27/28 Luglio 2011

VLADIVOSTOK – MATSUE

Avrei voluto portare Tatiana con noi. Salutarla per sempre questa mattina sotto la pensilina dell’hotel è stato strano ed innaturale quanto lasciare a metà strada una cara compagna di viaggio. Col passare dei minuti però la gioia di raggiungere presto il Giappone ha finito col diminuire il pathos del momento ed ora a bordo della nave da crociera Eastern Dream non vediamo l’ora di salpare lasciando alle nostre spalle le navi da guerra grigie come la nebbia di questa mattina e Vladivostok che intravediamo da questa prospettiva ritta sul liquido salato della baia. Vanni freme perché non è ancora riuscito a raggiungere Asia, la nostra appendice che speriamo sia stivata sotto di noi. Intanto i pochi europei si aggirano negli spazi comuni distribuiti su tre livelli sotto dimensionati come le cabine che non vale la pena occupare se non per dormire …. la mia al primo livello e quella di Vanni al terzo anche se al momento dell’acquisto dei due biglietti la possibilità di dormire in due cuccette vicine non ci era stata negata …. ma due giorni passano in fretta e noi siamo felici. L’insistenza di Vanni che non molla mai scaturisce in un colpo di scena inaspettato quanto comodissimo e così anche grazie ad una svista del manager finiamo con l’occupare grazie ad un cospicuo sovrapprezzo la migliore cabina di bordo, la Royal Suite. Boiserie di legno scuro, copriletto di raso sui due comodi lettoni ed un bagno tutto per noi. Comodamente seduti sul tavolino di fronte all’oblò, guardando il mare gustiamo il nostro tè caldo ed il lento procedere…. adoro Vanni. Infine si materializza Louise, una giovane ragazza inglese che seduta ad un tavolo mi chiede se siamo europei. Nel corso della conversazione apprendo che vive a Tokyo da quattro anni e parla un giapponese quasi perfetto, sarebbe perfetta come interprete e così non ce la lasciamo sfuggire. Beviamo un drink insieme che speriamo non sarà l’ultimo e trascorriamo un intero pomeriggio in sua compagnia durante la sosta a Donghae – Si, la città marittima della Corea del Sud nella quale siamo attraccati. Un pranzetto a base di pesce crudo nella fish town ed il desiderio di poter parlare un inglese fluente come il suo. Domani approderemo a Sakai Minato, il porto di Matsue.

29 Luglio 2011

MATSUE

Quando senza avere confermato nulla vediamo Louise oltre il controllo dei passaporti immaginiamo abbia accettato la nostra proposta e questo ci solleva dal pensiero di dover affrontare senza interprete questo paese nel quale pare non sia facile trovare qualcuno che parli la ormai internazionale lingua inglese. …. Alla dogana però si fanno capire benissimo e dopo aver ispezionato ogni valigia eseguono come da copione il controllo dei documenti dell’auto. Se Louise avesse saputo cosa la aspettava si sarebbe eclissata subito dopo averci lanciato un cordiale “hello” perché scrupolosi fino all’esasperazione i doganieri scoprono immediatamente una cosa della quale non ci eravamo accorti, ovvero che il numero di telaio stampato sulla targhetta dell’auto non corrisponde a quello scritto dall’impiegato ACI sul carnet de passage, il passaporto di Asia necessario per entrare in territorio giapponese. Una storia iniziata male quella del carnet perché quando a Vladivostok ci eravamo accorti che era scaduto si era innescato un veloce scambio di email con l’ufficio estero dell’ACI di Roma dal quale però avevamo ricevuto un foglio di proroga. Ora eccoci di nuovo nei pasticci…. per un errore di distrazione, come direbbe una maestra, nella trascrizione della lunga sequenza di numeri e lettere che identifica inequivocabilmente Asia. Per sapere se saremo espulsi o se sono disposti a chiudere un occhio dovremo aspettare il responso del capo della dogana e della JAF, l’equivalente giapponese dell’ACI. Superato con coraggio il problema della ferita di Vanni che aveva messo in serio dubbio il proseguimento di questo nostro viaggio non avremmo mai pensato che un numero avrebbe potuto farlo naufragare definitivamente. Eppure ora siamo in attesa del responso che arriverà solo fra quattro ore e dall’espressione che leggiamo sui visi degli impiegati della dogana intuiamo di non avere molte speranze e la tensione cresce esponenzialmente col passare dei minuti. Il seguito della giornata ruota attorno al carnet, compreso l’andirivieni tra il porto e l’ufficio della JAF a 20 km di distanza. Per farla breve quando poco dopo le 15 arriva il sospirato responso favorevole anziché saltare di gioia iniziamo a piangere per lo stress accumulato in queste interminabili ore nel corso delle quali avevamo preso in considerazione di dover ripiegare verso l’unica soluzione possibile in caso di responso sfavorevole ovvero di spedire Asia in Italia lasciando con lei immediatamente il Giappone…. le conseguenze di quel piccolo errore sarebbero state devastanti. Ma non è ancora finita perché superato lo scoglio più grosso se ne pone subito un altro perché non troviamo compagnie disposte ad assicurare un’auto italiana. Per fortuna i disponibilissimi impiegati che stanno lavorando per noi da ore continuano gentilmente ad assisterci esplorando telefonicamente il mercato assicurativo locale. Solo alle sette di sera dopo una bella strigliata da parte del capo della dogana lasciamo stremati il porto di Sakai Minato a bordo di Asia, finalmente ripuliti da errori ed omissioni… che sollievo! In fondo siamo stati fortunati perché senza Luoise che ci ha assistiti parlando in perfetto giapponese non saremmo probabilmente riusciti a cavarcela. L’arrivo al business hotel Route Inn Matsue è stato come il raggiungimento di un approdo sicuro dopo la fatica di una tempesta durata ore… modesto ma pulito ci introduce alle dimensioni ridotte degli spazi abitativi tipicamente locali ed alla squisita gentilezza del popolo giapponese che si esprime ora con la conferma delle camere prenotate e l’aiuto a portare i nostri trolley dall’auto all’atrio dell’hotel. La scelta per la cena ricade sul localino meravigliosamente verace a due passi dall’hotel dove dopo aver incastrato i piedi scalzi sotto il basso tavolino di legno gustiamo i filetti di pesce crudo, il brodo di alghe ed un’ottima tempura di gamberi, il tutto scelto dal menu scritto con ideogrammi in corsivo, bello quanto incomprensibile … Louise ci ha salvati ancora, questa volta da una cena a sorpresa.

30 Luglio 2011

MATSUE – ISOLA NAOSHIMA

Il limite di velocità di 80 km/h consente a Vanni di procedere serenamente nonostante la guida a sinistra mentre Louise armata di navigatore dà indicazioni precise sulla strada da seguire. La segnaletica in lingua inglese anche se comoda non lo è quanto la nostra nuova efficiente compagna di viaggio. L’autostrada che stiamo percorrendo sale e scende circondata da basse montagne le cui perfette rotondità sembrano uscite da un’attenta progettazione, gli alberi in coni appuntiti sembrano stati scelti da esperti giardinieri a creare texture perfette ed anche le aree di servizio e le toilette che seppur perfette non sono però appena state lustrate da zelanti inservienti. Siamo arrivati in un altro pianeta? Niente affatto, è tutto merito della religione scintoista che sostenendo la pulizia come sinonimo di purezza interiore ha modellato la cultura giapponese, dedicata tra le altre cose all’ordine e ad un profondo rispetto per gli altri. Un mondo a parte questo, che gratifica e rassicura ma che fa sorgere un problema, dove buttare i mozziconi di sigarette? Immersi nel caldo afoso raggiungiamo in traghetto l’isola Naoshima e la casa tradizionale che ci ospiterà questa notte con porte scorrevoli in carta di riso e tatami sui quali dormire, un’esperienza da fare almeno una volta …. e questo silenzioso circondato dall’acqua è senz’altro il luogo più adatto. Di recente l’isola è stata dedicata all’arte che si trova sparsa ovunque, incastonata come un gioiello tra le vecchie case di legno del villaggio di Honmura. Ancora abitate da una popolazione anziana che ha accolto questa novità come una intrusione mal tollerata. Le case sono belle ed uno dei migliori accostamenti per le opere che andremo a vedere. Spostandoci a piedi fra le strette strade del villaggio ne apprezziamo le caratteristiche forse uniche come le pareti di legno nere del fuoco che le ha rese inattaccabili dalla salsedine. Tra un gatto steso davanti ad una porta e giardinetti zen arriviamo alla prima delle cinque installazioni che fanno parte del Art House Project. Inserite nel tessuto esistente o ospitate dentro i vecchi edifici. Iniziamo la nostra esperienza dalle tenebre di James Turrel che riempiono l’interno della Minamidera di Tadao Ando. Caratterizza l’ involucro il perfetto equilibrio di geometrie elementari, minimali ed assolute come il buio nel quale entriamo seguendo i dieci partecipanti alla performance. Tutti in fila indiana con la mano che cerca la via tastando la parete di ingresso. Un tuffo nella morte, angosciante come i demoni nascosti nelle nostre anime. L’inquietudine si alleggerisce solo dopo qualche interminabile minuto quando lievi chiarori, come variazioni di un nero meno denso crescono fino a rendere appena percepibile il rettangolo di fondo verso il quale ci avviciniamo a passi incerti, come se si trattasse di una illusione dettata dal puro desiderio di tornare alla vita. Ma il fondo non c’è e la mano affonda nella nebbia fredda che sottolinea l’illusione e l’immaterialità. Ora la stanza è visibile dall’occhio allenato alle tenebre ed all’inquietudine allontanatasi definitivamente si sovrappone la delusione dell’inganno. Le grandi emozioni si basano sull’illusione? geniale! Di tutt’altro genere il gioioso Haisha, l’edificio di Shinro Ohtake. Collezionista o meglio raccoglitore di materiali poveri e consunti dal mondo, ha costruito con essi un edificio scatolare a due piani, eclettico ed affascinante per le lamiere arrugginite, le assi di legno grigio di vita, le ruggini di metalli ondulati, gli scafi di piroghe, gli specchi che riflettono la vegetazione circostante e le scritte al neon, qualche lettera scrostata. Tutto questo avvolge una grande statua della libertà, bianca come il gesso e cinta da un neon rosso mentre le pareti chiare sono ricoperte di dipinti ad olio che riassumono parte del linguaggio artistico giapponese, essenziale e profondo. Yoshihiro Suda ospita invece nella sua Gokaisho, una casa tradizionale rimessa a nuovo, una grande superficie d’acqua profonda pochi centimetri dalla quale emergono sequenze di numeri luminosi, squadrati e colorati che scorrono casuali a ritmo frenetico contenuti in cubetti scuri. Il significato dell’installazione sfugge, ma trovo interessante un’altra sua opera, una specie di finestra sulla cui superficie traslucida sequenze di tre numeri sempre diversi sono visibili per le veloci trasparenze che si susseguono. L’opera di Hiroshi Sugimoto sonda invece il mistero dell’aldilà attraverso una particolare interpretazione del santuario scintoista appoggiato in questo caso su uno zoccolo di pietra contenuto in un ampio rettangolo di sassolini chiari immersi nel verde. Il particolare più interessante è la scala costruita con spessi blocchi di vetro. Ha inizio dalla cripta illuminata dal fioco chiarore della trasparenza, simbolo dell’ascesa al divino che sale in alto nel piccolo tempio di legno. Altra chicca è il Chichu Art Museum di Tadao Ando la cui genialità è la vera protagonista dell’espressione artistica dell’isola. Entriamo con piacere in questo santuario dell’arte all’interno del quale le opere non sono esposte ma sono parte integrante dell’architettura in armonia perfetta con lo spazio immaginato per esaltarle e stimolare al massimo l’esperienza emozionale ed intellettuale dei fruitori. Una esperienza anche fisica, i piedi scalzi aiutano in questo senso, all’interno di questo contenitore ipogeo, rispettoso della natura che lo ha inghiottito sotto terra. Il filo conduttore è l’aspetto escatologico dell’arte contemporanea, il suo essere veicolo di indagine dell’immateriale come l’opera di James Turrel, impalpabile, assente se non nella forte emozione che crea. In questo caso Turrel ha simbolicamente inquadrato una porzione di cielo sul soffitto di un ambiente verticale e quadrato come l’apertura in alto. La panca di pietra che corre lungo il perimetro è il legame con la terra materiale ed anche il punto di osservazione di noi spettatori. Il cielo e la luce invece rappresentano l’immateriale ed il contenitore è il mezzo, lo strumento necessario per farli esistere. Il piacere dell’esperienza deriva dalla forza della complessa semplicità e dalla potenza dell’emozione che suscita. Adoro Turrel! Il tema metafisico è sviluppato anche dall’opera di Walter di Maria che ha fatto installare una grande sfera di granito al centro di un piano orizzontale compreso fra due rampe di scalini larghi quanto l’ampia sala. La luce zenitale ne esalta la presenza che riempie lo spazio, la scala sottolinea per contrasto il miracolo della sua immobilità, la dimensione e la perfezione della sua forma la forza racchiusa nella semplicità. Il tema è sviluppato Nella seconda opera di James Turrel, introdotta da quattro scalini neri che saliamo per entrare nella bassa apertura rettangolare che inquadra l’azzurro. L’immersione nel colore è totale, il fondo indefinito invita a cercare un ostacolo che non c’è, mentre la mano è avvolta in una nebbiolina fresca. La parete non c’è seppur visibile…. il mistero evidenzia la capacità dell’uomo di creare l’illusione. Il relax arriva con l’ongji, la versione giapponese del bagno turco o della banja russa. Un modo diverso di lavarsi in compagnia. Shinro Ohtake ha creato per questo un ambiente colorato e divertente nel quale mi trovo nuda in compagnia di Louise e di altre otto giovani ragazze senza cellulite. Imitando le altre mi siedo sul basso seggiolino di plastica di fronte al mio rubinetto con doccetta che mi consentirà di sciacquarmi dopo una bella insaponata. E’ fondamentale essere pulitissimi prima di immergersi nella bassa vasca piena di acqua caldissima dove si si può socializzare scambiando due parole… giusto due perché il calore mi fa sgusciare fuori spesso per una doccia fredda. Intanto un grande elefante di plastica osserva immobile sopra l’alto muro noi signore ed i dieci uomini che stanno eseguendo lo stesso rito dall’altra parte. Siamo pronti per una bella dormita sul tatami della Guesthouse Yokonbo Naoshima, la cui parete scorrevole di carta di riso si apre sull’ordinato giardino e sul mare. Una esperienza bella, rilassante e stranamente comodissima.

31 Luglio 2011

ISOLA NAOSHIMA – KYOTO

Kyoto ci accoglie con due treni che si muovono in direzioni opposte sulle rotaie inclinate che si incrociano sospese sulla strada che seguiamo verso il centro città…. un effetto speciale che ci introduce questa volta nel mondo High-Teck giapponese. Gli edifici ci accompagnano sui due lati, stretti ed alti come le antiche case a schiera medievali, qui per del grande valore della superficie edificabile di questa grande città. Cresciuta attorno ad una griglia di strade ortogonali non così larghe come le avevamo immaginate. Ordinata e vivace non è congestionata dal traffico e le poche aree verdi sono i grandi giardini imperiali dove la divina figura amava gironzolare nel verde confezionato come un modello di equilibrio, tra gli alberi fioriti, i ponticelli, gli specchi d’acqua ed i pesci colorati che partecipano alla perfezione dell’insieme. Quella che vediamo raggiungendo il centro è invece la città tutta costruita, gli edifici sempre più alti e densi dove lo spazio di un alberello rappresenta un lusso almeno quanto un posto auto. Il Royal Hotel & Spa non è costosissimo se prenotato con www.booking.com, in compenso si trova nel cuore di Kyoto e la nostra camera è confortevole come ci aspettavamo, lontana dallo standard dei business hotel dove gli spazi sono compressi per contenere il maggior numero di ospiti. La sua posizione ne fa il nostro epicentro dal quale possiamo facilmente raggiungere con una breve passeggiata le aree commerciali ed il Ponto Cho, l’unica strada della città larga non più di due metri rimasta pressoché intatta nel tempo. Piena delle insegne dei ristoranti che ne occupano i due lati, le lanterne rosse ed i menu scritti con eleganti incomprensibili ideogrammi è pittoresca anche se estremamente turistica … ma la passeggiata è piacevole e per la cena avremo una quantità di opzioni…. basta scegliere una fra le tante piccole porte lungo la strada, scivolare lungo lo stretto corridoio ed accomodarsi ad un tavolo al piano terra, al primo piano o nella terrazza sul fiume?… per il menu non ci sono problemi, riproduzioni perfette dei piatti proposti sono esposti accanto alle porte di ingresso…. Alla fine però vince il richiamo dello squisito king crub, anche se il ristorante che lo propone non è così vicino al Ponto Cho. Lo avevo visto camminando lungo le gallerie vicine all’hotel e l’idea di andare è rimasta per tutto il pomeriggio…. che squisitezza! Il ristorante è il Kanidouraku Kiyoutohonn-Te…. il nome è difficilissimo ma non è impossibile trovarlo perché sulla facciata dell’edificio è appeso un granchio enorme. Il rito del piede scalzo anche nei ristoranti presuppone una doverosa pulizia dei calzini, le scarpe devono poi essere appoggiate a terra vicine l’una all’altra…. per noi ancora inesperti è la signorina in kimono che provvede ad allontanarle ed a riportarle poco prima dell’uscita, nell’ apposito spazio dedicato al rito… penso che comprerò un paio di comode ciabatte, Vanni invece sogna le sue dure e pesanti amate Church. Appartati dietro un separé di carta siamo subito raggiunti da una sorridente signorina vestita di un kimono come tutto il personale, si avvicina a piccoli passi con un menu illustrato che riporta le foto esatte dei piatti che potrebbero arrivare sul tavolo. Gli inchini accompagnano ogni sua parola ed il rito dell’apparecchiatura e del servizio sembrano seguire un rigido protocollo, come una danza ripetuta centinaia di volte. Il cibo è una squisitezza e si può stranamente fumare, è l’unico posto nel quale stranamente non è vietato.

01 Agosto 2011

KYOTO

L’invito all’acquisto è spinto al massimo dai negozi che si dilatano verso l’esterno e dai commessi che invitano ad entrare lanciando parole musicali. Sentirli è divertente anche per l’enfasi della gestualità tipicamente nipponica che sempre accompagna le parole… soprattutto gli inchini ripetuti più volte ad ogni saluto o ringraziamento, lontani dal sembrare eccessivamente servili solo perché fatti da tutti indistintamente. Per il momento non acquistiamo nulla ed iniziamo la vera esplorazione della città, interessante non solo per i numerosi antichi templi buddisti e scintoisti che la rendono famosa, ma anche per gli edifici contemporanei progettati da alcuni degli architetti giapponesi più famosi, come la stazione dei treni di Hiroshi Hara che non avremmo mai immaginato così sorprendente. Un tempio della tecnologia e dell’arte distribuito su diversi livelli aggettanti sul grande atrio. Coperto da volte reticolari che si incrociano a sessanta metri dal suolo ed alte passerelle di vetro che collegano ai piani più alti le gallerie di negozi, ristoranti e piccoli musei. Inclinate e sospese, raggiungiamo i percorsi in quota salendo le diverse rampe di scale mobili che salgono dai due lati opposti dell’atrio. Dei treni non vi è traccia perché le rotaie si trovano nei piani interrati. Contenti come bambini di fronte alla sorpresa di un bel gioco raggiungiamo il top dal quale osserviamo come canne d’organo gli edifici più alti della città da qui completamente visibile. Percorriamo le vertiginose passerelle e saliamo al giardino della felicità sulla terrazza all’aperto…. un incanto che però finisce con lo sminuire la bellezza di ciò che vediamo poco dopo, una coppia di templi scintoisti collegati da un corridoio esterno. E’ il Nashi Hongwanji edificato nel dodicesimo secolo, patrimonio dell’umanità come gli altri quindici sparsi nella città rumorosa che li circonda inghiottendoli. Gli edifici di legno sono coperti da tetti a pagoda, all’interno sulle pareti di fondo gli elaborati altari dorati ospitano i Buddha che si specchiano sui pavimenti tirati a lacca. Attorno alle tre sculture un paio di monaci in impeccabili abiti inamidati, belli come se fossero usciti dal set di un film storico si muovono come ipnotizzati e con gesti meccanici seguono un preciso rituale per ordinare oggetti già perfetti e per sostituire un cero appena acceso nel rispetto della maniacale gestione del tempio…. la spontaneità sembra proprio non far parte della cultura giapponese. Non molto convinti raggiungiamo il vicino giardino imperiale Shosei-en risalente al 1640. Purtroppo che non possiamo godere dello spettacolo della fioritura primaverile né dei colori dell’autunno. Così come lo vediamo oggi non è particolarmente bello ma come tutto qui in Giappone è molto ordinato e progettato in modo ineccepibile. Cena al ristorante iraniano a pochi passi dall’hotel…. una buona alternativa.

02 Agosto 2011

KYOTO

Gli alti edifici della city sfumano verso il Museo Nazionale di Arte Moderna, opera di Fumihiko Maki. Lo raggiungiamo a bordo di un taxi nero, i migliori qui in città. Auto lucide e sportelli posteriori che si aprono automaticamente, i sedili sono coperti da una fodera bianca come la camicia ed i guanti dell’autista, i pantaloni sono neri come le loro cravatte, tutto è perfetto come la loro cortesia e professionalità. Alcuni di loro capiscono qualche parola inglese anche se non sanno leggerlo, ma è sufficiente per raggiungere il museo scatolare e rivestito di pietra grigia, piuttosto anonimo a differenza degli interni disegnati per offrire piacevoli prospettive e per accogliere oggi una estesa collezione di opere di uno dei fondatori del costruttivismo degli anni ’20 e ’30, il mitico Moholi Nagy. Filmati sperimentali che illustrano la vita di allora, le tele ed una stupefacente scultura, il Light Space Modulator del 1922/30, un patchwork di pezzi metallici che ruotano attorno al suo asse creando bellissimi giochi di ombre sulle pareti della sala. Dopo il museo sull’isola Naoshima Tadao Ando continua a regalarci il piacere dell’immersione in architetture perfette anche qui a Kyoto con il Garden of Fine Arts ( indirizzo: Shimogamo Hangi-cho, Sanyo – ku) Essenziale ma incisivo il giardino è disegnato con pochi semplici elementi orientati secondo direttrici inclinate che si intersecano formando angoli acuti. I setti di cemento armato aperti in ampi portali e la rampa che li attraversa scendendo sono gli elementi materiali del progetto. Il percorso offre la possibilità di osservare oltre le balaustre di vetro le poche opere esposte sulle pareti perimetrali che ne definiscono l’ambito. Riproducono su ceramica alcune opere d’arte classica così poco interessanti rispetto al contesto nel quale si collocano da sembrare piuttosto che le protagoniste il pretesto che ha giustificato la realizzazione di questo giardino senza vegetazione, nel quale il suono dell’acqua che scende dalle pareti verticali verso basse geometriche vasche d’acqua conferisce alla passeggiata l’unico piacevole richiamo alla natura. Impossibile uscirne senza il desiderio di rientrare immediatamente in questa galleria d’arte a cielo aperto nella quale il vero protagonista è il mitico Tadao Ando. Questa terza giornata a Kyoto continua sull’onda del piacere estetico anche la sera quando la scelta del ristorante cade sulla sventolante bandiera francese del Douze Gout adocchiata ieri nei pressi della galleria vicina all’hotel ( tel. 075 221 2202. www.douze-gout.com email: info@douze-gout.com ). Piacevolmente arredata, la piccola sala al piano terra è abbastanza invitante da convincere ad entrare, ma poi succede una cosa strana. Il cameriere ci scoraggia dal sederci esibendo un menu scritto in giapponese ed affermando con qualche parola in un inglese stentato che a causa degli evidenti problemi di comunicazione non sarebbe piacevole per noi restare. L’atteggiamento è così strano da convincerci ad insistere, anche perché il ristorante è completamente vuoto e ieri avevo scambiato due parole in francese con il cuoco. Dopo un attimo il cuoco francese esce dalla porta della cucina ed il cameriere scontroso misteriosamente scomparso riappare dalla scaletta che porta al primo piano invitandoci ad accomodarci con un caldo sorriso ed un inglese da manuale. Basiti ci sediamo accanto al tavolo in legno di ciliegio dedicato alla rifinitura delle pietanze. Arredi essenziali e il look minimal tipicamente internazionale, specchi, legni caldi, arredi squadrati, la luce giusta ed una quantità di posate sul tavolo che fanno pensare ad un buon numero di portate. Una bella cornice dentro la quale iniziamo a sentirci a nostro agio e pronti al decollo di questo unico menu proposto dallo chef. Dalla curata composizione del primo delicato antipasto nel quale il sapore dell’anguria si mescola a quello del gaspacho ed il sorbetto di melone con quello dei sottili filamenti di prosciutto crudo disidratato capiamo che si tratta di un raffinatissimo ristorante, uno dei migliori della città. Da questo momento il nervosismo di Vanni cresce esponenzialmente al numero delle squisite delicate pietanze che sfilano sul nostro tavolo, in vista del costo che sarà esorbitante. Meritano di essere citati i piccoli colorati fiorellini commestibili che stanno per scivolare dal raviolo avvolto in un foglio di pasta sottile come carta, immerso in un brodino al profumo di wasabi, il quadratino di foie gras sul quale è adagiata una delicata composta di mango ed i pezzetti di frutta inseriti in una gelatina trasparente al profumo di rosa. Intanto, fra una portata e l’altra una ghesha scesa dal primo piano si infila in bagno e vi rimane a lungo…. impensabili tempi più brevi per chi indossa kimoni così complicati. Poi è un signore elegante quello che per passare inosservato si infila veloce oltre la porta. Quando chiedo curiosa se al piano superiore c’è una festa il cameriere risponde che ci sono solo due persone, quelle che poco dopo scendono veloci ed escono in ordinata sequenza: la guardia del corpo, la ghesha ed il signore abbastanza facoltoso da potersi permettere una serata particolare sulla scia di una tradizione ancora radicata anche se sempre meno praticata. Poi usciamo anche noi ma senza fretta, alleggeriti di ben 38.850 Yen, circa 380 € tutti peraltro meritati.

03/05 Agosto 2011

KYOTO

Dedichiamo gli ultimi giorni alla visita di ciò che rimane da esplorare ad eccezione degli antichi templi ai quali preferiamo per esempio il mercato. Collocato in una delle gallerie del centro storico lo avevamo immaginato vivace ed incasinato come tutti i mercati del mondo. Sbagliavamo perché il rigoroso ordine giapponese si è impossessato anche di questo. Non venditori ed acquirenti vivacemente intenti a proporre ed a scegliere prodotti variopinti ed invitanti accatastati in disordinate montagnole ma confezioni di frutti incellofanati così come molti altri prodotti culinari, solo il pesce è proposto dal vivo, ovviamente ordinato secondo qualità e dimensioni. Qualche ragazza indossa il kimono in vista di uno sconto del 10% offerto a chi acquista vestito in abiti tradizionali, un modo come un altro per stimolare il ritorno a quello che ormai è solo un simbolo del passato. Qualche tavola calda occupa piccole nicchie che diffondono invitanti profumi ed alcune bancarelle espongono parti di pesci che non pensavo qualcuno avesse il coraggio di mangiare… pinne, occhi, insomma bocconcini che solo forse sono apprezzati. Sumi è la gentile dolce amica di Vanni che avevo conosciuto in Italia durante una sua lunga esperienza extraterritoriale. E’ la compagna ideale per l’acquisto che desidero fare da quando sono arrivata, un bel kimono di seta, al quale rinuncio subito per il costo proibitivo… ripiego su un cotone disegnato con fiori nelle tonalità del grigio violetto. Sumi mi racconta che la seta non è molto usata se non dalle geishe i cui cachet sono così alti da poter loro concedere il lusso di meravigliosi tessuti dipinti a mano…. forse per compensare il sacrificio di tenere per ore sul viso il cerone bianco che con questo caldo deve essere una tortura …. il costo di 300.000 € per un kimono è considerevole per un comune mortale. Sono soddisfatta del mio kimono scelto su consiglio di Sumi dopo averne indossati un paio… e la fascia rossa in cintura fa un figurone. Ora dovrò imparare ad avvolgerla attorno alla vita ripiegandola in modo da ottenere il nodo a farfalla, per fortuna ho casualmente trovato nello scaffale di una libreria il dvd che svela tutti i segreti per indossarlo in meno di un’ora… scherzo, non è poi così difficile, basta prenderci la mano! Osserviamo la seta solo da lontano senza nemmeno osare raccogliere qualche informazione, ne servono tredici metri per fare un kimono, della larghezza standard di 40 cm…. Infine torniamo al passato con la visita alla pagoda a cinque piani racchiusa nell’antico tempio Ninna Ji, il secondo ed ultimo nostro appuntamento con gli edifici storici della città. Immerso in un verde giardino che sfuma nel bosco della collina retrostante, ne apprezziamo gli edifici restaurati in modo da mantenere il sapore della storia fin dal grande portale di ingresso ai cui lati sono imprigionate dentro steccati di legno le sculture di divinità dall’aria sinistra. Quello con la bocca chiusa rappresenta la morte, la bocca aperta invece la vita. Figure simili a queste sono presenti all’ingresso di tutti i templi ed i santuari shintoisti, qui però la vera chicca sono i tetti erbosi, realizzati fissando le piantine di erba fra travetti di legno ed anche i piccoli templi più defilati e semplici che raggiungo percorrendo un sentiero discreto e deserto che sale fra gli alberi sulla collina. Sono sola e loro sono così come li si trova prima di una rimessa in sesto. E’ fantastico essere soli in queste occasioni perché tutta la magia si diffonde ed entra mentre le ragnatele solleticano la mia pelle. Nessuno mi sta osservando mi tolgo anche la soddisfazione di suonare la campana appesa sotto il tetto di un piccolo tempio. Facendo ondeggiare la corda appesa lì di fianco… mi sento come una bambina che ha trasgredito alle regole! che meraviglia…

06 Agosto 2011

KYOTO – TOYOTA CITY

Kyoto alle nostre spalle, inseguiamo il taxi nero che ci guiderà lentamente, come da precise indicazioni di Vanni, in questo nostro esodo dalla città. Lo sfavillio della city sempre più lontano scorriamo nel traffico della periferia, fra edifici modesti pieni di insegne che come quadri sporgono dalle facciate dei piani terra. L’autostrada ci riserva stati di panico ad ogni raccordo ma arriviamo infine a Toyota, una città piccola ma importante soprattutto per Vanni che soddisfa così il suo romantico sogno di riportare Asia alla casa madre. Il tempo di appoggiare le valigie nella camera del modesto Sanco Inn Hotel ed è già in missione alla sede Toyota per un sopralluogo in vista della visita di domani al settore produzione della grande azienda. Con la lettera che ha scritto al Sig. Toyota nelle mani, spiega il motivo del suo arrivo in città ad un impiegato che come risposta gli ride in faccia. Vanni incassa con stile e non molla, troppo poco per farlo desistere dall’idea maturata un paio di anni fa, quando decidemmo di lanciarci alla conquista dell’ Asia. Scritta col cuore nel proposito di dare lustro all’azienda, ecco il titolo ed il testo.
“Un lungo viaggio per riportare alla casa madre la mia Toyota HJ60”.

Egregio Sig. Toyota
spero leggerà questa lettera che ho portato con me dall’Italia per ringraziare lei e le sue maestranze di aver progettato la Land Cruiser HJ60, a mio parere la più elegante, robusta ed affidabile vettura del mondo. Quest’auto mi ha permesso di realizzare il sogno della mia vita, quello di esplorare, a bordo delle mie tre HJ60 l’Asia, l’Africa e le Americhe, una sorta di giro del mondo quasi completamente compiuto. Ringrazio innanzitutto lei e le officine Toyota nel mondo che mi hanno assistito dandomi la forza e la sicurezza necessarie per continuare i miei lunghi viaggi. Vorrei segnalarne qualcuna in particolare
concessionario Giunchi di Forlì
officina Venturi Giorgio di Forlimpopoli
officina Celentano Motor di terra del fuoco, Argentina
Concessionario di White Horse, Canada
Concessionario di Ankorage, Alaska
Concessionario di Ulaan Baatar, Mongolia
Concessionario di Irkutsk, Siberia
e le molte altre che hanno nel cuore la famiglia Toyota
Dovendole tanto
la ringrazio
Giovanni Zamboni

07 Agosto 2011

TOYOTA CITY

Il momento tanto atteso si compie alle dieci di questa mattina con il nostro ingresso al Museo della grande casa automobilistica dove una serie di nuovi modelli brillano come pietre preziose nell’ampio salone che celebra la grandezza del marchio. Con la lettera in mano Vanni si avvicina al desk dove alcune ragazze mostrano sorrisi standard ed interesse chiedendogli come possono aiutarlo. In un attimo i sorrisi si trasformano in perplessità per l’insolita richiesta, senz’altro la prima di questo genere, ma Vanni sa convincere ed Asia è parcheggiata in bellavista poco oltre la vetrata di ingresso. Non avendo scelta le signorine raccolgono la missiva e dopo una lunga serie di inchini gli confermano che sarà recapitata….? Il dubbio che potrebbe finire nel cestino più vicino non sfiora Vanni che intanto stampa sulle sue copie i timbri del marchio che ha a disposizione, il suo desiderio è di spedirle ai concessionari che zelanti lo hanno aiutato, ma immagino che finiranno incorniciate ed appese alle pareti di casa. Solo più tardi, quando un’altra sorridente signorina ci mostra la catena di montaggio del settore assemblaggio diventa chiaro che l’aspetto umano è molto lontano dalla filosofia della casa automobilistica e ad anni luce dalla dolce e sincera commozione di Vanni…. ed appare chiaro anche che l’unica sincera risposta alla lettera è stata la risata che gli è stata sbattuta in faccia ieri pomeriggio. Il ritmo al quale sono costretti quegli operai è folle e disumano, lavorare con il cronometro al polso per far si che il numero delle auto che scorrono sia sempre così sostenuto da far avvicinare al 100% la produzione, numerino che compare ossessivamente sui display disseminati ovunque all’interno di questa grande gabbia, è aberrante, ed è fondamentale che il lavoro di ognuno sia eseguito alla perfezione prima che la riga rossa marcata sulla piattaforma in movimento e quella segnata sul pavimento a pochi metri di distanza siano allineati in un tempo brevissimo. Distolgo lo sguardo ed il mio sorriso si spegne mentre penso a come si possa non impazzire lavorando così per ore, giorni ed anni, come le macchine che li precedono ma con un cuore che palpita, un cervello che pensa ed una vita da vivere decorosamente. Quando sentii parlare del fatto che non è raro che i lavoratori giapponesi che commettono un errore sul lavoro poi si suicidino non capii come questo fosse possibile, ora capisco che questa è forse l’unica alternativa all’ossessivo numerino. Il paradosso è che la produzione Toyota è in esubero! Riproporre a distanza di decenni quello che Charlie Chaplin denunciò con ironia nel film “Tempi Moderni” fa capire che qui nulla è cambiato da allora…. che tristezza. Recupero alla grande quando scesa dal taxi mi trovo a percorrere il bellissimo ponte bianco di ispirazione organica realizzato fuori città, due campate sorrette in alto da strutture paraboliche, come i manici della valigia di un alieno! Oltre i cavi della tenso struttura si delinea lo stadio di Kisho Kurokawa i cui possenti elementi strutturali coincidono con l’edificio stesso, flesso in alto da un lieve movimento che tenta di alleggerirne la rigida staticità, rendendolo somigliante ad un liquido denso mosso dentro il vaso che lo contiene. Usciamo soddisfatti dal piacere del contatto con i due gioielli di Toyota City che hanno fatto passare in secondo piano la cittadina che li ha generati e con essa la grande azienda automobilistica.

08 Agosto 2011

TOYOTA CITY – NAGOYA

Nonostante si tratti di percorrere a ritroso un tratto della Highway che conosciamo riusciamo a sbagliare l’uscita diretta per Nagoya City trovandoci così in balia di un groviglio di expressway dal quale ci salvano un paio di gentili impiegati che ad un casello pur parlando solo giapponese ci fanno capire come poter conquistare il centro città . Infine il taxi che seguiamo fino al nostro B.Nagoya Hotel, comodo, piacevole e con prodotti Shiseido in bagno. Spompati dal calore ci abbandoniamo sul lettone per trovare almeno la forza di raggiungere il Sushi Restaurant all’ottavo piano del vicino centro commerciale, di fronte all’edificio ad angolo che esplode in alto con una insegna cilindrica così luminosa da diffondere il suo chiarore in buona parte del quartiere. Oltre il parco urbano inserito fra due arterie di traffico, emerge dagli alberi la torre della televisione che illuminata si staglia sul buio della notte come una piccola Torre Eiffel.

09 Agosto 2011

NAGOYA

Toyota City – Nagoya

Ci muoviamo lungo le strade patinate che delimitano i prestigiosi quartieri del centro, negozi di grandi marche, strade pulitissime nonostante l’assenza di cestini e divieti di fumare stampati su ogni marciapiede. Oltre gli alti edifici che segnano le arterie principali, le strade strette, gli edifici bassi e modesti ed i negozi dedicati ai prodotti meno fashion ma legati alla necessaria gestione del quotidiano, hanno il sapore della città verace di un tempo passato, nascosto dietro a quinte levigate dal benessere e dalla tecnologia. Tombini decorati con disegni in rilievo che riproducono pagode, fiori ed uccelli segnano il percorso verso gli alti edifici di Midland Square, i fari della city, alti e bellissimi. Sono così felice di trovarmi qui, per la prima volta a gironzolare sotto un grattacielo che si alza dal suolo in una magnifica torsione a spirale, le cui scanalature sono evidenziate da rientranze ombreggiate, esplosivo anche per i semplici geometrismi degli altri altrettanto alti che lo circondano. L’effetto si esalta osservandolo dalla terrazza del Toyota tower che rigido nella sua rigorosa forma a parallelepipedo si distingue per la sua copertura scavata come una grande elle rovesciata, il più alto che emerge sopra la città ed ai vicini edifici cilindrici della stazione che lo fronteggiano quasi a sostenerlo. Molto più in basso, a pochi centimetri dal suolo, sculture ancora rigorosamente geometriche ci riportano a proporzioni più accessibili, e l’aria fredda che esce dalle grandi porte dei centri commerciali ci danno un breve brivido di piacere nella torrida giornata di oggi invitando piuttosto a rinunciare alla passeggiata che dovremmo fare per raggiungere il museo del design contenuto in un bell’edificio hi-teck, il taxi aria condizionato è in questo caso una irrinunciabile ancora di salvezza. Non resta che fare un sopralluogo alla stazione degli autobus che troviamo a due passi dall’hotel dopo aver trascinato i nostri piedi verso il traguardo della nostra visita in città. Bello! quasi invoglia a salire su un bus. Saliamo invece sulla copertura metallica e leggera a fare due passi attorno alla sottile vasca d’acqua che occupa la parte centrale della struttura ovale. Inclinata su un lato esalta il disegno del complesso, come la valva di una immensa conchiglia dalla forma perfetta. La grande apertura ovale al livello del terreno dà luce al piano interrato, dove i pullman sono resi invisibili, come i treni della stazione di Kyoto, sprofondati qui sotto il giardino verde che lo circonda…. è quasi sera e le luci colorate fanno sembrare questo oggetto leggero e dalle curve morbide un’astronave appena atterrata, manca solo un pò di fumo…. Non ci aspettavamo così tanto da Nagoya.

10 Agosto 2011

NAGOYA – TOKYO

Le magliette inzuppate di sudore ci rassegniamo a percorrere quest’ultimo tratto di strada verso la capitale senza aria condizionata, un classico delle nostre Land Cruiser, troppo vissute per essere perfette. Arriviamo senza problemi nel centro di Tokyo seguendo la Tomei Expressway che la perfora fino a raggiungerne il cuore, siamo nel quartiere Shimbashi, ed il nostro Park Hotel è il più alto della città. Da giorni ironizzo con Vanni che lo ha opzionato fra i tanti proposti da Booking.com, per la posizione strategica ed il costo molto vantaggioso. Seguiva l’andamento dei prezzi come se fossero quotazioni di borsa, 130 € al giorno qui a Tokyo sono davvero pochi rispetto alla media, e le immagini erano la promessa di un soggiorno confortevole. Da qui era nato il giochino, vedrai che la nostra camera economica sarà all’ultimo dei 34 piani dell’hotel, quello più esposto alle flessioni provocate da un terremoto, e le più lontane in caso di evacuazione… strano che non siano completamente gratuite! Quando al desk ci è stata consegnata la chiave della 3427 appena sotto il tetto, siamo morti dal ridere….altro che penalizzati, il meraviglioso spettacolo che si offre ora ai nostri occhi incorniciato dalla parete vetrata in fondo alla camera si è imposto subito dopo il nostro ingresso sopra ogni considerazione facendoci sentire le persone più fortunate del mondo. Ora non resta che festeggiare il raggiungimento dell’obiettivo finale di questo nostro viaggio nel migliore dei modi possibili, con un bicchiere di champagne assaporato di fronte alla città in movimento sotto di noi, una delle più belle della nostra collezione. E’ tardi quando decidiamo di abbandonare momentaneamente la camera con vista per soddisfare il nostro appetito, un amico giapponese ci aspetta nel ristorante dove lavora, il superbo Jungumae ( 1 Park court Jungumae 1F /1 – 4 – 20, Jungumae Shibuya – Ku. tel. +81 804 170 0529 ), le cui vetrate si affacciano sul giardino già avvolto nell’oscurità. Takiro è bello quanto il locale nel quale ci accoglie, sofisticato ed avvolgente, ed il menu nouvelle cuisine è sinonimo di cucina francese. Dopo l’esperienza di Kyoto sappiamo di non aver sbagliato la nostra scelta, ottimi sapori ben confezionati, vino eccellente, impeccabile ma disinvolto il servizio con sorpresa finale che Takiro ci riserva in via del tutto eccezionale. La cena è quasi terminata quando ci accomodiamo nella saletta vetrata ritagliata all’interno della cucina, solo due coperti e la possibilità di sbirciare la preparazione dei nostri dessert accompagnati da un bicchierino di Sauternes, l’unico vero gustoso made in france della serata. A questo punto il problema da risolvere è dove parcheggiare Asia e Takiro potrebbe aiutarci a risolverlo.

11 Agosto 2011

TOKYO

Colazione di fronte al megaschermo e si parte, Vanni a caccia del referente per il parcheggio ed io all’inseguimento del TAM di Tadao Ando, il museo di arte moderna più recente della città. Non avrei mai immaginato che per un gioiello di Tadao avessero potuto scegliere una collocazione a 70 € di taxi dal centro, e così rassegnata sfodero la mia Visa e scendo di fronte ad una piccola porta vetrata chiusa. Visto dall’esterno l’edificio sembra appartenergli, ma è troppo piccolo per poter ospitare un museo e così giro attorno all’isolato per cercare l’ingresso principale ahimè inesistente. Riassumendo, la porticina è quella giusta ma il museo è aperto solo nel weekend, tanta strada per nulla, e niente da vedere di interessante nei paraggi, solo un quartiere residenziale modesto nel quale il museo è stato collocato in vista forse di di una riqualificazione, nemmeno un taxi all’orizzonte. Essendo i mezzi pubblici molto usati dagli abitanti di Tokyo cerco e trovo una stazione ferroviaria, ma di fronte alla fila di biglietterie automatiche mi blocco non sapendo cosa fare mentre i locali infilano monete senza esitazioni. La disponibilità e la cortesia giapponese però mi aiutano abbastanza da trovarmi seduta sul treno con un biglietto in mano, una mappa della metropolitana con diciture anche in caratteri occidentali sulla quale un gentile signore ha evidenziato il percorso da fare, ed un obiettivo da raggiungere. Prima di tutto la stazione di Sinjuku, e per non buttare via l’intera giornata esagero lanciandomi nell’impresa di continuare il mio tour ora sotterraneo per raggiungere la stazione di iidabashi, sezione Toei Oedo, il cui allestimento progettato da Makoto Sei Watanabe rende la stazione particolarmente piacevole. Sorprendenti le torri di ventilazione che salgono racchiuse da tre grandi foglie di metallo e vetro sostenute da profili di ferro a forma di steli. ramificati verso l’alto dal marciapiede. I tubi di ventilazione al loro interno sono quasi completamente invisibili ed il risultato estetico sospeso fra realtà e fantascienza, sicuramente di piacevole impatto. Con scioltezza ora mi muovo sicura nei tunnel della città fino a raggiungere la stazione di Shiodome, a due passi dall’hotel che trovo casualmente fra i grattacieli che svettano altissimi e belli sopra di me, uno in particolare mi colpisce per i reticoli a cilindro che salgono rastremandosi sui quattro angoli, è la sede della Nippon Television Tawer di Kenzo Tange…. un bel bottino quello di oggi!

12 Agosto 2011

TOKYO

Il quartiere Ginza mi incuriosisce ed è relativamente vicino all’hotel, lo raggiungo con una passeggiata lungo gli ampi percorsi pedonali della metropolitana, un mondo sommerso molto ben allestito dove centinaia di persone si muovono al riparo dal traffico cittadino. Seguo le indicazioni per Ginza che non so bene quando mi consentiranno di riemergere alla luce del sole, ma quale scegliere …. Ginza 1, 2, 3, 4 ? Casualmente scelgo bene, e dopo un quarto d’ora sono sul percorso pedonale in quota, uno di quelli al primo livello che passano sopra la strada a livello zero e sotto la ferrovia al livello due sulla quale si muovono i treni della metropolitana esterna. Un groviglio di flussi che soddisfano l’intenso traffico generato dai venti milioni di abitanti, organizzati su vari livelli che si intersecano idealmente e che cambiano le rispettive direzioni con ampie parabole che rendono ancora più complesso l’effetto visivo. Qui nella downtown i flussi di auto, treni e pedoni si sviluppano in verticale proporzionalmente all’altezza degli edifici che sfiorano. Camminando su una di queste comode corsie pedonali a diversi metri di altezza, seguendo una direzione piuttosto che un vero obiettivo, confuso nella selva di giganti, distinguo uno degli edifici che avevo in programma di vedere, il “Nagak in Capsule” che non immaginavo avrei trovato oggi, tanto meno qui di fronte a me proprio all’inizio della missione, tra le tante possibilità offertemi appena fuori dall’hotel. Si tratta di un particolare edificio residenziale che si sviluppa in altezza con una serie di parallelepipedi, le cellule abitative, aggregatesi in modo apparentemente casuale attorno all’asse verticale e sporgenti verso l’esterno in modo da formare un marcato chiaroscuro. Le finestre circolari, una per ogni cellula, rafforzano il geometrismo del progetto che termina in alto con un paio di cappelli di acciaio ossidato… cemento e ruggine, fantastico!… e di buon auspicio per la giornata appena iniziata. Avevo letto qualcosa di Ginza, dei suoi alti edifici e degli eleganti negozi che riassumono l’alta moda nel mondo, ma per il momento non trovo che un teatro, decisamente lontano dagli standard del quartiere che pensavo di aver raggiunto. Ma sono fortunata oggi ed il basso edificio in mattoni, squadrato ed invitante è uno dei pochi in città a proporre il Kabuki, uno dei generi teatrali appartenenti all’antica tradizione giapponese, il suo nome è Shimbashi Enbujo Theatre, uno dei pochi sopravvissuti alla demolizione. Entrare subito mi sembra una buona idea visto il cielo grigio scuro, ma lo spettacolo del pomeriggio è appena iniziato e quello delle sei del pomeriggio troppo lontano. Non mi resta che seguire le indicazioni del custode avvicinandomi alle strade trasparenti di vetrine, due assi stradali, contenitori di infinite tentazioni allo shopping tra i più costosi della mia modesta esperienza in campo. Impossibile acquistare qualcosa, ma il mio vero interesse è per gli edifici alti ed allineati, articolati in alto dal saliscendi delle diverse altezze, come canne d’organo del tempio del consumismo. Bizzarri per la necessità di ogni edificio di superare l’ originalità di quelli vicini, colori, texture, volumetrie e grandi pannelli luminosi in alto, larghi quanto l’edificio. Lucido, opaco, liscio o perforato da disegni in rilievo, vi si leggono le tendenze della storia dell’architettura contemporanea, dagli anni sessanta in poi. Buona parte dello scibile degli effetti speciali sembra riassunto in questo crocevia dove i miei occhi cedono inevitabilmente di fronte ad un meraviglioso paio di stivali. Ne esco senza pacchetti ma con il piacevole ricordo di stile e vivacità del campionario dei possibili edifici, belli soprattutto nell’espressione della loro coralità. Lo spettacolo del Kabuki è solo rimandato.

13 Agosto 2011

TOKYO

Louise è già in hotel, seduta su un divano di pelle della reception, grandi occhi azzurri ed il sorriso sulle labbra. Rivederla è un piacere quanto la prospettiva di rimanere qualche giorno con lei, a zonzo per la città. L’esordio non è così eccitante come lo avevo immaginato ma trovare una collocazione per Asia ha la priorità assoluta su tutto ed il parcheggio New Usa che Vanni ha scovato a due passi dall’aeroporto in collaborazione con l’ amico di un amico, sembra perfetto. La catena umana ha portato all’insperato risultato di un parcheggio sicuro ad un costo relativamente modesto …. certo è che il parcheggio scoperto non piace molto a Vanni ma Asia è robusta e la possibilità di scollegare le batterie e di tenere le chiavi in saccoccia compensa il piccolo difetto e ci consente di tirare un sospiro di sollievo, lo sdoganamento di Asia ha creato in noi un trauma indelebile! Poi un giro in metropolitana, nella quale anch’io ora mi muovo senza esitazioni grazie alla tessera Pasmo che Louise mi ha convinta ad acquistare. Eviterò così il noioso inserimento delle monete nelle macchinette ad ogni cambio treno e sarò molto nippo!

14 Agoso 2011

TOKYO

Il quartiere che Louise colloca al primo posto della sua top ten è quello di Yanaka, sfuggito per il momento all’intensiva edificazione del centro. Case basse, strette strade pedonali e decine di negozi che propongono oggetti artigianali, come la carta fatta a mano adatta per l’origami, per rivestire scatole di cartone o piegata in buste e biglietti. A questo si aggiungono i posa bacchette di ceramica, dai più essenziali a quelli ornamentali, le tazze per il tè, i calzini adatti ad indossare ciabatte infradito e molto altro. Il tutto calato in un contesto silenzioso e rilassante nel quale non si devono salire scale per attraversare la strada, ma solo abbandonarsi al flusso dei pedoni e raggiungere il parco urbano dove i cristiani si raggruppano per celebrare il rito religioso, all’ombra degli alberi, in ginocchio sull’erba, gratificati anche dallo spuntino gentilmente offerto dalla comunità. La passeggiata si spinge anche negli angoli che nessuno avrebbe la curiosità di visitare, i retro per esempio di piccole case che si affacciano su una piazzetta deserta, dove l’altalena immobile, la coperta gettata sul davanzale di una finestra ed una palla abbandonata rappresentano gli elementi romantici che sfuggono al rigoroso ordine della città visibile. Alcune piccole case di legno conservano gli assiti originali ed uno stretto volume color ruggine è squisitamente abbinato ad un basso squadrato edificio di legno nero…. un quartiere pieno di sorprese, come la caffetteria nella quale entriamo per uno spuntino, un gioiello del quartiere proprio come Louise che ha avuto l’idea di portarmici. L’aroma intenso del caffè ci investe fin dall’apertura della porta, oltre la quale trovano posto due tavolini e quattro sedie di fronte ad una mensola di legno. Il banco del bar è dimensionato in scala ridotta come il locale così piccolo da risultare per forza esclusivo. Sulle mensole dietro al gentile barista appassionato anche di musica reggae, file di vasi trasparenti raccolgono chicchi di caffè provenienti da ogni angolo del pianeta così come è scritto sui foglietti che sventolano ingialliti sulle nostre teste. Il profumo di curry che esala dal nostro piatto unico è il solo che possa essere percepito mentre davanti ai nostri occhi viene celebrato il rito della tostatura! Poco lontano c’è un grande cimitero scintoista nel quale alte e strette strisce di legno sono il supporto di preghiere scritte in ideogrammi, dritte accanto alla stupa funebre che segna la pertinenza della sepoltura. Una selva di legno senza foglie e senza vita, come i defunti dei quali non è esposta nemmeno una foto… la trovo una bella idea… Infine un particolare museo nel quartiere Kiyosumi che abbiamo raggiunto in metro, è il Fukagawa Edo che racconta la vita nel periodo Edo attraverso la fedele ricostruzione in dimensioni reali e nel rispetto delle tecniche costruttive tradizionali, degli edifici di legno del tipico villaggio abitato dai Samurai dove anche gli interni sono molto verosimili, riprodotti in ogni dettaglio comprese le ciabatte accanto alla porta d’ingresso, i tatami dove dormire, le poche stoviglie in cucina ed i gatti che miagolano sul tetto…. mancano solo i Samurai, ma il dettaglio è insignificante. La giornata si conclude in compagnia di Vanni, quando insieme raggiungiamo il teatro Shimbashi Embujo adocchiato ieri nel vicino quartiere Ginza… ma nonostante gli auricolari in inglese e l’interesse che la messa in scena di un pezzo della tradizione più antica normalmente suscita, la noia dello spettacolo è per noi così letale da farci fuggire dopo appena una mezz’ora, quando dopo aver visto lo splendido sipario dipinto ed i tradizionali kimoni di seta non ci sembrava il caso di dormire come alcune signore vicine a noi.

15 Agosto 2011

TOKYO

Giornata fantastica che si apre sul quartiere Shibuya, abbastanza fashion da contenere due edifici griffatissimi non solo per le aziende che ospitano ma anche per gli architetti cult che li hanno progettati. Il Prada di Herzog & De Meuron ed il Tods Omotesando Building di Toyo Ito, il mio attuale idolo. Protetto come un forziere dai mastini in tait ai lati dell’ingresso, superiamo la barriera ed entriamo al Tods dove ci viene imposto di non scattare foto. Inutile eludere la sorveglianza, un paio di attente signorine sono appostate sui due piani dell’atelier, che peccato! Gli interni sono modellati con esasperati geometrismi che trasformano mensole, tavoli, vetrate e scale in composizioni di superfici triangolari ad angoli più o meno acuti. Il progetto è ovunque, anche nella texture spalmata sull’esterno, nel parallelepipedo perfettamente squadrato dove triangoli creano le virtuali ramificazioni di una vegetazione piatta e pietrificata che si evidenzia nell’alternanza di settori di vetro opaco ed altri di cemento grigio… insomma un piccolo capolavoro. Rinuncio invece all’ingresso nel Prada building, il cui involucro è stato concepito da Herzog & De Meuron come una trama a losanghe nella quale la struttura nera del reticolo contiene spessi vetri talvolta gonfi come grandi bolle che sporgono dalla superficie esterna continua, flessa in alto a creare il piano triangolare di copertura. Il rigonfiamento di alcuni blocchi di vetro al piano terra crea la deformazione visiva dell’interno appena percepibile nel quale intravediamo scarpe ed accessori che immagino ordinatamente disposti sugli arredi assolutamente bianchi. Siamo nel quartiere Omote Sando e qui nei pressi c’è un negozio che Louise vuole assolutamente mostrarmi, è il Sou Sou che trovandosi al primo piano di un anonimo edificio risulta totalmente invisibile dalla strada. Vi si trovano abiti tradizionali abbastanza rivisitati da essere portabili anche all’estero, calzature e naturalmente i tipici calzini. In crisi di astinenza acquisto una bella maglia di cotone viola con scollatura a kimono e maniche di tessuto a pois, il costo è alto ma che importa … tutto qui lo è. Stimolate da un certo appetito troviamo casualmente il “Bohème”, una chicca molto d’atmosfera e poco parigina nonostante il nome nel quale troviamo un pavimento zebrato, il trasparente bancone di fondo illuminato con luci rosa, tavolini di legno scuro, ottimi spaghetti ed un buffet generoso… ma siamo solo all’inizio di questa lunga giornata che in vista della partenza sempre più prossima vorrei piena di sorprese… ed eccone una appena riemersi dalla stazione metro del quartiere Shinjuku, il Cocoon building che emerge su tutto con la sua slanciata silhouette chiara che va assottigliandosi verso l’alto come una grande borsetta, la struttura reticolare visibile sulla superficie esterna crea la texture più usata qui in città. Il cielo è ora bianco di foschia ma il sole è dentro di noi e la passeggiata continua all’insegna del puro piacere, con una sosta nel piccolo giardino dell’Okamoto Taro Memorial Museum nel quale troviamo sollievo alla canicola all’ombra di due alberi di banano e della foresta di sculture dell’artista, divertenti, ciccione e colorate. Un grande sole, la testa di un elefante ed un cane liberamente interpretati dalla fantasia di Taro. Una grande mano semiaperta, rossa e lucida sulla quale sedersi spicca in una delle poche stanze del ricco e accogliente museo nel quale camminiamo scalze sull’assito di legno chiaro tra disegni, dipinti ed ancora sculture immaginate. E’ un piacere trovare in questa città densa di edifici distanti pochi centimetri gli uni dagli altri un luogo selvaggio e diverso, come il Design Festa Gallery che raggiungiamo in metro nel quartiere Harajuku Meiji – Jungu Mae. Piacevole per l’atmosfera rilassata e giovane, le sue strade sono segnate da edifici bassi dove i giovanissimi passeggiano tranquilli nei loro particolari look di tendenza, affascinanti come le loro acconciature di ciuffi lisci sparati con cura sul viso dai bellissimi lineamenti orientali. Volendo distinguersi dalle generazioni passate lo hanno fatto con stile e trasandata eleganza e qui dove la ricerca estetica è al massimo e dove quasi tutto è bello loro hanno il vantaggio di non essere ancora inquadrati nel sistema impietoso e rigido. Simbolo della trasgressione è dedicare la vita all’espressione della propria immaginazione, ovvero essere un artista, se non ci si afferma abbastanza da poterne vivere si è fuori. Non solo disegni e quadri qui al Design Festa Gallery nel quale Louise ha lavorato e che ora mi mostra fiera, anche un piccolo spazio aperto, una pedana di legno, tre alberi e qualche tavolo sul quale appoggiare un drink, il tutto circondato da basse pareti di mattoni coperte di murales colorati. In questo angolo che dà sollievo e relax l’atmosfera è quella che spesso si respira quando si vuole diventare grandi in modo diverso, senza arroganza e senza voler essere per forza di tendenza, una scelta coraggiosa quella di chi pensa di poter vivere della propria arte…. qui dove si inizia a lavorare in una azienda e lì si muore, di vecchiaia o perché si è deciso di togliersi la vita, un fenomeno diffuso qui a Tokyo dove le metropolitane servono anche a questo. Nelle stazioni più gettonate i binari sono protetti da barriere fisse, altrove vi sono guardie armate che controllano i passeggeri in attesa, a questo si somma una legge che per scoraggiare ulteriormente il gesto addebita alla famiglia il costo della pulizia dei binari dai brandelli di carne dei loro disperati familiari. Lontanissimi da tutto ciò sono i giovanissimi, quelli che vivono la loro adolescenza con scelte estreme anche nel colore dei capelli. I più esibizionisti si raccolgono lungo la Takeshita Doori, a due passi dal centro sportivo di Yoyogi progettato da Kenzo Tange. Pesante e grigio non ha nulla a che vedere con la piacevole giornata di oggi… ma era doveroso per me vederlo! A concludere la giornata una squisita sofisticata cena al ristorante francese dell’hotel in compagnia dei nostri simpatici ragazzi, Louise e Takiro la cui presenza chiude in bellezza questo fantastico ferragosto.

16 Agosto 2011

TOKYO

Le urla ed i piagnistei dei bambini fanno dell’acquario di Tokyo un luogo da evitare, noi invece siamo qui, ingolosite dall’immagine vista su un sito internet e dal fatto che questa opera progettata da Yoshio Taniguchi compaia con l’invitante appellativo di Acquario Crystal View nell’elenco degli edifici d’autore del sito www.turismo-giappone.it nella sezione arte e cultura…. La cupola di vetro però è piuttosto banale ed il resto troppo affollato per poter osservare anche solo un pesce senza dover farsi largo a gomitate qui dove all’ordine nipponico si è sostituto un casino esagerato che non esclude gli spintoni. Chiudiamo in bellezza con un sopralluogo al Tokyo Opera City Art Gallery nella zona Hatsudai dove un gruppo di giovani architetti ed urbanisti propongono la città della quinta generazione, la loro, in controtendenza rispetto allo sfruttamento intensivo del suolo avvenuto negli ultimi cinquanta anni. Interessanti i plastici di compensato in scala gigante del quartiere ideale costituito da abitazioni sostenibili anche a livello umano, con grandi finestre, giardini e tetti terrazzo. Interessante e necessario….. domani sarà il nostro ultimo giorno… Sob!

17 Agosto 2011

TOKYO

L’ultimo giorno è arrivato ma le energie non sono ancora esaurite così come le cose da vedere, troppe per una sola settimana, solo la prospettiva del nostro ritorno il prossimo giugno mi consente di rinunciare con serenità ai due musei previsti per oggi, interessanti forse solo per gli edifici che li contengono. L’obiettivo in realtà è l’acquisto di alcuni regali mirati nei negozi riassunti sulla paginetta stampata da Louise. Un solo quartiere nel quale cercare, basta avere le idee chiare e la pazienza di trovare i pallini rossi percorrendo strade vere. Siamo nella zona della città dedicata al sesso ed al gioco d’azzardo ora, dei quali però a quest’ora non vi è traccia, il quartiere controllato dalla mafia giapponese. Sotto il sole cocente di oggi sono pochi a muoversi ed alcuni sono già seduti per uno spuntino ai tavolini ombreggiati da teloni lungo la strada pedonale che si allontana dall’antico tempio e dalla pagoda a cinque piani. I profumi ingolosiscono con promesse di piatti accettabili ed i colori delle granite fanno molto intossicazione alimentare, ma la compagnia della giovane Louise mi fa regredire e la granita al sapore cola è buona come trenta anni fa. Per strada le famigliole con bambini vanno al tempio o passeggiano lungo le gallerie commerciali, come noi che abbiamo appena concluso la missione timbro per Vanni che lo aveva cercato inutilmente per giorni. Ora invece, sollevate dall’esito positivo, stiamo cercando qualcosa di David Bowie per Bob che lo adora. La ricerca ci porta ad entrare in un verace negozio di dischi con le pareti rivestite da etichette i cui ideogrammi indicano senz’altro i nomi di cantanti orientali. Ci accorgiamo presto di essere entrate in un museo della musica i cui reperti più antichi sono le musicassette ed i vinile impreziositi dalle fascette di importazione, incomprensibili e di grande effetto. Di David Bowie non vi è traccia ma con i quattordici vinile acquistati il vecchio store è rimasto senza esemplari di musica rock occidentale…. un bottino che rende felici entrambe per il tesoro trovato spulciando i sette metri lineari di scaffali anche al di sotto delle nostre ginocchia…. Già immagino Bob quando si troverà di fronte al viso del mitico Boy George affiancato da meravigliosi ideogrammi. Lo stress arriva dopo, quando Louise non conoscendo l’entità dei miei ripensamenti mi invita a prendere in considerazione i kimoni da uomo nei negozi di questa strada tutta dedicata, mi basta vederne un paio per capire che non ne regalerò uno a Vanni…. ma cosa scegliere per festeggiare domani il suo compleanno? Il vecchio pugnale in stile samurai in esposizione nella vetrina di un rigattiere, o un backgammon con il quale adora giocare?…. magari con qualche riferimento al Giappone, ma dove? Dopo centinaia di metri di vetrine inutilmente prese in considerazione raggiungiamo un Departement store, un grande magazzino nel quale però i pochi backgammon non possono nemmeno essere presi in considerazione …. la grande tradizione del Mahjong ha sbaragliato ogni concorrenza. Siamo a Ginza ora ed il tempo stringe… la decisione di vuotare il bagagliaio di Asia in vista della sua sosta qui ci ha costretti a valigie impreviste che ora vogliamo portare in un deposito bagagli dell’aeroporto, e Vanni mi sta già aspettando …. è sempre stato un precisino insopportabile nello svolgere le operazioni relative ai trasporti di persone e cose…. e Louise finita nel vortice della ricerca spasmodica dell’ultimo momento non sa più come fare ad uscire dal limbo nel quale l’ho trascinata… poi il miraggio appare dentro la vetrina di un magazzino dove decine di gemelli sono pronti per essere infilati nei polsini delle camicie di Vanni, è fatta! Siamo tutti felici ora, Vanni per il nostro arrivo e noi per aver dato un senso al frenetico pomeriggio. Un drink di arrivederci in compagnia di Louise e si va… anche se il check-in di rientro sarà solo domani mattina alle 10. Il nostro primo viaggio in Giappone finisce con il nostro ingresso nel modesto hotel dell’aeroporto ….


Menù delle città

Percorso della tappa

Fotografie
Stai leggendo: Viaggio in Asia

Cambia Tappa

01 Croazia

Asia

02 Bosnia

Asia

03 Serbia

Asia

04 Macedonia

Asia

05 Grecia

Asia

06 Turchia

Asia

07 Georgia

Asia

08 Armenia

Asia

09 Nagorno Karabakh

Asia