05 Febbraio 2012

MATADI – N’ZETO

Il distributore è aperto solo in teoria, in realtà l’unico benzinaio sta chiacchierando con un paio di camionisti e la fila di auto in attesa alle pompe con il tappo aperto un inutile invito a fare in fretta. E’ così che non ancora rassegnati ai non tempi africani per i quali offrire un servizio non significa necessariamente farlo in tempi ragionevoli andiamo oltre, verso Songolo ed alle taniche di gasolio in vendita lungo la strada. Novanta chilometri e viriamo a Sud fino a raggiungere la frontiera della RDC dove le procedure sono veloci ed i timbri assestati in pochi minuti, qualche sorriso, un arrivederci e siamo alla frontiera angolana. Scrivanie intonse, computer e scanner nuovi e funzionanti, divise impeccabili ed il portoghese, che essendo l’unica lingua parlata dai gelidi doganieri ci crea fin dall’inizio qualche problema, compensato in parte dal candore delle toilettes. In pochi chilometri abbiamo raggiunto un mondo apparentemente diverso e noi siamo tra i pochi occidentali ad entrarvi, attraverso questa sbarra che di turisti ne ha visti pochi. La classe dirigente angolana infatti non accetta di buongrado l’ingresso di stranieri nel loro paese se non uomini d’affari con i quali fare speculazioni economiche ed è per questo che ottenere il visto turistico è estremamente difficile a meno che non ci si rivolga alla nostra ambasciata. Liberi dalle briglie della frontiera raggiungiamo sull’ asfalto impeccabile M’banza Congo la cui importanza è sottolineata dalla larga strada asfaltata che divide in due parti le casette scrostate ed i disordinati mercatini lungo le vie in leggera pendenza, sporche e di terra battuta. E’ subito chiaro che la perfezione degli uffici della dogana era solo fumo negli occhi, che l’Africa è anche qui l’Africa ed al distributore la fila non c’è forse solo perché a secco di carburante, a poco vale per gli abitanti di M’banza Congo l’appartenenza ad una nazione che trabocca di petrolio. Dopo aver superato il corteo di un funerale dove tutti i presenti come impazziti hanno iniziato ad urlare – bianchi, bianchi – ed hanno tentato di bloccare la strada con la bara, abbiamo ora il piacere di abbandonarci al rilassante paesaggio mosso in morbide alture fino alla costa, puntando il muso di Gazelle su N’Zeto che abbiamo immaginato come una ridente località balneare sull’oceano Atlantico. Intanto le palme sfumano sostituite da un crescendo di grossi baobab stranamente frondosi mentre un paio di carri armati arrugginiti residui della relativamente recente guerra civile giacciono abbandonati come relitti fra l’erba alta. Ci inseriamo nel paesino sfiorando gli intonaci scrostati delle poche case che si affacciano sul corso principale sterrato fino alla spiaggia dove solo poche barche di pescatori sono arenate sulla sabbia ed un baretto è stato preso d’assalto dai giovani locali ai quali piace bere birra. Capiamo subito che non è il caso di scendere dall’auto, le espressioni dei loro visi nel vederci non sono rassicuranti e le recenti esperienze ci hanno insegnato che l’ostilità diffusa in questi paesi potrebbe degenerare in questo caso alimentata dai fumi dell’alcol, forti delle recenti esperienze sappiamo di dover ridurre al minimo i rischi. L’albergo Vito ha solo un paio di camere ma pulite e dotate di tutto compreso il materasso-graticola, l’acqua corrente solo su richiesta ed un giovane gestore che specula sul tasso di cambio del dollaro e cerca di non dare il resto. Non molto peggio dell’anziano signore portoghese che per l’occasione fa lievitare il prezzo del nostro piatto di pesce al forno con patate da 12 a 20 $ a testa, ma che si riscatta con i biscotti fourré al cioccolato per i quali siamo disposti a spendere qualsiasi cifra. Dopo il tramonto finiamo col non sentirci al sicuro nemmeno qui in albergo, alcuni ragazzi arrivati per bere birra spargono occhiate non proprio amichevoli e mi lanciano volgari bacetti nonostante la presenza di Vanni, ci detestano e cercano di dimostrarlo per fortuna senza spargimento di sangue, infine li sentiamo urlare ubriachi fino a notte fonda di fronte al bar sulla strada, troppo vicini alla fragile porta della nostra camera. Un incubo!

13 Gennaio 2008

N’ZETO – N’ZETO

Come resistere alla tentazione di abbandonare la devastata nazionale che arriva a Luanda costeggiando il mare? Non resistiamo e seguendo il consiglio di un camionista fermato per strada dopo pochi chilometri di onde in terra battuta, lasciamo questo inferno nella prospettiva del comodo anche se più lungo viaggio che partendo da M’Banza Congo prosegue per Uigé e Caxito raggiungendo infine la capitale. Carta stradale alla mano un camionista garantisce con tono deciso che il tratto di strada fra M’Banza Congo e Uigé è asfaltata, si tratta solo di tornare al punto di partenza di ieri e considerare N’Zeto un fuori programma. Ho sempre snobbato i proverbi, ma in questo caso il “mai lasciare la strada vecchia per la nuova” non poteva essere più azzeccato e l’averlo preso in considerazione ci avrebbe risparmiato 500 km inutilmente percorsi. La strada che avrebbe dovuto essere asfaltata non è infatti più larga di tre metri, in terra battuta con solchi profondi che spaccano la pista in due o tre strette strisce di terra sulle quali appoggiare i pneumatici, guadi facilitati da tronchi appoggiati che si muovono sotto i pneumatici, pochissimi villaggi segnati sulla mappa, scarsa se non remota possibilità di trovare carburante ed il rischio di trovarci impantanati e con problemi all’auto in balia di angolani alla fame che ci lascerebbero in mutande dentro un grande pentolone con carote, cipolla e sedano. Impensabile andare oltre i cinque chilometri percorsi in un’ora. Quindi torniamo a N’zeto, dove senza che avessimo temuto il contrario la camera n° 2 è ancora disponibile.

07 Febbraio 2012

N’ZETO – LUANDA

Rassegnati abbiamo percorso i 187 km della strada colabrodo in sette ore ed abbiamo procurato un lieve danno a Gazelle. Al bilancio non positivo va sommata una mia piccola crisi isterica ed un ingresso in città lungo e faticoso attraverso le strade del porto intasate di auto, minibus, moto e camion. Non c’è nessun taxi in circolazione che possa condurci in hotel ed un vigile intransigente ci fa perdere tempo avendo beccato Vanni senza cintura di sicurezza, forse l’unica volta nella sua vita. Alla estrema povertà della lontana periferia dove favelas sono cresciute su montagne di rifiuti seguono i tanti cantieri di una city in crescita verticale. Si distinguono tra i giganti di metallo e vetro alcuni bassi edifici coloniali e vecchi condomini tappezzati di parabole e bucati stesi ad asciugare. Anche a Luanda la spazzatura non manca anche se discretamente ammucchiata accanto ai marciapiedi, ed è evidente che la capitale più costosa del pianeta si sta ancora organizzando. Nonostante il mare rappresenti il fulcro della sua forza economica lo vediamo lontano, quasi dimenticato a ricoprire un ruolo marginale nella città che pur vi si affaccia e lo avvolge con una profonda stretta lingua di terra arricciata verso l’orizzonte. Lo si vede solo dalle finestre più alte dei grattacieli resi ancora più verticali dal terreno in pendenza. Il sesto piano dell’hotel Skyna ce ne regala una striscia tagliata a destra da un recente edificio ben disegnato. Cos’altro aggiungere su questa città incasinata da scoprire passeggiando fra lattine vuote e sacchetti di plastica svolazzanti, persone indaffarate ed ingombranti SUV che a fatica si fanno largo nelle strette strade del centro. Per strada non scatto foto, dopo i rischi corsi a Libreville, Brazzaville e Kinshasa non vorrei finire impallinata proprio pochi giorni prima del rientro in Italia, sto invecchiando!


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