato con bassorilievi di matrice armena ci introduce al primo cortile e quindi al secondo dal quale entriamo nella moschea. Interamente realizzato in blocchi di pietra dalle tonalità rossicce, è riccamente decorato con bassorilievi a motivi floreali. Incantevoli cortili interni colonnati distribuiscono le aree funzionali del complesso riassunte nell’harem, le aree riservate agli uomini e la cucina. In ogni camera un bel camino sporge a semicerchio dalla parete di fondo al centro di due finestre che inquadrano settori di paesaggio montuoso. Davvero un bel modo di concludere la giornata di oggi. Dormiamo all’hotel Golden Hill, un quattro stelle declassato a tre…..ma la città non offre nulla di meglio e noi siamo ormai abituati alla mediocrità degli hotel della Turchia orientale !
26 Giugno 2009
DOGUBEYAZIT – ARDAHAN
Circondato dal cielo azzurro l’Ararat è inquadrato nella finestra della nostra camera…. sulla cima innevata un cappello sottile bianco, una nuvola leggera come un fazzoletto appoggiato a quota 5137 metri. Illuminato dal sole il paesaggio che vediamo girovagando nell’Anatolia Orientale ci regala scorci strepitosi su montagne ricoperte di verdi prati all’inglese che ne rimarcano le forme complesse….nessun albero o cespuglio, solo variopinti fiori di campo o interi rettangoli rosa o gialli dei fiori dei cereali che vi sono coltivati. Qualche roccia nera spunta dal verde compatto dove gli animali pascolano in gruppi…..data l’assenza totale di alberi li potremmo contare uno ad uno. Dopo le mucche e le pecore ecco che anche gruppi di cavalli allo stato brado brucano i lievi pendii. Qualche tenda bianca circolare dal caratteristico tetto a cono accoglie le famiglie nomadi o funge da appoggio a chi si dedica all’apicoltura o all’agricoltura che il suolo roccioso, nascosto da quel tappetino verde acceso, consente loro. Ad ogni valico il paesaggio cambia leggermente ed ora ci troviamo immersi in un paesaggio di rocce colorate nelle sfumature del verde, giallo, rosso ……come dentro un caleidoscopio godiamo dell’insolito spettacolo creato dai minerali contenuti nel sottosuolo e non stupisce che alcuni abbiano scelto questo posto dove vivere stabilmente. Scatole di pietra coperte da lamiere appoggiate ai muri perimetrali sono le catapecchie dove alcuni locali vivono, sintomo di quanto sia diffusa la povertà in quest’angolo di Turchia. Saliamo e scendiamo in un’altalena di vallate e montagne da superare poi, nei pressi di Igdir, ci assestiamo a quota 1750 metri ….. abbiamo quasi raggiunto l’antica capitale armena di Ani ironicamente in territorio turco ma adiacente al confine con l’Armenia che si sviluppa oltre il fiume che delimita l’area archeologica. Ciò che rimane della città che fu edificata a partire dal 961 d.c. è poca cosa rispetto alla sua bellezza passata….ed il suo appellativo di “città dalle cento chiese” ne rende solo in parte l’idea….rimangono un tratto della possente cinta muraria con bastioni cilindrici che ne flettono il profilo esterno, una basilica a pianta longitudinale completamente scoperchiata e sostenuta all’esterno da puntoni di ferro, due edifici sacri a pianta circolare uno dei quali in parte crollato. I crolli consentono di leggere la tecnica costruttiva impiegata un tempo per la realizzazione degli edifici sacri… i muri perimetrali sono costituiti da due pareti parallele di blocchi di pietra la cui intercapedine è riempita di pietrisco e materiale di risulta. La superficie esterna dei blocchi rossastri veniva poi scolpita a creare elementi a bassorilievo con funzione puramente decorativa. I paramenti dei pochi edifici rimasti presentano modanature che inquadrano le finestre o articolano la facciata con archetti e colonnine circolari, secondo la modalità caratteristica dell’architettura armena costituita dalla continuità delle cornici decorative che flettono attorno agli elementi senza mai interrompersi. In ordine sparso sul prato ricco di margherite cresciute spontaneamente, i pochi edifici sopravvissuti sono belli anche se in rovina, per quei ritagli di cielo visibili dai tetti sfondati e per i fasci di luce che entrano ad illuminare un capitello dalle forme levigate dalle intemperie o i ciuffi d’erba che sostituiscono il pavimento. Più oltre le acque dense del fiume Arpa, flesso in una doppia ansa, segnano il confine naturale……inutile dire che anche il ponte è crollato. Il cielo all’improvviso si fa nero di pioggia ed io guadagno in fretta le poche centinaia di metri che mi separano da Asia e da Vanni che senza accorgermene aveva già raggiunto l’uscita….appena in tempo per essere soccorsa. Un piccolo malore dovuto al caldo ed al sole cocente nelle due ore di visita mi lascia senza forze sul sedile di Asia che raggiungo a fatica…. Vanni si attiva subito appoggiando sulla mia fronte e sui polsi delle salviette umide e sventolando un giornale per darmi un pò di sollievo….il corso di primo soccorso inizia a dare i suoi frutti ! Dopo la merenda a base di ciliegie acquistate sulla strada della vicina Ocakli, rimane solo un pò di spossatezza …si può continuare l’avvicinamento alla Georgia. Per non esagerare ci fermiamo nella cittadina di Ardahan che non ha molto da offrire se non una camera al limite della decenza dove dormire. L’hotel Buyuk Ardahan sembra un vecchio hotel di regime ormai allo sfascio ed a parte i computer alla reception, nuovi ed a schermo piatto, tutto il resto sarebbe da buttare….eppure è il migliore in zona. Quando Vanni torna dalla sua visita al barbiere sembra un bambino con i capelli impomatati e la barba corta…..è divertito mentre racconta delle usanza dei barbieri del luogo. Certo l’acqua calda non sgorga dai rubinetti ma viene scaldata in contenitori di latta sulla stufa ed il rasoio viene disinfettato immergendolo nell’alcol e poi incendiandolo con un fiammifero….ma la cosa più divertente è la depilazione delle orecchie che avviene per bruciatura con l’ausilio di un cacciavite la cui punta avvolta di garza viene incendiata. Nonostante la sofisticata tecnica qualche pelo è rimasto, ma le orecchie almeno non sono ustionate ! La barba è ben disegnata ed i capelli li vedremo quando il gel sarà rimosso dal prossimo shampoo…..ma il colore è decisamente meno grigio, forse gli hanno fatto una fiala colorata alla traditora! Al ristorante dell’hotel veniamo dirottati, come sempre qui in Turchia, al banco frigo che contiene i prodotti disponibili dentro a vaschette di acciaio. Carne cruda, verdure già pronte in insalate….scegliamo tra le poche cose ciò che stuzzica maggiormente il nostro appetito, anche se tutto, dalle bistecche ai funghi trifolati ed all’insalata russa sembra in giacenza da diversi giorni. Quando infine Vanni chiede un whisky gli viene risposto che non ce n’è, ma lui insiste dicendo che ha visto le bottiglie piene sulle mensole del bar. Non si può capire la nostra sorpresa alla risposta….le bottiglie sono state riempite di tè ! Poveri turchi. Forse che un tè uscito da una bottiglia di J&B fa un certo effetto? Lo scambio di battute ci fa tornare in mente i cortometraggi di propaganda visti ogni tanto in tv in cui c’è sempre una ragazza alle prese con un ubriaco molesto….la ragazza infastidita anche dal suo alito cerca di evitarlo con sguardo sospeso tra la pietà ed il disgusto e di convincerlo a non bere più. Al di là della condivisione della denuncia all’alcolismo troviamo che poter scegliere sia sempre una gran cosa.